Il declino del capitalismo
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Il declino del capitalismo

  1. 253 pagine
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Il declino del capitalismo

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"Il nemico più implacabile e più pericoloso del capitalismo è il capitalismo stesso: sia quando si lascia tentare dalle voci della morale, della religione, della cultura, che lo invitano a uscire dalla pura logica del profitto, sia quando tira dritto per la sua strada." Severino in queste pagine traccia un bilancio e fornisce un'interpretazione sullo stato attuale del capitalismo che, dopo gli eventi del 1989, sembrava avviato a una crescita illimitata, e che invece è destinato a un declino irreversibile. Uno scritto denso e provocatorio, che rovescia luoghi comuni. Un testo attuale, stimolante, ricco di spunti di riflessione.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2011
ISBN
9788858620601

1
Dove sta andando l’Est?

Gli entusiasmi per gli avvenimenti dell’Est sono lontani. Le speranze del 1989 sembrano illusioni. Nel mondo capitalistico si è pensato che il crollo del socialismo reale e la fine della guerra fredda avrebbero chiuso i problemi fondamentali tra Ovest ed Est, con gli Stati Uniti e l’economia di mercato alla guida del mondo. D’altra parte, ci si sta rendendo conto che l’arsenale nucleare sovietico continua a esistere e che nell’ex Urss il capitalismo stenta a decollare. Proprio perché Ucraina, Kazakistan e Bielorussia pretendono di controllare l’uso del potenziale atomico da parte del potere centrale sovietico, questo loro atteggiamento indica l’intenzione di mantenere unita la potenza nucleare dell’Est, che dunque continua ad essere competitiva rispetto all’arsenale nucleare americano. Anche se complicato dalle richieste di autonomia delle Repubbliche ex sovietiche, il «bipolarismo» Usa-Urss continua a esistere. Lo sostengo anche oggi, perché il bipolarismo non va inteso come un fatto primariamente economico, ma come un fatto primariamente militare.
Il bipolarismo continua a esistere anche se al potenziale nucleare americano sono coordinati quello inglese e francese (e israeliano) come al potenziale nucleare della Repubblica russa possono essere coordinati probabilmente con vincoli più stretti quelli dell’Ucraina, del Kazakistan e della Bielorussia, nell’ambito della Comunità degli Stati indipendenti (Csi). Che l’avversario fosse scomparso era un’illusione, perché l’ex Urss può rinunciare al socialismo reale, ma non alla propria potenza militare-industriale, nella lotta planetaria sempre più dura per la sopravvivenza. Anzi, l’Urss ha abbandonato – o all’Est si sta abbandonando – il socialismo reale proprio perché ci si è resi conto che esso costituisce il principale ostacolo all’efficienza del sistema economico che sta alla base della sua potenza militare.
È vero che avere come avversario l’Urss comunista e la Russia o la Csi postcomunista sono cose molto diverse, ma (sono vent’anni che lo sostengo) dopo la Seconda guerra mondiale la conflittualità Usa-Urss si è trasformata ben presto in una concordia discors, dovuta alla consapevolezza che all’opposizione ideologica tra capitalismo e comunismo era sottesa una più profonda comunanza di interessi: gli interessi che i Paesi privilegiati del Nord del Pianeta (più privilegiati all’Ovest, meno all’Est) hanno in comune rispetto ai popoli non privilegiati del Terzo Mondo e cioè rispetto ai giganteschi problemi determinati dalla pressione planetaria dei poveri sui ricchi.
Nel confronto con le economie occidentali l’economia della Csi si trova certamente in condizioni disastrose, ma è pur sempre incomparabilmente superiore a quella dei Paesi sottosviluppati. Tanto che non era sembrata utopica la richiesta dell’Urss di associarsi al gruppo dei Sette Paesi più industrializzati del mondo, mentre utopica sarebbe senz’altro sembrata se ad avanzarla fossero stati Paesi come l’India, il Brasile, la stessa Cina.
