Uno studio in rosso
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Uno studio in rosso

Arthur Conan Doyle

  1. 200 pagine
  2. Italian
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Uno studio in rosso

Arthur Conan Doyle

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Il corpo di un uomo viene ritrovato, privo di vita e senza alcuna traccia di violenza, in una casa disabitata. Unici oscuri indizi per sciogliere il mistero, la parola Rache tracciata con del sangue su una parete, un biglietto dal testo sibillino e una fede nuziale. Sono queste le coordinate che segnano, nel 1887, la prima comparsa sulla pagina di uno dei più amati e indimenticabili eroi dell'indagine poliziesca: Sherlock Holmes. Misterioso, solitario, dotato di straordinarie capacità analitiche, Holmes affascina il lettore – e il suo nuovo amico e coinquilino, il dottor Watson – e lo conduce, passo dopo passo, a ripercorrere la storia di un'antica vendetta che da Londra risale a luoghi molto lontani. Con Uno studio in rosso nasce l'investigatore letterario per eccellenza, capace come nessuno di sfruttare la scienza della deduzione e il rigore di una razionalità inflessibile: un mito destinato a non tramontare mai.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
ISBN
9788858628997
UNO STUDIO IN ROSSO

PARTE PRIMA

(Dai ricordi del dottor John H. Watson ex ufficiale
medico del reparto medico militare
dell’esercito britannico)

