Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio
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Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio

  1. 408 pagine
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Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio

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Perché una storiella o un gioco di parole ci fanno ridere? Ma soprattutto, si domanda Freud, "merita il tema del motto di spirito questi sforzi"? Siamo tra il 1895 e il 1905, un decennio di estremo fervore creativo, nel quale il padre della psicoanalisi mostra di avere un particolare talento nell'osservare fatti e comportamenti sociali ritenuti generalmente trascurabili. Un sottobosco di fenomeni che, sottratto comunemente all'osservazione e alla riflessione, diventa oggetto del suo sguardo: uno sguardo che riesce a cogliere una scena diversa rispetto a ciò che l'esperienza mostra alla sua superficie. Cosí Freud ci mostra come, tra le mille pieghe del motto di spirito, si celino preziose spie verso l'inconscio. Ma ci accompagna anche nella Vienna di inizio Novecento, tra memorabili personaggi che saranno i protagonisti di tante storielle yiddish. Il riso sembra allora uno dei migliori antidoti all'odio, all'ira, alla superbia e alla vendetta. Un potere fragile e un rimedio salutare, che merita di essere riconosciuto come tale, coltivato e conquistato, e al quale Freud ha dedicato questo suo rivoluzionario elogio.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2011
ISBN
9788858618400
A

PARTE TEORICA

I

INTRODUZIONE

Chiunque abbia avuto occasione di interessarsi alla letteratura di estetologi e psicologi per vedere quali delucidazioni vi si possano trovare circa la natura e i rapporti del motto di spirito, dovrà ben ammettere che la ricerca filosofica è lungi dall’aver dedicato al motto di spirito gli sforzi che esso merita per la funzione che esplica nella nostra vita spirituale. Si può nominare solo uno sparuto numero di pensatori che si siano occupati in maniera approfondita di questi problemi. Si trovano, fra coloro che hanno studiato il motto di spirito, i nomi famosi del romanziere Jean Paul (Richter)1 e dei filosofi Theodor Vischer, Kuno Fischer2 e Theodor Lipps;3 ma anche presso questi autori il tema del motto di spirito rimane sullo sfondo, mentre l’interesse principale della ricerca è rivolto al più ampio e attraente problema del comico.
La prima impressione che si ricava dalla letteratura in materia è che non sia affatto possibile trattare il motto di spirito se non in connessione con il comico.
Secondo Theodor Lipps (Comicitàe umorismo, 1898),4 il motto di spirito è «la comicitàassolutamente soggettiva», cioè la comicità«che creiamo noi, che è insita nel nostro agire come tale e rispetto alla quale noi ci comportiamo sempre come soggetto superiore, mai come oggetto, neanche come oggetto volontario» (p. 80). A commento di ciò si osserva: il motto di spirito è in genere «ogni cosciente e abile creazione della comicità, comicitàsia della visione sia della situazione» (p. 78).5
Kuno Fischer spiega il rapporto tra il motto di spirito e la comicitàcon l’aiuto della caricatura, che nella sua esposizione fa tra essi da intermediaria (Sul motto di spirito, 1889). Oggetto della comicitàè il brutto in tutte le sue forme:
Dove esso è coperto, dev’essere scoperto alla luce dell’osservazione comica, dove viene poco o niente notato, dev’essere scovato e tratto fuori, in modo da risultare chiaro ed evidente alla luce del giorno… Così nasce la caricatura. (p. 45)
Il nostro mondo mentale, il regno intellettuale dei nostri pensieri e delle nostre rappresentazioni, non si dispiega tutto sotto lo sguardo dell’osservatore esterno, non si lascia rappresentare immediatamente in modo figurato e intuitivo e però contiene anch’esso le sue inibizioni, manchevolezze, deformazioni, una quantitàdi ridicolo e di contrasti comici. Per rilevare tutto ciò e renderlo accessibile alla considerazione estetica, occorre una forza che sia in grado non solo di rappresentare immediatamente gli oggetti, ma anche di riflettersi in queste rappresentazioni e chiarirle: una forza che illumini i pensieri. Questa forza può essere solo il giudizio. Il giudizio che produce il contrasto comico è l’arguzia. Essa ha operato segretamente giànella caricatura, ma solo nel giudizio riceve la sua forma e campo libero per il suo dispiegamento. (p. 49)

