Il quadrato magico
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Il quadrato magico

Un mistero che dura da duemila anni

  1. 240 pagine
  2. Italian
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Il quadrato magico

Un mistero che dura da duemila anni

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È stato ritrovato su una colonna della Grande Palestra di Pompei, su rovine romane presso Budapest e sull'Eufrate, su manoscritti medievali, su papiri e amuleti copti ed etiopici, sulle pareti di decine di chiese europee; usato per guarire i cani idrofobi, come talismano dagli alchimisti, considerato simbolo satanico o semplice gioco enigmistico, da duemila anni non smette di incuriosire e affascinare. Anagrammando tutte le lettere si ottiene per due volte Pater Noster e le due A e O che avanzano equivalgono alle parole di Cristo "Io sono l'Alfa e l'Omega". Dunque il Quadrato deve essere un simbolo cristiano: ma com'è possibile allora che fosse presente a Pompei prima della disastrosa eruzione del 79 d.C.? Per la prima volta in Italia, Rino Cammilleri fa la storia del Quadrato e degli sconcertanti interrogativi che pone, svelandone la miniera di simboli, correlazioni, significati, rapporti numerici. Un'indagine rigorosa, stupefacente e avvincente.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
ISBN
9788858628324
Argomento
Geschichte

Prefazione

di Vittorio Messori



Sostengo da sempre che (salvo casi di patente masochismo), non esiste quella "gioia di scrivere" di cui parlano quasi solo coloro o che non praticano questo esercizio o che non trovano poi chi stampi le loro scritture. Esiste, semmai, la "gioia di avere scritto": il sollievo di avere finito, di essersi liberati da un’attività che non è affatto "naturale", che si rivela spesso un peso, un tormento.
E non mi si accusi di incoerenza: perché, allora, avrei passato la vita a scrivere, invece di praticare mestieri meno penosi? Ho la risposta pronta: tanto sono restio alla scrittura, altrettanto sono goloso di lettura. Dunque, per ciò che davvero mi interessa, non avendo trovato i libri che avrei voluto leggere, ho ceduto a un raptus di presunzione, tentando di farmeli da solo.
Inizio un po’ barocco. Eppure, giustificato. In effetti, mi permette di dire subito la mia gratitudine a Rino Cammilleri che, con le pagine che qui seguono, si è assunto —lui! — la fatica di scrivere una di quelle cose che avrei desiderato per la mia biblioteca. E non io soltanto, beninteso, come dovranno ammettere coloro che scorreranno il libro.
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Libro, di cui è oggetto l’enigma di quel "Quadrato" indicato tradizionalmente come "magico". Un aggettivo che, come è ovvio, mette in sospetto gli accademici ("che c’entra la magia?"), ma che può avere una sua giustificazione, se si considera il gorgo di scoperte inattese in cui sembrano farci entrare quelle venticinque lettere.
A conferma delle direzioni eterogenee verso le quali può spingerci, confesso di dovere il mio interesse per il Sator-Quadrat (per dirla come i tedeschi, suoi studiosi implacabili) nientemeno che ai Testimoni di Geova. In effetti, per anni, su un mensile cattolico, ho anticipato i capitoli di quello che divenne poi un volume sin troppo ponderoso: un’inchiesta sulla storicità dei racconti evangelici della passione e morte di Gesù. Morte in croce, come tutti sanno. Ma come non vogliono sapere — e su questo sono più che mai intrattabili — i seguaci della Congregazione fondata dal commerciante avventista americano Charles Taze Russell. Per i Geovisti, infatti, lo strumento di quella morte fatale non fu la croce, bensì un "palo": un semplice pezzo di legno verticale, senza la traversa orizzontale, le mani del suppliziato essendo raccolte e inchiodate sopra la testa.
Non è il caso, ovviamente, di spiegare le ragioni di questo singolare insegnamento imposto ai loro adepti dagli "Anziani" che siedono in un grattacielo di Brooklyn. Basti dire che, elencando almeno parte della sterminata documentazione antica che conferma come non di "palo" ma di "croce" si fosse trattato, mi venne in mente di fare un cenno anche al "Quadrato magico". In effetti, sia così come appare (con quei due TENET che si incrociano), sia, soprattutto, come rivela la sua "soluzione" (i due PATERNOSTER, essi pure incrociati), c’è nel Quadrato un richiamo preciso a quello che fu il simbolo cristiano sin dalle origini.
