L'arte di sognare
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L'arte di sognare

  1. 288 pagine
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L'arte di sognare

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Il mondo che percepiamo con i cinque sensi è l'unico reale e possibile? Sogno e realtà sono categorie contrapposte? Le eccezionali rivelazioni dello sciamano messicano don Juan all'antropologo Carlos Castaneda ci schiudono altre dimensioni, accessibili soltanto grazie a un lungo apprendistato e a raffinate tecniche oniriche. Sette sono le porte che l'adepto deve varcare per raggiungere la perfezione e staccarsi dalla quotidianità. Un'esperienza totalizzante e indimenticabile ma non priva di pericoli: può accadere di non poter più ritornare, di dover rimanere in un'altra dimensione per sempre…

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
ISBN
9788858637029

Nota dell’autore

Negli ultimi vent’anni ho scritto una serie di libri sul mio apprendistato con uno stregone messicano, don Juan Matus, un indio Yaqui. In quei libri ho raccontato come egli mi abbia insegnato la stregoneria, ma non ciò che noi intendiamo per stregoneria nel contesto del nostro mondo quotidiano, cioè l’uso sull’uomo di poteri che travalicano l’umano, o l’evocazione degli spiriti con incantesimi, amuleti o rituali che creino un effetto soprannaturale. Per don Juan la stregoneria era l’atto di incarnare alcune speciali premesse teoriche e pratiche sulla natura e il ruolo della percezione nel plasmare l’universo intorno a noi.
Seguendo i suggerimenti di don Juan, mi sono astenuto dall’usare una categoria propria dell’antropologia, lo sciamanesimo, per classificare la sua conoscenza. Ho sempre continuato a chiamarla come la chiamava lui: stregoneria. Tuttavia, a un più attento esame, mi sono accorto che chiamarla stregoneria rende ancora più oscuri i già oscuri fenomeni che egli mi aveva illustrato nelle sue lezioni.
Nei testi di antropologia, lo sciamanesimo è descritto come un sistema di credenze proprio di alcuni popoli originari dell’Asia settentrionale, diffuso anche presso qualche tribù indiana autoctona del Nordamerica secondo cui noi siamo circondati da tutto un mondo di invisibili, ataviche forze spirituali, buone e cattive; queste forze spirituali possono essere invocate o controllate dagli interventi degli iniziati che fanno da intermediari fra la dimensione del reale e del trascendente.
Don Juan era infatti un intermediario fra il mondo naturale della vita di ogni giorno e un mondo invisibile che egli non chiamava soprannaturale ma Seconda Attenzione. Suo compito come mio maestro era rendermi accessibile la configurazione che gli stregoni chiamano seconda attenzione. Nelle mie opere precedenti ho descritto il suo metodo d’insegnamento per raggiungere questo fine, e le arti magiche a cui mi iniziò, la più importante delle quali è chiamata l’arte di sognare.
Don Juan sosteneva che il nostro mondo, da noi ritenuto unico e assoluto, non era che un componente di un insieme di mondi consecutivi, disposti come gli strati di una cipolla. Asseriva che, nonostante la nostra condizione dal punto di vista dell’energia ci consentisse di percepire solo il nostro mondo, noi avevamo tuttavia la capacità di penetrare in quegli altri; e si trattava di mondi reali, unici, assoluti e coinvolgenti quanto il nostro.
Don Juan mi spiegò che, per poter percepire quegli altri regni, non basta il desiderio ma è necessaria un’energia sufficiente ad afferrarli. La loro esistenza è costante e indipendente dalla nostra consapevolezza disse, ma la loro inaccessibilità dipende interamente dal nostro condizionamento energetico. In altre parole, solo ed esclusivamente per quel condizionamento, noi siamo costretti ad assumere che il mondo della vita quotidiana sia in assoluto l’unico mondo possibile.
