Autunno del medioevo
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Autunno del medioevo

  1. 560 pagine
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Autunno del medioevo

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'Nel passato cerchiamo sempre le origini del nuovo e vogliamo sapere in che modo sorsero i pensieri e le espressioni di una vita che si affermò pienamente in tempi successivi. Ogni epoca desta in noi maggior interesse, quando troviamo una promessa del futuro. Basta pensare infatti al fervore che ha accompagnato ogni indagine sulla civiltà del M-dioevo nella speranza di scoprirvi i germi della cultura moderna. In questo libro noi abbiamo cercato di vedere nei secoli XIV e XV non già gli albori del Rinascimento, ma il tramonto del Medioevo' '(Johan Huizinga)'.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
ISBN
9788858628546
Argomento
Storia

INTRODUZIONE

I.

In uno dei capitoli centrali del suo Homo ludens, sviluppando la teoria del rapporto fra giuoco e cultura — e meglio si direbbe della cultura come giuoco — Johan Huizinga nel 1938 osservava: «Tutto ciò che ora vediamo come un giuoco nobile e bello, una volta è stato un giuoco sacro. L’iniziazione a cavaliere, il torneo, l’ordine e il voto hanno senza dubbio le loro origini nelle cerimonie d’iniziazione dei tempi primordiali. Non si possono più indicare gli anelli in quella catena d’evoluzione. Più specialmente la cavalleria cristiana medievale ci è nota soltanto come un elemento culturale mantenuto vivo artificialmente e in parte resuscitato intenzionalmente. Altrove ho cercato di descrivere per esteso che significato ha avuto la cavalleria ancora nel tardo Medioevo, col suo sistema accuratamente studiato di codici d’onore, di costumi cortigiani, d’araldica, d’osservanza all’ordine cavalleresco e di tornei».1 Così Huizinga rimandava all’Autunno del Medioevo, l’opera in cui circa vent’ anni prima aveva fissato in modo quasi esemplare il processo attraverso il quale l’uomo crea «un mondo, fittizio e pur vivo, convenzionale eppure non meno concreto del cosiddetto mondo reale, in cui l’immaginazione si possa distendere».1 Questo, che nella sua teorizzazione successiva presentò come «il miraggio di ogni età», perché l’uomo «anela ad evadere dal mondo ‘cattivo’ della realtà quotidiana», lo storico olandese aveva scoperto e ritratto in forme non dimenticabili quale gli era apparso dapprima riflesso nello specchio della corte borgognona. «Ogni epoca agogna a un mondo più bello. Quanto più la disperazione e il dolore gravano sul torbido presente, tanto più si fa intensa quella bramosia. Verso la fine del Medioevo il senso della vita ha per sostrato un’acuta malinconia. La nota di ardita gioia di vivere e di robusta fiducia nella propria forza che risuona attraverso la storia del Rinascimento e quella dell’Illuminismo, si avverte appena nel mondo francoborgognone del ’400».2
Par riflettersi, nelle parole dello Huizinga, come un’antitesi fra l’ora autunnale da cui l’uomo cerca di evadere sfuggendo alla malinconia per rifugiarsi nella dimora del sognonel mondo... non c’era promessa alcuna di cose migliori»), e l’esplosione gioiosa della vita nelle aurore primaverili e nei meriggi d’estateil Rinascimento aveva ancora attinto ad altre sorgenti la sua risoluta affermazione della vita»). Senonché anche la luce del Rinascimento — di questo ambiguo Rinascimento dello Huizinga — sol che vi si fissi lo sguardo si colora di toni autunnali. Il suo stato d’animo caratteristico non è mai traversato da una gioiosa esuberanza di vita; «nulla di più facile infatti che, se si rivolge sempre l’attenzione a ciò che decade, muore e appassisce, l’ombra della morte stenda un po’ troppo il suo velo su tutto». Così Erasmo — nella nota monografia del 1924 — non solo è «timido e un po’ compassato», ma anelante al ritiro, a una segregata ‘accademia’ di dotti amici. E l’umanesimo erasmiano è presentato a sua volta come un raffinato giuoco intellettuale entro le mura di un nobile castello oltre le tempeste del mondo e le vicende del tempo. Ideale d’Erasmo che agli occhi di Huizinga si identifica con l’ideale di tutto il Rinascimento: «non che fosse un ideale suo particolare. Tutto il Rinascimento accarezzò il desiderio di una tranquilla, gioiosa, e pur seria conversazione fra buoni e saggi amici nel fresco giardino di una casa, sotto gli alberi... Nella cerchia dei Medici è l’idillio della villa di Careggi, in Rabelais piglia corpo nella fantasia dell’abbazia di Thélème; si esprime nell’Utopia di Moro e negli Essais di Montaigne. Negli scritti di Erasmo quel desiderio ideale ritorna sempre nella forma di una passeggiata in compagnia d’amici, seguita da un pranzo in una casa di campagna».1