Larghi strati del capitalismo occidentale vorrebbero un Est aperto all’economia di mercato e disarmato. Tendono anzi a condizionare la concessione di aiuti economici alla Csi con la richiesta della smobilitazione del suo arsenale nucleare. Vorrebbero cioè una Russia, o una Csi, considerevolmente più ricca e infinitamente più debole, più appetibile per le sue ricchezze e del tutto incapace di difenderle dalla spinta destabilizzante che proviene dal Terzo Mondo. Vogliono la luna nel pozzo, perché in un mondo sempre più pericoloso è soltanto un’illusione che la Russia possa rinunciare a quella potenza militare di tipo superiore che solo ad essa e agli Stati Uniti consente di assicurarsi indiscutibilmente la sopravvivenza sulla Terra. L’ala conservatrice della classe dirigente sovietica (da cui è venuto il colpo di Stato del 1991) lo sa molto bene, e pur di conservare alla Russia il carattere di superpotenza sarebbe disposta a chiedere sacrifici ancora più pesanti alla popolazione e ad adottare le misure più energiche per reprimere gli scontenti.
Ma è inevitabile che le stesse popolazioni della Csi finiscano per comprendere che la smobilitazione nucleare sarebbe un pericolo incomparabilmente superiore a quello costituito dagli stenti economici. Sarebbe il suicidio. Sì che la crescita di questa consapevolezza – di cui esiste già una consistente avvisaglia nell’evoluzione della politica di Eltsin – è direttamente proporzionale alla crescita della delusione di chi mirava a una Russia economicamente più florida e militarmente debolissima.
Questo intento, proprio di una certa area del mondo capitalistico, è oggettivamente congruente alla politica iniziale di Eltsin e alle aspirazioni delle masse a cui tale politica era rivolta. Sostanzialmente, Eltsin si era presentato come chi era disposto a liquidare la potenza militare sovietica al fine di soddisfare i bisogni della gente. In seguito, ha chiesto invece sacrifici, ha tentato di concentrare nella Repubblica russa l’intero arsenale atomico sovietico e ha compiuto mosse di carattere autoritario.
Nella sua politica iniziale si esprimeva un progetto paradossale: dare alla gente un tipo di vita affine a quello delle società occidentali e, nello stesso tempo, smantellare la potenza bellica dell’Urss, che sola può assicurare la stabilità di questo tipo di vita contro le minacce che si addensano, ai confini meridionali dell’ex Unione Sovietica, lungo la linea che va dal Mar Nero al Mar del Giappone.
Forse la gente che in Russia ha dato il proprio appoggio alla politica radical-liberale di Eltsin, non sta ancora accorgendosi del carattere paradossale di quel progetto e non capisce ancora quanto sia illusorio e precario uno stile di vita analogo al consumismo occidentale e privo delle strutture militari-industriali di tipo superiore che sole, oggi, possono difendere tale modo di vivere. È però inevitabile che l’istinto di sopravvivenza finisca alla lunga col favorire quella consapevolezza.
Ma non ci sono soltanto le illusioni del capitalismo e delle «masse» sovietiche. Anni fa, la risposta alla domanda: «Dove sta andando l’Urss?» sembrava scontata: la crisi del comunismo è determinata dalle aspirazioni alla democrazia, all’economia di mercato o, per la Chiesa cattolica, ai valori cristiani. Si trascurava, con questa risposta, la circostanza che l’abbandono del socialismo reale non era dovuto a movimenti di massa, ma era l’effetto di un calcolo della classe dirigente sovietica, che prendeva sempre più chiaramente coscienza dell’impossibilità di amministrare in modo efficiente la società sovietica e il suo dispositivo industrial-militare con i criteri dell’economia pianificata.
Il sottinteso fondamentale di quella risposta – che oggi non sembra più così scontata come ieri – è che democrazia, capitalismo, cristianesimo siano il sole intorno a cui gravita il pianeta dell’Est. Ed è certamente vero che i pianeti gravitano intorno al sole. Ma è anche, questo, un concetto sviante, se si ignora che il sole stesso è in movimento, insieme a tutte le altre stelle della Via Lattea. Anche la democrazia, il capitalismo, il cristianesimo sono in movimento. L’Unione Sovietica si è diretta verso di essi; ma, essi, dove stanno andando? Se il loro movimento è più lento di quello dell’Est, non per questo è inesistente. E i movimenti più lenti, nella storia, determinano i cambiamenti più duraturi. Oggi si stenta a comprendere che democrazia, capitalismo, cristianesimo non sono punti di arrivo dell’evoluzione dell’Est, ma punti di passaggio e che non solo i Paesi dell’Est, ma anche quelli dell’Ovest stanno muovendosi verso una configurazione del mondo dove non solo il comunismo è lasciato alle spalle, ma anche i valori democratici, l’economia di mercato, la fede cristiana non sono più alla guida dei popoli, ma si trovano subordinati alla volontà mediante la quale l’apparato scientifico-tecnologico, assicurando la sopravvivenza ai popoli privilegiati, perpetua la propria sopravvivenza e tende ad accrescere indefinitamente la propria potenza.
