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E altri problemi della coscienza religiosa

  1. 304 pagine
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E altri problemi della coscienza religiosa

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"Da due secoli il pensiero filosofico mostra l'impossibilità di un mondo come quello in cui crede il cristiano." Nel nuovo millennio, la religione è ancora in grado di comprendere e spiegare la "natura" dell'uomo? Come può, essa, scendere a patti con le forze e i prodotti culturali della nostra epoca, senza indebolire o sconfessare i presupposti della propria dottrina? Emanuele Severino mette in discussione le posizioni della Chiesa sui più cogenti temi d'attualità – l'economia, le leggi dello Stato, la fecondazione assistita, la libertà d'insegnamento – e le passa al vaglio di una critica lucida e serrata. Venuto al mondo, fino a dove può spingersi l'uomo? Quali sono realmente i suoi limiti? Gli imperativi della coscienza religiosa corrispondono davvero alle condizioni "naturali" della vita? Un esame che suscita numerosi interrogativi riguardo alla visione cristiana dei problemi su cui si giocherà il futuro della nostra civiltà. Un saggio illuminante che rappresenta, al contempo, una sintesi autentica del pensiero sviluppato negli anni da uno dei massimi pensatori viventi.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
ISBN
9788858633571

PARTE DODICESIMA

Capitolo I
Tecnica, nichilismo, verità*

Sono onorato di esporre qui a Mosca alcuni tratti centrali del mio discorso filosofico.
Ma che peso può avere un discorso che sia «mio», cioè sia il prodotto teorico di «qualcuno», di un «individuo» (o anche di un gruppo sociale)? Che verità può avere un discorso di questo tipo?
E, d’altra parte, il senso che la nostra cultura attribuisce alla «verità» e alla sua negazione è indiscutibile?
Desidero aggiungere che i «tratti centrali» di un discorso filosofico rinviano ai tratti fondamentali, che però, in questo nostro incontro, dovranno restare sullo sfondo.

1.

