Il re che rifiutò di morire
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Il re che rifiutò di morire

  1. 322 pagine
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Il re che rifiutò di morire

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Informazioni sul libro

È sera inoltrata, quando Astra si reca al British Museum di Londra per visitare una grande mostra dedicata a Gilgamesh e al mondo mesopotamico. Ha ricevuto un invito, ma non sa esattamente chi glielo abbia inviato né perché. Al rinfresco, un uomo misterioso la invita a seguirlo. Sarà l'inizio di un lungo viaggio, nel tempo e nello spazio. Mescolando contemporaneità e passato remoto, storia e mito, fatti e fiction, il padre dell'archeologia misterica intreccia con maestria il racconto epico di Gilgamesh e del suo compagno Enkidu con le teorie e le prove presentate nel suo monumentale ciclo Le Cronache Terrestri.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858510834
Argomento
Arte

1

«È qui per la mostra speciale, signora?»
La domanda colse Astra di sorpresa. Era già stata tante volte al museo, ma mai a un’ora così tarda. Si fermò davanti alle cancellate in ferro, quasi intimidita alla vista del colonnato che ornava la facciata dell’edificio, illuminata dalla luce ambrata dei faretti. La pioggerellina che cadeva sottile gli conferiva un’aria di mistero, come se dietro a quelle massicce colonne si celasse un segreto, dorato quanto le luci. Affascinata dalla vista, Astra si domandò se quell’atmosfera inquietante non fosse legata al fatto che buona parte dei manufatti esposti al museo provenivano da antichi luoghi di sepoltura.
«È qui per la mostra speciale, signora?» il guardiano ripeté la domanda, uscendo dalla guardiola, arrendendosi alla pioggia che cadeva leggera.
«Sì, perché?» chiese di rimando Astra.
«Deve mostrarmi l’invito» le disse bloccandole il passaggio.
«Oh, sì, certo, l’invito» mormorò.
Il guardiano la osservò rovistare nella grande borsa. Sotto il cappellino da pioggia color kaki riusciva a scorgere il collo robusto e la bocca piccola, dalle labbra carnose. L’impermeabile, anch’esso color kaki, era stretto in vita e rivelava un bel corpo sinuoso.
«Eccolo!» esclamò Astra estraendo il cartoncino bianco dalla sua busta.
«Prego, entri pure» disse infine il guardiano senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. «È piuttosto in ritardo. Se non si sbriga, avranno già finito il vino e gli stuzzichini.»
Astra attraversò il cortile tenendo ancora stretto in mano l’invito, troppo assorta nei propri pensieri per ricordarsi di riporlo in borsa.
Ormai sapeva a memoria cosa c’era scritto: «I fiduciari del British Museum sono lieti di invitarLa all’inaugurazione della Mostra Speciale su Gilgamesh» corredato, ovviamente, di data e ora. Ma anche mentre saliva i dodici scalini larghi che conducevano all’ingresso del museo, Astra non riusciva proprio a immaginare perché fosse stata invitata, o chi mai potesse conoscere il suo nome e il suo indirizzo.
Stava ancora riflettendo su questi aspetti singolari quando una delle guardie la fermò per esaminare la borsa e solo allora ricordò di riporvi l’invito. Soddisfatta per non aver trovato né armi, né esplosivi, la guardia le indicò l’ingresso dell’ala occidentale. Astra lasciò impermeabile e cappello al guardaroba e un attimo dopo si unì alla folla.
Per l’occasione nel coffee shop nel museo era stato allestito un buffet a base di piccoli sandwich triangolari accompagnati da vino e soft drink. Per raggiungerlo bisognava attraversare gallerie fiancheggiate da statue greche e salire una rampa di scale dalle quali la folla si riversava nelle gallerie della mostra vera e propria. Quando Astra cercò di farsi strada verso il bar, si ritrovò bloccata nella calca. Venne spinta e spintonata, ma alla fine riuscì a raggiungere la parete, dove la ressa era decisamente minore.
Si guardò intorno. Era la sua immaginazione a giocarle un brutto scherzo o fissavano tutti lei, che indossava il suo vecchio abito da hostess, dal quale aveva scucito tutte le mostrine, e che ora le andava anche un po’ stretto? Era così evidente che non faceva parte di quella cerchia di persone e che il suo invito era stato una sorta di errore o, peggio, uno scherzo?
Volgendo lo sguardo vide in cima alle scale un uomo alto e magro che sollevò il bicchiere verso di lei in segno di saluto, le sorrise e cominciò a farsi strada tra la folla senza staccarle gli occhi di dosso.
«Salve!» esclamò quando le fu accanto. «Ha l’aspetto di una naufraga su di un’isola deserta in mezzo a un mare di persone, senza nemmeno un bicchiere in mano. Sono corso a salvarla… È qui da sola?»
