La trappola del comandante
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La trappola del comandante

Alla scoperta degli errori cognitivi che ci impediscono di decidere correttamente

  1. 306 pagine
  2. Italian
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La trappola del comandante

Alla scoperta degli errori cognitivi che ci impediscono di decidere correttamente

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Perché il Comandante di una grande nave, esperto e stimato dai colleghi e con un equipaggio addestrato e collaudato, decide di abbandonare la rotta programmata, avvicinandosi alla costa al di là di ogni ragionevolezza? E perché, in seguito alla collisione, si ritrova a negare a lungo l'entità del pericolo e non riesce ad attivarsi per porre rimedio alla situazione? Il lettore troverà alcune possibili risposte leggendo questo libro, e scoprirà anche che, al posto del Comandante e del suo equipaggio, forse non avrebbe agito con maggior razionalità. La questione, infatti, è che tutti noi, nessuno escluso, siamo sistematicamente soggetti a distorsioni nel ragionamento. Ci sono momenti in cui ci troviamo improvvisamente intrappolati in errori bizzarri, senza sapere come ci siamo finiti e, soprattutto, senza neanche rendercene conto. Ma, se non ne siamo consapevoli, cosa possiamo fare per evitarli? La buona notizia è che si tratta di errori "bizzarri" ma non capricciosi, bensì sistematici, che "funzionano" sempre nello stesso modo. Conoscerne l'esistenza e i meccanismi è quindi l'unica strada per aiutarci a prevenirli. Le scienze cognitive, che negli ultimi quattro decenni li hanno indagati a fondo, li chiamano "bias": overconfidence, effetto Concorde, legge dei piccoli numeri e "senno di poi" ne sono solo alcuni esempi, ma sono bias anche le aspettative che gli altri hanno su di noi. E quelle che noi abbiamo su di loro. In questo libro sono svelati i tranelli che i bias ci tendono più frequentemente, nel lavoro e nella vita: una quarantina, non sono pochi. Un viaggio agile e anche confortante – smascherato lo schema, più facile schivare l'errore — per nulla accademico nel linguaggio e nei casi esaminati. Un viaggio importante da intraprendere se si svolge una professione, o si hanno responsabilità in piccole e grandi imprese, organizzazioni, comunità, enti, ma anche per tenere meglio il timone della propria vita. E non fare la fine del Comandante.