Si ripete frequentemente che la nostra è l’età della tecnica. Ma è raro che si scorga il fondamento autentico di questa affermazione.
Le grandi forze della tradizione occidentale oggi viventi si propongono di servirsi della tecnica per realizzare i loro scopi. Questo è l’intento del capitalismo, della democrazia, del comunismo, e anche del cristianesimo (giacché la carità ha ormai un carattere planetario, si rivolge ai poveri di tutta la Terra, e quindi non può fare a meno di servirsi della tecnica). Per tutte queste forze, la tecnica guidata dalla scienza moderna deve essere soltanto uno strumento. Ed è diventato un luogo comune affermare che lo strumento è buono se è bene usato; cattivo, se è usato male. Di per sé, la tecnica non avrebbe scopi: li riceverebbe dall’esterno.
Ma la volontà di servirsi della tecnica come di un semplice strumento è una grande illusione.
Le forze della tradizione occidentale che oggi sono ancora in vita sono in conflitto tra loro. Fino a che il capitalismo, la democrazia, il cristianesimo dovevano combattere il nemico comune, cioè il socialismo reale dell’Unione Sovietica, la conflittualità tra questi provvisori alleati restava sullo sfondo. Ma dopo il crollo del socialismo reale questa conflittualità è venuta in primo piano: il capitalismo si rifiuta di essere ostacolato dai princìpi della solidarietà cristiana e della democrazia; la democrazia si oppone, oltre che al capitalismo senza regole, al tentativo delle Chiese di trasformare in leggi dello Stato i dogmi della religione; la Chiesa cattolica si oppone a sua volta a un capitalismo che abbia come scopo il profitto e non il «bene comune» della società, e si oppone anche a una democrazia in cui la «libertà» sia disgiunta dalla «verità» – come dicono le recenti encicliche del Pontefice romano.
Ma ognuna di queste forze è costretta a conservare e ad accrescere la potenza dello strumento di cui si serve per prevalere sulle forze antagoniste, ossia è costretta a conservare e ad accrescere la potenza dell’apparato tecnologico da essa controllato. Ognuna di queste forze è costretta pertanto a evitare che i propri valori e scopi intralcino e indeboliscano la potenza dello strumento tecnologico mediante la quale, d’altra parte, ognuna di esse intende realizzarli. Ma quando ciò avviene – e nel mondo sta appunto avvenendo questo – le forze della tradizione occidentale si trovano già sulla strada lungo la quale esse rinunciano, più o meno esplicitamente e consapevolmente, alla realizzazione dei propri scopi e assumono come scopo primario la crescita della potenza delle tecnologie di cui esse dispongono. Da mezzo, la tecnica diventa scopo. E gli scopi delle forze della tradizione diventano mezzi.
Nello scontro tra capitalismo e socialismo reale, queste due forze si sono servite dell’apparato scientifico-tecnologico per prevalere l’una sull’altra. Ma la filosofia marxista ha intralciato e indebolito la potenza dell’apparato tecnologico a disposizione del socialismo reale – e lo ha intralciato e indebolito ben più profondamente di quanto abbia fatto il capitalismo nei confronti del proprio apparato tecnologico. Per sopravvivere, il marxismo è stato quindi costretto a proporsi di salvare il proprio strumento (uno strumento che disponeva e dispone di un arsenale nucleare capace di distruggere il Pianeta). Per sopravvivere, il socialismo reale ha cioè dovuto rinunciare progressivamente a se stesso: appunto perché ha dovuto assumere come scopo la potenza dello strumento che oggi consente alla Russia e alle altre repubbliche dell’ex Unione Sovietica di trovarsi tra i Paesi privilegiati del Pianeta, nonostante le difficoltà economiche da esse attraversate in questo periodo.
Ma quanto è accaduto al socialismo reale è anche il destino del capitalismo, della democrazia, del cristianesimo, e non solo di essi. In forme e tempi diversi, ognuna di queste forze, per sopravvivere nello scontro con i propri avversari, dovrà rinunciare a se stessa, cioè dovrà assumere come scopo l’indefinito incremento della potenza dell’apparato scientifico-tecnologico da essa amministrato. La tecnica, d’altra parte, non è priva di un proprio scopo. Il suo scopo è appunto la crescita indefinita della sua potenza. Lo scopo supremo dell’umanità sta cioè diventando lo scopo che la tecnica possiede per se stessa e che non è la realizzazione di un certo scopo che ne esclude altri (un mondo capitalistico, ad esempio, esclude un mondo cristiano), ma è l’incremento indefinito della capacità di realizzare scopi. Questo incremento indefinito è destinato a diventare lo scopo dell’uomo.

2.

