INTERVISTA CON IL CARDINALE
JOSÉ SARAIVA MARTINS
«La parola “miracolo” deriva dal latino miror – mi meraviglio, ammiro – e sta dunque a indicare qualcosa di singolare, che desta attenzione e stupore. Per la Chiesa non si tratta di una violazione delle leggi della natura, bensì di un fatto eccezionale determinato da una speciale virtù divina, che supera il ritmo normale delle cose. Dio, creatore dell’universo, attraverso il miracolo offre all’uomo un gesto d’amore, alleviando le sofferenze di creature che rivolgono il loro sguardo a lui.» Il cardinale José Saraiva Martins è uno dei massimi esperti della materia: nel decennio in cui è stato prefetto della Congregazione delle cause dei santi, fra il 1998 e il 2008, sulla sua scrivania sono passati oltre duecento eventi considerati inspiegabili dalla scienza.
Quando si parla di santi, sembra esserci fra la gente comune una scarsa consapevolezza di quale sia l’essenza della loro vita di fede, ossia in che cosa consista la santità che viene loro attribuita. Ci spiega che cosa intende con questo termine la dottrina della Chiesa cattolica?
«La santità consiste nella perfetta unione con Cristo. Essa è dunque, nel medesimo tempo, il frutto della grazia di Dio e della libera risposta dell’uomo. “Per fare di un uomo un santo occorre soltanto la grazia. Chi dubita di questo non sa cosa sia un santo, né cosa sia un uomo” ha osservato, con la sua caratteristica lapidarietà, il filosofo cattolico Blaise Pascal nei Pensieri. Utilizzo questa osservazione per accennare a due prospettive di riflessione: nel santo si congiungono la celebrazione di Dio (della sua grazia, appunto) e la celebrazione dell’uomo, nelle sue potenzialità e nei suoi limiti, nelle sue aspirazioni e nelle sue realizzazioni.
«È comunque importante comprendere innanzitutto che la santità non significa realizzare qualcosa di straordinario, lontano dalla portata dell’uomo comune, bensì fare bene le cose ordinarie, nel lavoro, nella scuola, nella famiglia, nel sacerdozio o nella vocazione consacrata.
«Nella sua essenza, la santità è una realtà unica, che però presenta al tempo stesso mille sfaccettature. Fra i suoi obiettivi c’è quello di raggiungere la perfezione della carità, ossia il massimo grado di amore verso Dio e verso il prossimo. E questo chiede che venga portato a compimento, nella vita personale, il progetto che Dio ha disegnato espressamente per ciascun uomo, il quale non è un prodotto “fatto in serie”, bensì un’opera di artigianato divino.»
E, dunque, chi è il santo?
«Per comprendere chi sia il santo e che cosa Dio voglia dire alla Chiesa e all’umanità tramite queste figure, occorre avere chiara una premessa: tutti i santi, ciascuno a proprio modo, hanno raggiunto i vertici dell’amore; ognuno di loro è però portatore di un messaggio specifico, che va ricercato non soltanto nell’eroismo con cui ha esercitato “privatamente” le virtù cristiane, ma anche nel modo in cui ha svolto la propria missione sulla terra. La consapevolezza del compito ricevuto da Dio, insieme con la lotta quotidiana per realizzarlo, spiega l’eroismo dei santi.
«Il santo è un essere profondamente umano: non ha un cuore per amare Dio e un altro per amare gli uomini e il mondo intero. Egli ha i piedi per terra, talvolta inciampa e cade, ma si rialza e prosegue nel cammino. In breve: il santo è un capolavoro dell’amore e della grazia di Dio ed è, al tempo stesso, un modello di umanità e di esercizio di quella libertà della quale il Signore ci ha voluto far dono. E la santità è la pienezza dell’umanità. Non è il lusso di qualcuno o il monopolio di certi privilegiati, ma è vocazione aperta a tutti. I santi non sono degli eroi da ammirare, e anche se lo furono non sono stati canonizzati per tale motivo. È importante comprendere questo, per non attribuire al santo quel “qualcosa di esotico”, o al di fuori del nostro mondo reale, che alla fine non fa che allontanarlo dalla nostra portata.»
