Credo
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La fede, la Chiesa e l'uomo contemporaneo

  1. 208 pagine
  2. Italian
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La fede, la Chiesa e l'uomo contemporaneo

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Quanti ancora si riconoscono nella tradizionale professione di fede cristiana? Molti si dicono religiosi, ma non cristiani; altri si dicono cristiani, ma non membri della Chiesa. Eppure le vivaci discussioni intorno a singole asserzioni tradizionali della fede destano interesse nell'intera società e mostrano quanto poco risolte siano le antiche questioni di fondo. Hans Küng presenta la sua ricerca storico-critica sul Credo, l'originaria professione di fede cristiana, e propone un'interpretazione degli articoli tradizionali che è insieme attuale e attenta alle origini, rivolta al credente come al non credente, e che assume forma di un dialogo, fitto di domande e provocazioni, fra l'autore stesso e l'uomo contemporaneo. Una grande riflessione di uno dei maggiori e discussi teologi di oggi sulla validità del simbolo per eccellenza della fede cristiana, espressione delle verità rivelate dal Cristo, dagli apostoli e dalla Chiesa.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858640388

IL CREDO – OGGI?

Quanti sono ancora interessati alla tradizionale professione di fede cristiana? Molti si dicono religiosi, ma non cristiani; altri si dicono cristiani, ma non membri della chiesa. Eppure le vivaci discussioni, che agitano soprattutto la chiesa cattolica, intorno a singole asserzioni tradizionali della fede destano interesse anche oltre le mura della chiesa e mostrano quanto poco «risolte» siano le antiche questioni di fondo della professione di fede cristiana. Viene infatti contestata pubblicamente la comprensione di asserzioni fondamentali del Credo tradizionale, del «Simbolo apostolico»: «Nacque da Maria Vergine. Risuscitò dai morti. Discese agli inferi. Salì al cielo». Torna poi a inasprirsi il conflitto tra il magistero e la teologia contemporanea a proposito della giusta interpretazione – e non di rado si affermano false alternative tra dottrina ecclesiastica «oggettiva» e interpretazione simbolica soggettivo-psicologica.
È inoltre evidente che oggi – per fortuna – nessuno può più essere costretto a credere. Eppure molti contemporanei vorrebbero credere, ma non possono più farlo al modo in cui si credeva nell’antichità, nel medioevo o al tempo della Riforma. Troppe cose sono cambiate nella costellazione generale del nostro tempo. Troppe cose, nella fede cristiana, appaiono estranee, in contrasto con le scienze naturali e umane e con le stesse istanze umane del nostro tempo. È qui che questo libro vuole essere di aiuto. Quello che papa Giovanni XXIII nel 1962, nel suo celebre discorso di apertura, definiva lo «scopo principale» del Concilio, può essere considerato anche lo scopo principale di questo libro. Non si tratta della «discussione di questo o quel tema della dottrina fondamentale della chiesa, in ripetizione diffusa dell’insegnamento dei Padri e dei teologi antichi e moderni quale si suppone sempre ben presente e familiare allo spirito». Si tratta invece di «un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze, in corrispondenza più perfetta di fedeltà alla autentica dottrina, anche questa però studiata ed esposta attraverso le forme della indagine e della formulazione letteraria del pensiero contemporaneo».
La spiegazione del Simbolo apostolico da me qui proposta, si sente legata a questo spirito del Concilio. Essa intende
— essere una spiegazione formulata sulla base della Scrittura, non quindi arbitrariamente personale, degli articoli della fede cristiana fissati in questo «Credo»;
— offrire un’interpretazione, non esoterica o sterilmente dogmatica, ma capace di prendere sul serio i problemi degli uomini di oggi: non una scienza segreta per i soli credenti, ma una comprensione accessibile anche ai non credenti, senza atteggiamenti di superiorità scientifica e di esotismo linguistico; non affermazioni in evidente contrasto con la ragione, bensì un’argomentazione a favore della fede in una realtà oltre i limiti della ragion pura;
— non privilegiare una qualche tradizione ecclesiastica particolare né, viceversa, affidarsi a una determinata scuola di pensiero psicologica, bensì orientarsi, con assoluta onestà intellettuale, sul Vangelo, cioè sull’originario messaggio cristiano, quale oggi può venire presentato con gli strumenti della ricerca storico-critica;
— non favorire la mentalità confessionale da ghetto, ma promuovere un’apertura ecumenica, in cui si sentano comprese le tre grandi chiese cristiane e diventi anche possibile gettare un ponte per il dialogo con le religioni mondiali.
