Sento che ci sei
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Sento che ci sei

Dal silenzio del coma alla scoperta della vita

  1. 300 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Sento che ci sei

Dal silenzio del coma alla scoperta della vita

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Il dolore e la malattia di una persona cara sono esperienze estreme che spesso costringono chi le affronta a rimettere in discussione le proprie certezze, a cercare nuove forme di comunicazione e di relazione. Fulvio De Nigris ha perso un figlio dopo un lungo coma. Un'attesa che ha rifiutato di subire passivamente, e che ha vissuto giorno per giorno nel tentativo di reagire, scegliendo di accompagnare il figlio in un difficile cammino e di tornare a sentirlo vicino nell'apparente lontananza dello stato vegetativo. Quel gesto ora prosegue nell'attività della Casa dei Risvegli Luca De Nigris, un centro di riabilitazione e ricerca creato per promuovere un nuovo modello di assistenza; per contrapporre la cultura della cura alla prassi dell'abbandono; per insegnare a riconoscere la vita anche dove sembra essere assente.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2011
ISBN
9788858621752
SECONDA PARTE
Altri stili, altri modi, altri mondi
Una Casa per risvegliarsi
«Ma come fai a vivere sempre nel dolore?»
«Cerco di non pensarci.»
C’è un proverbio africano che dice: «Per educare un bambino non bastano due genitori, ci vuole tutto il villaggio». Adattandolo alle nostre tematiche potremmo dire: «Per riabilitare (aiutare, accompagnare) una persona in coma e stato vegetativo non basta la famiglia, ci vuole l’intera comunità».
Ormai sembra riconosciuto che il «coma» è una sintomatologia della famiglia e come tale è tutto l’ambito familiare, la rete amicale e affettiva che deve esserne coinvolta e curata. Questo vuol dire affrontare il tema in maniera interdisciplinare, da vari punti di vista, tenendo conto che il fattore ambientale è molto importante. Bisogna dire che l’incontro tra chi «sa di coma» e chi «vive il coma» diventa molto significativo. Il Sapere e il Vivere sono due competenze che a volte si incontrano, spesso si scontrano. Ho conosciuto alcune madri che si lamentavano perché la loro pediatra, senza figli, sosteneva teorie a loro avverse tanto da farle sbottare: «Come può sapere di bambini chi non vive la genitorialità?». Il sapere, la teoria, prescinde dall’esperienza privata, ma fatemi dire che nel nostro particolare ambito, ma anche in altri, viene arricchita dall’esperienza personale. C’è una competenza della famiglia, quella affettiva, dell’accompagnamento, il sapere dettato dal punto di vista, dalla formazione personale e da altro ancora.
Gli esiti di coma sono sempre più invalidanti e nei paesi industrializzati i traumatismi cranio-encefalici sono una causa sempre più frequente di disabilità neurologica. Da molti anni le indagini epidemiologiche hanno evidenziato, già da alcuni decenni, il preoccupante incremento di incidenza e la prevalenza di persone con esiti invalidanti conseguenti al coma e riguardanti in genere giovani/adulti in piena età scolare o lavorativa. Occuparsi di queste persone è un dovere morale, un indice di civiltà, una percezione di progresso. Per noi lo è in misura maggiore.
Per colmare, solo in parte, il vuoto che Luca ci ha lasciato, abbiamo pensato alle tappe del suo difficile cammino verso il recupero, cosa avrebbe potuto aiutarlo e cosa ha costituito un impedimento in quel cammino. Nessuno è preparato a sostenere un evento di tanta drammaticità: cercare chi possa fornire l’aiuto di cui si ha bisogno, stabilire contatti, trovare un posto letto disponibile, recuperare il denaro necessario, sono tutte operazioni che richiedono tempo, un tempo prezioso sottratto alle potenzialità di recupero di chi è in coma. Abbiamo pensato a quante famiglie di giovani vittime di traumi cranio-encefalici possano trovarsi in condizioni simili e abbiamo creduto che questa nostra esperienza di dolore non dovesse restare infruttuosa.
La gara di solidarietà che aveva permesso a Luca di andare in Austria, a noi di accompagnarlo, non doveva fermarsi. Maria allora lo espresse molto bene, in un appello pubblico:
«Se il tempo di una vita è sempre impossibile da definire, l’intensità dell’esperienza negli anni destinati a vivere accanto a una persona cara è spesso veramente straordinaria». Come è accaduto a me, che ho vissuto insieme a mio figlio sedici anni.
«È una dimensione molto intima e privata quell’esperienza che ogni coppia di genitori conserva nella teca dei ricordi legati all’infanzia, all’adolescenza, alla giovinezza dei propri figli; così anche l’esistenza di Luca è stata fondamentalmente nostra, mia e di Fulvio. Però le vicende che hanno causato il suo coma hanno portato il mio coraggioso ragazzino a vivere una prova ancora più impegnativa di quanto avesse già dovuto fare (la sua vita è stata estremamente dura sotto l’aspetto della salute fisica, ma lui l’aveva sempre affrontata con spirito battagliero e allegria).
