Il risveglio del drago
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Il risveglio del drago

La minaccia di una Cina senza strategia

  1. 276 pagine
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Il risveglio del drago

La minaccia di una Cina senza strategia

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La crescita della Cina è destinata a scalzare gli Stati Uniti dalla loro posizione dominante? Probabilmente no. La logica della strategia dei grandi imperi finirà infatti per imporre la propria legge, fermando la corsa cinese verso la supremazia. Il problema è come ciò potrà accadere. Una rapidissima crescita economica, che continua nonostante la crisi, combinata con ambizioni di influenza politica planetaria e con il rafforzamento militare, non può che destare preoccupazioni, e scatenare l'opposizione delle altre potenze. La peculiare storia della Cina, Paese grande e a lungo isolato, circondato da territori scarsamente popolati, ha prodotto intere generazioni di leader con una debole propensione alle relazioni internazionali. Ma questi stessi leader ora sono chiamati a una sfida cruciale: accettare una crescita sbilanciata, economica ma non militare, o aprire a una vera democrazia. Solo così la loro nazione potrà espandere pacificamente la sua influenza liberandosi dai conflitti che premono ai suoi confini. In caso contrario, la resistenza globale colpirà anche la crescita economica cinese, scatenando una pericolosa instabilità. Edward N. Luttwak racconta in questo libro il presente e il futuro di una terra ancora misteriosa ma ormai centrale per le sorti del mondo. "Non guardo a questo Paese e alla sua gente da osservatore distaccato, ma da persona che ne condivide speranze e preoccupazioni" scrive. Tra queste ultime, la principale è la rotta di collisione tra una Cina resa incauta dalla crescita apparentemente inarrestabile e un'America pronta all'uso della forza per difendere i propri interessi strategici. "Il precedente di Pearl Harbor dovrebbe mettere in guardia da questo pericolo, " osserva Luttwak "ma se gli uomini fossero stati capaci di imparare qualcosa da precedenti simili, la storia non sarebbe una serie infinita di folli imprese belliche."

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2012
ISBN
9788858638422

Prefazione

È da stratega e non da sinologo che affronto il fenomeno della Cina di oggi, perché la logica universale della strategia si applica perfettamente a ogni cultura di qualsiasi epoca.
Il mio testo si basa su una serie di documenti e sui lavori degli studiosi che cito, e senza dubbio anche di altri, ma è influenzato, devo ammetterlo, dai miei viaggi in Cina, quando già molto prima dell’apertura di questo Paese al mondo mi addentravo nelle sue regioni più remote.
Da allora ho percorso la Cina in lungo e in largo, in condizioni via via migliori, perciò sono ben consapevole sia delle atroci miserie dell’epoca di Mao Zedong sia delle straordinarie trasformazioni che ebbero inizio poco dopo la sua morte e continuano ancora oggi. Pur riconoscendo che persiste ogni genere di abusi e di carenze, non posso che rallegrarmi dei grandi progressi delle popolazioni cinesi in termini di condizioni materiali e di libertà individuali – a parte il dominio, tuttora tabù, della politica che purtroppo ingloba anche l’autoespressione etnica e nazionale. Non guardo a questo Paese e alla sua gente da osservatore distaccato, ma da persona che ne condivide speranze e preoccupazioni, come hanno ben compreso coloro che da tempo mi dimostrano un’amicizia forte e autentica, della quale sono molto grato.
Pertanto non posso rallegrarmi delle conseguenze tristi e perfino tragiche di una repentina avanzata della Cina, se essa andasse a collidere con la logica paradossale della strategia. Certamente, se questo libro ha un ulteriore scopo oltre all’analisi su cui si regge o che decreterà il suo fallimento, è la speranza, per quanto ingenua e improbabile, che i governanti del Paese si affranchino dall’illusione che un’importanza planetaria, una crescita economica molto rapida e un altrettanto rapido incremento della forza militare possano coesistere tutti nello stesso mondo e semplicemente durare. La logica della strategia permetterà solo una crescita sbilanciata – economica ma non militare – alla Cina nella sua condizione attuale, e quella logica non può essere elusa da parole concilianti o brillanti stratagemmi. Piuttosto, per evitare effetti nefasti, la logica va rispettata perfino quando contraddice il buonsenso e ogni istinto comune dell’uomo. È difficile che un brusco incremento della ricchezza ispiri umiltà o moderazione, ma un altro andamento non è possibile in un mondo di Stati indipendenti obbligati a opporsi a un potenziamento di scala eccezionale quanto quello cinese.

