Il Papa e il suo pittore
eBook - ePub

Il Papa e il suo pittore

Michelangelo e la nascita avventurosa della Cappella Sistina

  1. 496 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il Papa e il suo pittore

Michelangelo e la nascita avventurosa della Cappella Sistina

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Un viaggio all'interno della Cappella Sistina per osservare da vicino l'ombroso e tormentato Michelangelo mentre dà vita a uno dei più grandi capolavori della pittura mondiale. Nel 1508 papa Giulio II affidò al giovane Buonarroti - già celebre scultore, poco più che un dilettante come pittore - il compito immane di affrescare la volta di un edificio dedicato a Sisto IV della Rovere, sulle cui pareti avevano lavorato grandi maestri del calibro di Botticelli, Ghirlandaio e Perugino. Questo libro è il racconto dei quattro burrascosi anni in cui Michelangelo realizzò la sua opera senza tempo; quattro anni di fatiche, esperimenti, gelosie e giochi di potere. È una formidabile galleria di personaggi animati da grandi passioni: Giulio II, il vecchio papa guerriero; Michelangelo, introverso, sospettoso, incline a riconoscere ovunque intrighi e complotti ai propri danni; Raffaello, giovane e affascinante uomo di mondo, impegnato in quegli stessi anni ad affrescare gli appartamenti vaticani. Un'avventura che ci trascina nel cuore del secolo d'oro dell'arte italiana, a tu per tu con il più geniale e inquieto spirito del Rinascimento.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Il Papa e il suo pittore di Ross King in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Arte e Arte generale. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
ISBN
9788858635841
Argomento
Arte
Categoria
Arte generale

CAPITOLO I

La convocazione

Piazza Rusticucci non era uno dei luoghi più prestigiosi di Roma. Pur essendo poco distante dal Vaticano, era dimessa e anonima, parte di un labirinto di vie, case e negozietti sovraffollati che si allungavano verso occidente dal punto in cui il Ponte Sant’Angelo attraversava il Tevere. Al centro, accanto a una fontana, si trovava un abbeveratoio per il bestiame, mentre sul lato orientale si ergeva una modesta chiesa con un minuscolo campanile. Santa Caterina delle Cavallerotte era troppo nuova per essere conosciuta. Non ospitava nessuno dei generi di reliquie (ossa di santi, frammenti della Croce) che ogni anno attiravano a Roma migliaia di pellegrini da tutti gli angoli della cristianità. Alle sue spalle, in un vicolo sovrastato dalle mura della città, sorgeva tuttavia la bottega di uno degli artisti italiani più richiesti: un tarchiato e stizzoso scultore fiorentino dal naso camuso e dall’abbigliamento trasandato.
Michelangelo Buonarroti fu riconvocato nel suo studio nell’aprile del 1508. Obbedì alla chiamata con grande riluttanza, perché aveva giurato che non avrebbe mai più rimesso piede a Roma. Due anni prima, quando era fuggito dalla città, aveva ordinato ai suoi assistenti di sgomberare il laboratorio e venderne agli ebrei tutto il contenuto, compresi i suoi strumenti. Quella primavera, al suo ritorno, trovò i locali spogli e, esposte agli elementi nella vicina piazza San Pietro, cento tonnellate di marmo ancora ammassate dove lui le aveva lasciate. Questi blocchi di un bianco lunare erano destinati alla realizzazione di uno dei più grandi complessi scultorei che il mondo avesse mai visto: la tomba di Giulio II, il papa in carica. Michelangelo, tuttavia, non era stato richiamato a Roma per riprendere il lavoro su questo colosso.
Lo scultore aveva trentatré anni. Era nato il 6 marzo 1475 nell’ora in cui, secondo quanto riferì a uno dei suoi aiutanti, Mercurio e Venere erano posizionati nella casa di Giove. Una configurazione astrale tanto fausta non poteva che preannunciare successo «in quelle arti che dilettano il senso, come pittura, scultura, architettura».1 In effetti, il successo non aveva tardato ad arrivare. A quindici anni, il precoce Michelangelo studiava già l’arte della scultura nel Giardino di San Marco, una scuola per artisti promossa da Lorenzo de’ Medici, il signore di Firenze. A diciannove, lavorava come scultore a Bologna, e due anni dopo, nel 1496, si era recato per la prima volta a Roma, dove ben presto gli era stata commissionata la Pietà. Secondo il suo audace contratto, questa sarebbe dovuta essere la più bella opera in marmo che la città avesse mai visto,2 una condizione che, a quanto si dice, l’artista aveva soddisfatto qualche anno dopo, allorché la statua era stata scoperta davanti a un pubblico meravigliato. Realizzata per decorare la tomba di un cardinale francese, la Pietà era stata elogiata per aver eclissato non solo le sculture di tutti i contemporanei, ma addirittura quelle degli antichi greci e romani, il termine di paragone in base al quale veniva giudicata ogni opera d’arte.
