Tantra e meditazione
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Tantra e meditazione

L'energia dell'amore e la gioia dei sensi

Elmar Zadra, Michaela Zadra

  1. 304 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Tantra e meditazione

L'energia dell'amore e la gioia dei sensi

Elmar Zadra, Michaela Zadra

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Informazioni sul libro

L'energia dell'amore e la gioia dei sensi "Il tantra libera la testa da tutti i pensieri, mina la logica, capovolge verità e principi, sradica tutte le convinzioni su noi stessi e sul mondo." Il tantra è un'antica pratica orientale che conduce alla scoperta del proprio corpo come strumento di conoscenza e consapevolezza di sé.Elmar e Michaela Zadra, attraverso semplici esercizi di meditazione quotidiana, ci insegnano a vivere intensamente le emozioni, a espandere la coscienza e a sperimentare i rituali che portano all'estasi sessuale. Partendo dall'esplorazione del proprio corpo e della propria mente – attraverso pratiche che spaziano dalle micro-meditazioni alla consapevolezza del respiro, fino alle visualizzazioni -, ci portano ad approfondire le dinamiche della vita di coppia e a migliorare la propria esperienza sessuale. Nella via del tantra, il lato passionale ed erotico dell'esistenza diventa un canale privilegiato per sperimentare l'estasi sacra che si realizza quando l'uomo trova il suo sé più profondo.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2012
ISBN
9788858636114

Capitolo sette

Meditazione - psicoterapia - religione

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Molte persone si avvicinano alla meditazione dopo essersi rivolte alla psicologia, alla psicoterapia corporea, al counseling, alla religione, allo yoga, o allo sciamanesimo. Tra le tante discipline che si occupano di mente, corpo, emozioni e spirito, alcune hanno una tradizione millenaria, altre sono più recenti, alcune trovano conferma nella ricerca scientifica, altre sono sperimentali.
Dove si colloca la meditazione in questo variegato e a volte confuso panorama di discipline?
Senza avere la pretesa di chiarire tutto, ci limitiamo in questo capitolo a evidenziare i rapporti che la meditazione ha con la psicoterapia da un lato e con le religioni dall’altro.
Quando parliamo di psicoterapia, non intendiamo l’ambito ristretto che la legge italiana definisce con questo termine, ma, in senso più lato, ogni percorso psicologico di crescita personale, che include anche alcune correnti del counseling e altre discipline che si rivolgono alla psiche umana. Non tutti quelli che si rivolgono a questi metodi, infatti, sono malati o hanno problemi seri: molti stanno bene e vogliono semplicemente conoscersi più in profondità; seguono quindi uno di questi percorsi non per una sofferenza, ma per evolversi.