Quando il terribile danno al cervello, che aveva subito, aveva reso quasi impossibile una sua diretta (o almeno consapevole per noi) reazione alla malattia, è scaturita una enorme solidarietà da parte di decine e decine di persone che hanno aiutato Luca, e noi genitori che l’amavamo tanto, a combattere in modo veramente strenuo una battaglia appassionante per la vita.
Non è facile descrivere a parole ciò che abbiamo provato io e Fulvio a vivere circondati da tanto calore e incoraggiamento un’esperienza così dura e atroce: il terrore di fronte all’incomprensibile dimensione del coma si è trasformato in un continuo sforzo teso a ricostruire un legame e una comunicazione con nostro figlio (ci siamo riusciti e come è stato bello!); lo strazio nel guardare il nostro Luca così deturpato dal quasi totale spegnersi delle sue facoltà si è trasformato in un prodigarsi continuo ad alleviarne il dolore nel corpo, a ridare espressione al volto, a cogliere tanti piccolissimi segnali della sua volontà, espressa nel silenzio della sua nuova dimensione, ma tuttavia ancora così tenace. Tutto questo non sarebbe potuto avvenire se noi genitori avessimo solo dato ascolto ad alcuni medici che ci avevano ripetutamente scosso il capo in segno di scoraggiamento o ad altri che ci avevano consigliato di “divorziare da nostro figlio”.
Tutto questo è avvenuto perché noi, fragili, stanchi, indeboliti da mesi di rianimazione, abbiamo sentito attorno a Luca una forza enorme provenire da tantissime persone che volevano condividere e aiutarci a combattere, a non arrenderci, a rendere ancora fruttuoso l’amore che nutrivamo per il nostro ragazzo.
L’immagine che mi sono fatta di questa “battaglia” sostenuta dall’incoraggiamento di tanta gente, è quella di un motore funzionante a tutta potenza, un motore alimentato dal nostro amore che si carburava continuamente di tanto altro amore proveniente dalle parti più disparate: un’esperienza di vita veramente “al massimo”.
Ora la fine della presenza fisica di Luca fra noi non deve portare allo spegnersi di questo motore, sarebbe veramente il fallimento di una grande prova (forse è stata la prova generale, adesso comincia la recita). Così il grande sforzo di solidarietà sorto attorno al dramma di nostro figlio dovrà continuare nella direzione di altre giovani vite che sono nella prova e potrà donare ancora speranza a chi deve accompagnarli nella sofferenza.
Luca, dalla sua posizione privilegiata, ci aiuterà a trovare l’energia e le idee per mantenere saldo il nostro sforzo e vigilerà su di noi, deboli nella nostra volontà individuale, ma forti nella solidarietà, affinché continuiamo il cammino che ci ha permesso di trasformare una storia di dolore in una manifestazione della forza dell’amore.»
Questo l’appello che fece maturare un sogno, che scaturiva dall’esperienza di Luca, forse da Luca stesso.
Per questo nel 1998 abbiamo lanciato un’idea, discussa con il settore socio-sanitario del Comune, e fatta propria dall’Azienda Usl di Bologna che ne ha elaborato il progetto, poi curato architettonicamente da Oikos Ricerche con il sostegno del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Bologna e di tante altre preziose collaborazioni, un progetto che da subito si è incentrato sulla ricerca di risposte, le più efficaci possibili, alle angosciose domande e alle esigenze di aiuto di chi vive l’esperienza del coma di una persona cara.
La presentazione ufficiale del progetto della Casa dei Risvegli Luca De Nigris avvenne nel lontano 1999 alla sala centrale della Festa nazionale dell’Unità a Bologna.
«La volontà e l’energia di due genitori – scrisse l’allora assessore comunale Lalla Golfarelli – con l’aiuto dei tanti che si sono associati, ha provocato un’accelerazione nella risoluzione di un problema che il dolore per la perdita di Luca ha messo in evidenza. La vicenda di Luca poteva suggerire di abbandonarsi alla facile strada della malasanità e invece ha suscitato un progetto come “La Casa dei Risvegli” che ci aiuta a riflettere sui nostri servizi sanitari.»
Ricordo ancora le parole di alcuni altri relatori. Claudio Costa, fondatore della clinica mobile, una struttura medica di pronto intervento, per soccorrere i piloti infortunati durante le gare motociclistiche: «Quando E.T. va in coma ed è attaccato ai tanti tubi, macchinari e flebo, solo l’amore del suo amico, un ragazzo, riesce a svegliarlo e riportarlo alla vita. Proprio l’amore, assieme alla fiducia e alla speranza, può aiutare i pazienti in coma».