1. Michelangelo
Il successivo trionfo di Michelangelo era stata un’altra scultura marmorea, il David, collocato, nel settembre del 1504, dopo tre anni di lavoro, a Firenze davanti al palazzo della Signoria. Se la Pietà rappresentava la grazia delicata e la bellezza femminile, il David aveva rivelato quanto il Buonarroti fosse abile nell’esprimere una forza imponente attraverso il nudo maschile. Poiché la statua era alta quasi cinque metri, i cittadini sgomenti l’avevano soprannominata il Gigante. Ci erano voluti quattro giorni e non poca ingegnosità da parte dell’architetto Giuliano da Sangallo, un amico di Michelangelo, per trasferire la possente scultura dalla bottega dietro la cattedrale al piedistallo in piazza della Signoria, lontano non più di quattrocento metri.
All’inizio del 1505, qualche mese dopo il completamento del David, Michelangelo aveva dovuto interrompere il suo lavoro a Firenze perché aveva ricevuto un’improvvisa convocazione da Giulio II. Il papa era rimasto così colpito dalla Pietà, che aveva visto in una cappella di San Pietro, da volere che il giovane scultore realizzasse anche il suo sepolcro. Alla fine di febbraio, il cardinale Francesco Alidosi, il tesoriere papale, aveva versato a Michelangelo un anticipo di cento fiorini d’oro, l’equivalente di un intero anno di paga di un artigiano. L’artista era dunque tornato a Roma e si era messo al servizio del pontefice.3 Era così iniziata quella che in seguito avrebbe chiamato la «tragedia della tomba».
In genere, le tombe papali erano opere superbe. Quella di Sisto IV, morto nel 1484, era uno splendido sarcofago bronzeo che aveva richiesto nove anni di lavoro. Giulio, uomo tutt’altro che modesto, aveva però immaginato per sé qualcosa di totalmente nuovo. Aveva cominciato a pensare al suo sepolcro poco dopo essere salito al soglio pontificio nel 1503, sognando il monumento più maestoso dall’epoca dei mausolei costruiti per imperatori romani come Adriano e Augusto. Il progetto di Michelangelo rispecchiava questa smisurata ambizione, prevedendo una struttura autonoma larga circa dieci metri e alta quindici, con oltre quaranta statue di marmo a grandezza naturale, tutte inserite in una massiccia e accurata composizione architettonica di archi, nicchie e colonne. Sul livello inferiore, una serie di nudi avrebbe rappresentato le Arti liberali, mentre la parte superiore sarebbe stata sormontata da una statua di tre metri raffigurante Giulio con indosso la tiara papale. Oltre a un salario annuale di milleduecento ducati (circa dieci volte il guadagno cui un orafo o uno scultore medio poteva aspirare in un anno), Michelangelo avrebbe ricevuto un versamento finale di altri diecimila ducati.*
Michelangelo aveva intrapreso questo arduo compito con energia ed entusiasmo, trascorrendo otto mesi a Carrara, dove aveva supervisionato l’estrazione e il trasporto del marmo bianco che aveva reso famosa la città (soprattutto perché la Pietà e il David erano stati ricavati da quel materiale). Nonostante vari contrattempi verificatisi durante il viaggio – una delle imbarcazioni da carico si era incagliata nel Tevere e molte altre erano state travolte quando il fiume si era ingrossato –, all’inizio del 1506 l’artista aveva ormai trasferito oltre novanta carrettate di marmo nella piazza davanti a San Pietro e si era insediato nella bottega dietro Santa Caterina. I romani avevano gioito alla vista di questa montagna di roccia bianca. Nessuno era più emozionato del papa, che aveva persino fatto costruire uno speciale passaggio per collegare il Vaticano al laboratorio del Buonarroti e dunque rendere più agevoli le visite in piazza Rusticucci, dove avrebbe discusso il magnifico progetto con lo scultore.