Evasione e giuoco: cultura. Oltre le belle, alte parole di humanitas, di civiltà; oltre la celebrazione della paceuna calda brama di pace, di libertà e di umanità attraversa tutto il mondo»),2 si viene configurando la visione estetizzante di una specie di isola dei beati, in cui, sul piano del ‘giuoco’, gli uomini godono di «un senso di tensione di gioia», nella «coscienza di essere diversi dalla vita ordinaria». Per questo, espressione tipica del Rinascimento è, per Huizinga, molto più dell’autunnale Erasmo, l’Ariosto, «l’uomo che più completamente di chiunque altro ci dice l’atteggiamento» di un tempo, con i suoi paesaggi di favola e di sogno (... tiene un castello... | fatto per incanto, | tutto d’acciaio, e sì lucente e bello | ch’altro al mondo non è mirabil tanto). «Quale altra poesia si è aggirata così disinvolta in un assoluto e perfetto spazio da giuoco quanto quella dell’Ariosto? Con quel suo inafferrabile fluttuare fra emozione patetico-eroica e senso comico, in una sfera di armonia quasi musicale, tutto sottratto alla realtà eppure popolato delle più visibili figure, e soprattutto con quella sua infallibile letizia di timbro, l’Ariosto è per così dire la dimostrazione dell’identità di giuoco e poesia».3
Senonché ben presto sotto il segno del ‘giuoco’, ossia della ‘cultura’ interpretata come giuoco, lo Huizinga colloca la Scolastica non meno dell’Umanesimo e del Rinascimento, risolti, nel fondo, a Medioevo («a forza di mirare — com’egli stesso concede — quel cielo serale», i colori dell’alba gli si risolvono anch’essi in tenuità di tramonti). «Tutta la pratica dell’Università medievale assunse forme ludiche. Le continue disputationes che formavano lo scambio orale di natura dotta, i cerimoniali che fiorivano così esuberanti all’Università, il raggruppamento in nationes, la scissione in scuole e partiti, sono tutti fenomeni a cui è comune più. o meno la sfera di gara e di regole di giuoco».1
Giuoco di dotti — insiste Huizinga citando a scopo serio una scherzosa immagine erasmiana — non diverso dal giuoco delle carte e dei dadi. Giuocano Abelardo e Roscellino al giuoco della guerra, anche se è guerra di sillogismi, al modo stesso in cui giuocano i cavalieri: «nel rito dell’investitura di un cavaliere, nell’omaggio di un vassallo, nel torneo, nell’araldica, negli ordini cavallereschi e nei voti fantastici alla guisa della Tavola Rotonda ritroviamo il fattore del giuoco in piena forza». Giuoco, così, tutto il Rinascimento: «non esiste nessuna élite conscia e ritirata in sé, che abbia cercato di costringere la vita a un giuoco di immaginata perfezione così autentica come la società del Rinascimento... Tutto l’atteggiamento spirituale del Rinascimento è giuoco. Quell’aspirazione raffinata e al medesimo tempo fresca e vigorosa verso una nobile e bella forma è cultura fatta per giuoco. Tutto lo splendore del Rinascimento è una gioiosa e solenne mascherata coi paramenti di un passato fantastico e ideale. La figura mitologica, l’allegoria e l’emblema ricercati e sovraccarichi di nozioni astrologiche e storiche sono come le pedine del giuoco degli scacchi».2
Giuoco sottile, riservato a una cerchia d’iniziati e d’intenditori, è l’Umanesimo, col suo «accento fittizio di cosa non presa completamente sul serio»; e «perfino la scuola dei giuristiumanisti, con la sua aspirazione a elevare il diritto a stile e bellezza, reca in sé quello spirito di giuoco». Tutta l’opera storica dello Huizinga è condizionata da questa concezione della cultura — prima latente, poi esplicitamente teorizzata — vista come evasione ‘ludica’ di aristocrazie raffinate, che al doloroso impegno della vita si sottraggono in un sogno atemporale: e l’opera dello scrittore olandese si risolve, alla fine, nella eloquente rievocazione di quei ‘sacri sogni’.
Potremmo anche rileggere qui, a conclusione ed edificazione, la pagina con cui finisce Homo ludens, e al giuoco dell’intelletto veder contrapposta la serietà della «coscienza morale fondata sul riconoscimento di giustizia e di grazia divina». Giocattolo uscito dalle mani di Dio è l’uomo, ripete Huizinga con Platone (ϑεoῦ τι παίγνιoν εἰναι μεμηϰανημένoν), e che deve passare la vita giuocando il giuoco più bello (ϰαὶ παίζoντα ὅτι ϰαλλίστας παιδιὰς ... oὓτω διαβιῶναι).1 Ma fra l’Eterna Saggezza e i giuochi in cui si consuma la vita dell’uomo, che posto rimane alla storia? Quale utile distinzione potrebbe introdursi in questo radunarsi e confondersi sotto il segno del ‘giuoco’ — e sia pure quel giuoco — dei vari momenti della storia della civiltà? La teoria dell’ homo ludens, scoperta dallo Huizinga nell’autunno del Medioevo interpretato come giuoco cavalleresco, come ‘cortesia’, risolvendo tutti gli aspetti della cultura umana d’ogni tempo, rende perfettamente conto, non solo dell’«assoluto riluttare dello storico olandese da ogni definizione... di periodi», ma anche del carattere «estetizzante, impressionistico» del suo procedere, pur così suggestivo «quando si tratti di schizzare affreschi di vivaci colori».2
Non si può dare storia del «mondo cattivo della realtà quotidiana», sempre dolente, e consegnata al documento muto nella sua uniformità attraverso i secoli; né si fa storia della norma assoluta e della grazia divina: e le passioni e i sogni del passato si possono solo rievocare e sognare ancora. «In ogni coscienza morale fondata sul riconoscimento di giustizia e di grazia divina la domanda — giuoco o serietà? — che fino all’ultimo è rimasta insolubile, si riduce a tacere per sempre». In bocca allo storico Huizinga, questa conclusione è singolarmente indicativa.1

