ALL’ILLUSTRISSIMO E CLARISSIMO
SIGNOR SENATORE
GIULIO RUCELLAI1
PATRIZIO FIORENTINO
CAVALIERE DELL’ORDINE DI S. STEFANO
SEGRETARIO DELLA GIURISDIZIONE ecc.
Quando mi proposi, Illustrissimo Signor Senatore, di consagrare a Voi una delle mie Commedie, a solo fine di decorare le Opere mie con un sì illustre venerato nome, non pensai che ciò fare da me dovevasi, accompagnando la Commedia con una lettera. Ora ch’io prendo la penna in mano per farlo, conosco quanto malagevole cosa sia lo scrivere ad un personaggio, quale voi siete, riguardevole per tanti titoli e per tante ragioni, unendosi in Voi tre qualità eccellenti, di perfetto Ministro, di saggio Filosofo e di eruditissimo Letterato. Della prima qualità insigne, che vale a dire dell’onorevole presente carico che sostenete, non è da me il favellarne, eco facendo soltanto alle voci comuni che vi applaudiscono, e a quelle ancor più precisamente, che dalla Cesarea Corte derivano; potendosi dir di Voi, che quelli unicamente amici Vostri non sieno, li quali nemici sono della verità e della ragione.
Del modo Vostro savissimo di pensare, della letteratura ed erudizione Vostra, posso con maggior fondamento fra me medesimo ragionare, poiché ammesso avendomi Voi benignamente all’amabile conversazione Vostra, deggio con verità asserire, non essermi da Voi alcuna fiata2 diviso3, senza l’acquisto di qualche fondata massima, di qualche erudizione novella. Il felicissimo talento Vostro, oltre il dono di una facile e viva penetrazione4, ha quello ancora di una perfetta comunicativa, onde chi ha la fortuna di poter conversare con Voi, non si ferma soltanto nell’ammirarvi, ma ne riporta profitto. Voi sapete agli studi più seri unire i più dilettevoli; avete parlato meco della Commedia in una maniera che mi ha sorpreso; ed ho raccolto dai Vostri ragionamenti delle cognizioni, delle massime e delle notizie, che mi hanno arricchito la fantasia, ed illuminato la mente.
Con questo picciolissimo cenno di quanto ho potuto scorgere in Voi di luminoso e di grande, ragionevole non sarà poi l’apprensione mia d’inviare a Voi, per iscorta della Commedia che vi presento, quest’umile, riverente mio foglio?
Io non ho il dono che Voi avete di restringere il molto in poco; manca a me quel brio, quella vivacità, quella prontezza di spirito, che brilla nei Vostri ragionamenti, ed egualmente s’ammira ne’ Vostri scritti; onde conoscendo me stesso e l’altissima sproporzione che da Voi mi allontana, arrossisco nel comparirvi dinanzi, rozzo nello stile qual sono, e scarsissimo di concetti.
Pure fia5 necessario che qualche cosa io vi scriva, raccomandando alla protezione Vostra questa Commedia mia, che ha per titolo La Locandiera. Fatto questo, lo che in due sole righe consiste, miglior consiglio reputo per me certamente fermar la penna, anzi che sconciamente adoprarla. Volea parlarvi della Commedia medesima che vi presento: ma s’ella ha qualche cosa di buono, lo rileverete Voi assai meglio di quel ch’io vaglia6 a descriverla;...