Prima che il marmo arrivasse a Roma, il pontefice, tuttavia, aveva rivolto la propria attenzione a un’impresa ancor più grandiosa. In un primo tempo, aveva stabilito di sistemare il suo sepolcro a San Pietro in Vincoli, una chiesa poco distante dal Colosseo, ma poi aveva cambiato idea e aveva deciso di collocarlo nel più solenne complesso di San Pietro. Ben presto, però, si era accorto che l’antica basilica non era in condizione di ospitare un monumento tanto imponente. Due secoli e mezzo dopo la morte di Pietro, avvenuta nel 67 d.C., le ossa del santo erano state trasferite dalle catacombe a questo luogo accanto al Tevere (il punto in cui si pensava fosse stato crocifisso), e qui era stata costruita la basilica che porta il suo nome. Per una triste ironia, il maestoso edificio che custodiva la tomba di san Pietro – la prima pietra della Chiesa cristiana – era stato eretto proprio in una bassa area di terreno paludoso in cui, a quanto si diceva, vivevano serpenti grandi abbastanza da mangiare un neonato intero.
A causa delle fondamenta poco solide, nel 1505 i muri apparivano inclinati di quasi due metri. Benché fossero stati compiuti sporadici tentativi di raddrizzare la struttura pericolante, Giulio aveva preferito come sempre adottare le misure più drastiche, decidendo di far demolire San Pietro e di far costruire una nuova basilica. Quando Michelangelo era tornato da Carrara, la distruzione della chiesa più antica e più sacra della cristianità era ormai iniziata. Erano state ridotte in macerie decine di tombe di santi e papi – ispiratrici di visioni, guarigioni e altri miracoli – ed erano state scavate buche profonde quasi otto metri. Tonnellate di materiali da costruzione avevano ingombrato le vie e le piazze circostanti, mentre un esercito di duemila falegnami e scalpellini si apprestava a creare la più grande opera edilizia che l’Italia avesse mai visto dai tempi dell’antica Roma.
Giuliano da Sangallo, architetto ufficiale del papa nonché amico e mentore di Michelangelo, aveva proposto un progetto per il nuovo e immenso edificio. All’epoca sessantatreenne, vantava una lunghissima lista di commissioni, avendo ideato chiese e palazzi in quasi tutto il paese, tra cui palazzo Rovere, una splendida residenza creata a Savona per Giulio II. Sangallo era stato anche l’architetto preferito di Lorenzo de’ Medici, per cui aveva costruito una villa a Poggio a Caiano, nei pressi di Firenze. A Roma, oltre a occuparsi del restauro della fortezza di Castel Sant’Angelo, aveva ristrutturato Santa Maria Maggiore, una delle chiese più antiche della città, e ne aveva rivestito il soffitto con quello che, a quanto si mormorava, era il primo oro fino allora arrivato dal Nuovo Mondo.
Sangallo era così sicuro di ottenere la commissione per il rifacimento di San Pietro che aveva sradicato la sua famiglia da Firenze per trasferirla a Roma. Aveva tuttavia dovuto affrontare la concorrenza di un rivale. Donato di Pascuccio d’Antonio, meglio noto come Bramante, vantava infatti un curriculum altrettanto prestigioso. Salutato dai suoi ammiratori come il più grande architetto dall’epoca di Filippo Brunelleschi, aveva progettato chiese e duomi a Milano e, dopo essersi spostato a Roma nel 1500, una serie di chiostri, conventi e palazzi. Fino a quel momento, il suo edificio più apprezzato era il Tempietto di San Pietro in Montorio, una piccola costruzione in stile classico sul Gianicolo. Il soprannome di «Bramante», rispecchiava in pieno l’indole di questo sessantaduenne, che aveva ambizioni sfrenate e un vorace appetito sessuale. In San Pietro, l’ingordo Bramante aveva scorto l’opportunità di dimostrare il suo talento come mai prima di allora.
La rivalità tra i due architetti aveva coinvolto quasi ogni pittore e scultore della città. Sangallo, un fiorentino che viveva e lavorava a Roma da parecchi anni, era a capo di un gruppo di artisti – tra cui anche il fratello e alcuni nipoti – che erano emigrati verso sud per accaparrarsi le commissioni del papa e dei suoi agiati cardinali. Bramante, nativo di Urbino, era giunto a Roma in tempi più recenti e, fin dal suo arrivo, aveva coltivato amicizie con artisti provenienti da altre città italiane, spalleggiandoli contro i fiorentini sostenuti da Sangallo.4 La posta in palio per la ricostruzione di San Pietro era altissima, perché il vincitore avrebbe avuto ampi poteri di patrocinio e un’invidiabile influenza alla corte papale. Nei successivi mesi del 1505, la fazione di Bramante aveva riportato una vittoria decisiva quando il papa aveva accettato il progetto dell’urbinate, che prevedeva un’enorme struttura con copertura a cupola e pianta a croce greca.