Naturalmente, già più volte le mie ricerche avevano sfiorato quelle cinque righe. Ma, sino ad allora, non avevo approfondito la questione, limitandomi alle informazioni sommarie di cui dispone chiunque si occupi di storia degli inizi cristiani.
Fu, dunque, per replicare alle eccentricità geoviste che decisi di stringere da vicino il Quadrato. Operazione a rischio, ovviamente: come già successo a tanti altri prima di me, l’iniziale divertissement dell’elegante gioco enigmistico lasciò il campo prima alla sorpresa e poi, addirittura, a un qualche sconcerto. Ma sì: una sorta di inquietudine, nel constatare la densità quasi insondabile di simboli, segni, segnali qualcuno era riuscito a concentrare in un mezzo così semplice e "povero". Scoprendo anche soltanto una parte (e piccola, come dovevo constatare) di quanto è celato nel Sator-Quadrat, nasceva una domanda singolare ma, forse, non improponibile, almeno nella prospettiva del credente. Data, cioè, per scontata l’origine cristiana di quelle venticinque lettere (e Cammilleri, qui, ne analizza bene le ragioni), non era per caso ipotizzabile una qualche "ispirazione" che avesse guidato l’anonimo autore? Difficile, infatti, ammettere che solo la genialità umana fosse qui in campo. Per caso, non era paradossalmente più facile ammettere un enigmatico input di Colui che (per dirla con Paolo di Tarso) si manifesta "per ombre, orme, enigmi", che vuole essere "cercato nel chiaroscuro"?
Avventuratomi, comunque, nella selva delle interpretazioni, mi imbattevo in una bibliografia tanto sterminata quanto insoddisfacente. Da una parte, studi di universitari e di dotti preoccupati, al solito, di "demitizzare" a ogni costo o di regolare conti accademici e ideologici con colleghi. Dall’altra parte, approssimazioni, imprecisioni, esagerazioni, quando non deliramenta del sottobosco di visionari e di dilettanti, attratti (come sempre) laddove si annusi sentore di "misteri". Temevo, insomma, che il diavoletto dell’impazienza, se non della superbia, stesse per farmi cadere nella trappola consueta: questo che leggo non mi appaga; conosco i miei gusti, so quel che cerco; dunque, vedo di prepararmi io stesso quel che mi piacerebbe leggere...
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Ebbene: per una volta almeno, una qualche provvidenza ha voluto risparmiarmi una fatica per giunta incerta, che non sapevo affatto se mi avrebbe portato da qualche parte. In effetti, è Rino Cammilleri (e il suo coraggio sia apprezzato quanto merita!) che ha tentato di riempire il vuoto che, almeno in Italia, ci ha impedito sinora di avere un libro sul Quadrato al contempo “serio" e aperto a ogni possibilità. Non esclusa quella di un Enigma non dissolvibile, almeno per intero, dalla sola ricerca erudita.
Certo: ogni scrittore (anche se, come qui, di saggi) è tale proprio perché, nell’affrontare un tema, vi riversa personali sensibilità, nozioni, gusti, interessi, tagli interpretativi. Cammilleri non sfugge alla regola, essendo oltretutto uomo e studioso dalla personalità precisa. Quel che qui presenta, dunque, non è il libro sul Quadrato; bensì un libro. Tale, comunque, da costituire una novità nel nostro panorama editoriale dove, per quanto io sappia, non è mai stata proposta al lettore una simile, massiccia, e al contempo avvincente, informazione su questa summa di segni e di significati. Per moltissimi lettori queste pagine avranno un sapore di novità: saranno raggiunti, per la prima volta, da una "notizia" antica di quasi duemila anni. Qui troveranno un punto fermo; e, al contempo, inevitabilmente provvisorio. Sono infatti certo che, tra quei lettori, qualcuno sarà egli pure contagiato dal fascino singolare di questo singolarissimo "oggetto". E sospettando, probabilmente a ragione, che tutto non sia stato ancora detto e scoperto, riprenderà e approfondirà la ricerca.
C’è da augurarselo. Chi pensa che questo sia un semplice gioco erudito non ha ben compreso quale sia, qui, la posta. Cammilleri ne avverte i lettori sin dall’inizio, sin dal paragrafo "Materia delicata" nel primo capitolo, e vi torna su più volte, sino alle pagine in cui tira le fila. Nato agli esordi, in penombra, della fede nel Cristo, questo Sator Arepo sembra avere qualcosa di importante da dire (e, forse, di non ancora interamente esplorato) a chi, oggi, si ostini a tenere fermo nella sua scommessa sul Vangelo.
Surge ai mortali per diverse foci la lucerna del mondo; ma da quella che quattro cerchi giugne con tre croci, con miglior corso e con migliore stella esce congiunta, e la mondana cera più a suo modo tempera e suggella.
Dante Alighieri, Paradiso, I, 37-42