Gli entusiasmi per gli avvenimenti dell’Est sono lontani e le speranze del 1989 sembrano illusioni. Ma in Europa e in America, a entusiasmarsi, a sperare e a illudersi sono state – e in qualche modo continuano ad esserlo – le grandi forze che attualmente guidano le società occidentali. Alla democrazia, al capitalismo, al cristianesimo sta capitando come a uno che si veda venire incontro una persona, più o meno sorridente: si predispone a salutarla e intrattenersi con essa, ma essa gli passa accanto e procede oltre. Stava andando altrove – anche se per andarvi doveva avvicinarsi a chi riteneva che stesse andando da lui.
Quella persona è la società sovietica. Sta diventando sempre più simile alle società occidentali, si fa loro sempre più vicina, ma per andare altrove, verso una dimensione in cui le società occidentali stanno esse stesse portandosi. Quando le forze che stanno alla guida di tali società avvertono di non essere il punto di arrivo dell’evoluzione dell’Est, ma un punto di passaggio – sebbene per molti aspetti obbligato –, si diffondono in esse le delusioni e il timore. Il problema fondamentale del nostro tempo riguarda appunto il senso del processo in cui tali forze, che oggi prevalgono sul socialismo reale – e che peraltro sono tra loro conflittuali – stanno avviandosi esse stesse, più lentamente, al tramonto.
Da quando Eltsin è stato eletto presidente della Repubblica russa si sono dunque scontrati all’Est tre progetti per controllare la liquidazione dello Stato marxista. 1) Il progetto dei «conservatori»: non si tratta di conservare il comunismo (nei proclami degli autori del colpo di Stato dell’agosto ’91 nell’Urss, non ci fu un solo accenno al comunismo o al marxismo), ma di salvaguardare l’efficienza e la competitività dell’apparato tecnologico-militare più potente del mondo (insieme a quello Usa), anche a costo di imporre alla gente sacrifici ancora più pesanti. 2) Il progetto iniziale di Eltsin, che era l’esatto opposto di quello conservatore e che si proponeva di soddisfare le aspettative di benessere economico e politico della gente anche a costo di smantellare la potenza tecnologico-militare dell’Urss. 3) Il progetto di Gorbaciov: soddisfare quelle aspettative di benessere senza distruggere la potenza dell’Urss. Se la difesa dello Stato marxista non era e non è la preoccupazione primaria dei conservatori, essa non era nemmeno la preoccupazione primaria di Gorbaciov. Il suo progetto era di «mediare» gli altri due, facendo leva sulla convenienza, per il mondo occidentale, di aiutare l’economia dell’Urss.
Nell’estate 1991 scrivevo: «Gorbaciov potrebbe uscire presto dalla scena. Ma se la sua è la politica della “mediazione”, essa può avere le maggiori probabilità di successo» («Corriere della Sera», 4.9.91). Gorbaciov è uscito di scena e la politica della «mediazione» tra il progetto conservatore e quello del primo Eltsin è stato ereditato dal secondo Eltsin, le cui mosse più visibili tendono a conservare alla Repubblica russa, in posizione egemone nella Csi, il carattere di superpotenza che era proprio dell’Urss. Il progetto sostanziale di cui Gorbaciov era l’interprete si sta mostrando vincente, anche se l’interpretazione che egli ne dava conteneva dei fattori – soprattutto la volontà di tenere in vita uno Stato unitario sovrannazionale – che, almeno per ora, si stanno mostrando perdenti.
