La stanza degli orrori
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La stanza degli orrori

Serie di Pendergast vol. 3

  1. 400 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La stanza degli orrori

Serie di Pendergast vol. 3

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Informazioni sul libro

Durante gli scavi per la costruzione di un grattacielo a New York, nel luogo in cui nell'Ottocento sorgeva un museo degli orrori, vengono scoperti trentase cadaveri spaventosamente mutilati. La polizia liquida il caso come opera di un ignoto serial killer d'altri tempi, ma l'agente dell'FBI Pendergast vuole vederci chiaro. Mentre comincia a indagare su un medico, dedito all'epoca a esperimenti su cavie umane, un misterioso assassino inizia a colpire con lo stesso modus operandi. Chi è veramente il Chirurgo, come la stampa lo ha soprannominato? Si tratta solo di un perverso e moderno imitatore, oppure esiste un'altra spiegazione, ben più terrificante?

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
ISBN
9788858623541

La stanza degli orrori

Dedica

Douglas Preston e Lincoln Child dedicano questo libro ai docenti e ai bibliotecari d’America, specialmente a quelli che hanno fatto una differenza nelle loro vite.

RINGRAZIAMENTI

Lincoln Child desidera ringraziare Lee Suckno, M.D., Bry Benjamin, M.D., Anthony Cifelli, M.D., e Traian Parvulescu, M.D., per la loro assistenza. Grazie anche alle mie famiglie, quella tradizionale e quella allargata, per il loro amore e il loro sostegno. Un grazie speciale a mia madre, Nancy Child, per i suoi efficaci consigli.
Douglas Preston esprime il suo apprezzamento a Christine e a Selene per i loro preziosissimi consigli sul manoscritto e, come sempre, vuole dire grazie ad Aletheia e Isaac. Vuole inoltre ringraziare James Mortimer Gibbons jr., M.D., per la sua utilissima consulenza medica.
Vorremmo ringraziare Jon Couch per il suo lavoro instancabile e incessante sui dettagli riguardanti le armi da fuoco presenti in questo libro. Siamo grati a Jill Novak per l’attenta lettura del dattiloscritto. E siamo particolarmente in debito con Norman San Agustin, M.D., chirurgo straordinario, per la sua prolungata consulenza sulle tecniche chirurgiche e per la revisione del manoscritto. E, come di consueto, esprimiamo il nostro profondo apprezzamento nei confronti di coloro che rendono possibili i romanzi di Preston e Child: Betsy Mitchell, Jaime Levine, Eric Simonoff e Matthew Snyder.
Anche se abbiamo impiegato i veri nomi delle strade di Manhattan, passate e presenti, le istituzioni pubbliche, le stazioni di polizia, le residenze e altre strutture citate nel romanzo sono di fantasia. In qualche caso abbiamo alterato la topografia di New York City in accordo con le necessità della storia.