«Sola e perplessa» rispose Astra. «Non soltanto non ho nulla da bere, ma non so nemmeno come ci sono arrivata fin qui.»
«Non lo sa?» ripeté lui con tono scanzonato. «L’hanno stordita e avvolta in un tappeto magico, ecco come ci è arrivata!»
Lei rise. «No, in realtà non ho la più pallida idea del perché sia stata invitata qui o chi mi abbia invitato. Lei lo sa?» chiese fissandolo negli occhi.
«Cosa importa?» ribatté lui. «L’importante è che lei ora sia qui e che io stia facendo la sua conoscenza. Sono il cavaliere venuto a salvarla. Henry, per servirla. E qual è il suo nome gentil donzella?»
«Astra.»
«Che bel nome, celestiale… Gradisce che le prenda qualcosa da bere, mia affascinante signora?» chiese inchinandosi e avvicinando il suo volto a quello di lei.
Lei girò di scatto la testa per evitare che le sfiorasse le labbra.
«Sì, grazie Henry. Ora gradirei proprio qualcosa da bere.»
«Non si muova. Tornerò in un batter d’occhio!»
Si voltò e cominciò a farsi strada verso le scale che portavano al coffee shop. Non appena si fu allontanato, Astra si fece strada nella direzione opposta.
La folla di invitati si era spostata lungo la galleria greca e lungo la galleria che portava all’ingresso. Per offrire più spazio e non correre il rischio di danneggiare le statue, i custodi tolsero i cordoni che bloccavano l’ingresso alla sezione assira. La folla si riversò in quell’area appena aperta e vi si diresse anche Astra.
L’ingresso di quella sezione era fiancheggiato dalle statue in pietra di dèi-guardiani: i copricapi ornati di corna ne rivelavano lo status divino. Erano stati posti all’ingresso per accogliere i visitatori moderni, proprio come avevano accolto i devoti nell’antica Assiria. Superandoli ed entrando nella sezione del museo dove era già stata tante volte, il disagio di Astra si placò.
La maggior parte delle persone che le si accalcavano intorno girarono a sinistra, attirate dalla vista della coppia di sculture gigantesche che ritraevano creature mitologiche: tori con le ali d’aquila e la testa antropomorfa di una divinità protettrice che, un tempo, avevano ornato il trono di un re assiro. Astra invece girò a destra, dirigendosi verso una fila di stele risalenti al I millennio a.C. – colonne in pietra che ritraevano il re protetto dagli emblemi celesti delle grandi divinità d’Assiria. Questi cinque simboli erano ripetuti su ogni stele e un cartello sul muro forniva ai visitatori la relativa spiegazione.
Astra la lesse a bassa voce: «Il copricapo ornato di corna rappresentava Anu, il dio dei cieli. Il Disco Alato era l’emblema celeste di suo figlio, il dio Ashur, il capo del pantheon assiro. La falce di Luna era l’emblema di Sin, dio della Luna. Il fulmine era il simbolo di Adad. La stella a otto punte rappresentava la dea Ishtar, dea dell’amore e della guerra, che gli antichi Romani chiamavano Venere».
Astra si spostò da una stele all’altra, studiando gli emblemi raffigurati su ciascuna di esse. Si fermò davanti alla stele del re Ashurbanipal, la cui mano era sollevata verso gli emblemi celesti: con l’indice indicava il simbolo di Ishtar. Ignorando la folla che la circondava, Astra tese la mano per toccarlo. Il cuore prese a batterle più forte mentre accarezzava con le dita quell’antico bassorilievo. Fissò lo sguardo sulla bocca del re, ne toccò le labbra di pietra e sussurrò: «Labbra antiche, pronunciate di nuovo il messaggio immortale!».
Chiuse gli occhi e, a dispetto del rumore che la circondava, udì chiaramente qualcuno sussurrare: «Guarda, Astra, guarda la tua stella del destino…».
Ritrasse bruscamente la mano e aprì gli occhi. Si voltò di scatto. Henry era accanto a lei e le porgeva il bicchiere sorridendo.
«Ha detto qualcosa?» chiese.
«Le mie labbra non hanno pronunciato dolci parole» rispose. «Stavo per dire, tuttavia, perché mai accarezzare delle labbra di pietra, mentre ce ne sono qui di vive, pronte a baciarti?»
«Ho sentito chiaramente delle parole» rispose Astra. «Può sembrare strano, ma mi è già capitato in passato: le ho sentite provenire proprio da questo monumento.»
«Interessante,» ribatté Henry «continua» esortò porgendole il bicchiere.
«Questi emblemi in qualche modo mi turbano» proseguì Astra voltandosi per osservarli di nuovo. «Vengo a vederli ogni volta che posso, dopo il lavoro… Sembrano celare un segreto, un messaggio nascosto.»
«E poi la pietra ti sussurra un messaggio, è così?»
«Non sono pazza, ho sentito chiaramente quelle parole ora e un’altra volta tempo fa» rispose Astra alzando il bicchiere per brindare al monumento.
Si voltò. Henry era a pochi passi da lei, ricacciato indietro dalla folla.
«Mi devi raccontare del tuo culto» le disse a voce alta alzando il bicchiere.