Ma la tecnica può diventare lo scopo supremo della civiltà occidentale solo perché la verità tramonta – e dunque tramonta la verità degli scopi.
Per la prima volta i Greci pensano la verità come sapere assolutamente incontrovertibile, che si impone su ogni evento e su ogni divenire, e che per questo suo imporsi essi chiamano epistéme. Steme è un costrutto linguistico che si forma sul verbo hìstasthai, «stare», «imporsi». Epi-stéme significa epi-hìstasthai, cioè stare «su» (epì); imporsi su ogni divenire, «su» ogni tempo e «su» ogni evento; significa essere la Legge suprema a cui tutto deve adeguarsi e a cui nulla può sfuggire: non solo non può sfuggire tutto ciò che esiste, ma anche tutto ciò che ancora non esiste e che ormai non esiste più. È innanzitutto la verità dell’epistéme a dire a ogni ente: «Tu non avrai altro Dio all’infuori di me». La verità dell’epistéme mostra il Senso incontrovertibile, definitivo, immutabile del Tutto. All’interno di essa, lungo la storia dell’Occidente, vengono innalzati tutti gli Immutabili e ogni forma del divino e dell’eterno.
D’altra parte, proprio perché l’epistéme della verità si impone sul divenire del mondo e lo domina, essa diventa la prima forma di riconoscimento incondizionato dell’esistenza del divenire. A partire dai Greci, e una volta per tutte nella storia dell’Occidente, sia pure in contesti e in modi diversi, il divenire viene pensato e vissuto come l’uscire delle cose dal nulla e il loro ritornare nel nulla; e per il pensiero dell’Occidente il divenire degli enti, così inteso, è ben presto considerato come l’evidenza originaria e assolutamente incontrovertibile. L’epistéme della verità intende unire l’evidenza del divenire all’evidenza dell’eterno.
L’epistéme della verità è l’anima e il fondamento dell’intera tradizione dell’Occidente: non solo della tradizione filosofica, ma dell’intera tradizione culturale, dunque anche del cristianesimo e dell’espressione artistica, e della stessa configurazione della scienza moderna da Galilei al XIX secolo; l’epistéme della verità è l’anima e il fondamento delle stesse istituzioni sociali, politiche, economiche della tradizione occidentale. In ogni modo di pensare e di agire della tradizione ci si riferisce infatti al Senso stabile e incontrovertibile della totalità dell’essere e al suo esprimersi nelle leggi eterne che governano il divenire del mondo.
Sino a che la verità vive, e l’agire dell’uomo mira ad adeguarsi a essa, è impossibile che la tecnica divenga lo scopo supremo dell’uomo. Il mezzo è infatti regolato dallo scopo, ed è modificabile e sostituibile; e se la verità avesse il proprio scopo al di fuori di sé, essa sarebbe un mezzo, cioè qualcosa di regolato dalla non-verità, qualcosa di modificabile e di sostituibile; e dunque non sarebbe la verità.
Ma la verità dell’epistéme tramonta. E inevitabilmente. Tramonta dunque inevitabilmente la stessa civiltà tradizionale dell’Occidente; tramontano la grandezza e ricchezza dei suoi contenuti. Appunto per questo Nietzsche parla della «morte di Dio». Alla verità la tradizione occidentale ha affidato il compito di rendere pensabile il divenire del mondo e sopportabili il dolore e l’angoscia che dal divenire sono prodotti. La conoscenza immutabile dell’immutabile è la prima grande forma di rimedio evocata dall’Occidente. L’altra è la tecnica moderna. Ma la verità – e l’eterno che in essa è affermato – finisce col rendere impensabile il divenire che essa pone alla propria base, e finisce col rendere ancora più angosciosa l’esistenza dell’uomo. Il rimedio, dirà Nietzsche, è stato peggiore del male.
La distruzione dell’epistéme della verità è operata dal pensiero filosofico dell’ultimo secolo e mezzo. Per la tradizione filosofica l’evidenza del divenire implica l’esistenza dell’eterno. Il pensiero del nostro tempo, all’opposto, mostra che l’evidenza del divenire implica necessariamente l’inesistenza di ogni eterno e di ogni epistéme. Ma solo raramente il pensiero filosofico del nostro tempo è cosciente della propria forza invincibile. Si trova per lo più nelle condizioni di un uomo che impugna una spada senza sapere che essa è invincibile. Per scorgere l’invincibilità del pensiero del nostro tempo bisogna scendere nel sottosuolo di tale pensiero. Noi, ora, potremo illuminarne soltanto la configurazione di fondo.
Nel suo sottosuolo essenziale il pensiero del nostro tempo parla così: l’epistéme è la Legge suprema a cui deve adeguarsi non solo ogni cosa esistente, ma anche tutto ciò che ancora è nulla e tutto ciò che ormai è nulla. A questa Legge non può sottrarsi nemmeno il nulla. A questa Legge sono sottoposte anche le cose che stanno nel nulla, perché anche a quest’ultime essa impone che, incominciando a essere o cessando di essere, non possano sfuggirle, cioè non possano abitare un regno dove la Legge dell’epistéme non abbia più valore.
