Le navi della vergogna
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Le navi della vergogna

  1. 300 pagine
  2. Italian
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Le navi della vergogna

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Al largo delle coste italiane, davanti a spiagge affollate di bagnanti e in tratti battuti quotidianamente dai pescherecci, giacciono navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi, affondate dalla mafia. I primi sospetti risalgono al 1994, ma è con le rivelazioni, dieci anni dopo, del boss pentito della 'ndrangheta Francesco Fonti che la questione esplode. Fonti indica infatti la zona davanti a Cetraro, lungo la costa tirrenica della Calabria, dove da anni si registrano valori allarmanti nelle incidenze di alcuni tumori, come un sito di affondamenti criminali. Le indagini partono, ma subito la notizia viene smentita anche da alte cariche dello Stato. L'ennesimo caso montato da media irresponsabili? Riccardo Bocca, che dal 2004 si espone denunciando i lati oscuri di questa vicenda, dimostra definitivamente in questo libro che non si tratta di un'ipotesi assurda: le navi ci sono e sono tante. Un sistema clandestino di smaltimento dei rifiuti al quale partecipano cosche, aziende, armatori, Servizi segreti. Chi cerca la verità viene depistato, fermato per vie ufficiali o, come il capitano Natale De Grazia, muore misteriosamente. Intanto nuovi documenti - pubblicati qui per la prima volta - mostrano che il governo italiano ha pagato il pentito Fonti, per collaborazioni segrete. Un'inchiesta forte, per non permettere che un grande disastro internazionale venga insabbiato.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
ISBN
9788858628294
Categoria
Sociologia

Capitolo 1

Il corpo del capitano di corvetta Natale De Grazia giace in una bara di legno e zinco dentro la camera mortuaria degli Ospedali riuniti di Reggio Calabria. Ha indosso pantaloni di flanella grigia con una cinta di cuoio marrone sotto la giacca di lana blu e la camicia azzurra, abbinata a una cravatta fantasia con disegni gialli, rossi e verdi. È mezzogiorno del 19 dicembre 1995 quando la dottoressa Simona Del Vecchio inizia l’autopsia. Davanti a sé ha la salma di un uomo deceduto la settimana prima, a soli 39 anni, in circostanze sospette sulle quali indaga il pubblico ministero Cinzia Apicella.
Chiunque abbia collaborato con Natale De Grazia pensa che sia successo qualcosa di oscuro, la notte del 12 dicembre. «Non mi stancherò mai di cercare la verità» dice oggi la vedova Anna Vespia nel suo appartamento di Gallico Marina, il quartiere alla periferia nord di Reggio Calabria dove abita con i figli Giovanni (24 anni) e Roberto (21).
Lo deve all’amore per il marito e al ricordo della sua voglia di giustizia. «Natale era uno di quelli che, di fronte a un reato, non si voltava dall’altra parte. Tutta la sua carriera è stata all’insegna dello scrupolo, di una tensione morale che certe notti lo teneva sveglio, occhi al soffitto pensando al lavoro.»
De Grazia viene imbarcato nel dicembre 1983 sulla nave Sagittario per una missione in Medio Oriente, voluta dalle forze multinazionali di pace dopo lo scoppio del conflitto tra Libano e Israele del giugno 1982.1 Poi presta servizio alla Capitaneria di porto di Vibo Valentia, passando in seguito al Compartimento marittimo di Reggio Calabria dove lavora sei anni. Ma già nel dicembre 1987 l’Ispettorato generale delle capitanerie gli riserva un encomio per l’azione che svolge con il Nucleo operativo difesa mare, culminata nella denuncia di un gruppo di sindaci reggini e nella loro condanna per inquinamento marino.2 In quell’episodio il giovane Natale mostra «spiccata iniziativa, una notevole preparazione professionale» e un lodevole «senso del dovere e della responsabilità» scrive l’ammiraglio Francesco Cerenza. Il profilo ideale per svolgere incarichi di alta responsabilità: come quello che lo attende la sera del 12 dicembre 1995 quando lo fermerà la morte.