Al Consiglio di sicurezza dell’Onu tenutosi agli inizi del ’92, Eltsin ha proposto a Bush di abbandonare l’allestimento di uno scudo spaziale esclusivamente americano, per dar vita a un «sistema globale per la protezione della comunità mondiale», prodotto dalla collaborazione della tecnologia americana e russa. Con questa proposta Eltsin è venuto a riconoscere che il pericolo maggiore, per la Comunità degli Stati dell’Est e per tutti i popoli più o meno ricchi del Nord del Pianeta, è oggi costituito dalla pressione destabilizzante del Terzo Mondo. Si è accorto che la si può arginare solo tenendo alto il livello di efficienza di quell’apparato tecnologico-militare che all’inizio egli sembrava disposto a liquidare per andare incontro al bisogno di benessere della gente. E l’efficienza di tale apparato richiede oggi, sia all’Est sia all’Ovest, la sua riconversione, cioè la riduzione dell’armamento atomico allestito in funzione dello scontro ideologico Usa-Urss, e l’adozione di nuovi strumenti di difesa e di offesa commisurati alla minaccia crescente che proviene dal Terzo Mondo. (Ma va aggiunto, e lo sostengo da tempo, che era ingenuo ritenere realizzabile uno scontro atomico Usa-Urss – che non avrebbe prodotto altro che il dominio della Terra da parte delle grandi masse sopravvissute dell’Oriente e del Sud –, e che invece è molto più realistico ritenere che le forme più cruente di conflittualità possano realizzarsi lungo l’asse Nord-Sud.)
La proposta di Eltsin a Bush ha mostrato inoltre come proprio Eltsin sia divenuto l’erede della volontà dell’Urss di tenere in vita quella parità atomica con gli Usa, che verrebbe meno se quest’ultimi diventassero gli unici beneficiari dello scudo spaziale. Il problema è aperto: Bush e Clinton non hanno ancora risposto alla proposta di Eltsin. Ma è chiaro che, proprio perché il problema è sul tappeto, America e Russia continuano a considerare se stesse come i protagonisti della scena mondiale. Lo Stato marxista dell’Est è morto, ma non è morto l’apparato tecnologico-scientifico-industriale-militare che in passato aveva lo scopo di sorreggere e diffondere il comunismo nel mondo, ma che poi si è accorto di quanto il proprio funzionamento fosse ostacolato dall’ideologia marxista, e ha finito col liberarsi di essa.
La morte dello Stato marxista non è un semplice «fatto» che sarebbe anche potuto non accadere. Da un secolo e mezzo sta producendosi nelle società del Nord un insieme imponente di fenomeni essenzialmente analoghi al disfacimento dell’Urss. Si tratta della dissoluzione di ogni forma di assolutismo: in campo culturale, etico-religioso, politico, economico. Il Nord del Pianeta rifiuta ogni principio assoluto, ogni norma morale definitiva, ogni legge naturale inderogabile, le democrazie prevalgono sulle dittature e i totalitarismi, lo stesso capitalismo non concepisce più se stesso come legge naturale eterna, la scienza e la filosofia rinunciano ad ogni verità incontrovertibile.
In questo contesto, c’era da stupirsi che lo Stato marxista, fondato su una concezione filosofica assolutistica, fosse ancora vivo, non ancora travolto dal fiume della storia contemporanea (cfr. E. Severino, La tendenza fondamentale del nostro tempo, Adelphi, 1988; La bilancia, cit.). Le riforme di Gorbaciov erano quindi nell’ordine delle cose, andavano nella stessa direzione della corrente. Erano quindi fuori strada quanti ritenevano possibile nell’Urss la restaurazione dell’ortodossia marxista. Ed era lecito fare anche dell’ironia sui continui necrologi per un Gorbaciov che il giorno dopo mostrava di essere ancora in sella. Che egli sia stato defenestrato da Eltsin e in generale dai movimenti democratici e nazionalisti è dunque una conferma della sostanziale irreversibilità (peraltro conciliabile con involuzioni provvisorie) del processo che ha condotto alla morte dello Stato marxista. Così improbabile, la restaurazione dell’ortodossia marxista, che il Gorbaciov che ne sarebbe dovuto essere la prima vittima è stato tolto di mezzo dalle forze che hanno trovato troppo ingombrante la presenza dei dogmi marxisti nella sua politica.
Prevedendo il crollo dello Stato marxista, e distinguendo la decrepitezza di quest’ultimo dalla capacità di tenuta dell’apparato tecnologico-militare che lo aveva sostenuto, prevedevo dunque che il duumvirato Usa-Urss si sarebbe riproposto in nuove forme – come l’incontro di Bush e di Eltsin all’Onu, nel ’92, ha cominciato a confermare.