Oltre alla delusione per la sconfitta di Sangallo, il rifacimento di San Pietro aveva avuto anche un effetto quasi immediato sul lavoro di Michelangelo. Gli ingenti esborsi in programma per la basilica, infatti, avevano indotto il pontefice a sospendere la realizzazione della tomba, un ripensamento di cui l’artista era venuto a conoscenza nel peggiore dei modi. Per trasferire le sue cento tonnellate di marmo fino a Roma, si era dovuto accollare spese di trasporto per centoquaranta ducati, una somma considerevole che aveva chiesto in prestito a una banca. Non avendo più ricevuto alcun denaro dopo i cento fiorini di oltre un anno prima, aveva deciso di pretendere un rimborso dal papa, con cui aveva avuto occasione di cenare al Vaticano una settimana prima di Pasqua. Con grande preoccupazione, durante il pasto aveva origliato una conversazione di Giulio II, che informava altri due ospiti della sua intenzione di non spendere più nemmeno un ducato per il marmo destinato alla tomba, un dietrofront sconcertante visto il suo precedente interesse per il progetto. Prima di prendere congedo dai commensali, lo scultore era stato, però, abbastanza sfacciato da affrontare la questione dei centoquaranta ducati, al che il papa l’aveva rabbonito chiedendogli di tornare il lunedì successivo. Il giorno stabilito, però, Michelangelo si era ritrovato per la seconda volta con un pugno di mosche, perché il pontefice si era rifiutato di concedergli un’udienza.
«Vi tornai lunedì» aveva scritto in seguito a un amico «e martedì e mercoledì e giovedì […] All’ultimo, el venerdì mattina io fui mandato fuora, ciò è cacciato via.»5 Avendo assistito a questi avvenimenti con un certo stupore, un vescovo aveva domandato al palafreniere che aveva allontanato l’artista se sapesse con chi stava parlando. «Anzi lo conosco,» aveva risposto quello «ma io son tenuto a fare quel che m’è commesso da’ miei padroni, senza cercar più là.»6
Un trattamento simile era intollerabile per un uomo non abituato a vedersi sbattere la porta in faccia. Michelangelo, che era famoso per il carattere lunatico e l’indole riservata e sospettosa quasi quanto lo era per la sorprendente abilità con martello e cesello, sapeva essere arrogante, sfrontato e impulsivo. «E voi dite al papa» aveva riferito con sdegno al palafreniere «che, se da qui innanzi mi vorrà, mi cercherà altrove.»7 Era quindi tornato alla bottega – «in gran disperazione»,8 come avrebbe affermato più tardi – e aveva ordinato ai servitori di venderne tutto il contenuto agli ebrei. Quello stesso giorno, il 17 aprile 1506 (la vigilia della posa della prima pietra per la nuova basilica), era fuggito da Roma giurando di non rimettervi più piede.
Giulio II era un uomo che era meglio non fare arrabbiare: la sua spaventosa reputazione non aveva eguali tra i suoi predecessori né li avrebbe avuti tra i successori. Un sessantatreenne robusto dai capelli candidi e dal volto rubicondo, era noto come il papa terribile. La gente aveva degli ottimi motivi per temerlo. I suoi violenti accessi di collera, durante i quali prendeva a pugni i subordinati o li colpiva con il bastone, erano leggendari. A chi lo osservava, sbalordito, dava l’impressione di possedere la capacità quasi sovrumana di piegare il mondo al suo volere. Secondo uno sconcertato ambasciatore veneziano, era pressoché impossibile descrivere quanto fosse forte, aggressivo e intrattabile: aveva la natura di un gigante nel corpo e nell’anima, e in lui tutto era esagerato, comprese le azioni e le passioni.9 Sul suo letto di morte, il povero diplomatico affermò che la prospettiva della dipartita gli era gradita perché implicava che non avrebbe dovuto più avere a che fare con Giulio. Un ambasciatore spagnolo fu ancor meno clemente quando asserì che nel manicomio di Valencia erano incatenate cento persone meno folli di Sua Santità.10
Il papa avrà saputo quasi subito della partenza di Michelangelo, perché aveva spie non solo alle porte della città ma anche nelle campagne. Michelangelo era dunque appena scappato dalla bottega su un cavallo preso a noleggio quando cinque corrieri gli si erano messi alle costole. Avevano inseguito il fuggitivo mentre si dirigeva a nord lungo la via Cassia, attraversando minuscoli villaggi con taverne della posta dove si fermava a intervalli di qualche ora per cambiare cavalcatura. Dopo una lunga corsa nell’oscurità, alle due di notte aveva attraversato il confine fiorentino, oltre il quale il pontefice non aveva alcuna giurisdizione. Stanco, ma convinto di essere al sicuro, aveva sostato in una locanda di Poggibonsi, una città fortificata a una trentina di chilometri dalle porte di Firenze. Ma poco dopo il suo arrivo erano comparsi i corrieri. Michelangelo si era rifiutato ostinatamente di tornare a Roma con loro, precisando che adesso si trovava in territorio fiorentino e minacciando – con un bluff piuttosto audace – di farli uccidere tutti e cinque qualora avessero cercato di ricondurvelo con la forza.