«De Grazia aveva una competenza straordinaria, in fatto di navigazione» dice nel 2010 il sostituto procuratore generale di Reggio Calabria Francesco Neri, all’epoca pubblico ministero alla procura presso la pretura di Reggio Calabria. «Per questo lo coinvolsi a metà degli anni Novanta in un’indagine che si presentava non soltanto difficile, ma anche esposta alla vendetta della ’ndrangheta e di frange deviate dei servizi segreti.3 Cercavamo riscontri sul traffico via terra di scorie pericolose e siamo arrivati a un capitolo inedito: l’ipotesi che qualcuno, forte di straordinarie complicità, affondasse rifiuti pericolosi sotto i fondali marini. Non limitandosi a gettare i bidoni tra le onde, ma caricandoli e colandoli a picco su vecchie navi; cosiddette imbarcazioni a perdere che venivano occultate negli abissi del Mediterraneo senza lanciare il mayday.»4
De Grazia si sta occupando di questo, a fine 1995: delle carrette del mare e dei loro carichi inquinanti. «Gli accertamenti dovevano essere svolti nell’area portuale di La Spezia e successivamente a Como, per verificare quanto acquisito nella precedente città» documenta una relazione dei carabinieri.5 È questo l’obiettivo con cui il capitano di corvetta parte da Reggio Calabria alle 18,50 del 12 dicembre su una Fiat Tipo, accompagnato dal maresciallo Nicolò Moschitta e dal carabiniere scelto Rosario Francaviglia. Quanto il viaggio sia delicato, lo mostra il dettaglio della targa: l’originale sarebbe EI 028 DD,6 ma viene sostituita da quella di copertura CZ 561073. «Perché?» domanda Anna Vespia. «Quali erano i pericoli ai quali erano esposti mio marito e i colleghi?» E ancora: «Ricordo che, parlando con Natale, espressi la mia perplessità sulla scelta di muoversi in auto, vista la distanza tra Reggio Calabria e La Spezia. Anzi, ad essere sincera, capivo ancora meno la decisione di partire nel tardo pomeriggio, che li avrebbe costretti a un trasferimento notturno».
Perplessità che quella sera possono essere sembrate eccessive, a Natale De Grazia; ansie di una moglie affettuosa per il marito in missione. D’altronde niente lascia presagire, in quel momento, che il capitano si ritroverà poche ore più tardi in stato d’incoscienza, a torso nudo sull’asfalto, dopo avere cenato in un ristorante che, guarda caso, verrà chiuso subito dopo. Anzi, la prima parte del viaggio scorre senza problemi, con una serie di pause ricostruite a verbale dagli stessi carabinieri Moschitta e Francaviglia.
Una prima sosta veniva fatta nell’autogrill di Villa San Giovanni, ove è sceso dal mezzo solo il De Grazia che doveva acquistare qualcosa (forse sigarette), mentre gli altri due aspettavano sul mezzo, facendo ritorno dopo alcuni minuti […].
Una seconda sosta, invece, veniva effettuata in un autogrill della zona di Cosenza per esigenze fisiologiche, ove il maresciallo Moschitta e il carabiniere Francaviglia hanno acquistato alcuni biglietti della lotteria e giocato delle schedine del totocalcio.
Una terza sosta veniva effettuata presso l’autogrill di Lauria, ove è stato effettuato rifornimento di carburante. Nessuno degli occupanti del mezzo è sceso dall’autovettura. 7
Dopodiché, spiegano Moschitta e Francaviglia, arriva il momento di decidere in quale locale fermarsi a cena; e siccome si trovano allo svincolo autostradale che porta a Campagna, località nel comune di Nocera Inferiore dove conoscono il ristorante «Da Mario», optano per questa soluzione.
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Entrano nella sala semideserta – ci sono solo due giovani che se ne stanno andando – e cominciano a mangiare alle 22,30.
In particolare, il capitano De Grazia ha consumato come primo piatto fusilli al sugo cotti in ciotola al forno, prosciutto crudo con salame e mozzarella come secondo, e poi vino e acqua minerale, mentre per ultimo ha consumato una fetta di torta. Analogo cibo, ad eccezione del dolce, ha consumato il maresciallo Moschitta, mentre Francaviglia ha cenato con una grigliata mista di carne e con il prosciutto crudo, salame e mozzarella come gli altri due. Nel corso della consumazione delle suddette pietanze, venivano consumate da tutti varie porzioni di bruschette, e al termine della cena sorbivano anche un limoncello.8
«La cosa strana» commenta oggi Anna Vespia «è che nella prima autopsia sul corpo di Natale non risultano tracce di alcol, nonostante Moschitta e Francaviglia abbiano dichiarato che Natale avesse bevuto vino e limoncello. I casi sono due: o c’è qualcosa che non torna nell’autopsia, oppure la relazione di servizio è sbagliata.»
Certo, aggiunge la vedova De Grazia, «il consulente medico della procura di Nocera Inferiore ha sostenuto che non c’era niente di strano, in tutto questo. Ha spiegato, infatti, che l’alcol presente nello stomaco di mio marito non aveva fatto in tempo a entrare in circolo a causa della morte,9 ma non ci vuole un grande esperto per capire che su questo dettaglio gli inquirenti avrebbero dovuto soffermarsi con più attenzione».
Comunque sia.
