Capitolo quindici
Il primo testimone ascoltato dai giudici è il sudanese Lorenzo Aly, «musulmano convertitosi al cristianesimo», detenuto a Regina Coeli dove sbriga anche piccole commissioni. Nel febbraio 1918 ha accettato, dietro compenso, di recapitare un biglietto di Cavallini che però è stato intercettato dalle guardie.
Il messaggio diceva: «Sono persuaso che hai fatto e fai tutto quanto è possibile e ti sono e ti sarò sempre riconoscente. Ma però sono inquietissimo. Dimmi la verità, è meglio conoscerla per regolarmi. Dimmi chi è la persona, se è quella dell’altra volta. Dimmi se potremo avere la risposta. In ogni modo bisognerebbe riavere la nostra lettera. Mi raccomando tanto. Scrivimi un biglietto. Se siamo traditi è meglio saperlo subito».
Testo accorato, traboccante d’inquietudine, il cui più probabile destinatario, secondo il giudice istruttore, «è il Buonanno».
Anche se il suo italiano è incerto, Lorenzo Aly parla volentieri, ammette che già in precedenza Cavallini lo aveva incaricato di portare un altro biglietto al carcere femminile delle Mantellate.
Presidente E come mai avete taciuto fino a oggi questa circostanza?
Aly Il giudice istruttore mi minacciò, mi spaventò.
Avvocato Pavone A verbale, a verbale!
Tancredi Un momento. Che cosa vi disse il giudice istruttore?
Aly Mi ordinò di dire tutta la verità.
Tancredi E sono minacce queste?
Presidente Perché non voleste dire all’istruttore a chi era diretto il biglietto?
Aly Cavallini mi aveva promesso un compenso.
Presidente Alla signora Ricci era diretto il primo biglietto?
Aly Sì.
Avvocato Gregoraci Desidero che si chieda a Cavallini a chi era diretto il biglietto sequestrato.
Presidente Ha sentito?
Cavallini Fu una cosa innocentissima. La frase che è nel biglietto sequestrato, effettivamente diretto alla signora Ricci, «se siamo traditi», si riferisce al dubbio che la persona incaricata di consegnare il primo biglietto non lo avesse fatto. Io volevo notizie della salute della signora Ricci e speravo anche infonderle un po’ di coraggio.
Cavallini offre questo chiarimento con un rassicurante sorriso, senza minimamente curarsi del fatto che tra il tono sgomento del messaggio e la sua spiegazione di levità quasi mondana, non esiste nesso logico.
Sale a deporre il giornalista Luigi Lodi, uno dei più noti del tempo, amico di letterati, apprezzato da Carducci, sposato con Olga Ossani, giornalista anch’essa con lo pseudonimo di Febea, bellissima in gioventù; D’Annunzio, dicono, ha ritratto alcune delle sue fattezze nella Elena Muti del Piacere.
Lodi parla con voce risoluta, la sua opinione su Filippo Cavallini, che d’altronde ha già espresso in alcuni articoli, traspare quasi da ogni parola, più ancora dai sottintesi.
Racconta che una mattina dell’estate del 1917, al caffè Colonna, incontrò Brunicardi. In quei giorni si cominciava a parlare molto dell’affare Bolo e Brunicardi toccò subito l’argomento.
«Così» dice Lodi «appresi che Cavallini aveva conosciuto Bolo». Al termine della conversazione poi, Brunicardi gli propose di farlo incontrare al più presto con Cavallini.
Avvocato Romualdi Brunicardi disse mai al teste di aver avuto dal Cavallini notizie sul convegno di Torino?
Lodi A me sì, ma non in presenza di Cavallini, o almeno non ricordo.
Presidente Brunicardi affermò che Naldi aveva avuto dei fondi da Caillaux?
Lodi Sì, Cavallini non negò il fatto che Brunicardi affermava. Ricordo che disse questa precisa frase: Per eliminazione ci si potrebbe anche arrivare.
Presidente E l’affare dei buoi?
Lodi Bolo, avendo qui come suoi delegati il senatore Annaratone e l’avvocato Nuccio, avrebbe offerto al Ministero della Guerra 300 mila buoi. Il contratto sarebbe stato concluso, quando Brunicardi avvertì il presidente del Consiglio che si trattava di una frode perché la fornitura non sarebbe stata eseguita. Lo avvertì inoltre che l’utile degli offerenti sarebbe stato di sette milioni e che parte di questa somma sarebbe stata impiegata per la fondazione di un giornale. L’avvocato Lo Savio, quando il contratto sembrava sul punto di concludersi, udì Bolo pronunciare la frase: «Sono contento perché così metto a posto il giornale del Naldi». Lo Savio non riferì questo episodio ad altri perché sperava che Annaratone e Cavallini evitassero a un suo figlio il servizio militare al fronte.