1

La fallacia del potenziamento incontrastato

Sono in molti oggi a credere che il futuro del mondo sarà plasmato dall’ascesa della Cina ovvero dal proseguimento della sua crescita economica straordinariamente rapida – anche se alla fine potrà esserlo meno – e dalle naturali conseguenze di uno sviluppo di tale portata: dal costante aumento dell’influenza del Paese negli affari regionali e mondiali all’ulteriore potenziamento militare.
Queste aspettative certo sono coerenti con i risultati conseguiti dalla Cina in questo campo a partire dalla morte di Mao Zedong, nel settembre 1976. Negli anni Ottanta del secolo scorso, l’economia del Paese cominciò a crescere velocemente e da allora le recessioni non sono state né lunghe né gravi, e non ci sono segnali di rallentamento strutturale nemmeno ora, dopo più di tre decenni di rapida espansione. Negli ultimi anni il prodotto interno lordo ha sempre registrato una crescita superiore al 9 per cento annuo – il doppio del tasso di crescita sostenibile dell’economia statunitense, e quasi il triplo di quello delle economie europee mature, per non parlare delle misere percentuali degli anni successivi alla crisi del 2007.
Non ci sono nemmeno presupposti intrinseci per cui la crescita economica della Cina debba rallentare in modo significativo nel prossimo futuro. Nelle campagne, perfino in zone e sacche non molto distanti dalle città principali, un vasto numero di persone è ancora notevolmente sottoccupato nell’ambito dell’agricoltura tradizionale, ai gradini più bassi del commercio, in umili lavori di servizio. Poiché i poveri delle campagne trovano nuovo impiego nell’industria manifatturiera, anche nelle occupazioni più strettamente manuali, nell’edilizia e nel settore dei servizi legati alle nuove tecnologie, la loro produttività aumenta in maniera decisa e con essa il PIL del Paese. A ciò si aggiunge, è naturale, la crescita organica dei settori dell’economia moderna, parecchi dei quali mantengono una competitività elevata e possono pertanto svilupparsi rapidamente, anche se i mercati mondiali sono più lenti a farlo.
La spesa militare cinese, a quanto si dice, è aumentata di pari passo con l’economia nel suo insieme (o quasi), con stime nell’ordine del 9 per cento annuo in termini reali: un tasso fenomenale alla luce del periodo di stagnazione o anche di declino registrato in tutto il mondo, Stati Uniti compresi, se si escludono i costi delle guerre in corso.1
L’Esercito popolare di liberazione (EPL) ha appena ricevuto una fiumana di risorse e sono lontani i giorni in cui i finanziamenti non potevano generare nuova potenza militare, essendo in gran parte assorbiti da interventi per rimediare tardivamente a necessità basilari a lungo trascurate.
La paga e le indennità accessorie hanno raggiunto livelli sufficientemente competitivi da permettere di reclutare abbastanza uomini e donne, nonostante le opportunità di trovare impiego in ambito civile siano in aumento,2 mentre la ristrutturazione o il rimpiazzo di caserme, basi, depositi e altre installazioni decrepite sono stati ampiamente portati a termine, insieme alla fornitura di attrezzature per la manutenzione adeguate.
Grazie al risanamento di quanto era stato trascurato in precedenza, nonostante le numerose truffe a opera dei fornitori (perfino i cittadini attenti che acquistano in quantità molto minori sono regolarmente frodati con prodotti di qualità inferiore agli standard venduti con false etichette) e i casi conclamati di appropriazione indebita da parte degli ufficiali,3 l’EPL è stato in grado di acquisire nuove piattaforme, armi, munizioni ed equipaggiamento accessorio per ogni ramo delle forze armate e di costruire, ampliare e migliorare in qualità strutture e attrezzature di ogni tipo, aumentando al contempo la rapidità operativa e di addestramento.
Tutto ciò ha portato a un potenziamento militare rapido e a tutto tondo, del genere che si è visto per l’ultima volta negli Stati Uniti molto tempo addietro, negli anni del riarmo della guerra di Corea, e in Unione Sovietica dalla fine degli anni Sessanta agli anni Ottanta. In entrambi i casi, a un importante miglioramento qualitativo si accompagnò un aumento del numero delle armi e degli effettivi di ogni forza; e, come amavano dire i marxisti, incrementi quantitativi notevoli possono generare i loro sbocchi qualitativi, che a loro volta concorrono a determinare il risultato globale. Ecco perché, per esempio, quando dal 1950 al 1960 la spesa per l’Air Force americana fu più che triplicata e tanto il numero quanto le prestazioni dei suoi velivoli aumentarono in maniera rapida e simultanea, le sue capacità non solo crebbero ma diventarono del tutto diverse, ed enormemente superiori.
È la semplice presupposizione che la crescita economica e militare della Cina continuerà a ritmo rapido e la sua influenza globale le starà al passo a generare l’aspettativa ormai diffusa che il Paese sia destinato a emergere come potenza mondiale predominante nel prossimo futuro, eclissando gli Stati Uniti.4 Eppure questo dovrebbe essere l’esito meno probabile perché sarebbe in contrasto con la logica stessa della strategia in un mondo di Stati diversi tra loro, tutti gelosi della propria autonomia e alcuni, per giunta, culturalmente predisposti e politicamente strutturati per cercare di influenzare altri Stati piuttosto che esserne influenzati.
