Il contratto sociale
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Il contratto sociale

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Il contratto sociale

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Luomo è nato libero, ma ovunque si trova in catene. A partire da questa severa e realistica constatazione, nel Contratto sociale (1762) Rousseau raccoglie una delle sfide decisive della modernità: la ricerca di un ordine politico fondato non sulla forza ma sul diritto. La versione del contratto proposta da Rousseau crea una comunità in cui il diritto di cittadinanza si esprime nella facoltà di partecipare alla deliberazione pubblica sulle leggi, che incarnano la volontà generale. In questa prospettiva lo stato civile diventa la premessa per realizzare la libertà morale. Questa edizione presenta un apparato di note nel quale il testo è puntualmente commentato e un Lessico minimo in cui sono illustrati tutti i concetti fondamentali dellopera.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2011
ISBN
9788858619711

NOTE

Avvertenza

1 Come Rousseau ricorda nel Libro X delle Confessioni, il «più ampio studio», cioè le Institutions politiques, era ancora «in cantiere» quando egli si trovava all’Ermitage presso Montmorency, dove era stato ospitato a partire dal 1756 da Madame d’Épinay; egli stesso confessa di aver rinunciato a terminare l’opera, che avrebbe richiesto ancora «molti anni di lavoro», ricavandone invece quel che poteva nello stato di avanzamento in cui era e di «bruciare tutto il resto» (in O.C., I, p. 516). Per quanto riguarda il «resto» dell’opera cui Rousseau fa riferimento (cioè se sia stata effettivamente scritta, se, parzialmente composta per la parte concernente il tema della confederazione tra Stati, sia stata distrutta poi dall’amico conte d’Antraigues) si veda la ricostruzione di Robert Derathé, in O.C., III, pp. 1431–1432. Un breve e non sistematico elenco delle questioni da affrontare in quella che avrebbe costituito la seconda parte delle Istituzioni politiche è contenuto nella Conclusione del Contratto sociale (libro IV, cap. 9). Nel Libro IX delle Confessioni Rousseau, dopo aver rammentato che c’era stato un tempo in cui aveva pensato alle Istituzioni come all’opera cui affidare il «sigillo della sua reputazione» (in O.C., I, p. 404), fornisce una sorta di estratto dei nuclei tematici conduttori di essa, che si ritrovano puntualmente nel Contratto sociale (cfr. O.C., I, pp. 404–405).