Capitolo I

IL SIGNOR SHERLOCK HOLMES

Nel 1878 mi laureai in medicina all’University of London e poi mi recai a Netley per seguire il corso previsto per i chirurghi dell’esercito. Una volta completati i miei studi là, fui destinato al quinto corpo fucilieri Northumberland come aiuto chirurgo. A quell’epoca il reggimento era di stanza in India, e prima che io potessi raggiungerlo scoppiò la seconda guerra afghana. Quando sbarcai a Bombay, appresi che il mio corpo era avanzato al di là dei passi e si era già addentrato nel paese nemico. Comunque, mi misi al seguito, con molti altri ufficiali che si trovavano nella mia stessa situazione e riuscii a raggiungere sano e salvo Candahar, dove trovai il mio reggimento, e assunsi immediatamente il mio nuovo incarico.
Al contrario di molti, che ne ricavarono onori e promozioni, da quella campagna io non ebbi che sventure e disastri. Fui distaccato dalla mia brigata e assegnato ai Berkshires, dove prestai servizio fino alla fatale battaglia di Maiwand, quando fui ferito alla spalla da un proiettile Jezail, che frantumò l’osso e scalfì l’arteria succlaviale. Sarei caduto nelle mani dei micidiali Ghazis se non fosse stato per la devozione e il coraggio di Murrey, il mio attendente, che mi adagiò in groppa a un cavallo da carico e mi portò al sicuro fino alle linee britanniche.
Sfinito dal dolore e indebolito dalle prolungate durezze patite, fui spedito con un gran convoglio di poveri feriti all’ospedale di base di Peshawar, dove mi ripresi. Ero già migliorato al punto da poter passeggiare nelle corsie e anche prendere un po’ di sole sulla veranda, quando fui stroncato da una febbre enterica, nota piaga dei nostri possedimenti indiani. Per mesi si disperò della mia vita e quando finalmente tornai in me ed entrai in convalescenza ero così debole ed emaciato che una commissione medica decise di rimandarmi in Inghilterra al più presto. Così mi imbarcarono sulla nave Orontes e sbarcai un mese dopo sul molo di Portsmouth, con la salute irrimediabilmente rovinata, ma col permesso da parte di un governo paterno di passare i nove mesi successivi cercando di migliorarla. In Inghilterra non avevo nessuno, e perciò ero libero come l’aria, o meglio libero quanto lo può permettere un reddito di undici scellini e sei pence al giorno. Così stando le cose fui naturalmente attratto da Londra, quel grande immondezzaio in cui vengono irresistibilmente risucchiati tutti i fannulloni e i perdigiorno dell’impero. Soggiornai per qualche tempo in una pensione dello Strand, conducendo una vita scomoda e senza senso e scialacquando il denaro che avevo più di quanto avrei dovuto. Lo stato delle mie finanze divenne molto, allarmante e ben presto mi resi conto che dovevo o lasciare la capitale e rifugiarmi da qualche parte in campagna, o cambiare completamente stile di vita. Scelsi l’ultima alternativa e innanzitutto decisi di lasciare l’albergo o di stabilirmi in qualche domicilio meno pretenzioso e dispendioso.
Il giorno stesso che giunsi a questa conclusione ero al bar Criterion, in piedi, quando qualcuno mi batté sulla spalla e nel voltarmi riconobbi il giovane Stamford, che aveva lavorato con me come infermiere a Barts. È proprio un piacere per un uomo solo nel gran deserto di Londra vedere una faccia amica. Non che in passato Stamford fosse mai stato un mio amicone, ma ora lo salutai con entusiasmo, e anche lui a sua volta sembrò molto contento di vedermi. Trascinato dalla gioia, lo invitai a far colazione con me all’Holborn, e ci avviammo assieme in carrozza.
«Che diavolo le è capitato, Watson?» chiese con palese meraviglia, mentre percorrevamo con fracasso le strade affollate di Londra. «È magro come un chiodo e così abbronzato che sembra un negro.»
Feci un breve resoconto delle mie avventure, e avevo appena finito quando giungemmo a destinazione.
«Poveretto!» disse con compassione, dopo avere ascoltato le mie sventure. «E ora cosa fa?»
«Cerco casa» risposi «e sto tentando di vedere se è possibile avere un alloggio confortevole a un prezzo ragionevole.»
«Strano» osservò il mio compagno, «è la seconda persona oggi che ha usato questa espressione.»
«E chi è l’altro?»
«Uno che lavora al laboratorio di chimica dell’ospedale. Stamattina si lamentava perché non riesce a trovare qualcuno che abiti con lui in un bell’appartamento che ha trovato e che per lui è troppo caro.»
«Per Giove!» esclamai. «Se vuole davvero un coinquilino che divida le spese sono proprio l’uomo che fa per lui. Preferirei questa soluzione piuttosto che star solo.»
Il giovane Stamford mi guardò in modo curioso sorseggiando un bicchiere di vino. «Si vede che ancora non conosce Sherlock Holmes; forse potrebbe non piacerle come compagno.»
«Perché, che cos’ha che non va?»
«Be’, non dico che abbia qualcosa che non va. Ha delle idee un po’ bizzarre – è un appassionato di certi rami scientifici. Per quanto ne so è un tipo abbastanza per bene.»
«Sarà uno studente in medicina, no?»
«No, non ho idea di cosa intende fare. Penso che sia molto preparato in anatomia ed è un chimico di prim’ordine; ma per quanto ne so non ha mai seguito sistematicamente un corso di medicina. I suoi studi sono piuttosto eccentrici e caotici, ma ha accumulato una quantità di conoscenze singolari che stupirebbero i suoi professori.»
«Gli ha mai chiesto per che cosa si preparava?»
«No, è difficile cavargli di bocca qualcosa, ma quando gli va può essere abbastanza comunicativo.»
«Mi piacerebbe conoscerlo» dissi. «Se devo vivere con qualcuno, preferirei un uomo studioso e tranquillo. Non sono ancora abbastanza forte per sopportare troppo rumore o confusione. In Afghanistan ne ho tollerato tanto che mi basterà per il resto della mia vita. Come potrei fare a conoscere questo suo amico?»
«Sarà certamente al laboratorio» rispose. «O non ci va per settimane, oppure ci lavora dalla mattina alla sera. Se vuole possiamo andarci assieme in carrozza dopo colazione.»
«Benissimo» risposi passando a un altro argomento.
Lasciato l’Holborn ci avviammo verso l’ospedale, e strada facendo Stamford mi fornì ulteriori particolari sul signore che intendevo avere come coinquilino.
«Non se la prenda con me se non andrà d’accordo con lui; non so niente di lui eccetto quello che ho appreso incontrandolo a volte in laboratorio. È stato lei a proporre questa sistemazione, e non voglio responsabilità.»
«Se non andremo d’accordo, è presto fatto: ci divideremo. Mi pare che lei, Stamford, abbia qualche motivo per lavarsene le mani» dissi scrutando il mio interlocutore. «Questa persona ha proprio un carattere così temibile, o c’è qualcos’altro? Parli pure chiaro.»
«Non è facile esprimere l’inesprimibile» rispose con una risata. «Holmes è un po’ troppo scientifico per i miei gusti… rasenta quasi l’insensibilità. Sarebbe capacissimo di somministrare a un amico un pizzico dell’ultimo ritrovato alcaloide vegetale, non per malvagità, intendiamoci, ma semplicemente per spirito indagatore e per farsi un’idea precisa dei suoi effetti. Per rendergli giustizia, penso che sarebbe altrettanto capace di prenderlo lui stesso. Pare che abbia una passione per le conoscenze esatte e specifiche.»
«Ha ragione.»
«Sì, ma si può anche oltrepassare il limite. Se si arriva al punto da battere col bastone il corpo in esame nella sala di dissezione, mi pare che si sfiori la stravaganza.»
«Battere i corpi in esame!»