OSSARIO

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1

Pee-Wee Boxer si guardò intorno nel cantiere, disgustato. Il capo era uno stronzo, gli operai un branco di falliti. E, peggio di tutti, il coglione alla guida del Cat non sapeva nemmeno come cominciare a manovrare uno scavatore idraulico. Forse c’erano di mezzo i sindacati, forse era amico di qualcuno. In ogni caso, da come guidava il macchinario sembrava che quello fosse il suo primo giorno al Queens Vo-Tech. Boxer rimase fermo a guardare, le robuste braccia incrociate, mentre lo scavatore addentava il cumulo di mattoni del vecchio edificio. La pala si piegò, si fermò all’improvviso tra uno stridore di stantuffi e ripartì, oscillando. Cristo, ma dove li trovavano quei buffoni?
Sentì uno scalpiccio alle proprie spalle e si voltò verso il capocantiere, che gli si stava avvicinando, il volto coperto da uno strato di polvere e sudore. "Boxer! Hai comprato i biglietti per lo spettacolo, o che?"
I muscoli si tesero sulle braccia massicce. Boxer finse di non sentire. Era l’unico in tutto il cantiere a intendersene di costruzioni ed era per questo che gli altri ce l’avevano con lui. A lui non importava. Preferiva restare da solo.
Sentì lo scavatore vibrare mentre attaccava il solido, vecchio muro di pietra. Stavano venendo alla luce gli strati inferiori di edifici precedenti, messi a nudo come una ferita aperta: di sopra asfalto e cemento, di sotto mattoni, pietrisco, altri mattoni. E ancora sotto, terra. Occorreva scavare in profondità, se si voleva che le fondazioni del grattacielo si piantassero bene nel suolo. Boxer guardò oltre la recinzione: fuori dal cantiere, le tipiche case in arenaria del Lower East Side se ne stavano rigidamente in fila sotto la luce brillante del pomeriggio. Alcune erano state ristrutturate da poco, altre lo sarebbero state presto, trasformando l’area in una zona residenziale di lusso.
"Yo, Boxer! Sei sordo?"
Boxer gonfiò nuovamente i muscoli, fantasticando per un istante di affondare il pugno nella faccia ossuta e accaldata del capocantiere.
"Sbrigati, metti in moto il culo. Questo non è uno show per guardoni." Il capocantiere sbirciò il ruolino di Boxer, senza avvicinarglisi troppo. Buon per lui.
Boxer si guardò intorno. I compagni del suo turno erano indaffarati ad ammonticchiare mattoni sul pianale di un camion, senza dubbio per rivenderli dietro l’angolo al primo yuppie che non chiedesse altro che di comprare vecchi mattoni mezzi rotti a cinque dollari al pezzo. Boxer s’incamminò lentamente, perché fosse ben chiaro al capocantiere che lui non aveva la minima fretta.
Si sentì un grido. Il fracasso dello scavatore s’interruppe di colpo. Dietro un muro di mattoni abbattuto dal Cat, nella parete si apriva uno squarcio dai bordi irregolari. Il manovratore balzò a terra. Accigliato, il capocantiere gli si avvicinò e i due uomini si misero a discutere animatamente.
"Boxer!" chiamò poi il capocantiere. "Tu che hai tempo da perdere... ti ho trovato qualcosa da fare."
Boxer cambiò lievemente rotta, come se quella fosse già la sua direzione, senza alzare gli occhi per mostrare di avere sentito. Voleva che il suo disprezzo nei confronti del capocantiere fosse ben chiaro. Gli si fermò di fronte, fissandogli gli stivaletti coperti di polvere. Piedi corti, uccello corto. Lentamente, sollevò lo sguardo.
"Benvenuto nel mondo, Pee-Wee. Da’ un’occhiata a questo."
Boxer degnò l’apertura di un rapido sguardo.
"Tira fuori la pila."
Boxer prese la torcia elettrica gialla che portava appesa alla cintola e gliela passò.
Il capocantiere l’accese. "Ehi, funziona!" esclamò, sorpreso dal piccolo miracolo. Si infilò nell’apertura. Sembrava un idiota, in precario equilibrio com’era sulla punta dei piedi, sopra un cumulo di mattoni, la testa e il torso invisibili nell’oscurità. Disse qualcosa, ma dall’esterno non si riuscì a sentire. Poco dopo riemerse. "Sembra un tunnel." Si passò una mano sulla faccia, lasciandosi una striscia nerastra sulla fronte. "Accidenti, che puzza c’è là dentro."
"Hai visto Tutankamen?" chiese qualcuno.
Tutti scoppiarono a ridere, tranne Boxer. Chi diavolo era Tutankamen?
"Spero proprio che non sia qualche cazzo di sito archeologico." Il capocantiere si rivolse a Boxer. "Pee-Wee, tu che sei forte e robusto, va’ dentro a guardare."
Boxer riprese la torcia e, ignorando gli sgobboni che gli stavano intorno, scavalcò il cumulo di mattoni e si affacciò all’apertura. Si accovacciò, puntando la torcia verso la cavità. Dall’ altra parte si apriva un lungo tunnel dalla volta bassa. Le pareti e il soffitto erano attraversati da crepe. Sembrava potesse crollare da un momento all’altro.
