La gestione dell'impresa
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La gestione dell'impresa

Organizzazione, processi decisionali, marketing, acquisti e supply chain

  1. 682 pagine
  2. Italian
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Organizzazione, processi decisionali, marketing, acquisti e supply chain

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Il management non è un sapere che si possa imparare solo sui libri. L'esperienza pratica è insostituibile. E, tuttavia, la conoscenza teorica certamente aiuta. Per questo le imprese ricercano continuamente giovani con una preparazione gestionale, magari innestata su un background tecnico-scientifico. Manager già fatti e tecnici specialisti che aspirano a posizioni manageriali affollano i master e i corsi di formazione gestionale. A questo pubblico, oltre che agli studenti universitari, si rivolge La gestione dell'impresa. L'impostazione è quella della Scuola di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano. L'attenzione è al saper fare (e non solo al sapere), al "progetto di impresa", all'innovazione tecnologica e organizzativa, alla gestione dell'impresarete e delle sue relazioni collaborative. In questo senso il management è molto più della semplice buona amministrazione, pur necessaria. È essenzialmente capacità di organizzare e mobilitare le risorse verso gli obiettivi di innovazione. Delle quattro parti in cui si articola il volume, le prime due - organizzazione e processi decisionali - ne rappresentano il cuore concettuale e sono intimamente legate tra loro: in chiave manageriale organizzare e decidere sono due facce della stessa medaglia. Le due successive sono dedicate alla gestione delle interfacce nella catena del valore, e in particolare ai rapporti con i mercati di sbocco per i prodotti e i servizi (marketing) e a quelli con i fornitori e in generale i partner della filiera (acquisti e supply chain). Questa nuova edizione include: 3 un glossario di 260 voci con traduzione inglese e rimandi al testo, strumento agile e sistematico di consultazione rapida; 3 centinaia di note a margine che facilitano il lettore nel localizzare gli argomenti e nel fissare i messaggi-chiave; 3 oltre 100 casi reali e un ricco apparato di tabelle e grafici che esemplificano le considerazioni e i concetti contenuti nel testo.

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Informazioni

Editore
ETAS
Anno
2012
ISBN
9788858638002
Argomento
Business
Categoria
Marketing

PARTE PRIMA

Organizzazione

Nella parte prima viene affrontato il tema dell’organizzazione, elemento indispensabile per comprendere il reale funzionamento di ogni impresa e, più in generale, di qualsiasi istituzione privata e pubblica alla quale partecipino più persone. L’organizzazione implica decisioni su come si suddivide il lavoro e come si garantisce il coordinamento tra le varie attività e tra le persone che le svolgono in autonomia. L’organizzazione fa dunque parte del know-how manageriale di base, necessario per gestire qualunque impresa. Il taglio della trattazione è prevalentemente orientato alla progettazione organizzativa. Nel capitolo 1 viene introdotto il tema, presentandone le diverse accezioni, le possibili prospettive di analisi e le principali questioni affrontate. Nel capitolo 2 i problemi organizzativi vengono inquadrati nelle dinamiche di crescita delle imprese. All’aumentare delle dimensioni, infatti, crescono i bisogni e le opportunità di specializzazione delle risorse e di conseguenza le necessità di coordinamento. Le tematiche organizzative devono essere affrontate a tre livelli complementari: i singoli individui (micro organizzazione), oggetto del capitolo 3; le unità organizzative che raggruppano più individui (macro organizzazione), oggetto del capitolo 4; e infine i processi aziendali (insiemi di attività e decisioni) oggetto del capitolo 5. Nel capitolo 6 si prendono in considerazione i fattori di contesto interni ed esterni all’impresa (settori, mercati, tecnologie, strategie ecc.) che influenzano la produzione organizzativa e ne condizionano l’efficacia.

1 Introduzione all’organizzazione

SOMMARIO 1.1 L’organizzazione e le organizzazioni
1.2 Le tre prospettive di analisi
1.3 Le tre questioni organizzative