Dopo avere tranquillamente cenato, la sera del 12 dicembre 1995 gli investigatori risalgono a bordo della Tipo e continuano la loro attraversata dal Sud al Nord dell’Italia.
Guida Francaviglia e al suo fianco c’è De Grazia, il quale allaccia la cintura di sicurezza e avverte i due colleghi che vuole dormire. Quindi chiude gli occhi e non li riapre fino a mezzanotte, quando l’automobile rallenta per superare il casello di Salerno Mercato. A quel punto Moschitta, seduto dietro De Grazia, nota che il capitano ha la testa stranamente china sulla spalla sinistra e prova a svegliarlo.
Nel fare ciò, [il maresciallo Moschitta] lo toccava sul viso e sulla fronte, e constatava una sudorazione diffusa. Pertanto il sottufficiale allertava il militare autista e, dato che in quel momento l’abitacolo era illuminato dalle luci di una galleria a qualche centinaio di metri dal casello, Francaviglia poteva notare il viso di De Grazia con gli occhi semichiusi e la non reattività alle sollecitazioni effettuate.10
Il capitano di corvetta Natale De Grazia sta morendo.
Oltrepassata la galleria, Francaviglia ferma la Tipo e telefona al 112 per richiedere un’ambulanza. Il capitano si sente male, malissimo. Sono inutili i massaggi cardiaci e la respirazione bocca a bocca praticata da Francaviglia. De Grazia viene sdraiato a terra, sull’asfalto, nonostante piova furiosamente. I militari provano anche a sollevarlo, lo piegano sul guard rail per indurgli il vomito ma è tutto inutile.
Dopo circa 20 minuti dalla chiamata di soccorso, giungeva un’autoradio dei carabinieri di Nocera Inferiore insieme a un’ambulanza. Il sanitario faceva capire che De Grazia era morto, ma non volendo credere a tale eventualità tragica, sia Moschitta che Francaviglia ordinavano perentoriamente di portarlo nel più vicino pronto soccorso; cosa che veniva effettuata.
Giunti al pronto soccorso dell’ospedale civile Umberto primo di Nocera Inferiore, quei medici constatavano che De Grazia era giunto cadavere, riferendo ufficiosamente che il predetto ufficiale era stato stroncato da un infarto.11
Qualche investigatore, leggendo queste parole, si è stupito dei movimenti compiuti dai carabinieri per rianimare De Grazia. La moglie stessa parla di una «manovra maldestra, a giudicare dalle ferite trovate sotto un’ascella di mio marito. E poi: quando mai un moribondo si sballotta da una parte all’altra? Non è incredibile che a mezzanotte passata, sotto un diluvio universale, i colleghi di Natale lo abbiano steso sulla corsia d’emergenza e, a quanto mi risulta, messo a torso nudo?».12
Ancora domande che non trovano risposte. Anche perché, come sottolinea Anna Vespia, in sede di indagini nessuno chissà perché interroga come testimoni Moschitta e Francaviglia.
Bisogna dunque accontentarsi della loro relazione di servizio, dalla quale risulta che il maresciallo Moschitta, appena i medici dell’ospedale confermano la morte di De Grazia, si scatena al telefono. Parla con il maggiore Sergio Raffa, capo del reparto operativo dei carabinieri di Reggio Calabria. Chiama, si legge nel verbale, il numero due della Capitaneria di porto di Vibo Valentia Giuseppe Bellantone.13 Si mette in contatto con il sostituto procuratore Neri, il quale ordina ai suoi uomini di recuperare la valigetta ventiquattr’ore in cui sono custoditi i documenti dell’indagine. E intanto, anche a casa De Grazia arriva la tragica notizia: «Mio cognato Antonino è stato chiamato da Bellantone» dice Anna Vespia. «La prima volta ha annunciato che Natale aveva avuto un incidente, ma dopo un quarto d’ora ha richiamato spiegando che si era trattato di un infarto.»14
L’aspetto inquietante è che lo stesso Bellantone era stato in precedenza interrogato dal capitano di corvetta De Grazia, e come vedremo le sue dichiarazioni rappresentano uno dei passaggi meno entusiasmanti nella storia delle navi dei veleni. Altrettanto inquietante è il punto del verbale firmato da Moschitta e Francaviglia in cui i due ricostruiscono quello che succede la mattina successiva al decesso di De Grazia, quando il cadavere viene esaminato dal medico legale di Nocera Inferiore,15 il quale diagnostica una morte per «infarto miocardico, arresto cardiocircolatorio».
A questo punto, il maresciallo Moschitta chiedeva al medico legale di esaminare la possibilità di fare effettuare l’esame autoptico. (Ma) il predetto sanitario faceva presente che non si rendeva necessario tale esame, in quanto per lui la morte era stata causata per i motiv...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Le navi della vergogna