"Vai dentro o che?" urlò il capocantiere.
Si udì un’altra voce, in falsetto. "Ma non è nel mio contratto sindacale!"
Qualcuno ridacchiò.
Boxer entrò.
I mattoni sbriciolati avevano formato una specie di scivolo all’imboccatura del tunnel. Pee-Wee slittò, sollevando una nuvola di polvere. Ripreso l’equilibrio, puntò la torcia davanti a sé. Il raggio si arenava sulla nube di polvere. Dall’interno il tunnel sembrava ancora più buio. Attese che gli occhi si adattassero all’oscurità e la polvere si depositasse di nuovo a terra. Da fuori gli giungevano brandelli di conversazione e risate, come se arrivassero da molto lontano.
Fece qualche passo in avanti, scandagliando il tunnel con la torcia: stalattiti filamentose pendevano dal soffitto. Una corrente d’aria fetida gli lambì la faccia... topi morti, probabilmente.
Il tunnel sembrava vuoto, eccezion fatta per qualche pezzo di carbone. Su entrambe le pareti si allineavano lunghe serie di nicchie ad arco, un metro di larghezza per un metro e mezzo di altezza, ognuna murata alla bell’e meglio. Le pareti luccicavano di umidità e qua e là, nel silenzio, riecheggiava un coro di gocciolii. Il tunnel lo isolava dai rumori del mondo esterno.
Fece un altro passo, percorrendo le pareti e il soffitto con il raggio della torcia. La rete di crepe si estendeva sempre di più e qualche pietra sembrava sul punto di cadere dalla volta. Tornò cautamente indietro, rivolgendo di nuovo lo sguardo alle nicchie murate sulle pareti. Raggiunse quella più vicina. Un mattone era caduto e gli altri sembravano malfermi. Boxer si domandò che cosa ci fosse dietro quelle nicchie. Un altro tunnel? Un nascondiglio?
Puntò la torcia sul buco, ma l’oscurità dell’interno della nicchia era impenetrabile. Infilò una mano nel buco e saggiò uno dei mattoni. Come pensava, anche quello era pericolante; lo tirò, sollevando una nube di polvere rossastra; poi ne tirò via un altro e un altro ancora. Il fetore era sempre più forte. Illuminò nuovamente l’apertura con la torcia: c’era un’altra parete di mattoni, un metro più indietro. Puntò il raggio verso il fondo della nicchia. C’era qualcosa, un piatto, forse. Porcellana.
Boxer indietreggiò, gli occhi che lacrimavano nell’aria fetida e polverosa. La curiosità si scontrava con un vago senso di allarme. C’era proprio qualcosa, là dietro, forse antico e di valore. Altrimenti, perché avrebbero murato le nicchie in quel modo? Ricordava un tale che, demolendo una casa di arenaria, aveva trovato un sacco pieno di rare monete d’argento, per un valore di un paio di migliaia di dollari. Il tale si era comprato un trattore Kubota nuovo di zecca per il suo giardino. Se c’era qualcosa di valore, vaffanculo, se lo sarebbe messo in tasca lui.
Si tirò la camicia sopra il naso e si infilò nel buco con decisione, il braccio con la torcia teso in avanti. Per un istante restò immobile, come congelato. Poi fece un movimento inconsulto, battendo la testa contro il soffitto di mattoni. La torcia gli cadde all’interno, mentre indietreggiava, barcollante. Brancolando nel buio, batté la fronte e scivolò sui mattoni. Mentre cadeva, si lasciò sfuggire un urlo.
Per un istante, vi fu un silenzio assoluto. La polvere galleggiava verso l’alto, illuminata dalla debole luce proveniente dal mondo esterno. Boxer si sentì sopraffare dal fetore. Con un suono strozzato, cercò di rialzarsi e di strisciare lungo il pendio di macerie, verso la luce. Scivolò ancora, cadde faccia a terra, cercò di avanzare carponi. All’improvviso fu di nuovo fuori, alla luce, cadendo in avanti lungo l’altro lato del cumulo di mattoni fino a battere il viso a terra con violenza. Semistordito, sentì confusamente qualche risata, che s’interruppe di colpo quando si mise sulla schiena. Qualcuno gli si avvicinò, concitato. Alcune mani lo sollevarono, mentre le voci si sovrapponevano.
"Gesù Cristo, che ti è successo?"
"È ferito, è coperto di sangue."
"State indietro."
Boxer cercava di riprendere fiato e di controllare le pulsazioni frenetiche.
"Non muovetelo, chiamate un’ambulanza."
"È crollato il tunnel?"
La confusione era incessante. Finalmente, Boxer tossì e si mise a sedere. Tutti si zittirono. "Ossa", riuscì a dire solamente.
"Ossa? Come sarebbe a dire ossa?"
"Sta dando i numeri."
Boxer cominciava a tornare in sé. Si guardò intorno, avvertendo il calore del sangue che gli colava sul viso. "Teschi, ossa. A mucchi. A dozzine." Poi si sentì mancare e giacque di nuovo, sotto la luce limpida del sole.