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È vero che la triplice crescita cinese – economica, militare e di status politico – è avvenuta in modo perfettamente complementare negli anni Ottanta e Novanta (dopo l’intervallo del 1989), ma solo perché la Cina non era ancora ricca o forte o influente secondo i parametri americani (o anche giapponesi, per quanto conta) e restava perlopiù un’esotica presenza fuori campo per l’Europa e l’America Latina. Ma ora la crescita economica e militare continua al di là dei livelli accettabili con serenità dalle altre potenze, ha cioè superato il limite oltre il quale il successo cinese può restare incontrastato. Le reazioni avverse sono dunque inevitabili.
Mentre è in corso questo processo naturale, ogni ulteriore aumento del potere cinese potrebbe essere accettato senza opposizioni solo in presenza di cambiamenti radicali interni o esterni alla Cina, dovuti alla sua trasformazione democratica e alla conseguente legittimazione del suo governo, o a minacce pressanti che la tramutino da pericolo in alleato desiderabile per il Paese di turno (il Pakistan è il caso esemplare: l’aumento del potere della Cina rende più apprezzabile la sua protezione).
La democratizzazione non cancellerebbe l’importanza strategica dell’ascesa della Cina e le reazioni che deve provocare: dopotutto, perfino i democraticissimi Stati Uniti suscitano a volte la resistenza dei loro alleati, semplicemente perché il loro potere è soffocante. Ma se la democratizzazione avesse luogo e le politiche non fossero più stabilite in totale segretezza da pochi capi di partito, e tanto focalizzate sulla massimizzazione del potere, ci sarebbe certo minore preoccupazione per tale ascesa, e anche minore resistenza da parte dei vicini e delle potenze sue pari. La democratizzazione non sospenderebbe la logica della strategia che impone crescente resistenza a un potere crescente, ma innalzerebbe il livello entro il quale il potenziamento cinese può aumentare incontrastato.
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In questo momento, l’ascesa della Cina ha già oltrepassato quel livello, nella sfera economica, militare e politica, attivando la logica paradossale della strategia5 attraverso la reazione di tutte le altre potenze grandi e piccole che hanno cominciato a monitorare, opporre resistenza, deviare o contrastare il potere cinese. A prescindere dal livello a cui è applicata, dalla lotta coi coltelli in un vicolo agli impegni multidimensionali e multilaterali della grande strategia in tempo di pace, la logica è sempre la stessa: un’azione – in questo caso l’aumento del potere – genera una reazione che non necessariamente la blocca ma ne impedisce il semplice progresso lineare.
In questo caso, a causa dell’opposizione sempre maggiore che sta suscitando, la crescita continua e rapida della Cina in capacità economica e forza militare e influenza regionale e globale non può semplicemente protrarsi nel tempo. Se i leader cinesi ignorano i segnali di avvertimento e vanno avanti imperterriti di questo passo, la logica paradossale farà sì che invece di accumulare più potere ne avranno meno, mentre monterà la resistenza.
Lungi dunque dall’essere il risultato inevitabile del banale prolungamento di tendenze recenti, l’emergere della Cina quale potenza mondiale predominante grazie alla crescita ininterrotta e simultanea di questi tre fattori richiederebbe invece il verificarsi di eventi improbabili.6 La stessa logica della strategia preannunzia il rallentamento o perfino un parziale cambio di tendenza della sua ascesa: la prima ipotesi è più probabile se le politiche cinesi saranno più conciliatorie o esplicitamente prudenti, la seconda se desteranno più allarme.
Nessuna di esse presuppone una qualsiasi forma di comportamento provocatorio o minaccioso da parte cinese. Tutto deriva dalle reazioni suscitate dalla rapida crescita di una potenza che, tanto per cominciare, è molto grande. Date le dimensioni della Cina, il suo veloce sviluppo è di per sé destabilizzante, indipendentemente dalla sua condotta. Perciò, chi di recente ha suggerito che alla Cina serva un uomo alla Bismarck per dirigere in maniera meno controproducente la sua politica estera non coglie che il problema essenziale non è il comportamento della Cina, bensì l’aumento della sua importanza a tutto tondo.
Le persone in un ascensore affollato in cui è appena salito un Mister Cina estremamente grasso devono reagire in modo da proteggersi se questi continua a ingrassare a vista d’occhio e le schiaccia contro le pareti, anche se il ciccione è un tipo per nulla minaccioso, anzi davvero affabile. È vero che nell’ascensore c’è già un Mister America perfino più grasso e chiassoso di lui, spesso violento, ma per il semplice fatto che è un compagno di viaggio di lungo corso, col trascorrere dei decenni quasi tutti sono giunti a un accomodamento soddisfacente con la sua stazza ingombrante. E le eccezioni – Cuba, Iran, Corea del Nord, Siria, Venezuela – non fanno che pubblicizzare la sua rispettabilità. Ma la cosa ancor più importante è che Mister America non sta ingrassando a vista d’occhio minando in questo modo alla base accordi e compromessi passati. Aiuta anche molto il fatto che non si debbano temere minacce improvvise da parte sua, perché i suoi processi decisionali sono perlopiù apertamente democratici.
A questo punto sarà evidente che l’approccio seguito qui, che in realtà è il mio modo di intendere le dinamiche del potere fra gli Stati, moderni o antichi, è molto diverso da quello della scuola «realista» dominante. È apertamente deterministico. Invece di vedere i leader sforzarsi di agire in modo pragmatico per perseguire i loro obiettivi e le loro preferenze all’interno delle limitazioni poste dalla politica operativa, io li vedo intrappolati dai paradossi della logica della strategia, che impone i propri imperativi, tanto più quando mantiene l’illusione della libera scelta. Se così non fosse, la storia dell’umanità non sarebbe il resoconto dei suoi crimini e delle sue follie.

