CHERNOBYL
Il 26 aprile 1986 il mondo si trovò davanti a una sciagura temuta, ma fino ad allora ritenuta impossibile. Alle ore 1 e 23 minuti il reattore numero 4 della centrale nucleare Lenin di Chernobyl, in Ucraina, esplose, diffondendo una nube di materiali radioattivi su vaste aeree limitrofe e raggiungendo l’Europa orientale, i Paesi scandinavi, e contaminando anche altri Paesi dell’Europa occidentale. Ciò che accadde sconvolse la coscienza mondiale e il pericolo radioattivo, mostratosi reale, salì ai primi posti delle paure moderne, condizionando anche, in alcuni Paesi, le scelte politiche ed economiche.
Durante gli Esercizi spirituali degli universitari, tenuti nel dicembre del 1986, don Giussani si era a lungo soffermato sulla grave situazione in cui versa l’uomo dei nostri tempi, sulla forza penetrante del potere e della mentalità dominante, che tende ad atrofizzare l’umano che vive in ciascuno. «È come essere stati investiti dalle radiazioni di Chernobyl – disse in una conversazione, anticipando il tema che sarebbe stato svolto in questa Equipe –; l’organismo è strutturalmente identico a prima, ma dinamicamente non è più come prima.» La soglia della resistenza, della forza d’azione, della dinamica umana si era notevolmente abbassata, stravolgendo l’immagine umana. Poteva sembrare un problema morale, dovuto all’indebolimento della volontà; in effetti era molto di più, essendo la contaminazione giunta a intaccare l’intelligenza e la coscienza umana. Chernobyl divenne l’emblema della «debolezza della coscienza», che attanaglia l’uomo contemporaneo e gli impedisce di essere libero, positivo e costruttivo in questo mondo.
A un’università ormai abbandonata da molti e, da centro della vita culturale, civile e sociale del Paese, divenuta un’appendice trascurabile, la presenza delle comunità universitarie proponeva una riscossa, che coinvolgesse studenti, docenti e politici. Nel febbraio, all’Università La Sapienza di Roma, il convegno «L’università c’è ancora», promosso dai Cattolici Popolari, volle indicare una strada per questa ripresa.
Assemblea
Afferma la Statale: «La Scuola di comunità, la Giornata d’inizio anno e gli Esercizi ci hanno invitato a riconoscere la gravità della minaccia all’umano contenuta nella mentalità che ci circonda. Questa forza educativa ha cominciato a perforare la superficialità e l’inconsapevolezza che constatiamo in noi stessi e a cui tutto, intorno a noi, ci sospinge». La Cattolica scrive: «Quello che si sta verificando in questo momento, aiutati dalla Scuola di comunità, è l’assunzione cosciente della proposta contenuta nei gesti che compiamo». Oppure Ingegneria: «Soprattutto nelle persone nuove si distingue una sana posizione critica, di fronte tanto ai gesti comuni quanto al nostro stile di vita quotidiano. Ciò costituisce una chiara fonte rigeneratrice della comunità la cui portata è stata rinforzata dal lavoro di Scuola di comunità, quando questo è stato preso personalmente». Lo stesso dice la comunità di Architettura: «Se all’inizio dell’anno il lavoro sulla Scuola di comunità era spesso problematico, ci troviamo attualmente a dovere riconoscere in esso il maggiore aiuto alla comprensione di noi stessi e della realtà».
Si è prodotto, insomma, un inizio di coscienza che ha permesso di cominciare a rendersi conto della minaccia che la mentalità costituisce per la consistenza del nostro io. Di recente, descrivendo gli effetti del potere, don Giussani ha usato un’immagine efficace: «È come essere stati investiti dalle radiazioni di Chernobyl; l’organismo è strutturalmente identico a prima, ma dinamicamente non è più come prima».