Come si vede, Lipps ripone il carattere che distingue il motto, nell’ambito della comicità, nell’intervento personale, nel comportamento attivo del soggetto, mentre Fischer caratterizza il motto per mezzo del rapporto con il suo oggetto, che sarebbe la bruttezza nascosta della sfera mentale. Queste definizioni dello spirito non si possono verificare nella loro fondatezza, anzi quasi non si possono intendere se non inserendole nel contesto dal quale esse qui appaiono avulse; ma così ci si troverebbe di fronte alla necessitàdi studiare tutte le descrizioni del comico dei vari autori per apprenderne qualcosa sul motto. Frattanto ci si accorge da altri passi che i medesimi autori riescono anche a indicare caratteri essenziali e universalmente validi del motto, nei quali si fa astrazione dai suoi rapporti con la comicità.
La definizione del motto di spirito di Kuno Fischer che sembra meglio soddisfare l’autore stesso suona: il motto di spirito è un giudizio ludico (p. 51). Per chiarire questa espressione si fa ricorso all’analogia: «Così come la libertàestetica consiste nella contemplazione ludica delle cose» (p. 50). In altro luogo (p. 20), l’atteggiamento estetico verso un oggetto è caratterizzato dalla condizione che non esigiamo niente da questo oggetto, in particolare nessuna soddisfazione dei nostri bisogni pratici, ma ci accontentiamo del piacere di contemplarlo. L’atteggiamento estetico è ludico in contrapposizione al lavoro.
Può accadere che dalla libertàestetica scaturisca anche un tipo di giudizio sciolto dal vincolo e dalla norma abituale, che chiamerò per la sua origine «il giudizio ludico», e che in questo concetto sia contenuta la prima condizione se non l’intera formula, per la soluzione del nostro problema. «La libertàfa l’arguzia e l’arguzia fa la libertà» dice Jean Paul. «L’arguzia non è altro che un giocare con le idee.» (p. 24)

Si è da sempre amato definire lo spirito come la capacitàdi trovare somiglianze tra ciò che è dissimile, cioè somiglianze nascoste. Jean Paul ha espresso questo stesso pensiero spiritosamente così: «Lo spirito è il prete travestito che sposa tutte le coppie». Vischer aggiunge: «Più volentieri sposa le coppie la cui unione è contrastata dai parenti». Ma Vischer obietta che ci sono motti di spirito per i quali non si può parlare di confronto e quindi neanche di ritrovamento della somiglianza. Definisce quindi il motto di spirito, discostandosi lievemente da Jean Paul, come l’attitudine a collegare in unità, con sorprendente rapidità, più cose che, per il loro contenuto e per il contesto al quale appartengono, sono tra loro propriamente estranee. Fischer rileva poi che in una quantitàdi giudizi spiritosi non si trovano somiglianze ma differenze, e Lipps richiama la nostra attenzione sul fatto che queste definizioni si riferiscono all’arguzia dell’uomo di spirito, non al motto che egli crea.
Altri punti di vista in certo senso collegati tra loro, che sono stati presi in considerazione nel definire concettualmente o nel descrivere il motto di spirito, sono il «contrasto delle rappresentazioni», «il senso nel nonsenso», «lo stupore e l’illuminazione».
Sul contrasto delle rappresentazioni pongono l’accento le definizioni come quella di Kraepelin.6 Il motto di spirito sarebbe «il collegamento o la connessione arbitraria di due rappresentazioni in qualche modo contrastanti fra loro, per lo più con l’ausilio dell’associazione verbale». Un critico come Lipps non ha difficoltàa scoprire tutta l’insufficienza di questa formula; egli stesso non esclude l’elemento del contrasto, solo lo sposta in un altro punto.
Il contrasto rimane, ma non si tratta, in una forma o in un’altra, del contrasto delle rappresentazioni collegate con le parole, bensì del contrasto o della contraddizione tra significato e mancanza di significato delle parole. (p. 87)