Don Juan mi rivelò che gli antichi stregoni, convinti che la nostra condizione energetica fosse modificabile, avevano messo a punto una serie di pratiche atte a ricondizionare le potenzialità percettive della nostra energia. Le avevano chiamate l’arte di sognare.
Nella prospettiva offertami dal tempo, m’accorgo che la miglior definizione del sognare resta quella di don Juan: «varco verso l’infinito». Ma quando la pronunciò gli confessai che quella metafora per me non aveva alcun significato.
«Allora lasciamo perdere le metafore» concesse. «Diciamo che il sognare per gli stregoni rappresenta un modo pratico per utilizzare i sogni comuni.»
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«Ma come si possono utilizzare i sogni comuni?» domandai.
«Noi siamo sempre ingannati dalle parole» rispose. «Nel mio caso, il mio maestro tentò di descrivermi il sognare dicendomi che era il modo in cui gli sciamani auguravano la buonanotte al mondo. Naturalmente, cercava di adattare la descrizione alla mia mentalità. E io faccio ora lo stesso con te.»
In un’altra occasione don Juan mi disse: «Il sognare si può solo sperimentare direttamente. Il sognare non è solo fare sogni, e neppure fantasticare o desiderare o immaginare. Con il sognare possiamo percepire nuovi mondi che siamo certo in grado di descrivere, mentre non riusciamo a descrivere quello che ce li fa percepire. E pure sentiamo come il sognare ci spalanchi quegli altri regni. Il sognare sembra una sensazione eclatante – una trasformazione dei nostri corpi, una consapevolezza nelle nostre menti».
Nel corso delle sue lezioni, don Juan mi spiegò in modo esauriente i princìpi, i fondamenti logici e le consuetudini dell’arte di sognare. I suoi insegnamenti erano divisi in due parti: una riguardava le procedure del sognare, l’altra le spiegazioni puramente astratte di queste procedure. Il suo metodo d’insegnamento consisteva nell’alternanza fra allettare la mia curiosità intellettuale con i princìpi astratti del sognare e guidarmi a cercare una via d’uscita nelle sue pratiche.
Ho già descritto tutto questo, quanto più dettagliatamente mi è stato possibile, e ho anche descritto l’ambiente stregonesco in cui il maestro mi introdusse per insegnarmi le sue arti. La mia interazione in questo ambito rivestì un interesse particolare per me in quanto ebbe luogo solo nella seconda attenzione. Interagii con dieci donne e cinque uomini, compagni di sciamanesimo di don Juan; e con i suoi giovani apprendisti, quattro uomini e quattro donne.
Don Juan li radunò non appena fui entrato nel suo mondo. Mi disse esplicitamente che essi formavano l’accolta tradizionale di uno stregone – una replica del suo stesso seguito – e io dovevo esserne il capo. Tuttavia, lavorando con me, si accorse che ero diverso da quel che si aspettava. Mi spiegò quella diversità in termini di una configurazione di energia visibile solo agli sciamani: invece di avere quattro compartimenti di energia, come li aveva lui, io ne avevo solo tre. Una tale configurazione, che egli erroneamente aveva ritenuto fosse un difetto modificabile, mi rendeva così inadeguato a interagire o guidare gli otto apprendisti da costringerlo a mettere insieme un altro gruppo di persone, più affini alla mia struttura energetica.
Ho scritto parecchio su quegli avvenimenti, e pure non ho mai menzionato il secondo gruppo di apprendisti: don Juan non me lo permise perché sosteneva che erano solo nel mio campo, e l’accordo fra noi due prevedeva che io scrivessi sul suo campo e non sul mio.
Il secondo gruppo di apprendisti, molto ristretto, era formato da Florinda Donner-Grau, una sognatrice; da Taisha Abelar, una cacciatrice dell’agguato e da una donna Nagual, Carol Tiggs.
