Capitolo primo
COME INTRODURSI ALL’INTELLIGENZA DELLA CHIESA
1. Un presupposto fondamentale
La Chiesa non solo è espressione di vita, qualcosa che nasce dalla vita, ma è una vita. Una vita che ci raggiunge da molti secoli a noi precedenti. Chi si accinga a verificare una propria opinione sulla Chiesa deve tener presente che per l’intelligenza reale di una vita come la Chiesa occorre adeguata convivenza.
L’intelligenza di una realtà che in qualche modo si colleghi alla vita esige un tempo difficilmente calcolabile. Vi sono connotazioni e aspetti in una realtà sorgente dalla vita che non si è mai finito di scoprire, scandagliare.
Conditio sine qua non per l’intelligenza della vita è la convivenza con essa. Normalmente l’individuo è tentato di porre un termine, una scadenza, previamente intesa o decisa a un certo punto. Per sfuggire a questa implicazione limitante occorre una particolare semplicità o lealtà. Altrimenti si impedisce la possibilità di un giudizio critico su quella forma di vita: diviene impossibile un minimo di oggettività.
2. Una sintonia col fenomeno
La Chiesa è una realtà catalogabile – qualunque sia la posizione di chi voglia affrontarla – tra i fenomeni religiosi. Qualcuno potrebbe giudicarla un fenomeno religioso alterato o alterante, di scarso interesse, qualcun altro potrebbe invece darne per scontata la validità, ma in nessun caso, credo, si può sfuggire al fatto di dover catalogare la Chiesa come realtà religiosa. Ed è precisamente questo che propongo di considerare innanzitutto.
La Chiesa è «vita» religiosa.
Uno psicologo e filosofo tedesco, Johannes Lindworsky, ha affermato che la prima condizione per una educazione, cioè per trasmettere una capacità di entrare nella realtà, è che i passi dell’individuo che si introduce al reale siano sempre motivati da qualcosa che poggi su un’esperienza da lui già acquisita.1 L’uomo, insomma, trova solo quello che in qualche modo si connette con qualcosa già presente in lui. Dico «in qualche modo» proprio perché i contatti, gli incontri, la trama dei rapporti chiamano l’interiorità, l’implicito dell’individuo, a una realizzazione più aperta, maggiormente evoluta. La trama dei rapporti attua, realizza la nostra fisionomia sempre più compiutamente proprio in quanto sollecita una realtà presente in noi, come attraverso una sintonia.
Se la Chiesa è una realtà religiosa, nella misura in cui in me l’aspetto religioso non è attivato o è infantilmente arrestato, in quella misura sarà più difficile poter giudicare oggettivamente, criticamente quel fatto religioso. Se affrontiamo, per esempio, un grande poeta del passato, come Dante Alighieri o Shakespeare, vibriamo subito davanti alle pagine che esprimono sentimenti che vivono oggi in noi e le comprendiamo più facilmente. I passi, invece, in cui il poeta si riferisce a una mentalità o prassi dell’epoca in cui è vissuto, proprio nella loro contingenza effimera, nel loro valore puramente momentaneo, risultano a noi molto ostici da capire. Una corrispondenza deve esistere perché si produca la comprensione.
È spiegabile, dunque, che nella situazione di ognuno di noi, nell’ambito mentale contemporaneo, vi siano delle difficoltà ad affrontare una realtà di tipo religioso. L’assenza di educazione del senso religioso naturale ci porta troppo facilmente a sentir lontane da noi realtà che sono invece radicate dentro la nostra carne e il nostro spirito. Al contrario, la vivacità di presenza dello spirito religioso rende più immediatamente facile capire i termini di una realtà come la Chiesa.
In questa situazione, la prima difficoltà nell’affrontare la Chiesa è una difficoltà di intelligenza, una fatica dovuta alla non disposizione del soggetto rispetto all’oggetto che deve giudicare: una difficoltà di intelligenza causata da una situazione non evoluta del senso religioso.