Libro I

2 «Les hommes tels qu’ils sont»: giudicando gli scritti, in parte editi e in parte manoscritti, dell’abate di Saint-Pierre, che si era impegnato a curare durante il soggiorno all’Ermitage, Rousseau, come ricorda nelle Confessions, vi aveva individuato il fondamentale difetto di basarsi sull’idea di «esseri immaginari», cioè guidati dalla sola «ragione» e immuni dalle «passioni»; la conseguenza sono «progetti […] impraticabili» e «sofismi politici» (Confessions, libro IX, in O.C., I, p. È ciò che appunto il Contratto sociale intende evitare esaminando le «leggi come possono essere» alla luce dei vincoli posti dal carattere problematico della natura umana. Cfr. anche Jugement sur la Polysynodie (in O.C., III, pp. 635–645, in particolare p. 638). Le leggi «telles qu’elles peuvent être» rappresentano invece l’elemento in cui si concretizza l’artificio umano, l’«art perfectionnée», e costituiscono la base portante della «machine politique», secondo quanto Rousseau scrive nella prima versione del Contratto sociale, correntemente indicata come Manuscrit de Genève (libro I, cap. 2, in O.C., III, p. 288).
3 La «giustizia» non può essere separata dall’«utilità» in due sensi. Quanto al primo, è così sintetizzabile: non ci si può attendere dall’uomo che segua le norme del diritto se non si dimostra che può farlo in una condizione che non lo costringa a contravvenire al suo primo. fondamentale e imprescindibile interesse, cioè quello della conservazione della vita. Quindi si tratta di individuare un criterio tale da assicurare la reciprocità degli obblighi che assumiamo attraverso il contratto: nessuno può essere infatti tenuto a seguire le norme che questo introduce se non ha assicurazione sufficiente che gli altri faranno altrettanto, poiché ciò significherebbe semplicemente mettersi a loro discrezione (cfr. Manuscrit de Genève [libro I, cap. 2], in O.C., III, pp. 284–285). Hobbes aveva già trattato questo problema, a proposito della legge naturale, nel Leviathan, Parte I, cap. 14 (tr. it. cit., p. 106). Successivamente Rousseau spiegherà come questa assicurazione è fornita dal contratto sociale nella versione che egli propone (cfr., più avanti, libro I, cap. 7). Quanto al secondo senso in cui va intesa l’unità di utilità e giustizia si veda la nota 43.
4 Per il significato dei termini «prince» e «législateur» cfr., più avanti, libro III. cap. 1 e libro II, cap. 7.
5 La repubblica di Ginevra.
6 Nella Dédicace al Discours sur les origines et les fondements de l’inégalité parmi les hommes (d’ora in poi Discours sur l’inégalité) Rousseau aveva indicato in Ginevra una «République» in cui «il popolo e il sovrano» sono una «sola persona» (in O.C., III, p. 111); definiva allora questa forma di regime politico un «governo democratico saggiamente temperato», usando un lessico che nel Contratto sociale cambierà (cfr., più avanti, libro III, capp. 4–6). In realtà l’accoglienza da parte dei detentori del potere effettivo a Ginevra – cioè i membri del Piccolo Consiglio, espressione delle classi più facoltose e influenti –, culminata il 19 giugno 1762 con la condanna dell’opera, dimostrerà quanto fosse diversa la Ginevra reale dall’ideale repubblicano espresso nella Dedica e sistematizzato nel Contratto.
7 Su questo passaggio si veda l’Introduzione.
8 È accennata la critica alla forza come criterio di legittimazione dell’ordine politico, che sarà argomentata poi nel capitolo 3 di questo Libro I. Vedi anche Discours sur l’inégalité, in O.C., III, p. 191: «il Despota è il Padrone solo finché è il più forte, e […] appena si può cacciarlo, non è in condizione di reclamare nulla contro la violenza. La sommossa che finisce per strangolare o detronizzare un Sultano è un atto giuridico alla stessa stregua di quelli mediante i quali egli disponeva fino al giorno prima delle vite e dei beni dei suoi Sudditi».
9 «Conventions.» Vedi, in questo Libro I, i capp. 2–5.
10 A partire da questo punto la struttura dell’argomentazione può essere schematizzata come segue: si tratta in primo luogo di contestare la plausibilità delle teorie relative all’origine e al fondamento dell’autorità che si richiamano alla natura, sia nella forma del diritto paterno (cap. 2; ma vedi anche Discours sur l’inégalité [Parte II], in O.C., p. 182, e Discours sur l’économie politique, in O.C., pp. 241–244), sia nella forma della superiorità innata dei governanti rispetto ai governati, sia infine nella forma del diritto del più forte (cap. 3). Si passa poi alla critica di quelle teorie contrattualistiche i teorici delle quali ritengono ammissibile che il contratto possa comportare legittimamente l’alienazione della libertà (il problema era già stato accennato nel Discours sur l’inégalité, in O.C., III, pp. 182–184). Infine (capp. 6–9) si procede alla fondazione di quell’unica versione del contratto che risponde al «problema fondamentale»: come trovare una forma di associazione che protegga «persona» e «beni» degli associati e in cui ciascuno, unendosi a tutti, possa obbedire solo a se stesso e quindi rimanere «libero come prima».