Presidente Lei disse che uno dei giornali da acquistarsi era «La Stampa».
Lodi Avevo infatti sentito parlare anche della «Stampa» di Torino. L’affare poi non si concluse per il rifiuto del senatore Frassati.
Presidente In questa impresa dei giornali, Cavallini agiva secondo lei come emissario del kedivé o degli Imperi Centrali?
Lodi Posso dire soltanto che ebbi l’impressione che si volesse diffondere l’idea neutralista attraverso i giornali.
Avvocato Bozino Ma il teste è in contraddizione evidente. Si legga la sua deposizione scritta la quale dice così: «Penso che il Cavallini in questa impresa di acquisto di giornali non abbia agito tanto come emissario del kedivé ma come emissario degli Imperi Centrali avendo egli per mezzo del D’Adda rapporti diretti con la Germania»
Lodi Nessuna contraddizione. Ho voluto dire che l’affare passava oltre la persona del kedivé, che la campagna giornalistica implicava tutta l’azione germanofila in Italia.
Presidente Il giornale nuovo che si aveva intenzione di fondare era quello del Naldi?
Lodi So che vennero fatte offerte per la direzione all’onorevole Martini.
Avvocato Gregoraci Il Martini sarebbe stato il vero direttore del giornale o una figura decorativa? Quale indirizzo politico avrebbe avuto in ogni caso il giornale?
Lodi A me non può venire nemmeno in mente che un uomo come l’onorevole Martini serva una politica diversa da quella alla quale ha dedicato tutta la vita.
Avvocato Gregoraci Ai fini del tradimento della patria che cosa avrebbe potuto fare un giornale?
Lodi. Qualche giornale ha effettivamente dato prova che nonostante la censura si poteva lavorare per mezzo della stampa ai danni del Paese.
Avvocato Romualdi Prego il presidente di rivolgere al teste questa domanda: a proposito del convegno di Torino, Brunicardi disse che Cavallini vi aveva assistito?
Avvocato Pavone Una domanda simile non sarebbe stata permessa alla difesa Cavallini.
Presidente Questo non è esatto, lei ha sempre parlato troppo. Risponda il teste.
Avvocato Bozino (al presidente) Ma se lei è sempre pronto a proibirci di aprire bocca.
Presidente Nessuno ha il diritto d’insegnarmi a fare il mio ufficio. Andiamo avanti!
Lodi Se non ricordo male, Brunicardi si espresse come se Cavallini avesse assistito al convegno.
Avvocato Bozino (scattando) Ma tutto questo è assurdo. Bisogna finirla. Lei signor presidente dev’essere equanime.
Avvocato Pavone Non può essere permesso all’avvocato Romualdi di pronunciare due requisitorie in mezz’ora.
Romualdi Io ho chiesto regolarmente la parola.
Avvocato Bozino Qui fin dal principio c’è stata ed esiste tuttora un’assurda diversità di trattamento.
Presidente La prego avvocato, voglia smetterla.
Avvocato Bozino Macché smetterla, c’è una vera e propria diversità di trattamento tra l’ambasciata di Francia e noi…
Anche questo diverbio degenera rapidamente come i precedenti. Nella concitazione assordante delle voci, gli avvocati passano a «un incomposto scambio di invettive» così che il tribunale è costretto a sospendere ancora una volta l’udienza e a ritirarsi.
Nessuno si cura di rilevare nella deposizione di Lodi una contraddizione certo più evidente di quella richiamata dall’avvocato Bozino. Lodi dice d’aver avuto l’impressione che «attraverso i giornali si volesse diffondere l’idea neutralista». Dice anche però che mai l’onorevole Martini avrebbe servito una politica diversa dalla sua, cioè decisamente interventista.
Torna per la terza volta la domanda: come avrebbe potuto essere neutralista un giornale che Cavallini progettava di far dirigere a un uomo con quelle convinzioni?
Anche in questo processo, come in quello di Bolo, il vero enigma è in questo punto cieco che più volte viene sfiorato ma mai discusso. Quale indirizzo avrebbe dato il gruppo Cavallini al giornale che fosse riuscito a fondare o ad acquistare?
Né l’istruttore né il tribunale sono in grado di vedere nel cuore delle cose e in quest’incapacità, o in questo distogliere lo sguardo, si nasconde il profondo pathos di una storia nella quale le forze in urto, opposte su tutto, si equivalgono solo nell’inadeguatezza a sostenere fino in fondo la propria parte.
