Veronica meretrice e scrittora e altre commedie
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Veronica meretrice e scrittora e altre commedie

La terza moglie di Mayer Camille

  1. 168 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Veronica meretrice e scrittora e altre commedie

La terza moglie di Mayer Camille

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Informazioni sul libro

Tre testi teatrali freschi e attuali, in cui Dacia Maraini ripercorre le vicende di donne affrancate dalle convenzioni, simbolo di coraggio e creatività. La storia di una delle cortigiane più celebri del Cinquecento, Veronica Franco, che fu apprezzata poetessa, donna indipendente dall'intelligenza vivace e dal carattere intraprendente. Poi la vicenda dell'incontro, nato dalla storia d'amore dei loro figli, tra Carla, una traduttrice divorziata di mezz'età, e Federico, musicista più volte sposato, che si sviluppa in un gioco di verità celate, prendendo lentamente i colori della seduzione. Infine la vicenda di Camille Claudel, amante e musa di Auguste Rodin, ma soprattutto scultrice impetuosa e donna che ha vissuto libera e senza regole fino alla fine, fino alla follia. Un inno alla forza della femminilità, in cui si riflette la condizione della donna in ogni epoca.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
ISBN
9788858626504

VERONICA, MERETRICE E SCRITTORA

due atti
(1991)

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PERSONAGGI

VERONICA, meretrice
ANZOLA, suora
DOMENICO VENIER
PAOLO PANIZZA
GASPARA
MARCO VENIER
MAFFIO VENIER
RE ENRICO
RIDOLFO VANNITELLI
MONSIGNORE
Lazzaretto. Corpi sparsi sul pavimento, grandi finestre che illuminano con luce dolce una visione di estremo squallore e abbandono