Ciò significa che la verità dell’epistéme anticipa l’essenza di ogni evento, prevede l’essenza di ogni novità, riempie ogni spazio vuoto, riempie gli spazi vuoti del nulla da cui le cose provengono e in cui ritornano; la verità dell’epistéme cioè vanifica il divenire – quel divenire che per la stessa verità dell’epistéme è l’evidenza assolutamente non smentibile, del quale l’epistéme stessa è l’evocatrice e il primo riconoscimento essenziale nella storia dell’Occidente. Sin dall’inizio l’Occidente pensa che il divenire sia il processo in cui le cose provengono dal nulla e vi ritornano, ma la Legge dell’epistéme trasforma il nulla in un ascoltatore e in un suddito dell’essere, e riempiendo il vuoto del nulla nega il divenire di cui essa è il riconoscimento originario.
Nel suo sottosuolo essenziale, il pensiero del nostro tempo è invece la fedeltà radicale ed estrema all’evidenza del divenire, e quindi esso è negazione di ogni epistéme, di ogni eterno, di ogni immutabile che, volendo dar senso e rendere sopportabile il divenire, finisce col vanificarlo e col negarlo, rendendolo impensabile e pura apparenza, esso, che per l’epistéme stessa è l’assoluta e fondamentale evidenza. La negazione inevitabile di ogni epistéme è insieme la negazione di ogni prassi politica ed etica che intenda adeguare l’agire dell’uomo alla verità dell’epistéme. Nel suo sottosuolo essenziale il pensiero del nostro tempo è dunque la negazione inevitabile di ogni assolutismo e di ogni totalitarismo. La sconfitta pratica dell’assolutismo e del totalitarismo è resa possibile dalla loro impensabilità e dal più o meno reticente manifestarsi di tale impensabilità.
D’altra parte, se la verità dell’epistéme è impossibile, il suo tramonto è un processo ancora in atto. Questa verità, e la civiltà che attorno a essa è andata formandosi, è una grande foglia secca – che tuttavia è ancora attaccata al ramo dell’Occidente. Il cristianesimo oggi sembra rafforzarsi, ma trascrive nelle modalità della fede la forma e il contenuto della verità dell’epistéme. (Il concetto cristiano di creazione dal nulla è impensabile senza la riflessione greca sul nulla; il Dio della tradizione cristiana è impensabile senza il concetto greco dell’eterno; la «certezza», l’«indubitabilità», la «verità» della fede cristiana sono categorie che il cristianesimo ha ereditato dal pensiero greco.)
Col tramonto della verità dell’epistéme le grandi forze del passato e del presente vengono a disporre soltanto della loro potenza pratica – nonostante il tentativo, da parte delle forze del passato, di presentarsi ancora come verità assolute e di presentare i loro scopi come l’adeguazione della prassi umana alla verità assoluta. Ma ormai l’incrinatura delle forze del passato si è prodotta ed è affiorata. Il valore di una forza culturale o sociale non può fondarsi più sulla sua verità, ma coincide con il grado e l’intensità della sua potenza, cioè con la sua capacità pratica di prevalere sulle altre forze e di imporre a esse i propri scopi. Anche la scienza moderna si presenta non più come verità assoluta, ma come sapere ipotetico-deduttivo aperto alla modificazione e sostituzione dei propri statuti concettuali.
Ormai la forma suprema di potenza è la tecnica guidata dalla scienza. Ed è inevitabile che sul volto di ogni altra potenza del passato e del presente affiori la sua essenziale incapacità di presentarsi come verità assoluta. Sì che quando le forze del passato e del presente si vogliono servire della tecnica come dello strumento più potente per prevalere sulle forze antagoniste, è inevitabile che, proprio per questa loro volontà, finiscano col subordinare i propri scopi alla potenza della tecnica. La tecnica, cioè la crescita indefinita della capacità tecnico-scientifica di realizzare scopi, diventa lo scopo supremo della civiltà occidentale e ormai dell’intero Pianeta. Anche il capitalismo e la democrazia sono destinati a questa subordinazione alla tecnica. Andiamo verso un tempo in cui non ci si serve più della tecnica per produrre profitto o per mantenere l’assetto democratico, ma si produce profitto o si promuove la democrazia per incrementare all’infinito – fino a che lo strumento funziona – la potenza della tecnica.
La tecnica è «disumana» solo quando sia intesa riduttivamente. Ogni forma culturale dell’Occidente ha inteso l’uomo come un centro di forza capace di coordinare mezzi in vista della produzione di scopi. Ma questa capacità è l’essenza stessa della tecnica, e sta al fondamento del suo stesso carattere fisico-matematico. Per l’Occidente l’uomo è tecnica.
La tecnica è la forma attuale della salvezza dell’uomo. L’uomo chiede oggi alla tecnica la propria salvezza. Quando si rivolge a un salvatore – Dio o la tecnica – egli ha come scopo la propria salvezza e si serve del salvatore come di un mezzo. Ma poi l’uomo si rende conto che, se il salvatore è soltanto un mezzo di cui egli è il padrone, il salvatore è debole, perché su di esso si riflette la debolezza di chi vuol essere salvato. Allora l’uomo finisce con l’assumere come scopo la potenza del salvatore, e la volontà dell’uomo resta subordinata al desiderio che sia fatta la volontà del salvatore – che ormai non può più essere la volontà di Dio, ma è la volontà della tecnica.