2
Resipiscenze e oscillazioni all’Est

L’interesse degli Stati Uniti è che gli aiuti economici favoriscano all’Est un tipo di società che subordini al risanamento economico ogni altro obiettivo: anche quello di salvaguardare la competitività del sistema militare sovietico. È come se dicessero all’ex Urss: «Noi ti aiutiamo, ma tu non servirti di quel che ti diamo per mantenere in efficienza la pistola che tieni puntata su di noi». La crisi economica, infatti, non ha intaccato la potenza militare e nucleare sovietica. In questo senso, come vado ripetendo, il bipolarismo Usa-Urss non è venuto meno, nonostante l’attuale, evidente, superiorità economica degli Stati Uniti.
La questione di fondo, oggi, non è se gli aiuti economici li si sarebbe dovuti dar prima o se era meglio aspettare, ma che carattere debbano avere gli aiuti a una società che pur non essendo più comunista pregiudica con la sua potenza militare la volontà degli Usa di porsi alla guida del Pianeta.
La politica radical-liberale di Eltsin sembrava all’inizio oggettivamente congruente all’interesse americano di non aiutare la competitività militare dell’avversario. Egli sembrava dare la priorità assoluta a una riforma economico-sociale i cui effetti benefici ricadessero prima di tutto sulla gente e che dunque sembrava disposta a rinunciare agli investimenti che avrebbero consentito all’Urss, e poi alla Repubblica russa, di mantenere il ruolo di superpotenza.
La posizione dei conservatori sovietici è invece l’esatto opposto di quella di Eltsin: mirano a una società che subordini tutto alla salvaguardia del proprio apparato tecnologico-scientifico-industriale-militare: anche a costo di scaricare sulla gente i costi di questo progetto. Lo scopo di chi in passato amministrava tale apparato era di difendere e diffondere il comunismo nel mondo. Poi ci si è accorti che il comunismo ostacolava il funzionamento dell’apparato. La morte del comunismo nell’Urss non è tanto dovuta alle aspirazioni democratiche dei cittadini di Mosca e della ex Leningrado quanto piuttosto al fatto che l’apparato si è liberato o si sta liberando dal comunismo (e da ciò che viene solitamente chiamato «apparato» del Pcus). Un fenomeno, questo, che ho previsto da vent’anni. Oggi, lo scopo dell’apparato non è più di salvare il comunismo, ma di salvare se stesso. Il mondo è sempre più affamato e pericoloso. La scienza e la tecnica hanno consentito di sviluppare nel Nord del Pianeta un’organizzazione sociale capace di arginare la pressione crescente delle popolazioni povere della Terra, e tale organizzazione si esprime nel modo più potente nell’amministrazione americana e, sia pure nel contesto di una economia in crisi, nell’amministrazione sovietica dell’apparato. Chi pensa di smantellarlo, come appunto accade o accadeva nell’ex Urss, è come un benestante che, circondato da individui affamati e malintenzionati, getti via la pistola. I benestanti armati, oggi, sono due, anche se l’ex Urss, altrettanto armata, è molto meno benestante degli Usa. Ma anche questo era prevedibile: che le pistole sarebbero servite sempre meno a spararsi tra loro e sempre più (opportunamente adattate) a sparare sui non benestanti pericolosi.