Non cercare la meditazione: sarà lei a cercare te

Non tutti sono d’accordo nel ritenere che ognuno debba trovare per forza la propria strada meditativa. Jack Lee Rosenberg, uno psicoterapeuta per noi molto prezioso, dice: «Nella prima metà della vita siamo tutti molto indaffarati. Ci sono i primi amori, i primi lavori, i primi progetti di metter su casa e famiglia, molte cose da imparare e, anche quando non lo ammettiamo, ci sentiamo insicuri. Poi, quando i figli crescono e sappiamo come muoverci nel mondo del lavoro, inizia una certa routine, che ci rende più tranquilli perché conosciamo ciò che ci aspetta giorno per giorno e abbiamo preso dimestichezza con i problemi della vita. Poi arriva il periodo in cui certe mansioni si esauriscono da sole: la casa è fatta, i figli sono autonomi, al lavoro abbiamo acquisito una posizione di rilievo che non dobbiamo più difendere con le unghie.
«In questo periodo, intorno ai quaranta o cinquant’anni, l’attenzione si sposta dalle singole faccende, dalle emozioni e dalle attività, che perdono poco a poco importanza, al testimone interiore. Possiamo evitare questo spostamento naturale della coscienza facendo sempre nuove attività, per non sentire il sottile disagio che accompagna questo periodo: il rischio è di non essere più soddisfatti di nulla e di sentirci sempre più vuoti, mentre la noia si impossessa della nostra vita e a noi sembra di aver già vissuto tutto. Entriamo così nella ben nota crisi della mezza età.
«Se invece cogliamo questa occasione che la vita ci offre e ci lasciamo guidare dalle domande interiori che giorno dopo giorno affiorano (chi sono? Cos’è la vita? Cos’è importante in questo momento per me?), approdiamo in modo naturale e spontaneo alla meditazione. A questa età il corpo diventa più ricettivo, ma molti non lo notano perché si concentrano soltanto sui primi disturbi di salute che annunciano il lento svanire della giovinezza. Così facendo non si rendono conto che la maggiore vulnerabilità rende più presenti ai sensi e più sensibili alle sensazioni sottili del corpo, chiave essenziale per la ricerca interiore.
«La meditazione rende la vita più intensa, perciò ha bisogno che il sé tolleri l’aumento di energia senza frammentare. Per poter scatenare all’interno tutte le energie del corpo fisico e del corpo sottile senza prendere paura, ci vuole un polo stabile che sopporti il crescente caos da una posizione osservante e non si faccia trascinare da esso: il testimone interiore. Senza questa coscienza allenata, il corpo energetico non può pulsare e deve contrarsi proprio nei momenti più intensi, proprio quando il viaggio interiore potrebbe diventare interessante».1
Un tempo un uomo in India poteva accedere alle scuole di meditazione soltanto dopo i quarant’anni e solo con il consenso della moglie e dei figli, che gli attestavano di aver assolto ai suoi obblighi di padre di famiglia. Secondo molti maestri, infatti, quella è l’età giusta per mettere da parte il mondo esteriore, ritirarsi in una caverna o in un posto remoto fra le montagne e dedicarsi alla pratica della meditazione.
Oggi le persone iniziano a meditare intensamente in età più giovane, e si trovano ad affrontare il dilemma: «L’esterno mi chiama e l’interno mi desidera». Ciò non succederebbe se iniziassero con le micro-meditazioni descritte in questo libro anziché passare subito a ritiri lunghi che richiedono un testimone interiore ben sviluppato.

Elmar:
Avevo appena ventiquattro anni e stavo concludendo la mia prima formazione in bioenergetica, una psicoterapia corporea che mi entusiasmava e mi arricchiva moltissimo. In quel periodo il lavoro sul corpo era ancora improntato sulla catarsi, sulla rottura della corazza difensiva, sulle emozioni forti: era proprio quello di cui avevo bisogno per sentirmi. Un giorno un amico mi chiese: «Vieni con me a meditare?». Io accettai. Mi portò in un centro zen e già dopo la prima seduta compresi che anche questo metodo, diametralmente opposto alla terapia, aveva qualcosa da insegnarmi: la costante presenza agli eventi interiori senza provocarli. Dopo un po’ di pratica mi domandai: come mai due metodi così diversi tra loro sono diventati entrambi preziosi per me? Posi questa domanda sia al maestro zen sia allo psicoterapeuta. Il primo mi rispose: «Quando sei completamente presente, non c’è alcun bisogno di lavorare sulle emozioni. Come i pensieri esse sono passeggere, e non vale la pena soffermarcisi». Il secondo, invece, mi disse: «Quando con la terapia ti sei liberato dai condizionamenti primari, entri in meditazione da solo, senza bisogno di sederti su un cuscino». Rimasi deluso. Parlai con altri terapeuti e conoscitori della sfera spirituale, e capii che questi due mondi non dialogavano, eppure entrambi mi davano tanto. Mi sentii come un bambino che ama entrambi i suoi genitori ma vede che tra loro non c’è dialogo. Pur continuando a meditare e a fare terapia, mi sentivo diviso e mi chiedevo: perché due scuole, due metodi entrambi a me cari nel nome della non-dualità non trovano un punto di contatto? Io non sono due, io sono uno! Soltanto quando, anni dopo, incontrai Stan Grof compresi che questo non era stato un problema solo per me, ma anche per un’intera generazione di ricercatori che negli anni Ottanta avevano avvertito la mancanza di un collegamento tra psicologia e meditazione.