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Informazioni

Editore
ETAS
Anno
2012
ISBN
9788858636732
Argomento
Business

Parte seconda

L’ALTRA FACCIA DELLA LUNA

3
Tra le pieghe del buon senso


LA VIA MAESTRA E LE SCORCIATOIE

1. Siete alla periferia di una grande città straniera, stanchi delle lunghe ore di viaggio impiegate per raggiungerla, e non avete ancora pranzato. Siete sulle spese, quindi vorreste trovare un ristorante a buon mercato, ma non siete disposti a rischiare un cibo scadente. La guida che avete con voi riporta troppi ristoranti e dovreste leggere pagine e pagine di recensioni. Date uno sguardo ai parcheggi dei primi locali che incontrate; poi, all’improvviso, decidete ed entrate.
2. Entrate in un negozio di pietre preziose, intenzionati a fare un regalo a una persona cara. Sapete già che dovete comprare una piccola acquamarina: solo la pietra, senza montatura. Alla richiesta di vedere qualcosa, il commesso vi srotola davanti un lungo panno pieno di pietre, tutte più o meno delle stesse dimensioni, praticamente indistinguibili al vostro sguardo profano. Al contrario, i prezzi delle acquemarine non sono affatto simili come immaginavate, ma variano fino al 100%. Non avete alcuna idea di quale possa essere una buona scelta, ma alla fine riuscite comunque a prendere una decisione.
3. Avete ricevuto una discreta quanto inaspettata vincita alla lotteria. Per decidere come impiegare il denaro che rimane dopo esservi tolti gli sfizi più immediati, avete iniziato un pellegrinaggio informativo presso banche, agenti immobiliari, operatori finanziari e naturalmente amici. Qualcuno ha anche cominciato a fare per vostro conto complicati calcoli a base di rischio, rendimenti e scenari macroeconomici, che avete smesso quasi immediatamente di seguire. Dopo qualche settimana, li licenziate tutti e fate la scelta che vi pare più di buon senso.
Nelle tre situazioni presentate, sapete perfettamente che esistono metodi migliori di altri per affrontare la scelta. Nel primo caso, per esempio, sarebbe bene leggere davvero la guida – sempre che vi fidiate –, farvi uno specchietto di prezzi e giudizi e forse anche chiedere conferma a qualcuno del posto. Nella scelta dell’acquamarina, non volendo consegnarvi nelle mani del negoziante, dovreste farvi accompagnare dal gioielliere di fiducia, e forse vi costerebbe un po’ troppo. Quanto ai soldi da investire, se non volete fare un corso accelerato di finanza – ammesso che serva – potreste cercare di capire se i calcoli che avete abbandonato a metà avevano un senso.
Consoliamoci con il fatto che la maggior parte di noi avrebbe affrontato ciascuna di queste scelte con criteri meno matematici e impegnativi.
Per il ristorante, per esempio, saremmo forse ricorsi alla regola che ci ha trasmesso nostro padre: segui i camionisti. Lunga esperienza e scambio di informazioni hanno insegnato loro, città per città, quali sono i migliori locali per pranzare a prezzo contenuto e qualità (e quantità) onorevole. Oppure avremmo potuto consultare la guida limitandoci ai ristoranti più economici della zona (selezionando il criterio per noi prioritario), ricercando il giudizio più favorevole sulla qualità.
Per la pietra da acquistare, probabilmente ci saremmo affidati al prezzo, sperando che la regola prezzo = qualità, almeno in questo caso, non ci facesse fare cattiva figura con la persona cara. Magari, per cautelarci, avremmo scartato l’acquamarina più cara e acquistato quella immediatamente meno costosa.
Quanto al denaro, forse avremmo seguito la vecchia regola di non mettere tutte le uova nello stesso paniere: un po’ nel mattone, una parte in BOT o CCT (almeno prima dell’ultima crisi), per i più coraggiosi una quota in qualcosa di più speculativo. Una strategia intuitiva e di buon senso – al limite, se non vogliamo fare troppi conti, equipartita tra le diverse soluzioni – che potrebbe ben essere definita una diversificazione naïf.
Le regole del camionista, del prezzo e della diversificazione non saranno probabilmente le migliori in assoluto da un punto di vista teorico, ma nella maggior parte dei casi risolveranno egregiamente il problema. Se ci pensate, scorciatoie mentali di questo tipo, che ci semplificano l’esistenza, ne conosciamo – e ne usiamo quotidianamente sul lavoro e nella vita personale – moltissime. Sono “regole del pollice” (le cosiddette rules of thumb), diverse a seconda del problema (non ce n’è una buona per tutte le stagioni) che coprono una gamma di situazioni estremamente ampia, dalla più banale a casi di una certa complessità. Chiunque abbia un po’ di esperienza di vita ne ha a disposizione una “cassetta degli attrezzi” piena, e persino per i neonati la cassetta non è del tutto vuota (all’età di quattro mesi un bambino appare sconcertato se vede partire un oggetto senza che un secondo oggetto in movimento lo abbia urtato: una regola del pollice che difficilmente può aver appreso da un testo di fisica). Gli scienziati cognitivi, per definirle, hanno riesumato un vecchio ma eloquente termine: euristiche (heuristics, dal verbo greco eurisko, cercare o scoprire). Un’euristica è una regola, semplice ed efficace, che serve a esprimere giudizi, prendere decisioni o risolvere problemi in situazioni caratterizzate da complessità, incompletezza di informazioni e tempi stretti.
Se vi sentite in colpa per il fatto che affidate gran parte delle decisioni della vostra vita a semplici scorciatoie, invece di adottare in modo ligio le regole auree della razionalità, sappiate che siete in buona compagnia. Studi e interviste a decisori in ambito di business, politico e sociale mostrano che anche molte delle loro valutazioni e decisioni vengono fatte “a braccio”, seguendo euristiche: forse a volte un po’ più sofisticate, ma pur sempre tali.

Umani, troppo umani

Richard Thaler, uno dei padri dell’economia comportamentale – una giovane disciplina che si propone di studiare le implicazioni delle conquiste delle scienze cognitive sull’economia – osserva che, per decidere e scegliere davvero nel migliore dei modi, dovremmo disporre dell’intelligenza di Albert Einstein, della memoria di un Deep Blue – il computer di IBM che ha sconfitto il campione di scacchi Garry Kasparov – e della forza di volontà del Mahatma Gandhi. L’Homo Oeconomicus – continua Thaler, che all’americana lo abbrevia in Econ – è un personaggio alla Dottor Spock che vive solo nei trattati classici di economia. Noi che abitiamo il mondo reale apparteniamo invece alla categoria dell’Homo Sapiens (abbreviato in Human), e tutt’al più propendiamo per un comportamento alla Homer Simpson. Tanto nella vita lavorativa quanto nel privato, abbiamo esistenze semplicemente troppo complicate e affannose per permetterci il lusso di analizzare a fondo ogni giudizio che formuliamo e ogni decisione che prendiamo. Non abbiamo abbastanza tempo per essere completamente razionali. Se dobbiamo calcolare quanto tempo impiegheremo per arrivare a un appuntamento, o decidere con quale sconosciuto attaccare discorso alla festa di fine anno, abbiamo delle buone “regole del pollice” (delle euristiche, possiamo dire) che ci danno risultati rapidi e, il più delle volte, accettabili. In effetti, il grande vantaggio di ricorrere a queste euristiche è che ci aiutano a ridurre – spesso enormemente – il tempo e lo sforzo necessari a produrre buoni giudizi e decisioni.