11 Il nucleo concettuale al centro di questo capitolo è costituito dal tentativo di motivare l’insostenibilità della tesi della disuaglianza naturale tra gli uomini come fondamento dell’«autorità naturale» del monarca. La confutazione che ne compie Rousseau nella prima parte del capitolo documenta, in alcuni punti quasi alla lettera, la dipendenza della sua posizione da quella assunta da Locke nei Two Treatises of Government. In the former, the false principles and foundation of Sir Robert Filmer and his followers are detected and overthrown. The latter is an Essay concerning the true Original, Extent, and End of Civil Government, London 1690 (la prima tr. francese è di D. Mazel per l’editore A. Wolfgang, Amsterdam 1691). In modo particolare nel Primo Trattato (tr. it. in J. LOCKE, Due Trattati sul governo e altri scritti politici, a cura di L. Pareyson, UTET, Torino 19823, pp. 71–225) l’obiettivo polemico esplicito di Locke è il Patriarcha di Robert Filmer (1680), esposizione esemplare dell’idea secondo cui il potere monarchico discende da quello di Adamo come padre del genere umano (R. FILMER, Patriarcha or the Natural Power of Kings, libro I; fu pubblicato in due diverse edizioni, presso Davis e Chiswell; tr. it. Patriarca o il potere naturale dei Re, in Appendice a J. LOCKE, Due Trattati sul governo e altri scritti politici, cit., pp. 591–602). L’eco, nel Contratto sociale, della confutazione lockiana è evidente (cfr., per esempio, del Primo Trattato, i capp. II e VI e, del Secondo Trattato, il cap. VI). Non è certo che Rousseau abbia letto il testo di Filmer ed è probabile che usi i riferimenti tratti dalla traduzione del testo di S. Pufendorf De jure naturae et gentium libri ocio (1672) ad opera di Jean Barbeyrac (Le Droit de la nature et des gens ou Système général des Principes les plus importants de la Morale, de la Jurisprudence, et de la Politique, H. Schelte et J. Kuyper, Amsterdam 1706, libro IV, cap. 2, § 10, nota 2). È invece molto più probabile che abbia letto altri due testi fondamentali della teoria paternalistica: A.-M. RAMSAY, Essay philosophique sur le gouvernement civil, où l’on traite de la nécessité, de l’origine, des droits, des bornes et des différentes formes de la souveraineté, selon les principes de feu M. François de Salignac de la Mothe-Fénelon (pubblicato con questo titolo a Londra nel 1721, mentre la prima ed. era intitolata Essay de politique … selon les principes de l’auteur de Télémaque, H. Scheurleer, La Haye 1719) e J.-B. BOSSUET, Politique tirée des propres paroles de l’Ecriture Sainte (Pierre Cot, Paris 1709). Su ciò cfr. R. DERATHÉ, Rousseau e la scienza politica …, cit., pp. 226–230. Il riferimento implicito, e ironico, a Filmer è nel capoverso finale di questo secondo capitolo; Filmer era stato citato espressamente nel Discours sur l’économie politique (in O.C., III, p. 244), in cui Rousseau aveva anche ricordato, senza nominarli, i «due uomini illustri» che lo avevano criticato, identificati invece espressamente nel Discours sur l’inégalité (in O.C., III, p. 182) in A. Sidney (Discourses concerning Government, Is. Littlebury, 1698; tr. francese, L. et H. Van Dole, La Haye 1702) e in Locke.
12 Una variante della teoria dell’«autorità naturale» («autorité naturelle»: cfr., più avanti, cap. 4), che non si identifica con la teoria «paternalistica» nella classica versione filmeriana, si basa sull’idea che l’autorità di un uomo su tutti gli altri è legittimata non dalla nascita, ma dalle sue superiori qualità intrinseche; è con riferimento a questa posizione che Rousseau rinvia a Ugo Grozio (Le Droit de la guerre et de la paix, libro I, cap. 3, § 15, tr. di J. Barbeyrac, P. de Coup, Amsterdam 1724) e a Thomas Hobbes, la cui matrice comune egli individua in Aristotele (Politica, 2, 1252 a-1252 b 1–8). Certo è alquanto sorprendente il ricondurre non solo Grozio, ma soprattutto Hobbes, ad Aristotele riguardo al tema della disuguaglianza naturale. tema precisato anche attraverso il richiamo a Caligola, tratto da Filone, De legatione ad Caium, 76, in cui appunto i governanti sono visti come pastori di greggi, cioè di esseri, quali gli animali, costitutivamente inferiori (Robert Derathé [in O.C., III, p. 1435] riporta il passo in questione, che Rousseau ha tratto probabilmente da una traduzione del port-royalista Arnauld d’Andilly). Infatti tutta la teoria politica hobbesiana parte dal riconoscimento dell’uguaglianza naturale degli uomini (basta rinviare al Leviathan, Parte I, cap. 13; tr. it. cit., pp. 99–104), e uno dei problemi centrali in essa è proprio quello di reperire un criterio di legittimazione – fondato non sulla natura ma sul contratto, quindi sul consenso – delle disuguaglianze che connotano la convivenza entro lo Stato, «persona» artificiale creata da individui che sperimentano le conseguenze distruttive della loro «uguaglianza di capacità» in condizioni di scarsità e sotto la spinta delle passioni (Leviathan, Parte I, cap. 13 e Parte II, cap. 17 [vedi la diretta critica ad Aristotele, nella tr. it. cit., alle pp. 141–142]). Sul «dominio paterno» si veda ivi, Parte II, cap. 20, in cui Hobbes precisa che tale potere richiede il «consenso» (tr. it. cit., pp. 166–169).
13 Cfr., nel Primo Trattato sul governo (cap. XI, § 141), la critica di Locke a Filmer su questo argomento (vedi anche R. Filmer, Patriarcha, libro I).
14 Questa è la prima linea argomentativa di Rousseau nel capitolo 3: la forza, essendo un mero fatto, non crea diritto e obbedire al più forte può essere un atto necessario ma non genera un dovere. La potremmo definire la confutazione su base normativa. La seconda linea argomentativa parte dal capoverso successivo, intrecciandosi peraltro sempre con la prima, e si avvale di un ragionamento in forma strategico-prudenziale: il potere basato sulla forza è strutturalmente instabile, perché basta che qualcuno riesca a conquistarne uno più grande rispetto a quello di chi attualmente lo detiene e il detentore di esso cambia (vedi qui anche nota 8). Le «conquiste del più forte» come origine delle società politiche erano state già evocate nel Discours sur l’inégalité (Parte II, in O.C., III, p. 179); Robert Derathé (in O.C., Ill, p. 1352) rinvia in questo caso all’articolo «Autorité» dell’Encyclopédie, scritto da Diderot, in cui si ritrovano gli stessi temi che ricorrono in Rousseau (si veda la tr. it. dell’articolo in Enciclopedia ...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. BUR
  3. Frontespizio
  4. Prefazione
  5. Libro I
  6. Libro II
  7. Libro III
  8. Libro IV
  9. Note
  10. Bibliografia