Una mappa dei percorsi interiori

Per fortuna negli ultimi vent’anni le cose sono cambiate. Alcuni pionieri, tra cui Stan Grof, Angeles Arrien, Daniel Goleman, Frances Vaughan, Claudio Naranjo, Jack Kornfield e Ken Wilber, afflitti dallo stesso disagio elaborarono la psicologia transpersonale, che, a partire dal modello maslowiano della psicologia umanistica, unisce le due dimensioni, quella psichica e quella spirituale. L’ashram di Poona con i terapeuti di Osho e il centro di Esalen in California erano i centri maggiori dove si sperimentavano i nuovi metodi.
Oggi il quadro è molto diverso: in un’inchiesta rappresentativa, 2 su duemila psicoterapeuti americani il 51 per cento si definisce spirituale senza appartenere a una religione né svolgere una pratica religiosa, il 27 per cento si considera spirituale e segue una pratica religiosa, e soltanto il 22 per cento si dichiara non religioso.
Per noi il percorso tantrico seguito con Bali e Prabhato è stato fondamentale. I due maestri ci hanno insegnato a passare facilmente dalla psicologia alla meditazione e a cambiare modello di riferimento con grande agilità.
Sul piano teorico, ci ha molto affascinato la mappa di Ken Wilber, filosofo e maestro zen, che in modo semplice descrive la connessione tra i due territori interiori. La sua, in verità, è una meta-mappa (o mappa delle mappe), perché non si sofferma sui singoli metodi psicologici o meditativi, ma ne descrive le relazioni reciproche e fornisce indicazioni sull’opportunità di fare psicoterapia o meditare. Citiamo sinteticamente la sua opera, che è diventata uno standard per tante ricerche nell’ambito della psicologia transpersonale: «La parola “transpersonale” significa che nell’individuo si svolge un processo che in un certo senso porta al di là dell’individuo stesso. [...] Si tratta di esperienze extra-corporee, come la percezione di un testimone interiore e di un sé non personale, o di esperienze di picco, le quali hanno in comune un’espansione del limite tra il sé e il non-sé che si sposta oltre il confine cutaneo dell’organismo. Il punto chiave nella questione del confine tra il sé e il non-sé è che l’individuo non dispone soltanto di un livello d’identità, ma ne ha a disposizione più di uno. Questi livelli non sono solo postulati teorici, ma realtà che chiunque può osservare. Le esperienze transpersonali sono simili alla consapevolezza dell’unione con il Tutto, ma non vanno confuse con essa. Nell’unione con il Tutto l’uomo è identificato con l’universo, con il Tutto in assoluto. Durante le esperienze transpersonali l’identità del soggetto non si estende completamente fino al Tutto, però si espande e arriva almeno oltre quel limite dell’organismo che è costituito dalla pelle. Non è identificato con l’universo, ma la sua identità non si limita più al solo organismo». 3
Nella meta-mappa di Wilber, a ogni psicoterapia o sistema religioso (considerate mappe della coscienza umana) viene assegnato un posto. Ognuna di queste mappe interviene su un dato livello della coscienza, ma non sugli altri:
  • la consulenza psicologica aiuta la persona nei momenti difficili della vita ma non scava nel profondo;
  • il counseling o la psicoterapia (psicanalisi, analisi transazionale, psicodramma e altre forme convenzionali) fanno confrontare la persona con la propria ombra e integrano persona e ombra nell’io, portando l’uomo a contatto con la psiche completa;
  • terapia rogersiana, Gestalt, bioenergetica e altre branche della psicologia umanistica sono metodi che guariscono la separazione tra l’io e il corpo, tra psiche e soma, integrando i diversi livelli in un organismo unito. È sintomatico il fatto che per la nostra cultura questa entità unita non abbia un nome appropriato; potremmo chiamarla il «sé psico-corporeo»;
  • la psicologia junghiana, lo yoga, le pratiche tantriche, lo sciamanesimo aiutano l’uomo a trascendere se stesso per entrare nelle esperienze transpersonali. Qui si lavora con il corpo sottile: chakra, aura, visioni e altri fenomeni non direttamente collegati ai cinque sensi;
  • vedanta, buddhismo mahayana, tantrismo, taoismo e le correnti mistiche (non quelle popolari) di cristianesimo, islam e giudaismo uniscono il sé con il Tutto (o divino) nell’identità assoluta.
L’intero sviluppo personale (e transpersonale) è un continuo spostare il limite del sé verso territori sconosciuti, verso il non-sé: in questo assioma si nota l’influenza della filosofia esistenziale di Karl Jaspers. La cosiddetta espansione della coscienza, come viene chiamata nel tantra, non è una metafora, ma un processo che chiunque può vivere nella psiche e nel corpo. I piani d’integrazione si susseguono in questo modo:
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Benché esistano mappe ancora più dettagliate e l’attribuzione dei metodi agli stadi di sviluppo ci sembri in parte superata, dal momento che i metodi stessi sono cambiati in questi vent’anni, riteniamo il modello dell’integrazione del non-sé nel sé una mappa molto valida, capace di eliminare numerose confusioni di carattere metodologico.
Nell’intero percorso non facciamo altro che superare limiti: non appena abbiamo trovato una nuova identità più espansa e più ricca di prima, ci si pone di fronte un nuovo limite, che nasconde un’altra faccia del sé inesplorato. Tali limiti sono del tutto soggettivi e legati a un preciso momento: solo il sé limitato li vede, per un sé più espanso non esistono nemmeno.
Questa espansione del sé verso il non-sé viene generalmente percepita come piacevole: mi sento più ricco, più completo, ho compreso qualcosa di me stesso; dal punto di vista corporeo mi sento espanso e libero. Eppure ci sono momenti nei quali l’espansione avviene troppo velocemente o l’attaccamento alla vecchia identità è troppo forte e il nostro io si ribella all’espansione: il corpo si contrae, iniziamo a rifiutare i processi interiori e opponiamo resistenza.