«Sì, per controllare fino a quando dopo la morte si possono formare ecchimosi. Glielo ho visto fare con i miei occhi.»
«Eppure dice che non è studente in medicina?»
«No, Dio sa a che cosa mirano i suoi studi. Ma le cose stanno così, e lei stesso se ne farà un’idea.» Mentre parlavamo svoltammo in un vicolo stretto ed entrammo in un corpo laterale del grande ospedale attraverso una porticina. Questo era territorio familiare e non c’era bisogno di guida per salire sulla squallida scala di pietra e percorrere il lungo corridoio con il suo panorama di muri imbiancati a calce e di porte bigie. In prossimità del capo opposto, attraverso un passaggio laterale, con un arco basso, si accedeva al laboratorio di chimica.
Era uno stanzone molto alto, tutto tappezzato e cosparso di innumerevoli bottiglie. Qua e là c’erano tavoli larghi e bassi, dove spuntavano una quantità di alambicchi, provette e piccoli becchi Bunsen dalla fiamma blu tremolante. Nella stanza c’era un solo studente, chino su un tavolo distante e assorto nel suo lavoro. Ai nostri passi si voltò a guardarci e balzò in piedi gridando di gioia. «L’ho trovato! L’ho trovato!» urlò rivolto al mio compagno e correndo verso di noi con una provetta in mano. «Ho trovato un reagente che è fatto precipitare dall’emoglobina, e soltanto da quella.» La sua espressione era radiosa, come se avesse scoperto una miniera d’oro.
«Il dottor Watson, il signor Sherlock Holmes» disse Stamford presentandoci.
«Piacere» fece lui cordialmente, stringendomi la mano con una forza insospettata. «Vedo che è stato in Afghanistan.»
«Come fa a saperlo?» chiesi stupito.
«Lasciamo stare» disse ridacchiando. «Parliamo piuttosto dell’emoglobina; indubbiamente a lei non sfuggirà l’importanza di questa mia scoperta.»
«Dal punto di vista chimico è interessante, certo, ma in pratica…»
«Come! È la scoperta medico-legale più utile che sia stata fatta da anni. Non capisce che ci dà una prova infallibile per le macchie di sangue? Venga qua!» Mi prese per la manica con trasporto e mi trascinò al tavolo dove stava lavorando. «Ci vuole del sangue fresco» disse, ficcandosi nel dito un lungo punteruolo e introducendo in una pipetta la goccia di sangue che affiorava. «Ora aggiungerò questa piccola quantità di sangue a un litro d’acqua. Noterà che la miscela ottenuta ha l’aspetto di acqua pura. La proporzione di sangue non può essere superiore a uno su un milione. Eppure non ho dubbi che otterremo la reazione caratteristica.» Mentre parlava buttò nel recipiente alcuni cristalli bianchi, e poi aggiunse qualche goccia di un fluido trasparente. In un attimo il contenuto assunse una colorazione scura, come il mogano, e una polvere marrone sporco precipitò sul fondo del vaso di vetro.
«Ah! Ah!» gridò, battendo le mani, contento come un bambino con un nuovo giocattolo. «Che ne pensa?»
«Mi pare un test molto delicato.»
«Bello! Bello! Il vecchio test al guaiaco era poco pratico e poco attendibile, e così pure l’esame microscopico dei corpuscoli sanguigni. Questo ultimo poi è privo di valore se le macchie sono state fatte qualche ora prima. Questo test invece pare sia valido sia che il sangue sia vecchio o fresco. Se fosse stato inventato prima, centinaia di uomini al mondo a quest’ora avrebbero pagato il fio dei loro crimini.»
«Davvero!» mormorai.
«I casi criminali vertono sempre su questo punto. Può capitare che un uomo sia sospettato di un crimine mesi dopo che è stato commesso. Si esaminano la sua biancheria o i suoi indumenti e vi si scoprono macchie scure. Cosa sono, macchie di sangue, di fango, di ruggine, o di frutta? È una domanda che ha lasciato perplesso più di un esperto, e perché? Perché non c’era nessun test attendibile. Ora abbiamo il test Sherlock Holmes, e non ci saranno più problemi.»
Mentre parlava i suoi occhi brillavano intensamente, si mise la mano sul cuore e si chinò come davanti a una folla plaudente evocata dalla sua immaginazione.
«Merita delle congratulazioni» osservai, assai sorpreso per il suo entusiasmo.
«L’anno scorso a Francoforte ci fu il caso Von Bradford. Se fosse esistito questo test, sicuramente sarebbe stato impiccato. Ci fu anche Mason di Bradford, il famigerato Muller, Lefevre a Montpellier, e Samson a New Orleans. Potrei citare una ventina di casi in cui sarebbe stato decisivo.»
«Lei è come un calendario ambulante del crimine» disse Stamford ridendo. «Potrebbe fare un giornale e chiamarlo “Notiziario poliziesco del passato”.»
«Potrebbe anche essere molto interessante da leggere» osservò Sherlock Holmes, attaccando un pezzettino di cerotto sulla scalfittura che si era fatto sul dito. «Devo stare attento» soggiunse voltandosi verso di me con un sorriso «perché traffico molto con i veleni.» Mentre parlava tese la mano e notai che era tutta cosparsa di cerotti simili e scolorita da acidi forti.
«Siamo venuti per affari» disse Stamford sedendosi su un alto sgabello a treppiede e spingendone un altro verso di me col piede. «Questo mio amico vuol prendere delle stanze in affitto; siccome si lamentava perché non trovava nessuno che dividesse le spese di casa con lei, ho pensato bene di farvi incontrare.»
Sherlock Holmes sembrò entusiasta all’idea di coabitare con me. «Ho messo l’occhio su un appartamento in Baker Street che per noi sarebbe l’ideale. Spero che a lei non dispiaccia l’odore del tabacco forte.»
«Anch’io lo fumo sempre» risposi.
«Allora va bene; di solito io tengo in casa delle sostanze chimiche e a volte faccio qualche esperimento. Le darebbe fastidio?»
«Niente affatto.»
«Vediamo… quali sono gli altri miei difetti. Qualche volta sono depresso e non apro bocca per giorni e giorni. Quando succede non deve pensare che sono scorbutico. Basta lasciarmi stare e mi passa. E lei cos’ha da confessare? Prima di mettersi a vivere assieme, tanto vale sapere le peggiori pecche l’uno dell’altro.»
Questo interrogatorio mi fece ridere. «Ho un cucciolo di bulldog e non sopporto il chiasso perché ho i nervi scossi, mi alzo alle ore più strane e sono molto pigro. Quando sto bene ho vari altri vizi, ma questi al momento sono i principali.»
«Per chiasso intende anche suonare il violino?» chiese preoccupato.
«Dipende da chi lo suona; se è ben suonato il violino può essere delizioso, se invece è mal suonato…»
«Ah, be’!» esclamò ridendo allegro. «Allora siamo a posto, sempre che l’appartamento le piaccia.»
«Quando andremo a vederlo?»
«Passi a prendermi domani a mezzogiorno, ci andremo assieme e sistemeremo tutto.»
«D’accordo, a mezzogiorno preciso» dissi, stringendogli la mano.
Lo lasciammo alle prese con la sua chimica e ci avviammo assieme verso il mio albergo.
«A proposito» chiesi improvvisamente fermandomi e voltandomi verso Stamford «come diavolo ha fatto a sapere che tornavo dall’Afghanistan?»
«Questa è una sua particolarità» disse il mio compagno con un sorriso enigmatico. «Molti vorrebbero sapere come fa a scoprire queste cose.»
«Che cos’è, un mistero?» domandai, fregandomi le mani. «Che divertente! Le sono molto grato di avermelo fatto conoscere. Non c’è miglior studio per l’uomo che gli altri uomini.»
«Buon studio, allora» disse Stamford salutandomi. «Ma troverà che è un po’ un osso duro. Scommetto che lui ne saprà più su di lei che non viceversa. Arrivederci.»
«Salve» risposi, e me ne andai tranquillamente verso il mio albergo, notevolmente incuriosito per la mia nuova conoscenza.