Quelli, però, avevano insistito e gli avevano mostrato una lettera, corredata di sigillo papale, che gli intimava di tornare subito in città «sotto pena della sua disgrazia». L’artista si era impuntato, e infine, dietro richiesta dei cinque uomini, aveva scritto una risposta al pontefice, un’insolente missiva in cui informava Giulio II che non intendeva rientrare a Roma, che non aveva meritato tanta scortesia in cambio dei suoi fedeli servigi e che si considerava libero da ogni obbligo verso Sua Santità poiché quest’ultimo non desiderava procedere con il progetto della tomba. Dopo aver firmato e datato il documento, l’aveva consegnato ai corrieri, ai quali non restò che girare i cavalli e rassegnarsi ad affrontare la collera del loro padrone.
Il papa avrà ricevuto lo scritto mentre si apprestava a posare la prima pietra della basilica, che, per ironia della sorte, era in marmo di Carrara. Tra il pubblico riunito per la cerimonia sull’orlo del vasto cratere vi era l’uomo che Michelangelo riteneva responsabile del suo improvviso rovescio di fortuna: Donato Bramante. Secondo lo scultore, il fattore finanziario non era l’unico motivo che aveva spinto Giulio II ad accantonare la realizzazione della tomba; era sicuro che fosse in atto un oscuro complotto, una cospirazione con cui Bramante cercava di frustrare le sue ambizioni e rovinargli la reputazione. La macchinazione dell’urbinate sarebbe consistita innanzi tutto nel persuadere il pontefice ad abbandonare il progetto, avvertendolo che era di cattivo auspicio farsi costruire il sepolcro mentre si era ancora in vita; e in secondo luogo nel proporre una commissione del tutto diversa per Michelangelo, un compito che quest’ultimo non sarebbe certo riuscito a portare a termine: affrescare la volta della Cappella Sistina.
* Il ducato, una moneta d...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. 1. La convocazione
  6. 2. La cospirazione
  7. 3. Il papa guerriero
  8. 4. La penitenza
  9. 5. Dipingendo sul bagnato
  10. 6. Il disegno
  11. 7. Gli assistenti
  12. 8. La casata dei Buonarroti
  13. 9. Le sorgenti del grande abisso
  14. 10. La gara
  15. 11. In fantasia grande
  16. 12. Lo scorticamento di Marsia
  17. 13. I colori autentici
  18. 14. Esulta grandemente figlia di Sion
  19. 15. Questioni di famiglia
  20. 16. Il Laocoonte
  21. 17. L’età dell’oro
  22. 18. La scuola d’Atene
  23. 19. Il frutto proibito
  24. 20. Una moltitudine di barbari
  25. 21. Bologna redux
  26. 22. Il gioco del mondo
  27. 23. Una nuova e maravigliosa maniera di dipingere
  28. 24. Il sommo e primo suo creatore
  29. 25. La cacciata di Eliodoro
  30. 26. Il mostro di Ravenna
  31. 27. Molte strane forme
  32. 28. L’armatura della fede e la spada della luce
  33. 29. Il Pensieroso
  34. 30. In mala disposizione
  35. 31. L’ultima mano
  36. Epilogo
  37. Ringraziamenti
  38. Note
  39. Bibliografia
  40. Referenze fotografiche
  41. Indice