I fatti citati, e altri ancora a cui non accenno, ci hanno aperto gli occhi davanti alla realtà e hanno favorito il sorgere di una domanda più consapevole a Cristo, come primo modo di rispondere alla vocazione, di consistere nella circostanza e di resistere di fronte al potere. «In questi giorni – scrive ancora la Statale –, nella prova del dolore che abbiamo sperimentato, si è evidenziata l’insostituibilità di un’amicizia che con forza ci indirizza verso il significato delle cose. Il cambiamento che da questo ha cominciato a fiorire non è nato da noi stessi, bensì dalla domanda a Cristo, non più sentita come elemento accessorio ai nostri rapporti, ma come espressione della coscienza di ciò che ci tiene insieme. La vita di ciascuno è sospinta a spalancarsi al rapporto con il destino, affinché possa essere piena.» E gli amici di Siena aggiungono: «La comunità è fiorita soltanto quando alcuni di noi hanno riconosciuto che la nostra amicizia è sostenuta e ordinata dalla presenza di un Altro. Egli agisce fra noi nella misura in cui abbiamo il coraggio di domandare e riguadagnare continuamente la nostra posizione umana più vera».
Da questa domanda vissuta è scaturito un albore di novità: l’inizio di una familiarità con Cristo. In tale accenno di familiarità si è cominciata a comprendere la vocazione come appello di un Fatto presente, che, accolto, ci abilita all’esercizio di un più profondo realismo. Scienze scrive: «La familiarità tra di noi non nasce dall’andare d’accordo o di pensarla nello stesso modo, ma da qualcosa di più radicale – che, personalmente domandato, si fa spazio in noi –: un’iniziale familiarità con Cristo. Di qui nasce una familiarità tra di noi e con gli altri, un rapporto nuovo con la realtà, una capacità di costruire con libertà e ragionevolezza. La vocazione non è fatto aleatorio o lontano, ma un avvenimento che ha la concretezza del presente e come luogo la realtà che viviamo». La stessa cosa dice la Bocconi: «L’amicizia e l’accoglienza, come la consistenza della vita, nascono dal rapporto con quel Tu che è origine e destino e che si fa compagno».
Una domanda vissuta e l’approssimarsi di una familiarità con Cristo sono i primi due aspetti del sommovimento citato, che attestano (terzo aspetto) una ragione e un’affettività in movimento. Così, quanto più si è familiari con Cristo, con l’implicazione di ragione e affezione, tanto più si comincia a contrastare l’azione del potere: non come gruppo, ma come mossa personale. Ancora una frase di Scienze: «Quando ci si accorge della riduzione che il potere opera su ciascuno di noi e della tracotanza con cui penetra in tutto e in tutti, rendendo ogni cosa indifferentemente dello stesso peso dell’altra, confondendo il male col bene, nasce dal cuore un senso di ribellione. Ma tutto ciò sta diventando fonte di speranza e desiderio libero di costruzione».
Dove l’esperienza che ho descritto (domanda, familiarità con Cristo, ragione e cuore attivati) è reale, la compagnia viene riconosciuta e vissuta per quello che è. Cattolica, Ingegneria, Architettura, Statale, Ferrara lo dicono in modi diversi. «Un dato sorprendente di questi ultimi tempi – scrive la Cattolica – è riscoprire l’utilità del rimanere dentro questa compagnia, perché essa ha in sé un’autorità che, una volta riconosciuta, diventa il punto di paragone e di consistenza del proprio io.» L’utilità della compagnia sta nel fatto che essa porta con sé un’alterità che è il destino del nostro io. «Questa compagnia – osservano quelli di Ingegneria – comincia a essere il luogo dove diventa chiara la tua vocazione, perché è il luogo del rapporto con un Altro. Ci sembra che la dimensione pedagogica più urgente sia allora quella dell’incontro come occasione in cui l’umanità di ciascuno è evocata alla scoperta della presenza per cui vale la pena vivere.» «È cresciuta – sottolinea la Statale – la consapevolezza di ciò che ci fa portare uno sguardo più serio sui rapporti tra di noi: l’altro è tramite ...