A questo punto dobbiamo porci due domande: cos’è il sé? Cos’è la coscienza?
La coscienza è ciò che è cosciente dei fenomeni esteriori (percepiti attraverso i cinque sensi) e dei fenomeni interiori (sensazioni, sentimenti, pensieri, energie sottili). La coscienza è cosciente del sé, che è un universo soggettivo dotato di un limite soggettivo, anche se il soggetto ha l’impressione che si tratti di un limite naturale. Al di qua del confine c’è il sé, oltre risiede il non-sé. Ci identifichiamo con il sé, ma non con il non-sé. Per sapere dove finisce l’uno e inizia l’altro non ci vogliono complicate interpretazioni psicologiche, basta ascoltare quello che le persone dicono quando parlano di se stesse. Se la signora Rossi dice: «Io non sono aggressiva, è mio marito che mi fa arrabbiare» significa che l’aggressività non sta nel sé, ma nel non-sé. Non è identificata con la rabbia, eppure deve avere qualcosa di aggressivo in sé, perché se fosse completamente in pace con se stessa, suo marito non riuscirebbe a farla arrabbiare. La proiezione sul marito è conseguenza della negazione dell’aggressività nel sé con il quale è identificata.
Quando il signor Bianchi dichiara che dopo cinque anni di psicanalisi ha raggiunto una buona conoscenza della propria psiche, ma a volte non capisce cosa stia succedendo nella sua vita affettiva o sessuale, vuol dire che il suo corpo sta nel non-sé. Comprende bene la componente psichica, ma non è consapevole della componente corporea degli affetti e del sesso.
E se la signora Verdi dice di comprendere bene la propria mente e di vivere intensamente il proprio corpo, m...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Dedica
  4. A chi è destinato questo libro?
  5. Capitolo uno - La via tantrica: un viaggio verso l’ignoto
  6. Capitolo due - Esplorare il corpo
  7. Capitolo tre - Esplorare la mente
  8. Capitolo quattro - Meditazioni per tutti i giorni
  9. Capitolo cinque - Meditazioni per lui, per lei e per tutti e due
  10. Capitolo sei - Fare l’amore senza limiti
  11. Capitolo sette - Meditazione - psicoterapia - religione
  12. Capitolo otto - Vuoi andare fino in fondo?
  13. Note bibliografiche
  14. Glossario
  15. Ringraziamenti