1.1 L’organizzazione e le organizzazioni

Il termine organizzazione può significare molte cose. In generale fa riferimento a circostanze in cui un insieme di individui condivide uno scopo comune che può essere perseguito tramite azioni collettive. Con un po’ di semplificazione le molte valenze del termine possono essere ricondotte a due significati principali: organizzazione come istituzione sociale alla quale partecipano più individui con ruoli e compiti differenziati e organizzazione come atto dell’organizzare.
Scopi, ruoli e compiti
L’organizzazione come istituzione sociale richiama una varietà infinita di aggregati umani. Le imprese private, le pubbliche amministrazioni, la Chiesa, l’Esercito, le associazioni professionali, i partiti politici, sono esempi di quelle che nel linguaggio comune si chiamano “organizzazioni”. Si tratta di una serie molto eterogenea di istituzioni o enti che hanno scopi, forme, caratteristiche e dimensioni variabili nel tempo. Consideriamo un’organizzazione bimillenaria ad alta stabilità come è appunto la Chiesa cattolica. Si tratta certamente di un’organizzazione, anche se probabilmente non è questa la prima definizione che ne darebbero i suoi membri più autorevoli. È un’organizzazione perché è facile riconoscere scopi generali fortemente condivisi dai suoi membri, ed è altrettanto facile riconoscere ruoli distinti, compiti e adempimenti abbastanza circostanziati per ciascuno dei membri; inoltre tra le diverse categorie di appartenenti, i fedeli, i diaconi, i sacerdoti, i vescovi, il pontefice – esistono rapporti di natura gerarchica, ma anche di intensa condivisione e collaborazione; esistono norme e regole codificate alle quali ci si deve attenere; esistono requisiti e procedure che regolano l’accesso a determinati ruoli, ad esempio il ministero sacerdotale; vi sono infine sanzioni e procedure in caso di violazione delle norme. Osservazioni simili valgono anche per altri casi di organizzazioni citate, ad esempio l’Esercito, un partito politico o un’impresa privata.
know-how organizzativo
Veniamo al secondo significato: l’organizzazione come atto dell’organizzare. In questo senso l’organizzazione consiste nel decidere “chi fa che cosa”, come si suddivide il lavoro, come si garantisce il coordinamento tra le varie attività e tra le persone che le svolgono in autonomia. Come tale l’organizzazione è sia un “sapere” – e dunque una disciplina con le sue teorie e le sue metodologie di analisi – sia un “saper fare” – e dunque un know-how con le sue professioni, ad esempio quella di responsabile dell’organizzazione e delle risorse umane o quella di consulente di organizzazione. Tutti questi significati hanno preso consistenza con l’avvento delle prime grandi organizzazioni industriali e amministrazioni pubbliche moderne (le cosiddette “burocrazie”) tra la fine del XIX e i primi decenni del XX secolo. Sono di quell’epoca le prime teorie sull’organizzazione scientifica del lavoro che avrebbero reso celebre F.W. Taylor (1867-1915) fino al punto di identificare con il termine di taylorismo un insieme di pratiche di organizzazione industriale volte a rendere il lavoro più specializzato e dunque più frammentato, pianificato e controllabile. Da allora, dunque, l’organizzazione si è prestata a divenire una scienza sociale, popolata di teorie, talvolta contrastanti, che si sono accavallate e succedute nel tempo con lo scopo di interpretare perché e come nel mondo reale, potremmo dire nelle “organizzazioni reali”, il lavoro viene specializzato, cioè suddiviso tra persone diverse e coordinato.