Durante una conversazione in cui ebbi occasione di essere coinvolto, un importante professore universitario si lasciò sfuggire questa frase: «Se non avessi la chimica mi ammazzerei!». Un gioco del genere, nella nostra dinamica interiore, anche quando non dichiarata, esiste sempre. Qualcosa c’è sempre che rende la vita degna ai nostri occhi di essere vissuta e senza la quale, anche se non si arrivasse ad augurarsi la morte, tutto sarebbe incolore e deludente. A quella «cosa», qualunque essa sia, senza alcun bisogno che sia teorizzata o espressa in sistema mentale – può essere infatti implicata in una banalissima pratica di vita – l’uomo offre tutta la sua devozione. Nessuno può evitare una finale implicazione: qualunque essa sia, nel momento in cui la coscienza umana vi corrisponde vivendo, è una religiosità che si esprime, è un livello di religiosità che si realizza.2 Il senso religioso ha come caratteristica sua propria di essere la dimensione ultima inevitabile di ogni gesto, di ogni azione, di ogni tipo di rapporto. È un livello di domanda o di adesione ultima inestirpabile da ogni istante di vita, perché la profondità della sua richiesta di significato si riverbera su ogni passione, iniziativa, gesto.
È chiaro, dunque, che se qualcosa sfuggisse a ciò che noi identifichiamo con quell’ultimo, con quel «dio» – comunque lo si intenda –, questo non sarebbe più l’ultimo, il «dio», perché vorrebbe dire che qualcosa di più profondo è dentro il nostro modo di agire e a quello in realtà noi saremmo devoti. L’ineducazione del senso religioso che denunciavo poc’anzi si documenta esattamente in questo: esiste in noi una ripugnanza divenuta istintiva a che il senso religioso domini, determini ogni azione coscientemente.
È precisamente questo il sintomo dell’atrofia e della parzialità dello sviluppo del senso religioso in noi: quella difficoltà estesa e greve, quella estraneità che avvertiamo quando ci sentiamo dire che il «dio» è il determinante di tutto, è il fattore al quale non si può sfuggire, è il criterio in base al quale si sceglie, si studia, si completa il prodotto del proprio lavoro, si aderisce a un partito, si indaga scientificamente, si cerca una moglie o un marito, si governa una nazione. L’educazione del senso religioso dovrebbe, da un lato, favorire la presa di coscienza di quel dato di inevitabile e totale dipendenza che esiste tra l’uomo e ciò che dà senso alla sua vita e, dall’altro, aiutarlo a espugnare col tempo quella estraneità irrealistica che egli prova nei confronti della sua situazione originale.
3. Mettere a fuoco l’originalità del cristianesimo
Questo tema del senso religioso è importante per capire l’originalità del cristianesimo, che è precisamente la risposta al senso religioso dell’uomo attraverso Cristo e la Chiesa. Il cristianesimo è una soluzione al problema religioso, e di questo la Chiesa è strumento, mentre non lo è a problemi politici, sociali, economici.
Gli errori più gravi in ogni percorso dell’uomo hanno sempre origine alla radice della questione. Quindi, essendo giunti all’ultima tappa del nostro «PerCorso»,3 sono voluto tornare a quel punto di partenza della nostra riflessione che, ineducato, è d’inciampo a ogni tappa del cammino, mentre, educato, è lievito insostituibile di un ragionevole progredire dello spirito umano.
Ricordando l’osservazione di Lindworsky,4 dovremmo dire che vivere la soluzione proposta dal cristianesimo al problema religioso implica che questo sia così vivamente sentito che l’uomo sempre sia pronto a sorprendere l’eventuale corrispondenza di mente e di cuore con il contenuto proposto, senza la quale ogni adesione è ideologia. Tale corrispondenza – insisto – si rivela all’interno di un senso religioso vivo, e quindi è favorita solo attraverso una permanente educazione di tale senso religioso.
È da esso che scaturisce l’ipotesi che il mistero che circonda tutte le cose, che penetra tutte le cose, si manifesti all’uomo. L’annuncio cristiano è che questa ipotesi si è avverata:5 il mistero è diventato fatto storico, un uomo si è detto Dio.
A questo punto incomincia a profilarsi il problema che ci interessa.
4. Il cuore del problema-Chiesa
Chi si imbatte in Gesù Cristo, sia un giorno dopo la sua scomparsa dall’orizzonte terreno, sia un mese dopo o cento, mille, duemila anni dopo, come può essere messo in grado di rendersi conto se Egli risponde alla verità che pretende di essere? Vale a dire: come può arrivare uno a comprendere se veramente Gesù di Nazareth è l’avvenimento che incarna quella ipotesi della rivelazione in senso stretto?
Questo problema è il cuore di ciò che storicamente si chiama «Chiesa».