In quell’incontro il fisiatra e neurologo Roberto Piperno parlò di alleanza terapeutica: «In questa struttura – disse – è fondamentale il ruolo che assume la famiglia, l’importanza di una alleanza terapeutica tra la dimensione affettiva- emozionale e i professionisti della riabilitazione, Questa è una delle chiavi del possibile successo nel tentativo di determinare il risveglio».
Il pilota Loris Capirossi aggiungeva: «Bisogna anche allenarsi a conoscere le diversità, le esperienze rivolte agli altri ci aiutano nella volontà di creare qualcosa di nuovo».
La Casa dei Risvegli Luca De Nigris è oggi un Centro pubblico riabilitativo post-acuto di assistenza e ricerca (attraverso il Centro studi per la Ricerca sul Coma), aperto all’accoglienza degli ospiti e delle loro famiglie dal febbraio del 2005. Rappresenta un modello innovativo inteso a favorire nei soggetti giovani/adulti in stato vegetativo e post-vegetativo il recupero delle capacità relazionali, anche attraverso la convivenza continuativa con la famiglia e il ristabilimento di ritmi e riti familiari. Piccoli moduli abitativi e personalizzati sono in grado di offrire all’ospite punti di riferimento abituali, che gli consentono di confermare la sua identità nella fase detta di «risveglio nell’estraneità». Ambienti luminosi, di facile accesso, spazi verdi, sono le caratteristiche positive di questo Centro che è in grado di offrire ospitalità temporanea ai pazienti e ai loro familiari, fornendo loro assistenza riabilitativa specifica e continuativa, mediata dalla ricostruzione quanto più è possibile vicina al proprio contesto socio-familiare.
Se dalla Casa dei Risvegli Luca De Nigris oggi proviamo a guardarci indietro, l’altezza è strabiliante. Non è quella della collina dove il Centro sorge, ma molto, molto, molto più in alto. Ormai il punto da dove siamo partiti non si vede neanche più, eppure sappiamo benissimo dov’è. È da Luca che siamo partiti, il nostro Luca. Il figlio che tutti i genitori che hanno perso un figlio rimpiangono. È la cosa che ricordiamo meglio. Ricordiamo bene anche tutti i passaggi, tutti i tavoli di lavoro, tutte le donazioni, tutte le grandi passioni, tutti i piccoli grandi eventi. Quello che non riusciamo a sapere, quello che non riusciamo a capire, è come abbiamo fatto. O per meglio dire: sappiamo come abbiamo fatto, riusciamo anche a spiegarlo, molti ce lo chiedono. Molti vorrebbero creare altre Case dei Risvegli, e questo è anche il nostro obiettivo, il nostro desiderio, ma quello che cerco di far capire, con modestia, è che noi possiamo tranquillamente donare la nostra esperienza e farli partire da un punto diverso, più avanti del nostro, ma che c’è poi un’alchimia, una formula che non è decodificabile, è quell’ingrediente che c’è o non c’è. Qualcuno può parlare di energia, altri del fatto che la casualità non esiste e che tutto è un disegno che attraversa la fede o entra solo in un campo energetico, oppure… Il coma, gli stati vegetativi sono forse la condizione patologica più grave, anche dal punto di vista etico. Quando dopo la vicenda di Luca affrontammo queste problematiche nel ’97 ci rendemmo subito conto, nonostante la sua perdita ci avesse per la prima volta messo in contatto direttamente con la morte, che il coma aveva a che fare con la vita. Per questo abbiamo sempre rinnegato parole come «morte apparente», «corpi disabitati», come abbiamo rifiutato il «miracolo» e come ci battiamo per dare alla parola «risveglio» il suo giusto significato. Questa parola non deve essere rivolta soltanto alle persone che sono in una fase di grave cerebrolesione e attendono il Risveglio. Il Risveglio contiene dentro di sé un grande significato anche, e in maniera specifica, per i familiari che, trascorsa la fase più tragica e dolorosa, devono risvegliarsi alla realtà e impegnarsi ad acquisire consapevolezza e competenze, per riconquistare una nuova e propria «normalità», per ristabilire il rapporto con la comunità e favorirne il rientro al suo interno. La nostra storia non è dissimile da quella di altri genitori che hanno vissuto la nostra esperienza e si sono impegnati nel sociale, nel cercare di trovare risposte a un problema e un dolore che li aveva toccati in maniera diretta.