1.2 Le tre prospettive di analisi

La specializzazione e il coordinamento
Nel secolo e più di storia del pensiero organizzativo, il problema centrale della specializzazione e del coordinamento del lavoro è stato studiato da una gran quantità di punti di vista, riconducibili a tre prospettive: quella manageriale, quella sociologica e quella politica.
Organizzazione come sistema
La prospettiva manageriale, legata alle scelte degli imprenditori, dei dirigenti di azienda o di quelli delle pubbliche amministrazioni, in sostanza di coloro che gestiscono le organizzazioni e cercano di raggiungerne gli scopi istituzionali, tende a considerare l’organizzazione come un sistema, composto da parti che interagiscono – le unità organizzative (dipartimenti, uffici, enti, filiali ecc.). L’attenzione si concentra sugli aspetti formali e oggettivi, quali ad esempio le mansioni attribuite agli individui, la delega dei poteri decisionali, le funzioni svolte dalle unità organizzative, la stessa composizione delle unità – ovvero i criteri per raggruppare posizioni diverse sotto un’unica responsabilità gerarchica – e, infine, i meccanismi di coordinamento tra individui e unità. Nella prospettiva manageriale l’organizzazione è stata spesso spersonalizzata, ponendo in secondo piano considerazioni di tipo culturale e psicologico che pure hanno un loro peso. Anche assumendo una logica manageriale, il sistema organizzativo non può tuttavia essere reso del tutto oggettivo, perché gli individui che lo compongono non sono totalmente intercambiabili, come fossero ingranaggi di un meccanismo; viceversa le persone con le loro esperienze, le loro competenze e il loro sistema di relazioni sociali nell’ambiente di lavoro, costituiscono un elemento stesso dell’organizzazione e un valore per l’impresa. Nella maggior parte delle organizzazioni sono poche le persone assolutamente insostituibili, ma sono anche poche o forse nessuna quelle sostituibili senza che vada perso alcunché. In ultima istanza resta però vero che l’organizzazione in una logica manageriale è vista come strumento che viene plasmato da chi detiene il potere per raggiungere i propri scopi.
Organizzazione come ambiente sociale
La prospettiva sociologica si concentra invece sui singoli individui; essa è tesa a esplorare e interpretare il comportamento delle persone nei contesti organizzativi, le motivazioni che le animano, i vincoli posti dall’organizzazione al loro agire e alle loro aspirazioni. Per certi aspetti la prospettiva sociologica si contrappone a quella precedente: l’organizzazione non è un mezzo per realizzare dei fini, ma un contesto, un ambiente sociale nel quale le persone si realizzano; la prospettiva è dunque totalmente soggettiva e, anzi, il sistema organizzativo in senso oggettivo perde significato, e l’organizzazione non necessariamente ha una sua razionalità e persegue obiettivi chiari. Più spesso è il risultato casuale della somma dei comportamenti individuali. Nella prospettiva sociologica vengono piuttosto approfonditi gli aspetti culturali delle organizzazioni, i processi e le relazioni interpersonali, le caratteristiche dell’organizzazione in relazione ai valori e alle culture che la circondano.
Ad esempio un modello organizzativo che è stato ampiamente studiato secondo una prospettiva sociologica è quello dei distretti industriali, nei quali molte aziende di dimensioni piccole o medie e specializzate in produzioni simili o complementari si sviluppano contemperando competizione e collaborazione. L’indubbio successo di alcuni distretti è stato posto in relazione alle caratteristiche socioeconomiche del territorio, alle culture omogenee e condivise tipiche delle aree locali, alle forme del microcapitalismo familiare e dell’imprenditorialità diffusa, allo stesso sovrapporsi della figura dell’imprenditore-capitalista a quella del lavoratore-operaio.
Organizzazione, potere e consenso
Vi è infine la prospettiva politica, che è volta a indagare i modi in cui i grandi sistemi sociali – il capitalismo e l’economia di mercato, il socialismo, la socialdemocrazia ecc. – o le tendenze di fondo delle società avanzate – la globalizzazione, la società postindustriale basata sull’informazione e sui servizi ecc. – si organizzano e si servono di “organizzazioni” ben precise per regolare i rapporti sociali, canalizzare i conflitti e consentire alle élite di esercitare il potere. Come la prospettiva manageriale, anche quella politica guarda all’organizzazione come a un mezzo, ma rivolto a fini più ampi e talvolta inconsapevoli: le caratteristiche delle organizzazioni vengono cioè valutate in relazione alla loro capacità di generare consenso, di esercitare il potere e di distribuire la ricchezza. Ad esempio, la grande impresa automobilistica giapponese del secondo dopoguerra è stata studiata anche come macchina organizzativa capace di generare consenso e ridurre i conflitti sindacali, in cambio di un sistema basato sull’impiego a vita e sul prendersi cura dell’intero nucleo familiare del dipendente, dagli studi dei figli alle cure mediche al tempo libero; la metafora è quella dell’azienda-mamma che accompagna il dipendente “dalla culla alla tomba”. L’importanza simbolica che ha rivestito nel XX secolo il settore automobilistico, l’industria delle industrie, è tutta riassunta da due termini evocativi derivati dai nomi di due giganti del settore: Toyota e Ford. Infatti, per designare il modello dell’azienda-mamma che genera consenso a tutto beneficio della produttività è stato coniato il termine di toyotismo, contrapposto a quello di fordismo che identifica invece il modello della grande impresa occidentale nella quale vi è nettissima separazione tra management e forza-lavoro, il consenso non è un obiettivo e la flessibilità del mercato del lavoro garantisce la sostituibilità continua della maggior parte dei membri dell’organizzazione. Un altro esempio di prospettiva politica degli studi organizzativi riguarda il modello del cosiddetto capitalismo renano e della cogestione: le grandi imprese tedesche al cui capitale partecipano anche le banche e alla cui gestione contribuiscono anche i sindacati. Più recentemente le grandi multinazionali, capaci di imporre marchi commerciali globali e di spostare le produzioni alla ricerca delle condizioni più favorevoli, sono state accusate di essere lo strumento di élite capitaliste senza volto in grado di spremere profitti ovunque, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dove più deboli sono le istituzioni e scarsa la protezione dei diritti delle persone.
Per gli scopi di questo libro la prospettiva manageriale è quella di maggiore interesse. Essa ha due implicazioni che verranno sviluppate in dettaglio:
Progettare l’organizzazione
  • l’attenzione prevalente va alla progettazione organizzativa, cioè alla definizione degli aspetti formali, strutturali e sistemici dell’organizzazione; in sostanza si tratta di forgiare gli strumenti organizzativi per il raggiungimento degli obiettivi istituzionali, pur nella consapevolezza che nessuna organizzazione funziona “sulla carta”, prescindendo cioè dalle caratteristiche delle persone che la popolano e delle loro relazioni;
  • la prospettiva manageriale implica sostanzialmente un approccio contingente e normativo. Si tratta cioè di individuare criteri che, a seconda delle situazioni, delle variabili tecnologiche e settoriali, degli obiettivi che si vogliono raggiungere – in questo sta la contingenza –, indichino al management l’assetto organizzativo migliore, la soluzione più efficace – e in questo sta la normatività.

1.3 Le tre questioni organizzative

Il tipo di prospettiva – manageriale, sociologica e politica – non è l’unico asse di analisi. Esistono infatti tre grandi tematiche o questioni organizzative che attraversano un po’ tutta la s...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Introduzione
  5. Ringraziamenti
  6. Parte I - Organizzazione
  7. Parte II - Processi decisionali
  8. Parte III - Marketing
  9. Parte IV - Acquisti e supply chain
  10. Glossario
  11. Bibliografia
  12. Indice