L’unità delle chiese cristiane (abolizione di tutte le reciproche scomuniche) è necessaria, la pace tra le religioni (come presupposto della pace tra le nazioni) è possibile. La più ampia apertura ecumenica però non esclude la fedeltà alla propria convinzione religiosa. E auspicata una disponibilità al dialogo nella fermezza.
In questo libro sono confluiti quarant’anni di lavoro teologico. Le convinzioni di fede che ho maturato in virtù di uno studio e di una riflessione instancabili, devono qui essere esposte in uno spazio ristretto. La verità deve essere detta sempre con veracità, senza abbandonare la critica storica a vantaggio di uno psicologismo circoscritto all’individuo. Ovviamente in questo piccolo libro non si è potuto prendere in esame tutto ciò che costituisce la fede e la vita cristiana, a partire dalle questioni speciali della dogmatica per finire con quelle dell’etica e della spiritualità. Ciò non dipende in ultima analisi dal «Credo» in sé, che si limita a presentare una «scelta» dei possibili «articoli» della fede cristiana e nemmeno tocca le questioni relative all’agire cristiano. Un tempo lo si sarebbe chiamato «piccolo catechismo» della fede cristiana.
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Per tutte le questioni menzionate, che qui non ho potuto trattare, devo perciò rinviare ai miei libri maggiori, che costituiscono lo sfondo di questo, soprattutto i libri sulla giustificazione, la chiesa, l’essere cristiani, l’esistenza di Dio, la vita eterna, le religioni universali e l’etica mondiale. A questi scritti, che offrono abbondanti dati bibliografici, si rinvierà ancora nelle ultime pagine – per una documentazione e un possibile approfondimento. Spero di potermi dedicare allo sviluppo storico della chiesa e del dogma e all’attuale situazione del cristianesimo nel secondo volume della mia trilogia su La situazione religiosa del tempo, dedicato al cristianesimo, e precisamente con lo stesso stile con cui l’ho potuto fare nel libro sull’ebraismo apparso nel 1991.
Benché il «Credo» riveli enormi limiti di contenuto, essendo sorto nella prima metà del primo millennio, per me ha rappresentato una grande sfida il confronto con le formulazioni tradizionali della fede invece dell’elaborazione ex novo, con parole mie, di una professione di fede moderna; nessuno può essere interessato a una religiosità vaga, se non addirittura confusa. Ora proprio questi articoli – non da ultimo in virtù del loro impiego nella liturgia e nella musica della chiesa fino ai nostri giorni – hanno plasmato in profondità la cristianità ed esercitato un’influenza fin nell’ambito delle arti figurative. Per questo motivo viene qui prestata una particolare attenzione alle arti figurative, dopo che con riferimento a Mozart mi sono occupato del modo in cui le asserzioni tradizionali della fede prendono forma musicale: in ognuno dei sei capitoli seguenti mi sono sforzato di presentare i singoli articoli di fede con un esempio classico dell’iconografia cristiana al fine di mettere a confronto l’immagine della fede tradizionale con l’atteggiamento di fondo, così diverso, dell’uomo di oggi.
Voglio spendere infine una parola di ringraziamento per l’aiuto ricevuto anche in questa occasione. Non si tratta affatto di una formalità. So bene infatti che non potrei realizzare il mio enorme programma di lavoro senza un sicuro supporto tecnico e scientifico. La cura tecnica del manoscritto è stata affidata ancora una volta alle mani delle signore Eleonore Henn e Margarita Krause. Le bozze sono state lette accuratamente dal mio laureando Matthias Schnell e dallo studente di teologia Michel Hofmann. All’impostazione tecnica ha provveduto ancora una volta il diplomato in teologia Stephan Schlensog, che mi è stato di aiuto anche con la sua lettura critica del manoscritto. Ma per tutte le questioni di contenuto e di stile devo ringraziare in particolare la signora Marianne Saur e il vicedirettore dell’Istituto per la ricerca ecumenica, il libero docente Karl-Josef Kuschel. A tutti loro, che in parte mi sono fedelmente vicini già da molti anni, voglio esprimere pubblicamente il mio cordiale grazie.
Da nessun’altra convinzione che questa è stata guidata la presente spiegazione del Simbolo apostolico: anche come uomini della fine del secolo XX, nonostante tutte le critiche al cristianesimo e alla chiesa, si può dire in un atteggiamento di ragionevole fiducia: Credo. Io posso dire sì agli articoli (certo d’importanza molto diversa) del Simbolo apostolico come orientamento per la mia vita e speranza per il mio morire.