Il “meglio” e il “bene”

Sono i giudizi e le decisioni migliori che potremmo ottenere? Forse no, anche se c’è chi sostiene che, in molti casi, è vero il contrario1. Ma il più delle volte i risultati delle euristiche si possono considerare ragionevolmente buoni. Nella vita di tutti i giorni, questo approccio è una delle espressioni del buon senso comune, che lo ha anzi elevato al rango di massima (il meglio è nemico del bene). Quando si tratta di agire rapidamente, di fronte a un pericolo immediato, per esempio, l’alternativa tra una decisione sufficientemente buona ma immediata e una eccellente ma tardiva non è neanche in discussione.
Anche nel mondo del business il mito dell’ottimizzazione, tanto in auge ai tempi d’oro della Ricerca Operativa, in cui si tentava di dominare la complessità matematicamente massimizzando una serie di obiettivi, si è decisamente appannato negli ultimi decenni. Pioniere di questa crociata di “umiltà cognitiva” è stato Herbert Simon, un vero gigante intellettuale del XX secolo, figura profondamente intuitiva dai multiformi interessi, e un altro dei Premi Nobel che hanno contribuito a dissodare il campo di cui ci occupiamo.
Ammesso che un problema complesso (tutti quelli che affrontiamo nella vita di lavoro lo sono, in misura minore o maggiore) abbia in via teorica una soluzione ottimale, dice Simon, gli esseri umani reali non hanno né la potenza di calcolo, né il tempo, né la completezza di informazione – e spesso neanche la determinazione – per poterla raggiungere. Ragion per cui, alla fine, i buoni decisori si mettono in cerca di soluzioni che Simon definisce satisficing, un neologismo inglese che combina il significato di soddisfacente con quello di sufficiente. Good enough, dicono gli anglosassoni. Qualcosa come buono quanto basta. Soluzioni che garantiscono performance adeguate quando si considerino i vincoli di tempo, risorse e informazione cui siamo forzatamente soggetti. Il più delle volte, le euristiche sono proprio gli strumenti di un problem solving satisficing.

Da dove provengono le euristiche?

Ma da dove saltano fuori queste euristiche? Una parte di esse proviene dalla nostra esperienza personale, oppure dall’esperienza che altri ci trasmettono attraverso vari tipi di insegnamento (dalla raccomandazione dei genitori di guardare a destra e a sinistra prima di attraversare la strada, alle regole per riassortire il magazzino aziendale). Tom Parker, specialista ITC ed editorialista americano, negli anni ’80 ne ha raccolto in un volume ben 1.000 sugli argomenti più disparati, dal dove sedersi su un autobus per evitare strani incontri alla distanza minima che è bene tenere dalla gabbia dei leoni in un circo2. Ad alcune di esse ricorriamo in modo perfettamente consapevole, con l’obiettivo cosciente di risolvere un problema. Per altre, una volta apprese, qualche ripetizione è in genere sufficiente a passare la pratica al nostro sistema automatico, che provvede a utilizzarle in situazioni simili, spesso senza che ci facciamo neanche caso.
Tuttavia, altre euristiche appartengono a un corredo della natura umana (e talvolta di altre specie animali) assai più antico. Gli psicologi evoluzionistici sostengono che molte di esse si sono evolute, entrando a far parte della nostra “dotazione di base”, perché in tempi molto lontani si sono rivelate particolarmente utili ai nostri progenitori nel procacciarsi cibo, difendersi dai pericoli o migliorare le chance di riproduzione. In quelle fasi della storia umana, le priorità erano più chiare di quelle odierne: decidere immediatamente se la “cosa” che vi stava venendo incontro era da mangiare o rischiava di mangiarvi, piuttosto che allocare correttamente i vostri risparmi. Sopravvivere prima che filosofare. La necessità di giudizio e azione rapidi e tempestivi ha fatto sì che queste euristiche trovassero uno spazio di rilievo nel nostro sistema automatico, ed emergessero come una risposta intuitiva ai problemi quotidiani della vita di un cacciatore-raccoglitore. Questa collocazione fa sì che, quando le utilizziamo, in genere non ce ne accorgiamo. Ma non solo: anche quando qualcuno ci avverte che le stiamo usando, facciamo molta fatica a enunciare esattamente quale sia la regola o il processo che abbiamo seguito.