Si pretende dunque troppo a chiedere all’ex Urss di gettar via la pistola. All’inizio Eltsin e le «masse» che lo seguivano non avevano ancora preso coscienza dei termini del problema. Se la società russa vuole darsi lo stile di vita dell’Occidente anche a costo di ridurre o addirittura di privarsi della potenza tecnologico-industriale-militare di cui essa dispone, tale potenza è la condizione imprescindibile, come sopra si è rilevato, perché l’acquisizione di quel modo di vivere non sia effimero e indifeso di fronte alla pressione del Terzo Mondo. (E cosa potrebbe accadere quando il miliardo di Cinesi che stanno ai confini meridionali della Csi non proseguissero più lungo la strada del progresso economico e non fossero più trattenuti nei luoghi d’origine dal regime attuale?) L’aspirazione delle masse russe a vivere come in Occidente si morde dunque la coda, è un circolo vizioso, per quanto giustificate possano essere le aspirazioni di chi è sempre stato sacrificato alla ragion di Stato. Oggi è nel loro stesso interesse che debbano continuare a sacrificarsi alle ragioni dell’apparato; le ragioni che stanno oggettivamente dalla parte dei conservatori sovietici anche quando costoro mostrano di non rendersene conto. La Russia continua a finanziare il proprio potenziale militare (nonostante la vendita del materiale obsoleto), in modo da mantenerne la competitività rispetto agli Usa. Il che non esclude che la Russia si sforzi di concordare con gli Usa la riduzione degli arsenali nucleari (la quale peraltro assicuri la superiorità planetaria nucleare delle due superpotenze): questo sforzo, nonostante tutto, sottintende che, sostanzialmente, il vecchio principio della parità nucleare tra le due superpotenze continua ad essere perseguito anche all’Est.
Nel settembre 1991 scrivevo: «Gorbaciov potrebbe uscire presto dalla scena. Ma se la sua è la politica della “mediazione”, essa può avere le maggiori probabilità di successo. Si tratta di andare incontro ai bisogni economico-politici della gente e insieme di tenere in vita l’apparato attorno a cui ruotano le società dell’Est. Sembra la quadratura del circolo. Eppure esiste una situazione per la quale tale progetto non solo non è utopico, ma si è autorizzati a prevedere che il bipolarismo Usa-Urss sia destinato a una reviviscenza in forma nuova.
«Le democrazie occidentali si trovano infatti di fronte a un dilemma. Se l’Est non viene aiutato e crolla, esse si trovano di fronte alle conseguenze più incontrollabili e pericolose: le popolazioni dell’Est staranno con chiunque darà loro da mangiare e tenderanno a riversarsi nei Paesi dell’Europa occidentale. E...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. BUR
  3. Frontespizio
  4. Prefazione 2007
  5. Avvertenza
  6. 1 - Dove sta andando l’Est?
  7. 2 - Resipiscenze e oscillazioni all’Est
  8. 3 - Il Terzo Mondo e le trasformazioni dell’Est
  9. 4 - Monopolarismo e bipolarismo
  10. 5 - Ancora sulla previsione: del crollo del comunismo
  11. 6 - L’Europa tra America e Russia
  12. 7 - Socialismo reale, capitalismo,: democrazia, cristianesimo
  13. 8 - Il declino del capitalismo
  14. 9 - Il fine del capitalismo e il convitato di pietra
  15. 10 - Il dilemma del capitalismo: e la trasformazione del suo fine
  16. 11 - Il dilemma del capitalismo:: conferma della sua esistenza
  17. 12 - Guerra fredda, economia, ecologia
  18. 13 - Il conflitto tra capitalismo e tecnica
  19. 14 - «Obiettivi complementari»
  20. 15 - Democrazia americana e Chiesa cattolica
  21. 16 - Economia ed ecologia:: il fondamento della separazione
  22. 17 - Sull’«alternativa»
  23. 18 - Difesa dei privilegi, politica, tecnica
  24. 19 - I valori e la tecnica:: realizzazione del fine e limitazione del mezzo
  25. 20 - Etica e capitalismo
  26. 21 - L’uomo e la tecnica
  27. 22 - La tecnica, l’uomo, la tecnocrazia
  28. 23 - Realtà, mezzo, fine
  29. 24 - Autodistruttività: e contraddizione del capitalismo: (Riepilogo dei capitoli 7-23)
  30. 25 - Comunismo, capitalismo, crimine internazionale
  31. 26 - Prima variazione sullo stesso tema
  32. 27 - Seconda variazione: (Il terrorismo dosato)
  33. 28 - Terza variazione
  34. 29 - Quarta variazione: (Il terrorismo e il cambiamento politico in Italia)
  35. 30 - Quinta variazione: (Capitalismo e autoritarismo)
  36. 31 - A proposito della pena di morte
  37. 32 - La crisi del comunismo mondiale e il Psi
  38. 33 - Tam evidenter
  39. 34 - La Seconda guerra mondiale e l’Europa
  40. 35 - Essenza del nichilismo, marxismo, capitalismo
  41. 36 - Bipolarismo, guerra, Occidente