3.

Tuttavia né Dio né la tecnica possono salvare l’uomo dal nulla e dal dolore e dall’angoscia che scaturiscono dal divenire del mondo. La convinzione che l’uomo e le cose escano dal nulla e vi ritornino è la radice e il pensiero dominante dell’intera civiltà occidentale. Il cristianesimo crede nell’immortalità dell’anima e nella risurrezione della carne; ma questa vittoria sul nulla è un libero dono di Dio, che altrettanto liberamente può annientare l’uomo: di per se stesso l’uomo è nulla («sei polvere e tornerai nella polvere»), e solo la libera creazione divina trasforma questo nulla in un essere. E nella risurrezione si presenterà sì un mondo nuovo, ma il mondo vecchio – questo mondo in cui l’uomo vive e che sta al centro dei suoi interessi – resterà annientato per sempre proprio perché si trasfigurerà in un altro mondo. L’ottimismo e l’aspetto consolatorio del cristianesimo sono apparenti. Inoltre il cristianesimo è una fede, e una fede è esposta per essenza al dubbio. Infine, la sorte del cristianesimo è essenzialmente legata alla sorte della verità dell’epistéme, e l’inevitabilità del tramonto di quest’ultima è l’inevitabilità del tramonto del cristianesimo – e di tutte le altre forze della tradizione occidentale, capitalismo e democrazia inclusi. Il loro tramonto implica l’impossibilità che esse permangano come scopi primari dell’agire; implica cioè la loro subordinazione alla tecnica.
Pensando che l’uomo è di per se stesso un essere effimero, caduco, contingente, temporale, storico, finito, diveniente – un essere mortale, dunque, che è preda del nulla –, tutte le grandi forme culturali dell’Occidente sono le radici e le responsabili ultime dell’angoscia più profonda dell’uomo occidentale. L’apparato epistemico-metafisico è destinato a tramontare nell’apparato scientifico-tecnologico; ma anche quest’ultimo tenta invano di mascherare e di velare il nulla a cui l’uomo, per l’intera civiltà occidentale, è inesorabilmente destinato. Dopo aver evocato il nulla – la nullità originaria ed essenziale di tutte le cose –, l’Occidente non sa più difendersi dal nulla. Può solo ritardarne l’irruzione. Ed è già incominciato il tempo in cui le masse se ne rendono conto.
Sulle spalle del senso che il pensiero dell’Occidente ha assegnato al divenire grava dunque un peso immane. Ma forse il nostro è anche il tempo in cui si può mettere in questione l’anima, le radici ultime dell’Occidente, cioè il senso che una volta per tutte il pensiero greco ha attribuito al divenire dell’essere. Forse sta maturando il ...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Avvertenza
  5. PARTE PRIMA
  6. PARTE SECONDA
  7. PARTE TERZA
  8. PARTE QUARTA
  9. PARTE QUINTA
  10. PARTE SESTA
  11. PARTE SETTIMA
  12. PARTE OTTAVA
  13. PARTE NONA
  14. PARTE DECIMA
  15. PARTE UNDICESIMA
  16. PARTE DODICESIMA
  17. Indice