PRIMO ATTO

VERONICA: In mezzo ai moribondi, in mezzo ai moribondi, buon Dio... che canchero sto facendo qua? (Si guarda intorno. Si china su una delle forme coperte. Ne scopre appena la testa) e questo? un giovane, che ciglia lunghe! sembra che dorma... che ci fanno sulle tempie questi due sbaffi neri... (Avvicina una mano alla bocca di lui) non respira... è morto! sorella! qui c’è un morto e nessuno se lo piglia! due sbaffi neri, due ditate... come se la peste, trac, l’avesse stretto alle tempie... così fanno le levatrici per tirare al mondo un figlio... lui è stato tirato di là, nel mondo delle... delizie... (Pensando) Un prato di un verde dolce dolce, degli alberi di fico, un fiume trasparente e il fruscio del vento... ma perché, per andare in un posto tanto bello ti devono tirare per la testa, facendoti imputridire il fiato in gola? (Camminando su e giù ripensa alla scena col medico) Avete le ghiandole gonfie, siora, avete qua due bozzi che parlano chiaro: siete malata. Io malata? voi farneticate, sior dottore! Eh no, cara voi, siete proprio malata... Io non sono malata, medico dei miei coglioni... Se continuate a parlare come una mamola vi mando fra i moribondi... Ma io sono una mamola, coiun!... Se lo siete non apparite come tale. Grazie, ci ho messo una vita a imparare l’arte... L’arte, ah ah... Sì, ridete, sior sapiente, che ne sapete voi dell’arte? siete un artista forse? no, e allora, tacete... E lui, brurubum, mi ha sbattuta qua fra i moribondi... Signore mio celeste, aiutatemi!... tu che conosci le piaghe, i dolori... ma che ne potete sapere di una puttana che si è mangiata il cuore! che ne potete sapere!... Dov’è lo specchio, sorella! dov’è lo specchio! devo specchiarmi, sorella, devo specchiarmi... dov’è quell’accidente di specchio, dov’è? mi hanno tolto tutto, questi maledetti... Avevo uno specchio in tasca... avevo delle monete... dove le avete cacciate?... devo guardarmi in faccia... devo... Io, se perdo la faccia, sorella, perdo tutto: la casa, i vestiti, la tavola... ogni cosa, ogni cosa è legata a questa faccia di donna... dove l’avete messo il mio specchio, per la madonna! che me ne faccio di una faccia gonfia, livida, malata! (Toccandosi) Lo sento, che è gonfia, lo sento... sono deforme... come farò?... Stupida piccola peste di merda! te la prendi con chi ha bisogno del corpo come un panettiere della sua farina... che canchero vuoi da me, peste, che vuoi? non lo vedi che non ti voglio, non ti voglio!
Cade per terra. Si rialza. Ricasca
VERONICA: Neanche un letto, questi porci... tocca morire sul pavimento di pietra... Sorella! (Ricasca. Sembra morta)
Entra una suora, Anzola, reggendo una candela, canticchia. Scopre i moribondi. Chiude le tende
ANZOLA: (cantando)
Mi sono fatta un paio di scarpette,
fatte sì ma pagate no...
E mi sento sempre dire dietro...
Bella biondina, pagate sì o no?
Giovedì sera, venerdì sera, sabato no...
E mi sento sempre dire dietro:
Bella biondina pagate sì o no?...
(Mentre canta) Questo l’è morto... (Si fa il segno della croce) Requiem eterna dona eis domine, requiescat in pacem, amen!... questa s’è andà, requiescat. Questa pure l’è morta... Requiescat... ma no, respira!... l’è ancora viva. Volete dell’acqua, siora? siora? mi sentite? le tempie nere non ce le ha... e che belle scarpe! ... Siora! che belle scarpe! Tali e quali a quelle di santa Barbara... (Canticchiando) Bella biondina, pagate sì o no?... Volete un poco d’acqua? no? se non la volete me la bevo io... ho sete... (Beve)... non sarà che mi sto ammalando anch’io?... se sarà l’ora, partirò. (Riprendendo a cantare) Mi son fatta un paio di scarpette, fatte sì ma pagate no...
VERONICA: Dammi l’acqua, puttana!
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ANZOLA: Allora state bene!
VERONICA: L’acqua!
ANZOLA: L’ho bevuta, mi dispiace... credevo che eravate morta...
VERONICA: Morta un corno!
ANZOLA: (ridendo) Ma voi state benissimo! me pare un’oca ’pena vegnuta fora da l’acqua.
VERONICA: (guardandola) Te la beccherai anche tu!
ANZOLA: Se mi ammalo mi ammalo. Se non mi ammalo non mi ammalo. Come vuole santa Barbara.
VERONICA: Guarisce la peste, santa Barbara?
ANZOLA: No... è la mia santa... io la notte ci parlo. E lei mi fa sì con la testa.
VERONICA: Vai a prendermi dell’acqua, sorella, mi muoio di sete.
ANZOLA: Vado. Basta che quando torno non ve trovo morta.
VERONICA: Ma quale morta. Io sono vivissima.
Nel dire questo cade come morta per terra
ANZOLA: Se n’è andata. Povera siora. Neanca il tempo di bere un goccio d’acqua. Che il Signore la benedica! Amen.
Anzola se ne va cantando. Sul centro del palcoscenico si illumina un quadrato.
Entra Domenico Venier zoppicando
DOMENICO: Veronica, angelo mio... Non so se abbiate mai riflettuto sulla vecchiaia che vi entra subdola nelle ossa e vi stira, vi torce, vi deforma senza che sappiate perché... il cuore si svuota... prende quel colore che hanno i deserti, di un miele sfocato, arso... non basta la pioggia a irrigarlo... ci vorrebbe un oceano d’acqua dolce... e invece si vedono solo le patetiche tracce di alcune gocciole nere che bucano la sua superficie come tanti scavi di termiti... Veronica, angelo mio... ma dove vi siete cacciata? da quando vi ho visto l’altro giorno in strada con quella pancia gonfia e protesa, non so, mi si è scaldato il sangue... potrei essere il padre di codesta creatura, ditemi? mi sentite? ma voi fate lo gnorri... Eppure so che potrei esserlo... vi confesso che non mi dispiacerebbe averlo concepito in voi... certamente prenderebbe da voi la bellezza e la grazia e l’intelligenza... ma da me vorrei che prendesse solo un certo chiaro e arzigogolato intendimento... una certa indolenza fertile della mente... la sola cosa che funzioni del mio corpo...
Invece di Veronica entra Paolo, il marito
PAOLO: E se fosse mio il figliolo?
DOMENICO: Ah siete voi, Paolo.
PAOLO: Se fosse mio?
DOMENICO: Avrebbe due orecchie lunghe, da coniglio.
PAOLO: Non vi preoccupate, signor Domenico Venier, il figlio non è mio ma neanche vostro.
DOMENICO: Come fate a esserne così sicuro?
PAOLO: Il padre è un gentiluomo ricco e generoso che, vedete, mi ha regalato questo medaglione d’oro circondato di rubini... vi piace?
DOMENICO: L’ha regalato a voi o alla siora Veronica?
PAOLO: Che differenza fa visto che siamo sposati?
DOMENICO: Sono sicuro che l’ha regalato a lei sola.
PAOLO: Moglie e marito, un solo partito...
DOMENICO: Sì, un solo bandito! ... ma sto scherzando...
PAOLO: Avete qualcosa da eccepire all’accoglienza che vi facciamo sempre, ser Domenico?
DOMENICO: Per carità: ottime cene, ottimi vini...
PAOLO: Nonostante i vostri difettucci fisici, le gambe che tritticano... le braccia come colli di gallina... i vostri eterni mal di testa... i vostri nervi che a volte vi fanno partire le braccia come fossero pale di mulino... nonostante questo, siete sempre stato accolto come un re, ammettetelo... E credo che Veronica non vi abbia fatto mancare il suo affetto...
DOMENICO: Toglietemi una curiosità: perché l’avete sposata?
PAOLO: Oh bella, perché ci si sposa? per amore.
DOMENICO: Mi stupisce la vostra completa mancanza di gelosia.
PAOLO: Se si sposa una donna come Veronica bisognerà pur rinunciare a ogni velleità di possesso. Pena: risultare ridicolo agli occhi di tutti.
DOMENICO: Che saggezza, signor Paolo, ma parlandovi con molta franchezza non penso che la signora Veronica abbia bisogno di voi.
PAOLO: Voi dite?
DOMENICO: Sì, lo penso.
PAOLO: E di chi avrebbe bisogno mia moglie?
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DOMENICO: Di una persona erudita, con molto agio, molta pazienza, e molto molto contante...
PAOLO: Uno come voi, insomma. Ma voi ci siete comunque, siete un buon amante. Forse per marito Veronica ha voluto, al contrario, un uomo giovane e in carne e magari anche belloccio...
DOMENICO: Giovane, in carne, belloccio... ma vi siete guardato allo specchio?
PAOLO: Vi verso da bere mentre aspettiamo?
DOMENICO: Come sua madre, sempre in ritardo.
PAOLO: L’avete conosciuta la bella Paula?
DOMENICO: In casa del vecchio Tron. E teneva tavola imbandita. Si mangiava a tutte le ore. C’erano sempre tre o quattro mamole che allietavano la cena; col liuto, i canti, le rime... poi finivamo tutti a letto... (Stanco di aspettare) Be’... ditele che ripasso domani.
PAOLO: Un momento... scusate... se intanto voleste saldare un conticino...
Paolo consegna a Domenico un foglio
DOMENICO: E già, voi li chiamate conticini!
PAOLO: Lo salderete un’altra volta... quando volete voi.
DOMENICO: Lo pagherò quando me lo chiederà la siora Veronica. Schiavo.
Domenico esce. Seguito da Paolo. Buio