Soluzioni geniali o “bachi”?

L’accelerazione con cui le nostre civiltà si sono sviluppate non ha (per ora) lasciato il tempo all’evoluzione di sviluppare (come sarebbe quanto mai utile) un intuito, per esempio, per le fluttuazioni di Borsa, e in verità il pacchetto di euristiche che ancora oggi è cablato nelle nostre menti è tarato su un ambiente tipico degli albori dell’umanità. Ciononostante possiamo dire che, in circostanze ordinarie, se la cava tutto sommato bene. D’altra parte, per situazioni più complesse o totalmente nuove, non dimentichiamo di avere a disposizione un sistema controllato con tutto un armamentario razionale a cui ricorrere.
Tutto bene, quindi? Non esattamente. I giudizi di merito sulle nostre euristiche dividono gli addetti ai lavori. Alcuni ritengono che sono proprio queste regole fast and frugal (rapide ed economiche) a renderci intuitivamente bravi3. Per altri sono più prosaicamente quick and dirty (affrettate e rudimentali), e quindi piene di “bachi”. Al di là delle opinioni, possiamo concordare sul fatto che si tratta di suggerimenti intuitivi che il più delle volte funzionano bene, ma talvolta danno origine a vere e proprie illusioni cognitive. Massimo Piattelli-Palmarini4 usa non a caso questa definizione per far luce sull’argomento. Tutti conosciamo, per esperienza diretta, le illusioni ottiche. Nella figura che segue, per esempio, vediamo inevitabilmente il segmento in basso più lungo di quello superiore, nonostante le dimensioni, una volta misurate, risultino perfettamente eguali.
illusione ottica
L’effetto di illusione non è naturalmente colpa della retina, che registra un’immagine corretta, bensì di una serie di processi mentali che trasformano gli impulsi provenienti da essa secondo un complesso insieme di regole. In condizioni normali, sono queste regole che ci permettono di interpretare la confusa matrice bidimensionale di pixel proveniente dai sensi, convertendola nella vivida percezione di una realtà tridimensionale. Tuttavia, in casi estremi come questo rivelano i loro limiti. Nessuno di noi ha scelto di usare questi processi; diremmo piuttosto che si tratta di qualcosa che ci capita. Né ci accorgiamo che sono continuamente all’opera; anzi, se anche cercassimo di portarli alla coscienza, non sapremmo nemmeno da che parte cominciare a farlo. Chiunque possieda un apparato visivo normale impiega questi processi con risultati normalmente soddisfacenti, ma in casi come questo chiunque è indotto all’errore (l’illusione). Attenzione, perché non si tratta di un errore capriccioso e casuale, bensì sistematico: non capita mai di vedere il segmento superiore più lungo di quello in basso. Probabilmente, però, l’aspetto più inquietante è che, anche una volta che abbiamo saputo che i due segmenti hanno lunghezza uguale – e magari lo abbiamo sperimentato direttamente armati di righello – l’esperienza dell’illusione non cambia: continueremo a vedere i due segmenti diversi, pur sapendo che di illusione si tratta.

Quando l’euristica diventa illusione

Le euristiche di cui parliamo condividono con le illusioni ottiche queste stesse caratteristiche. Pensiamo all’esempio di Linda, che abbiamo visto nell’Introduzione. Ci è stato chiesto di valutare intuitivamente quale potesse essere il suo lavoro. Senza impegnarci in calcoli formali di probabilità abbiamo comunque dato una risposta: dunque il nostro sistema automatico deve avere attivato per conto suo una serie di processi mentali, delle euristiche che hanno preso le misure del problema. Non sappiamo quali e quante regole abbia utilizzato e anche con uno sforzo di introspezione non riusciamo a ricostruirle. Non abbiamo fatto sforzi sovraumani: devono essere euristiche che usiamo comunemente e che in genere non ci tradiscono. Eppure in questo caso sappiamo, a posteriori, che ci hanno condotto a un errore. Abbiamo prodotto un’illusione cognitiva.
Gli studiosi del settore hanno un nome per questo tipo di errore: bias, o bias cognitivo (cognitive bias). Come per le illusioni ottiche, ai bias siamo soggetti tutti. E come queste, i bias hanno la caratteristica di essere sistematici – “tirano” sempre dalla stessa parte – il che tutto sommato è una fortuna, perché in questo modo ci...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. Sommario
  6. Prefazione
  7. Introduzione
  8. Parte prima Il Lato Nascosto Della Cognizione
  9. Parte seconda L’altra Faccia Della Luna
  10. Epilogo: che fine ha fatto il Comandante?
  11. Glossario
  12. Bibliografia
  13. Note