Astra lo ignorò e lasciò che la folla ponesse una distanza ancora maggiore tra di loro. Sembrava proprio che tutti si fossero accalcati in quella parte del museo. Un uomo che era salito su di un piccolo palco tra i due tori alati cercava di ottenere il silenzio della folla e, dopo diversi richiami, cominciò a parlare.
«Signore e signori,» esordì con voce ferma «sono James Higgins e sono il curatore del museo che si occupa dei reperti dell’Asia occidentale. È con immenso piacere che, per conto dei fiduciari del British Museum, vi dò il benvenuto all’apertura della Mostra Speciale su Gilgamesh».
Fece una pausa ad effetto e proseguì: «l’abbiamo organizzata per celebrare una sorta di centenario. Tra le grandi scoperte archeologiche venute alla luce nel XIX secolo a Ninive, in Mesopotamia, c’era la grande biblioteca di tavolette di argilla di Ashurbanipal, re di Assiria. Le tavolette, perlopiù danneggiate o ridotte in frammenti, vennero portate qui, al British Museum, in casse di legno. E fu proprio qui, nel seminterrato di questo edificio, che George Smith selezionò, ricompose e catalogò decine di migliaia di frammenti di argilla con incisioni cuneiformi. Un giorno lo sguardo gli cadde su di un frammento che sembrava raccontare la storia di una grande inondazione e comprese di aver trovato la versione mesopotamica della storia del Diluvio Universale narrata dalla Bibbia!
Con comprensibile eccitazione i fiduciari del museo inviarono George Smith in Mesopotamia affinché cercasse ulteriori frammenti nel sito archeologico. La fortuna fu dalla sua: ne trovò un numero tale da consentirgli di ricostruire il testo originale e di pubblicarlo nel 1876, con il nome di Racconto Caldeo del Diluvio».
Si udì un mormorio tra la folla e il curatore proseguì: «Ma, come aveva concluso lo stesso Smith, e come altri ritrovamenti hanno ormai confermato senza ombra di dubbio, la narrazione scoperta nella biblioteca di Ashurbanipal trattava solo in parte del Diluvio. Si trattava di una storia lunga, scritta su dodici tavolette. Il titolo originale antico, tratto dalla riga di apertura, era Colui che Vide Tutto. Ora la chiamiamo L’Epica di Gilgamesh, perché racconta la storia di un re irrequieto e ardito che osò sfidare uomini e dèi. Sostenendo di essere in parte divino, pretese l’immortalità. E fu proprio nel tentativo di sfuggire al fato dei mortali che si recò al Luogo dell’Atterraggio degli Dèi e da lì al regno segreto che si chiamava la Terra dei Viventi, dove incontrò un proprio antenato nato millenni prima, ancora vivo. Questi altri non era che il protagonista del Diluvio, colui che la Bibbia chiama Noè. Fu lui che narrò a Gilgamesh la storia dell’indimenticabile calamità del Diluvio Universale.
E fu dunque così che, un secolo fa, la narrazione biblica della Genesi si legò alla tradizione delle antiche Assiria e Babilonia. Il secolo scorso abbiamo anche scoperto che tutti quegli scritti provengono da una fonte comune più antica, i documenti scritti dei Sumeri: il popolo misterioso che creò nella Mesopotamia meridionale la prima civiltà a noi nota. La conferma che Gilgamesh era un personaggio storico non è venuta soltanto dalle antiche narrazioni assire e babilonesi, bensì anche dalla Lista dei re e da altri racconti epici giunti fino a noi. Gilgamesh era il quinto sovrano della città sumera di Uruk, Erech nella Bibbia. Regnò quasi cinquemila anni fa. Suo padre era un sommo sacerdote, sua madre la dea Ninsun: questo lignaggio rendeva Gilgamesh per due terzi divino. Fino a quando gli scavi archeologici non hanno riportato alla luce la città con le sue strade, le sue case, le sue banchine e i suoi templi – inclusi i tempietti dedicati a Ninsun – si riteneva che Erech fosse il nome di una località sconosciuta, mitologica, citata nella Bibbia, difficile da individuare. Ma se la Bibbia ha avuto ragione su Erech e su tutte le altre città e se ha avuto ragione sui vari re assiri e babilonesi, non è probabile che anche le altre narrazioni – quella del Diluvio e di Noè, della Torre di Babele e del Giardino dell’Eden – siano cronache di fatti realmente accaduti, testimonianza scritta di eventi del passato più remoto?».
Il curatore fece una pausa. «A quanto pare mi sto dilungando troppo» commentò con un gesto di scuse. «Sarà meglio che mi fermi qui. Qualunque siano le implicazioni delle scoperte del secolo scorso e di quelle più recenti, non c’è dubbio che la pubblicazione del Racconto Caldeo del Diluvio rappresenti una pietra miliare nella conoscenza e nella comprensione del passato. Ed è proprio per commemorare il cente...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il re che rifiutò di morire
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  19. Copyright