2.

Non sembri eccessiva l’insistenza sui temi dell’ Homo ludens, assai più importante per comprendere Huizinga, storico, e per metter a fuoco, in particolare, il suo capolavoro, l’Autunno del Medioevo, che non i vari saggi dichiaratamente impegnati a definire il lavoro storiografico.2 Non potrà infatti sottolinearsi mai abbastanza quanto lo Huizinga arriva a dire del giuoco come allontanamento dalla vera vita ed ingresso in una sfera d’attività con fini propri, ove il giuoco appunto si fissa subito in una forma di culturagiuocato una volta, permane nel ricordo come una creazione o un tesoro dello spirito, è tramandato e può essere ripetuto»). Data questa concezione della cultura, la storia intesa come storia della cultura non può non ridursi ad evocazione d’artista, eloquente a volte e splendida, ma non critica, non ragionata: sparisce, insomma, come storia, se per storia intendiamo giudizi e concetti. «Lo storico — diceva nel ’34 Huizinga, nelle lezioni di Santander — riconosce nei fenomeni del passato certe forme ideali che cerca di descrivere, ma non concettualmente come tali (che è il compito della sociologia) bensì recandole a intuitiva rappresentazione in un determinato concatenamento di avvenuto decorso storico». E proseguiva: «Ciò che lo storico vede sono forme della vita collettiva, dell’economia, della credenza e del culto, forme di diritto e di legge, forme di pensiero, forme di creazione artistica, della letteratura, della vita dello stato e del popolo, in una parola forma della civiltà. E queste forme vede sempre in actu. Ognuna è una forma di vita, e perciò ogni forma contiene una funzione...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Autunno del Medioevo