Capitolo II

LA SCIENZA DELLA DEDUZIONE

L’indomani ci incontrammo come stabilito e visitammo l’appartamento al numero 221B di Baker Street cui lui aveva accennato durante il nostro incontro. Consisteva in due stanze da letto comode e in un soggiorno ampio e spazioso ammobiliato piacevolmente e illuminato da due finestroni. Era proprio l’ideale per noi, e anche l’affitto, una volta condiviso, era molto modico, sicché l’affare fu presto fatto e ne entrammo subito in possesso. Quella sera stessa vi trasferii le mie cose dall’albergo e l’indomani mattina Sherlock Holmes mi seguì con vari scatoloni e valigie. Per uno o due g...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. BUR
  3. Frontespizio
  4. Prefazione
  5. Cronologia della vita e delle opere
  6. Bibliografia
  7. Uno Studio in Rosso
  8. Sommario
Stili delle citazioni per Uno studio in rosso

APA 6 Citation

Doyle, A. C. (2012). Uno studio in rosso ([edition unavailable]). RIZZOLI LIBRI. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3298767/uno-studio-in-rosso-pdf (Original work published 2012)

Chicago Citation

Doyle, Arthur Conan. (2012) 2012. Uno Studio in Rosso. [Edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. https://www.perlego.com/book/3298767/uno-studio-in-rosso-pdf.

Harvard Citation

Doyle, A. C. (2012) Uno studio in rosso. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. Available at: https://www.perlego.com/book/3298767/uno-studio-in-rosso-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Doyle, Arthur Conan. Uno Studio in Rosso. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI, 2012. Web. 15 Oct. 2022.