Interagivamo solo nella seconda attenzione. Nel mondo della vita quotidiana non sapevamo nulla l’uno dell’altro. Per quanto riguardava il nostro rapporto con don Juan, invece, non esistevano incertezze. Egli aveva fatto enormi sforzi per far esercitare ognuno di noi allo stesso modo. Verso la fine, tuttavia, quando il tempo di don Juan volgeva al termine, la pressione psicologica della sua partenza cominciò a far cadere i rigidi confini della seconda attenzione. Come risultato, la nostra interazione prese a scivolare nel mondo del quotidiano, e noi ci incontrammo così, e sembrava la prima volta. Nessuno di noi conosceva, consapevolmente, le nostre profonde e difficili interazioni nella seconda attenzione. Poiché noi tutti eravamo impegnati in campo accademico, fummo più che sorpresi di scoprire che ci eravamo conosciuti prima. Questo era – ed è ancora, com’è logico, per noi – inammissibile da un punto di vista intellettuale, anche se noi sappiamo che è stato parte integrante della nostra esperienza. Rimanemmo quindi con l’inquietante cognizione che la psiche umana è infinitamente più complessa di quanto il nostro ragionar mondano o accademico ci avesse indotto a credere.
Una volta chiedemmo, tutti insieme, a don Juan di far luce sulla nostra imbarazzante situazione. Disse di poterci offrire come spiegazione due alternative: una, curare la nostra razionalità offesa e correre ai ripari dicendo che la seconda attenzione è uno stato di consapevolezza tanto immaginario quanto un elefante che vola, e che ogni cosa che credevamo di aver sperimentato in quello stato altro non era che un prodotto di suggestioni ipnotiche; l’altra alternativa era dare la stessa spiegazione dei sognatori stregoni, cioè che si trattava di una configurazione energetica della consapevolezza.
Mentre ero impegnato nel mio compito di sognatore, tuttavia, la barriera della seconda attenzione rimase sempre invariata. Ogni volta che entravo nel sogno, entravo anche nella seconda attenzione e quando mi risvegliavo dal sogno non voleva necessariamente dire che ero uscito dalla seconda attenzione. Per anni riuscii a ricordare solo brani delle mie esperienze del sognare, mentre la parte più consistente mi era negata per carenze energetiche. Per quindici anni di seguito, dal 1973 al 1988, lavorai a immagazzinare energia che bastasse a riordinare la mia mente in maniera lineare. Così ricordai una sequenza dopo l’altra del mio sognare, e riuscii infine a colmare lacune e apparenti vuoti di memoria. In questo modo potei comprendere i nessi logici impliciti nelle lezioni di don Juan sull’arte di sognare; una logicità che mi era sfuggita quando egli mi costringeva a spostarmi di continuo tra la consapevolezza della nostra quotidianità e quella della seconda attenzione. Questo mio lavoro è il risultato di tale risistemazione.
Giungo così alla parte finale di questa mia dichiarazione: perché ho scritto questo libro. Ormai in possesso di quasi tutti i tasselli che compongono le lezioni di don Juan sull’arte di sognare, mi piacerebbe spiegare, in seguito, le posizioni e gli interessi attuali dei suoi ultimi discepoli: Florinda Donner-Grau, Taisha Abelar, Carol Tiggs e io. Ma prima di descrivere e spiegare il risultato della scuola di don Juan e dell’influenza da lui esercitata su di noi, occorre che io riesamini, alla luce di quanto ora conosco, le parti delle sue lezioni sull’arte di sognare a cui prima non avevo accesso.
La ragione ultima per questo lavoro, tuttavia, è stata espressa da Carol Tiggs. Secondo lei, spiegando il mondo che don Juan ci ha fatto ereditare, manifestiamo la nostra più alta gratitudine verso di lui, e il nostro impegno a proseguire la sua ricerca.