La santità quindi non è alla portata unicamente di alcuni privilegiati.
«Assolutamente no. La chiamata alla santità è universale perché si rivolge a tutti gli uomini e a tutte le donne senza eccezione. Ciò significa che essa non è indirizzata soltanto a quei fedeli che si trovano in un determinato stato di vita, come possono essere i religiosi o i sacerdoti, ma a ogni singola persona nello stato e nella situazione in cui si trova a vivere. Giovanni Paolo II fu esplicito e categorico in proposito. Egli segnalò la santità di tutti come uno dei punti fondamentali per la pastorale della Chiesa del terzo millennio. Papa Wojtyła indicò, inoltre, la via che ciascuno deve percorrere per raggiungere la santità: l’adempimento fedele dei propri doveri familiari, professionali e sociali, ossia il vivere in pienezza, giorno dopo giorno e fino in fondo, i mille accadimenti, spesso in apparenza irrilevanti, della vita ordinaria.
«È vero che la santità richiede l’eroismo nella pratica delle virtù: è parimenti innegabile che la perseveranza fedele nei doveri quotidiani può essere più eroica delle gesta, talvolta puramente immaginarie, in cui alcuni sembrano far consistere la santità. Una pastorale orientata verso la chiamata alla santità deve proporsi, pertanto, come meta inderogabile quella di aiutare tutti i fedeli a scoprire la grandezza della vita ordinaria, nella quale appunto Dio ci vuole santi.»
Nel corso dei secoli si è in qualche modo modificata l’idea che la Chiesa ha dei santi, privilegiando qualche aspetto e trascurandone altri?
«La santità è al di sopra del tempo e della storia, è la medesima ieri, oggi e sempre. È santo chi ha attuato completamente la sua vita in Dio, senza riservarsi qualcosa per sé. Con il battesimo il cristiano viene costituito figlio di Dio in Gesù Cristo, diventa “figlio del Figlio”. Così è santo, o meglio tende alla santità, chiunque cerca in ogni momento di comportarsi fedelmente nei riguardi del progetto tracciato da Dio per lui e che nella sua condotta risponde con generosità agli impulsi della grazia, abbandonandosi filialmente nelle mani del Padre.
«Ma nel contempo la santità è profondamente incarnata nella realtà umana. Le vite dei santi ci mostrano come si sia realizzata nelle loro circostanze concrete di vita l’identificazione con Gesù Cristo. Durante i secoli ha prevalso nelle biografie dei santi un genere letterario che ha posto ai margini la risposta quotidiana agli impulsi della grazia per esaltare piuttosto i gesti eroici, anche talvolta ammantati da un alone di leggenda. Occorre dunque precisare che queste anime non si sono santificate mediante atti sporadici, bensì per la fedeltà e la coerenza con la quale hanno saputo essere eroiche sforzandosi di raggiungere la volontà di Dio nel compimento dei loro doveri ordinari di ogni giorno: è questo aspetto che dobbiamo imitare. Se la loro vita si fosse limitata ad atti fuori del comune, certamente non sarebbero state sante e ancor meno potrebbero essere proposte come modelli degni di imitazione.
«In ogni caso, la santità tocca con una valenza particolare anche la cultura, intesa come l’orizzonte globale dentro cui si muove il mondo. I santi hanno permesso che si creassero nuovi modelli culturali, nuove risposte ai problemi e alle grandi sfide dei popoli, nuovi sviluppi di umanità nel cammino della storia. I santi sono come dei fari: indicano agli uomini le possibilità di cui dispongono in quanto esseri umani. Per questo sono interessanti anche culturalmente, indipendentemente dall’approccio religioso e di studio con cui li si affronta.»
Ogni cristiano è dunque chiamato alla santità. Anzi, secondo la dottrina della Chiesa cattolica, tutti quelli che si trovano già in paradiso sono ugualmente alla presenza d...