2

Nora Kelly osservò fuori dalla finestra del suo ufficio al quarto piano. Il suo sguardo sorvolò i tetti in rame del Museo di Storia Naturale di New York, le sue cupole, i pinnacoli e le torri popolate di doccioni dalle fogge animalesche. Guardò oltre la distesa verdeggiante di Central Park, soffermandosi su un lontano palazzo sulla 5th Avenue, una parete solida, monolitica, come le mura di un gigantesco castello, tinta di giallo dalla luce autunnale. La bellezza del panorama non le procurò alcun piacere.
Era quasi l’ora della riunione. Represse un’improvvisa ondata di rabbia, poi ci ripensò: quella rabbia poteva esserle utile. Nel corso degli ultimi diciotto mesi, il suo budget scientifico era rimasto congelato. E in tutto quel tempo aveva visto il numero dei vicepresidenti del museo salire da tre a dodici, ciascuno con il suo bello stipendio da duecentomila dollari. Aveva visto il dipartimento Pubbliche Relazioni evolversi da piccolo, sonnolento ufficio frequentato da vecchi e geniali ex reporter in una suite brulicante di giovanotti elegantissimi che nulla sapevano di scienza o archeologia. Aveva visto i vertici del Museo, un tempo costituiti da scienziati e docenti, cadere in mano ad avvocati e specialisti nella raccolta di fondi. Ogni angolo a novanta gradi del Museo era stato convertito nell’ufficio di qualche funzionario. Tutto il denaro veniva investito nella raccolta di fondi, che a loro volta servivano per raccogliere fondi, in un incessante e onanistico ciclo continuo.
Eppure, si diceva Nora, quello non aveva smesso di essere il Museo di New York, il più grande Museo di Storia Naturale del mondo. Quel lavoro era una fortuna, per lei. Dopo il fallimento dei suoi sforzi più recenti, dalla singolare spedizione archeologica che aveva condotto nello Utah al prematuro fallimento del Museo Lloyd, quell’impiego era irrinunciabile. Questa volta, si era detta, avrebbe mantenuto il proprio sangue freddo. Avrebbe lavorato all’interno del sistema.
Si allontanò dalla finestra e si guardò intorno. Sistema o non sistema, non c’era verso di completare la ricerca sui collegamenti tra le civiltà azteca e anasazi senza un altro finanziamento. E, cosa più importante, le occorreva una serie accurata di datazioni al carbonio 14 su sessantasei campioni organici che aveva portato a casa durante il suo ultimo viaggio nel sud dello Utah, l’estate precedente. Sarebbero venute a costare 18.000 dollari, ma quelle maledette datazioni le erano indispensabili, se voleva riuscire un giorno o l’altro a completare il suo lavoro. Doveva fare subito richiesta per quella somma. Tutto il resto avrebbe dovuto attendere.
Era il momento. Si alzò dalla scrivania e andò alla porta. Salì una stretta scalinata e si ritrovò tra gli eleganti status symbol del quinto piano. Si fermò ad aggiustarsi il tailleur grigio fuori dall’ ufficio del Primo Vicepresidente. Quello era ciò che la gente capiva meglio: un vestito classico e uno...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La stanza degli orrori