La parola «Chiesa» indica un fenomeno storico il cui unico significato consiste nell’essere per l’uomo la possibilità di raggiungere la certezza su Cristo, nell’essere insomma la risposta a questa domanda: «Io, che vengo il giorno dopo quello in cui Cristo se ne è andato, come faccio a sapere se veramente si tratta di qualcosa che sommamente mi interessa, e come faccio a saperlo con ragionevole sicurezza?». Abbiamo già notato come non sia possibile immaginare un problema più grave di questo per l’essere umano, qualunque risposta si dia a tale domanda.6 Per qualsiasi uomo che venga a contatto con l’annuncio cristiano è imperativo cercare di raggiungere una certezza in merito a un problema così decisivo per la sua vita e la vita del mondo. Si può, ovviamente, censurare il problema, ma, data la natura della domanda, è come rispondervi negativamente.
È quindi importante che, oggi, chi viene dopo – e per di più molto tempo dopo – l’avvenimento Gesù di Nazareth, possa accostarlo in modo tale da raggiungerne una valutazione ragionevole e certa, adeguata alla gravità del problema. La Chiesa si pone come la risposta a tale esigenza di valutazione certa. È questo il tema che ci accingiamo ad affrontare. Ciò presuppone dunque la serietà della domanda: «Chi è veramente Cristo?», cioè un impegno morale nell’uso della coscienza di fronte al fatto storico dell’annuncio cristiano. Così come questo presuppone la serietà morale nella vita del senso religioso in quanto tale.
Se, inversamente, non ci si impegna con quell’aspetto inevitabile e onnipresente dell’esistenza che è il senso religioso, se sul fatto storico di Cristo si pensa di poter non prendere una personale posizione, allora la Chiesa potrà interessare solo in modo riduttivo: come problema sociologico, politico o associativo, per combatterla o difenderla in riferimento a questi aspetti.
Quale degradazione per la ragione essere squalificata in ciò che, appunto, rende più umana e compiuta la sua capacità di nessi e cioè il senso religioso autentico e vivo!
D’altra parte, di fatto la storia, noi volenti o nolenti, con nostra rabbia o con nostra pace, è attraversata dall’annuncio del Dio che si è fatto uomo.
Capitolo secondo
PRIMA PREMESSA: COME RAGGIUNGERE OGGI LA CERTEZZA SUL FATTO DI CRISTO
Seguendo la mia costante preoccupazione metodologica, devo a questo punto formulare due premesse, che come tali hanno ancora una funzione di approccio al problema che stiamo per trattare. Di tali premesse ciascuna risponde a una domanda fondamentale.
La prima è già stata esposta nelle riflessioni introduttive. È necessario tuttavia dettagliarla per ricercarne conveniente risposta: «Come è possibile, oggi, raggiungere una valutazione su Cristo oggettiva e adeguata all’importanza della adesione che pretende?». Il che equivale anche a dire: «Con quale metodo ho la possibilità di essere ragionevole nell’aderire alla proposta cristiana?».
Nella risposta a questa domanda si divide la cultura e si rivela l’atteggiamento dell’uomo verso la realtà tutta. Come dice il vecchio Simeone quando incontra Maria e Giuseppe mentre portano il loro bambino al tempio: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori».1 Davanti a Lui sono destinati a venire a galla i movimenti più intimi dell’anima, la stoffa morale più profonda.
Tre sono gli atteggiamenti culturali da cui emergono risposte diverse. Vorrei insistere, per inciso, che nel contesto del nostro discorso dire «tre atteggiamenti culturali» non equivale. semplicemente a sfogliare tre capitoli della storia culturale dell’Occidente, ma significa scovare le pieghe nascoste assunte dalla storia della coscienza dell’uomo di fronte al problema che stiamo trattando, e significa anche, in definitiva, indicare tre modalità che possono essere nostre, non tanto e non solo nell’affrontare la Sacra Scrittura, ma nell’affrontare le più diverse circostanze della nostra vita, da un incontro desiderato all’ammirazione per un cielo stellato!
L’atteggiamento culturale, infatti, nella sua valenza radicale di visione di sé e del mondo, investe la modalità stessa di rapporto con tutto. E ogni errore in quest’ ambito è la codificazione di una tentazione che subiamo tutti.
1. Un fatto nel passato
Il primo atteggiamento dei tre preannunciati può essere riassunto così: Gesù Cristo è un fatto del passato, così come lo sono stati Napoleone e Giulio Cesare. Come può dunque un uomo ragionevole raggiungere l’esistenza di Napoleone o di Giulio Cesare in modo tale da poterne dare un giudizio? Per trovare la soluzione la ragione dell’uomo si sente spinta dapprima a raccogliere tutti i possibili dati provenienti dal passato, i documenti, le «fonti». In seguito, nel classificare e valutare dette fonti, terrà presente anche, se non addirittura soprattutto, lo sviluppo del fatto che si esamina, vale a d...