Hans Küng
Tubinga, maggio 1992

1

DIO PADRE: IMMAGINE DI DIO E CREAZIONE DEL MONDO

In sei capitoli, chiaramente scanditi, vorrei tentare di mostrare come si possono comprendere i dodici articoli della professione di fede tradizionale: di quella professione di fede che non risale certamente agli apostoli, ma è ispirata dal messaggio apostolico. Solo verso il 400 compaiono il nome Symbolum apostolorum e l’affermazione dell’origine apostolica. Solo nel V secolo essa compare in forma piena, e solo nel secolo X viene introdotta a Roma dall’imperatore Ottone il Grande come simbolo battesimale al posto del Simbolo niceno-costantinopolitano. Nella chiesa cattolica come nelle chiese della Riforma però essa è stata mantenuta fino a oggi come semplice sintesi narrativa della fede cristiana sulla base della predicazione apostolica. Ha perciò anche un’importante funzione ecumenica. Tuttavia si impone per ogni uomo del nostro tempo la domanda: «Si può credere in tutto questo?».

1. Si può credere in tutto questo?

L’antica domanda battesimale chiede in maniera diretta e personale: «Credi in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra?». Già questa prima proposizione della professione di fede chiede di «credere" in molte cose. «Dio» – «Padre» – «onnipotente» – «creatore» – «cielo e terra»: niente è ormai ovvio in queste parole. Ognuna di esse, nel nostro tempo, ha bisogno di spiegazione, di traduzione.
Ora certamente l’uomo non vive soltanto di concetti e di idee, ma di ogni immagine da lui accolta nel proprio intimo fin dalla giovinezza. E anche la fede dell’uomo vive non soltanto di proposizioni, dogmi e argomenti, ma di ogni grande immagine che si è impressa in lui come una verità di fede e può interpellare non soltanto l’intelletto e il discorso critico-razionale, ma anche la sua immaginazione e le sue emozioni. Il credere sarebbe anzi dimezzato se si limitasse a interessare l’intelletto e la ragione dell’uomo, e non anche il suo cuore, la totalità della sua persona.
Molti contemporanei, infatti, alle espressioni «Dio» e «Dio creatore», associano, più che un concetto o una definizione, un’immagine, una grande immagine classica di Dio e del mondo, di Dio e dell’uomo. Per esempio, quella dei grandi affreschi che l’appena trentacinquenne Michelangelo Buonarroti, fino allora attivo soltanto come scultore e architetto, dipinse tra il 1508 e il 1512 su incarico di papa Giulio II della Rovere sulla gigantesca volta della Cappella Sistina. Ci troviamo qui di fronte a immagini straordinarie: straordinarie non soltanto per la complessiva concezione artistica, estremamente compatta, per l’impianto dell’architettura dipinta, per l’audace prospettiva e la monumentalità delle figure e dei colori luminosi, ora nuovamente restaurati. Straordinarie anche per il loro contenuto teologico: fu lo stesso Michelangelo a voler rappresentare la storia della creazione e le origini dell’umanità – invece degli apostoli, come desiderava il papa, su alti troni disposti in ordine geometrico.
Veniva così realizzato qualcosa di mai visto prima. I primi pittori cristiani si erano accontentati di rappresentare Dio con cifre e simboli; ora invece Michelangelo osa quello che nessuno prima di lui aveva osato: dipingere in maniera diretta e intuitiva il processo creativo e ciò che è accaduto nel primo giorno della creazione:
Dio Padre che si libra nello spazio vuoto e che con il gesto potente delle braccia separa la luce dalle tenebre.
Poi, nel secondo gigantesco affresco, Dio creatore che, avvicinandosi con grande impeto, crea in un istante il sole e la luna, così che nella stessa immagine lo si vede di spalle mentre si allontana.
Quindi – dopo la separazione della terra dall’acqua nel quarto quadro centrale (Michelangelo non ha mai avuto interesse per le piante e gli animali) – Dio Padre viene avanti portando con sé, tra una schiera di angeli, l’amabile figura di Eva adolescente. Dall’indice destro di Dio scaturisce la scintilla della vita in direzione della mano stancamente protesa di Adamo.
Non soltanto prima, ma nemmeno dopo c’è stato uomo che abbia osato dipingere immagini del genere: esse sono rimaste insuperate. Eppure sorgono qui subito gli interrogativi dell’uomo scettico di oggi: «Dobbiamo credere a ciò in questo modo? Soprattutto ai racconti leggendari della Bibbia, che parlano di una creazione in sei giorni, di un Dio lassù nell’alto dei cieli, di un Uomo, di un Padre supremo dai tratti maschili e per di più onnipotente! Quando entriamo in chiesa la professione di fede non ci chiede di voltare le spalle al pensiero critico?».
Non viviamo più all’epoca di Michelangelo, il quale del resto, nei suoi ultimi anni, ha relativizzato come nessun altro l’arte a favore della religione; non viviamo più neppure ai tempi di Lutero e Melantone, che avevano tra le mani il libro veramente rivoluzionario del canonico cattolico Nicolò Copernico sul sistema eliocentrico e lo condannavano – a motivo del suo netto contrasto con la Bibbia –, senza peraltro fare a Copernico quel processo che in seguito i papi faranno a Galileo. Quasi quattrocento anni dopo Copernico, trecento dopo Galileo, duecento dopo Kant e cento dopo Darwin (tutti inizialmente condannati da un «magistero» romano incapace di imparare) sono consapevole che, letteralmente, ogni parola del «Simbolo apostolico» deve essere tradotta nel mondo postcopernicano, postkantiano, postdarwiniano e posteinsteiniano, come anche le precedenti generazioni, di fronte a svolte epocali decisive – alto medioevo, Riforma, illuminismo – hanno dovuto comprendere in maniera nuova la medesima professione di fede. E, purtroppo, ogni parola di questo Credo – a cominciare dall’espressione «io credo» e dalla parola «Dio» – nel corso dei secoli è stata anche fraintesa, indebitamente sfruttata e persino profanata.
Dobbiamo allora gettare queste parole del Credo tra i rifiuti della storia? No. Dobbiamo piuttosto porre di nuovo, pezzo per pezzo, i fondamenti teologici e prendere veramente sul serio le domande scettiche degli uomini di oggi. La professione di fede presuppone infatti fin troppo pacificamente proprio quello che nelle condizioni moderne si dovrebbe dimostrare: che c’è una realtà trascendente, che Dio esiste. Dimostrare? «Credere» significa dimostrare?