2

Sicurezza prematura

Il caso vuole che la Cina, di recente, con un certo numero di Paesi non si sia affatto comportata in modo affabile, anzi, con alcuni la sua condotta è stata in qualche misura minacciosa. Nel corso della crisi finanziaria del 2008, l’apparente fine del «Washington Consensus» e l’altrettanto apparente affermazione del «Beijing Consensus», un processo a cui all’epoca non è stata data importanza ma che a posteriori risulta piuttosto evidente, hanno infuso molto coraggio all’élite di governo cinese, provocando un vero e proprio mutamento di condotta che si è palesato nel 2009-2010. All’improvviso il tono e il contenuto delle dichiarazioni cinesi si fecero marcatamente decisi su molti temi di diversa natura, dalla politica monetaria all’importanza della democrazia occidentale. Ciò che più colpisce è il clamore con cui furono ridestate dispute territoriali perlopiù sopite con India, Giappone, Filippine e Vietnam, tutte più o meno contemporaneamente, amplificandone l’effetto. Seguirono poi veri e propri incidenti con imbarcazioni o isole remote, avamposti di Giappone, Filippine e Vietnam, i cui strascichi si fanno sentire anche durante la stesura di questo libro.
Dal momento che dietro agli scontri verbali e agli incidenti, che non facevano nulla per portare avanti in modo sostanziale le pretese territoriali della Cina, non si intravedeva né si poteva intravedere alcun obiettivo politico, alcuni osservatori esperti conclusero che l’improvvisa ascesa delle loro fortune aveva fatto perdere il senno ai governanti cinesi e che la loro hýbris li aveva spinti ad abbandonare la condotta prudente e i modi modesti adottati in passato. A sostegno di questa interpretazione si possono citare dichiarazioni ufficiali di notevole arroganza seppur prive di effetti pratici. Xi Jinping, già allora successore designato di Hu Jintao, durante un discorso in Messico il ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il risveglio del drago