Il Quadrato sulla colonna

Nel 1936 fu rinvenuto, negli scavi di Pompei, uno strano graffito. Uno, tra innumerevoli altri.
Gli antichi pompeiani, come i graffitari odierni, si divertivano a scarabocchiare sui muri: l’uomo è sempre lo stesso, lo stesso bambinone che, posto davanti a una parete bianca con un carboncino in mano, non sa resistere.
I graffiti di Pompei, per forza di cose anteriori alla disastrosa eruzione del Vesuvio che nel 79 d.C. cancellò per sempre la città, sono oggetto di severo studio da parte degli epigrafologi. Essi hanno dato e danno una notevole massa di informazioni sulla vita quotidiana, i costumi e la mentalità degli uomini che abitavano l’Impero Romano nel I secolo della nostra era.
Innumerevoli, dicevamo, i graffiti pompeiani: dai più sconci (come accade nelle odierne latrine) ai più colti e raffinati (oggi sui muri troviamo strofe di rock, allora erano versi di fior di poeti). Ma quello che qui ci interessa è una specie di gioco di parole tracciato su una delle colonne della Grande Palestra. Una tra le tante scritte che costellano quella colonna e le altre. Pochi centimetri quadrati di lettere, a circa un metro e mezzo da terra. Questo graffito, solo questo, attirò subito un’attenzione che non è più scemata. Eccolo.
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Gli archeologi si avvidero immediatamente che si trattava di una vecchia conoscenza. Era il cosiddetto Quadrato magico, una formula nota da un paio di millenni e che da un paio di millenni faceva impazzire tutti quelli che cercavano di tradurla o di penetrarne il significato. Ma proprio il ritrovamento pompeiano gettò parte degli studiosi nella costernazione e produsse negli altri vere esplosioni di entusiasmo. Perché?
È quello che ci accingiamo a esporre in questo libro.