1

Gli stregoni dell’antico: introduzione

Don Juan mise bene in evidenza, più di una volta, che tutto ciò che mi andava insegnando era stato previsto ed elaborato da coloro che egli chiamava gli stregoni dell’antico. Mi spiegò molto chiaramente che esisteva una profonda differenza fra quegli stregoni e questi dei tempi moderni. Gli antichi appartenevano a quella categoria di uomini vissuti in Messico migliaia e migliaia d’anni prima della conquista spagnola. Il punto più alto dei loro successi l’avevano raggiunto quando avevano messo insieme le strutture della stregoneria, enfatizzandone la praticità e la concretezza. Don Juan li dipingeva come uomini brillanti ma privi di saggezza. Gli stregoni moderni, invece, secondo lui erano molto equilibrati e capaci di modificare il corso della stregoneria, se lo reputavano necessario.
Don Juan mi spiegò che le premesse della stregoneria che riguardavano il sognare erano state immaginate e sviluppate in modo naturale dagli stregoni dei tempi antichi. Di necessità – in quanto costituiscono la chiave per spiegare e comprendere il sognare – io devo scrivere di nuovo su quelle premesse, e discuterne. La maggior parte di questo volume sarà quindi una reintroduzione e un’amplificazione di quanto ho già presentato nei miei lavori precedenti.
Durante una delle nostre conversazioni, don Juan dichiarò che, per apprezzare la posizione dei sognatori e del sognare occorre capire la lotta degli stregoni moderni per allontanare la stregoneria dalla concretezza e portarla verso l’astratto.
«Don Juan, come definisci la concretezza?» chiesi.
«La parte pratica della stregoneria» mi rispose. «L’ossessiva fissazione della mente su pratiche e tecniche; l’ingiustificata influenza sulla gente. E tutto era nel regno degli stregoni dell’antico.»
«E l’astratto, come lo definisci?»
«La ricerca della libertà: libertà di percepire, senza ossessioni, tutto ciò che è umanamente possibile. Secondo me gli stregoni dei nostri giorni cercano l’astratto perché cercano la libertà; non sono interessati a guadagni concreti. Non considerano le funzioni sociali, loro, a differenza degli antichi stregoni. Così non li troverai mai nelle vesti di veggenti ufficiali o stregoni incaricati.»
«Vuoi dire che per gli stregoni dei nostri tempi il passato non ha valore?»
«Ma certo che ne ha. È il sapore di quel passato che non ci piace. Io personalmente detesto il carattere cupo e morboso della mente. Amo l’immensità del pensiero, invece. Tuttavia, nonostante le mie simpatie e antipatie, devo rendere il dovuto omaggio agli stregoni dell’antico, in quanto furono i primi a scoprire e a fare tutto quello che noi oggi sappiamo e facciamo.»
Don Juan mi spiegò che per loro percepire l’essenza energetica delle cose rappresentava la meta più alta. Era di tale importanza che la trasformarono nella premessa fondamentale della stregoneria. Oggi, dopo una vita di esercitazioni e disciplina, gli stregoni acquistano la capacità di percepire l’essenza delle cose, e la chiamano vedere.
«Che significato avrebbe per me percepire l’essenza energetica delle cose?» chiesi una volta a don Juan.
«Vorrebbe dire che percepisci l’energia direttamente» mi rispose. «Separando la parte sociale, tu percepirai l’essenza di tutto. Qualsiasi cosa noi percepiamo è energia, ma poiché non siamo in grado di recepirla direttamente, trattiamo la nostra percezione in modo che si adatti a una forma. Questa è la parte sociale che tu devi separare.»
«E perché devo separarla?»
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«Perché riduce deliberatamente la portata di quanto può essere percepito e ci fa credere che la forma cui abbiamo adattato le nostre percezioni è la sola cosa che esista. Sono sicuro che per la sopravvivenza di un uomo, oggi, la sua percezione deve cambiare alla base sociale.»
«Che cos’è questa base sociale della percezione, don Juan?»
«La certezza fisica che il mondo è fatto di oggetti concreti. Io la definisco base sociale perché tutti esercitano un serio e considerevole sforzo per condurci a percepire il mondo così.»
«Come dovremmo percepirlo, il mondo?»
«Tutto è energia. L’intero universo è energia. La base sociale della nostra percezione dovrebbe essere la certezza fisica che l’energia è ciò che conta. Dovremmo fare un grande sforzo per portarci a percepire l’energia come tale. Dopo, avremmo a disposizione entrambe le alternative.»
«È possibile preparare qualcuno in questo senso?» domandai.
Don Juan rispose di sì, spiegandomi che era proprio quello che stava facendo con me e con gli altri apprendisti. Ci stava insegnando una nuova via alla percezione, primo, rendendoci consapevoli del processo cui sottoponiamo la percezione per adattarla a una forma e, secondo, guidandoci con fermezza a percepire direttamente l’energia. Mi assicurò che questo metodo era molto simile a quello usato per insegnarci a percepire il mondo della quotidianità.
Secondo don Juan, il nostro convincimento a trattare la percezione perché si adatti a una forma sociale, perde la sua forza quando ci accorgiamo che abbiamo accettato questa forma, quasi come un’eredità dei nostri antenati, senza preoccuparci di esaminarla.
«Per la sopravvivenza dei nostri antenati dev’essere stato estremamente necessario percepire un mondo di oggetti consistenti, che avessero un valore positivo o negativo» disse don Juan. «Dopo secoli di una siffatta percezione, ora siamo costretti a credere che il mondo è costituito da oggetti.»
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«Io non riesco a concepire il mondo in nessun’altra maniera, don Juan» protestai. «Non ci sono dubbi che sia così. Per dimostrarlo, non c’è come andare a sbattere contro un oggetto qualsiasi.»
«Ma certo che è un mondo di oggetti. Nessuno lo mette in dubbio.»
«Che cosa stai dicendo, allora?»
«Sto dicendo che il nostro è, prima di tutto, un mondo di energia, e poi un mondo di oggetti. Se non partiamo dalla premessa che è un mondo di energia, non riusciremo mai a percepire direttamente l’energia. Saremo sempre fermati dalla certezza fisica di quello cui accennavi prima: la consistenza degli oggetti.»
Le sue argomentazioni mi rendevano molto perplesso. In quei giorni, la mia mente si rifiutava in assoluto di considerare qualsiasi maniera di capire il mond...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L'arte di sognare