Se quella che si è celebrata in Francia contro Paul Marie Bolo può essere vista come una frettolosa tragedia giudiziaria, il processo italiano si distingue per la continua alternanza di mollezza e di rissosità. Chi non vorrà scorgere in questo uno dei caratteri autentici del Paese?
Per giorni continua la sfilata dei testimoni, a decine. La maggior parte di loro si presentano a confermare o a smentire, con deboli voci, particolari quasi irrilevanti. Una tra le poche deposizioni che aprano uno squarcio nella congerie di incerte o meschine memorie, è quella d’una ex cameriera: «Mauro Carolina fu Edoardo e fu Antonia Snidersig, nata a Gorizia il 3 novembre 1884, dimorante in Roma, via Calatafimi, 31». Nel momento in cui viene chiamata a deporre, la donna è impiegata come spedizioniera presso il commissariato per l’Emigrazione.
Per poco meno di un anno, dal maggio 1915 all’aprile 1916, la Mauro è stata seconda cameriera presso la famiglia di Mohamed Yaghen pascià. Prima a Roma poi a Losanna, ha assistito ad avvenimenti e attività che ai suoi occhi sono sembrati soprattutto «rapidi e improvvisi viaggi, lunghi e misteriosi colloqui».
Dagli Yaghen lavorava anche in quel periodo, come governante, una giovane donna francese, Renée Rivet, segretamente al soldo del controspionaggio del suo Paese.
In casa Yaghen, hanno detto le due donne, c’era un viavai fitto di telegrammi molto sospetti fatti di brevi frasi come «Maria non può venire» oppure «Rodolfo ti saluta», che quasi mai corrispondono a ciò che sembrerebbe indicare.
Spesso, di notte, la Rivet fa nascostamente entrare un uomo nella casa. Mentre la Mauro sorveglia le porte pronta a dare l’allarme, la governante e il suo visitatore frugano nei cassetti e nei cestini del pascià fittamente confabulando in francese a voce bassissima.
«Quando i giornali annunciarono la perdita della Benedetto Brin» ha raccontato la Mauro «il pascià fu preso da viva gioia e parlavano in casa dell’avvenimento con linguaggio molto ironico verso l’Italia.»
Uno dei telegrammi l’ha impressionata in modo particolare: «Una volta venne dal pascià spedito in Italia al D’Adda o al Cavallini un telegramma che suonava press’a poco:
COMPRAMI SERVIZIO DA TAVOLA ESSENDO STATO ROTTO QUELLO CHE AVEVO DA MARIA.
Nel telegramma stesso figuravano altri nomi di persone. Il servizio da tavola non esisteva, né in casa era stato rotto nulla».
È fin troppo evidente, conclude la Mauro e la polizia con lei, che esso celava un significato diverso da quello che appariva dalle sue parole.
Presidente Chi vide frequentare in Svizzera la casa di Yaghen?
Mauro Vidi venirci l’ingegner D’Adda e il Cavallini e avevano con il pascià dei lunghi colloqui che si tenevano al Palace Hôtel di Losanna.
Presidente E il suo principale faceva spesso dei viaggi?
Mauro Sì, andava a Vienna e a Berna e passava come mercante di caffè o negoziante di macchine fotografiche.
Tancredi Come seppe che erano il D’Adda e il Cavallini a visitare Yaghen?
Mauro Me lo disse la Rivet e poi cominciai a conoscerli anch’io.
Avvocato Bozino A chi era diretto il telegramma che parlava del servizio da tavola rotto?
Mauro Era diretto a Roma a Cavallini.
Avvocato Bozino Sa dove abitasse il D’Adda in Svizzera?
Mauro So che abitava in un villino vicino a Losanna e conviveva con un’amante.
Avvocato Bozino Ed era una signora austriaca l’amante del D’Adda?
Mauro Me lo disse la Rivet.
Presidente La teste precisi come si rese conto che Yaghen usava degli pseudonimi.
Mauro Noi raccoglievamo dal cestino i pezzetti di carta delle minute che il pascià scriveva.
Avvocato Bozino E chi aveva dato ordine alla teste di fare ciò?
Presidente Ma via, avvocato!
Avvocato Bozino No, la domanda è importante perché certo né la sua ordinanza né la mia cameriera fanno ciò.
Mauro Era la Rivet che lo faceva. Io sorvegliavo la porta perché non fossimo sorprese.
Presidente Come si rese conto che i colloqui di Yaghen erano in realtà dei complotti contro Francia e Italia?
Mauro Me lo disse la Rivet.
Avvocato ...