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IL QUADRATO MAGICO

Cruciverba & quadrati magici

Chi è che non si è mai divertito, almeno una volta, con le parole crociate (meglio, incrociate)? Il passatempo più popolare è (ormai) nient’altro che questo: un passatempo. Il termine «enigmistica», infatti, compare solo verso la fine del secolo scorso e indica un’attività esclusivamente ludica, del tutto priva di intenzioni e connotazioni simboliche.
Ma in principio non fu così.
Acrostici, omofonie, indovinelli, appianandomi e altro attraversano la storia dell’uomo partendo fin quasi dai primordi. Un’intera tradizione di simboli criptici e alfanumerici viene ripescata dalla notte dei tempi, rilanciata in età ellenistica, percorre il Medioevo cristiano e raggiunge il parossismo nell’epoca umanistico-rinascimentale, quando i "filosofi" (in realtà maghi) impazziscono dietro agli appena ritrovati scritti gnostici del II secolo, scambiati per opere del mitico e antichissimo sapiente-mago Ermete Trismegisto. Questa tradizione, poi, perdendo via via la sua essenza comunicativa, approda ai giochi di corte e di qui ai salotti, per finire miseramente come riempitivo della solitudine individualistica dell’uomo moderno.
Tra il 1531 e il 1533, mentre la cristianità si spaccava per mano di Lutero, nel ribollire di profeti, riformatori, stregoni e alchimisti, il famosissimo Enrico Cornelio Agrippa di Nettesheim (1486-1535), "filosofo" rinascimentale, pubblicava De Occulta Philosophia sive de Magia. L’opera quasi non parlava d’altro che dei «quadrati magici» numerici, realizzati con i sette numeri, dal tre al nove, che sono analogicamente legati ai sette pianeti tradizionali, quelli, cioè, visibili a occhio nudo. Si comincia col quadrato del tre (perché con i quadrati dell’uno e del due non si può fare niente), riferentesi al pianeta Saturno: contiene i numeri da uno a nove disposti in un quadrato di tre caselle per tre in modo che la somma (detta «costante magica») di ogni riga o colonna o diagonale dia sempre quindici. «Questa tavola, incisa su un disco di piombo con l’immagine di Saturno glorioso, facilita i parti, rende l’uomo sicuro e possente e fa ottenere dai prìncipi quanto si chieda. Ma, se è dedicata a Saturno infortunato, è contraria agli edifici e ai campi, fa decadere dagli onori e dalle dignità, fomenta le liti e i disordini, fa disperdere le armate.» Così parlò Agrippa.
Il quadrato del quattro è quello di Giove, va dall’uno al sedici, la sua costante magica è trentaquattro. Lo si incide su argento per ottenere pace e ricchezze; su corallo come amuleto contro il malocchio. Un quadrato del genere (cioè a «costante magica» trentaquattro) figura nella famosa Melancholia di Albrecht Dürer (1471-1528), incisione del 1514. Il che dimostra che Agrippa non faceva altro che divulgare cose già note agli addetti ai lavori. Il quadrato di Giove produceva «giovialità»; il Dürer, esperto in materia, trascrisse i numeri in modo contrario per ottenere la «malinconia».
Lui e Agrippa "sapevano" che un quadrato che dà sempre la stessa somma doveva essere per forza «magico». L’avevano appreso, come tutti gli intellettuali a loro contemporanei, dagli antichi autori gnostici, i quali facevano corrispondere a ciascun pianeta (dal greco planétes che vuol dire «errante»; errante, cioè, rispetto alle stelle «fisse» dello zodiaco) un numero, una nota musicale, una vocale dell’alfabeto greco. I quadrati magici erano presenti anche nella tradizione greco-ebraica alessandrina (come vedremo, l’antica Pompei, patria del quadrato magico più famoso, aveva moltissimi scambi con Alessandria) e, in epoca successiva, in quella islamica, che li utilizzava nello sviluppo dei «nomi segreti» di Allah. Ma anche gli indù facevano uso di quadrati magici, e i màndala tibetani non sono altro che il loro corrispettivo orientale. Nella cabala ebraica i numeri corrispondevano a lettere dell’antico alfabeto giudaico, lingua sacra, e rimandavano, anche qui, ai nomi segreti di Dio, dei demoni e così via.
Questi quadrati magici ebbero un’impressionante boom in Europa quando vi furono fatti conoscere (pare), nel 1420, dal matematico bizantino Moscopulo. Dovevano essere per soli "filosofi" iniziati, ma Agrippa li divulgò suscitando le rimostranze dell’altrettanto famoso abate Tritemio, il quale accusò il collega di imprudenza. Ma ormai Agrippa l’aveva fatto e tutti seppero, tra l’altro, che il quadrato del sei è legato al Sole: sei caselle per sei, numeri da uno a trentasei, costante magica centoundici. Da incidere, ovviamente, su oro e da portare sul petto (in modo che posi, altrettanto ovviamente, sul plesso solare). Qui però bisogna stare attenti, perché la somma dei numeri da uno a trentasei dà seicentosessantasei, il «numero della Bestia» o «dell’Anticristo» secondo l’Apocalisse. Per i maghi, è il numero di Sorath, il «demone del Sole».
Il quadrato di sette è quello di Venere: numeri da uno a quarantanove, costante centosettantacinque. Indovinate a cosa serve. Mercurio ha otto, da uno a sessantaquattro, costante duecentosessanta. Curiosamente, un quadrato magico mercuriano l’abbiamo quasi tutti in casa: è la scacchiera, un quadrato appunto di otto caselle. In fondo, Mercurio era il dio della sorte, del gioco d’azzardo, dell’astuzia (ma anche del commercio e dei ladri). La Luna ha il nove, dall’uno all’ottantuno, costante trecentosessantanove. Da portare su argento per la buona fortuna, su piombo a scopo malefico.

Un quadrato "marziano"

Ora, in questa sede ci interessa particolarmente il quadrato magico del cinque, contenente i numeri da uno a venticinque e legato al pianeta Marte. La costante magica (ripetiamo: la somma di ogni riga o colonna o diagonale) deve essere sessantacinque. Secondo Agrippa va incisa su ferro o su una spada per diventare invincibili in guerra; su corniola ferma le emorragie; su rame fa danni ai nemici. Il più celebre ed enigmatico quadrato di questo genere (il cosiddetto «sator-arepo») è l’oggetto del presente libro.
Secondo l’Enciclopedia Britannica esso non è altro che la versione alfabetica del quadrato numerico di Marte. Infatti, il più delle volte si trova scritto in rosso, colore "marziano" (o...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il quadrato magico