2. Che cosa significa «credere»?

Le proposizioni di fede non hanno il carattere delle leggi matematiche o fisiche. Il loro contenuto non può essere dimostrato, come in matematica o come in fisica, con un’evidenza immediata o con l’esperimento ad oculos. Ma la realtà di Dio non sarebbe nemmeno realtà di Dio se fosse visibile, tangibile, constatabile empiricamente, se fosse verificabile sperimentalmente o deducibile con procedimenti logico-matematici. «Un Dio che c’è, non c’è» disse una volta a ragione il teologo evangelico e combattente della Resistenza Dietrich Bonhoeffer. Infatti, Dio – concepito nella sua profondità ultima – non può mai essere semplicemente un oggetto. Se lo fosse, non sarebbe Dio, ma sarebbe l’idolo degli uomini. Dio sarebbe un ente tra gli enti, del quale l’uomo potrebbe disporre, sia pure soltanto nella sua conoscenza.
Dio è per definizione l’Indefinibile, l’Indelimitabile: una realtà letteralmente invisibile, incommensurabile, inconcepibile, infinita. Anzi, egli non è una qualsiasi altra dimensione della nostra realtà multidimensionale, ma è la dimensione-Infinito, segretamente presente in tutti i nostri calcoli quotidiani, anche se non la percepiamo – eccetto che nel calcolo infinitesimale che, com’è noto, appartiene alla matematica superiore.
La dimensione-Infinito, non soltanto matematica, ma reale, questo ambito dell’intangibile e dell’incomprensibile, questa invisibile e incommensurabile realtà di Dio non può essere dimostrata razionalment...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Credo