Spesso i familiari hanno bisogno di sentire partecipazione ai loro problemi più che essere inondati da spiegazioni tecniche. D’altro canto la competenza delle famiglie è universalmente riconosciuta. Siamo in un settore dove sono coinvolti i medici assieme a familiari, volontari e collettività in un percorso che poi dalla fase acuta e dal Centro di riabilitazione passa al domicilio. Lì ci rendiamo conto di quanta disuguaglianza ci sia oggi nel nostro paese tra territori serviti e coperti da una buona rete del volontariato e luoghi dove non si sa neanche cosa voglia dire la parola «volontario». Per questo la riabilitazione continua nella società, nei modi e negli stili di vita che giustificano la nostra normalità.
Tempo, osservazione e azione
L’esperienza della Casa dei Risvegli Luca De Nigris dal mio punto di vista tiene conto di un’esperienza vissuta, fondamentale. Il coma di Luca, l’esperienza di riabilitazione in un Centro straniero, l’essere genitori impreparati ma aperti all’emergenza, coinvolti nel percorso di riabilitazione. In quell’occasione il nostro villaggio, la nostra comunità nel rispondere all’appello de «Gli amici di Luca» per la raccolta fondi, fu indispensabile nel permettere a lui e a noi di intraprendere un viaggio. Un percorso che non avremmo voluto né potuto affrontare da soli, meno che mai in una terra straniera, eppure importante per la nostra conoscenza. Forse non fu altrettanto efficace nell’accompagnarci nel rientro a domicilio. Ma eravamo tutti abbastanza impreparati a quell’evento.
La nostra esperienza, come quella di altri genitori, si era formata sul campo. Prima in rianimazione poi nei Centri di riabilitazione in Italia e all’estero. Quello fu per noi un apprendistato molto forte che allora non sapevamo a cosa ci sarebbe servito e che solo dopo ci fu chiaro. Innanzitutto capimmo che c’era un tempodell’attesa che andava riempito, poi che c’era un’osservazioneche non poteva solo rimanere tale, ma che andava agita. Infine, la cosa più importante: c’era l’azione.
Tempo, osservazione e azione furono tre degli elementi che caratterizzarono la nostra esperienza.
Mentre la riabilitazione si compie è importante riempire la condizione dell’attesa «con un atteggiamento propositivo e positivo». Lo scriveva il pedagogista Andrea Canevaro parlando delle famiglie che assieme ai loro cari attraversano il coma in un percorso lungo, difficile, complesso. «È necessario essere aperti a qualcosa di imprevisto – continuava – nella con­dizione di accettare l’imprevedibile anche quando non corrispon­de ai nostri desideri. Essere combattivi, pieni di speranza, accettare la realtà senza volerla contrastare ma senza subirla o lasciarsi piegare da essa. Mai in solitudine.»
Era nell’ambito di un percorso socio-pedagogico dal titolo «Saper aiutare chi attende un risveglio», che metteva e mette in gioco energie sconosciute e mai attivate. L’attesa del risveglio è un momento in cui è importante l’osservazione, il punto di vista. E non possiamo fare a meno di esserci. L’attesa è accompagnata dalla «riabilitazione» processo in cui si è tutti coinvolti.
Si parla molto di riabilitazione. A questa parola non sempre si riesce a dare un significato preciso, è una parola che determina il tempo: il tempo della sanità e il tempo della famiglia. I due momenti dovrebbero essere in sintonia, ma spesso sono tempi declinati in maniera diversa. Ci sono molte persone che potrebbero essere titolari di questa parola, tutti professionisti, i medici sicuramente. I fisioterapisti, i logopedisti, gli psicologi, i neuropsicologi, gli infermieri, gli operatori socio-sanitari, i familiari e i volontari… (e qualcuno forse avrò dimenticato…). E allora scusatemi, se tutto è riabilitazione, se a questa parola diamo un significato globale, a questa lista va aggiunta la rete amicale e sociale, l’ambiente e tutto quello che serve a far sì che un percorso si compia. Potremmo forse dire che la riabilitazione è nell’aria, appena percepibile? Un azzardo. Certo non più forte dell’affermazione che ho sentito da esperti in una commissione ministeriale: «La riabilitazione bisogna farla fare a chi la sa fare». Intendendo con questo dire, che, per il bene della riabilitazione, le discipline e i professionisti che rivendicano la specificità della loro competenza devono, dovrebbero, forse, fare un passo indietro. Ho aggiunto io il forse, ma un atteggiamento così prudente riuscirebbe ad alleviare nei familiari le conseguenze derivanti dalla convivenza con la malattia. Noi eravamo abituati a conviverci, perché Luca era idrocefalo fin dalla nascita. Ma ci aveva anche abituati alla sua normalità. Quando Luca entrò in coma noi genitori affrontammo il percorso tipico di quanti si trovano davan...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. BUR Rizzoli
  3. Frontespizio
  4. Prefazione
  5. Introduzione
  6. Parte I
  7. Parte II
  8. Parte III
  9. Conclusioni
  10. Postfazione