Entra Veronica seguita da Gaspara
VERONICA: (incinta di nove mesi) Dammi carta e penna, Gaspara, devo fare testamento.
GASPARA: Ancora? l’avete già fatto due volte, l’è una vera e propria mania la vostra...
VERONICA: E se muoio partorendo?
GASPARA: Achillino l’avete fatto senza neanche accorgervene. Anche questo andrà bene, lo so...
VERONICA: Mia cugina non morì di parto quando il figlio era già nato? e mia madre, non morì di parto al tredicesimo figlio? e come ho ereditato il mestiere potrei avere ereditato la morte per parto.
Gaspara va a prendere carta e penna
GASPARA: Ecco qua...
VERONICA: In caso morissi di parto lascio questa casa con tutti i mobili dentro, le mie gioie, i miei vestiti e cento ducati che stanno nascosti... tappati le orecchie Gaspara...
GASPARA: Sotto l’ultimo mattone in fondo al muro della cucina...
VERONICA: Come lo sai?
GASPARA: Nel caso che foste morta vostro figlio avrebbe saputo dove sta l’eredità...
VERONICA: Che bestia! (Riprendendo a scrivere) Cento ducati che stanno nascosti sotto l’ultimo mattone in fondo al mur...

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  1. Copertina
  2. Frontespizio
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