Si spiega con esempi come quest’ultima affermazione debba essere intesa: «Il contrasto sorge solo per il fatto che […] noi attribuiamo alle sue parole un significato che poi non possiamo più attribuire loro» (p. 90).
Continuando a sviluppare quest’ultima definizione, si viene a parlare della contrapposizione fra «senso e nonsenso».
Ciò che un momento fa abbiamo visto pieno di significato, ci sta ora davanti del tutto privo di significato. In ciò consiste in questo caso il processo comico.
Un detto appare spiritoso quando gli attribuiamo un significato con necessitàpsicologica e, attribuendoglielo, subito anche glielo ritogliamo. Dove per significato si possono intendere varie cose. Attribuiamo a un detto un senso ma sappiamo che logicamente esso non può spettargli. Troviamo in esso una verità, che poi di nuovo, in base alle leggi dell’esperienza o alle abitudini generali del nostro pensiero, non possiamo trovarvi. Gli riconosciamo una conseguenza logica o pratica che va al di làdel suo vero contenuto, per negare questa stessa conseguenza appena ci facciamo a considerare il detto per se stesso. In ogni caso, il processo psicologico, che il detto spiritoso provoca in noi e su cui si basa il senso del comico, consiste nel trapasso immediato da quell’attribuire, trovare e riconoscere alla coscienza o impressione di relativa nullità. (pp. 85 sg.)

Per quanto penetrante suoni questa argomentazione, si vorrebbe qui sollevare la questione: se la contrapposizione tra ciò che ha senso e ciò che non ne ha, su cui si basa il senso della comicità, contribuisca altresì a determinare il concetto di motto di spirito in quanto questo si distingue dal comico.
Anche l’elemento «stupore e illuminazione» ci rituffa nel vivo del problema della relazione tra l’arguzia e la comicità. Kant del comico in genere dice che ha la peculiare caratteristica di ingannarci solo per un momento. Heymans («Zeitschrift für Psychologie», XI, 1896, pp. 31 e 33) mostra come l’effetto di un motto di spirito si produca con la successione di stupore e illuminazione. Egli illustra la sua opinione con uno splendido motto di Heine, il quale fa vantare uno dei suoi personaggi, il povero ricevitore del lotto Hirsch-Hyacinth, di essere stato trattato dal grande barone Rothschild proprio come un suo pari, con modi proprio familionari. Qui la parola, che è il veicolo dello spirito, apparirebbe a tutta prima semplicemente come un costrutto verbale difettoso, come qualcosa di inintelligibile, di incomprensibile, di enigmatico. E per questo stupirebbe. La comicitàscaturirebbe dal cessare dello stupore quando la parola viene compresa. Lipps aggiunge che, a questo primo stadio di illuminazione, in cui si capisce che la parola che ci aveva stupiti significa questo e quello, ne segue un secondo, in cui si capisce che questa parola priva di senso ci ha stupiti, dandoci solo dopo il senso giusto. Solo questa seconda illuminazione, il comprendere che tutto è stato causato da una parola priva di senso nell’uso comune della lingua, solo questo sciogliersi in nulla produrrebbe la comicità(p. 95).
Qualunque di queste due concezioni ci appaia più plausibile, la discussione dello stupore e dell’illuminazione ci avvicina a una più precisa intelligenza del problema. Se cioè l’effetto comico del «familionari» di Heine dipende dallo scioglimento della parola apparentemente priva di senso, allora il motto è senz’altro da riporre nella formazione di questa parola e nel carattere della parola così formata.
Al di fuori di ogni connessione con i punti di vista da ultimo trattati, un’altra particolaritàdel motto di spirito viene riconosciuta da tutti gli autori come sostanziale. «La concisione è il corpo e l’anima dello spirito, anzi è la sua essenza» dice Jean Paul (Propedeutica all’estetica, I, §45), così solo modificando il detto di quel vecchio chiacchierone di Polonio nell’Amleto di Shakespeare (II, 2):
Percià, la brevitàessendo l’anima dello spirito
E la prolissitàle membra e gli esteriori ornamenti,
Sarò breve.

Significativa è poi la descrizione della concisione dell’arguzia in Lipps.
L’arguzia dice ciò che dice non sempre con poche parole, ma sempre con troppo poche parole, cioè con parole che, secondo la logica rigorosa o il modo comune di pensare e di parlare, non basterebbero allo scopo. In definitiva esso lo può dire proprio in quanto lo tace. (p. 90)

«Che l’arguzia debba trarre fuori qualcosa di segreto o di nascosto» (Fischer, p. 51) ci è stato giàinsegnato quando si è paragonato il motto di spirito con la caricatura. Qui rilevo ancora una volta questa definizione perchè anch’essa ha a che fare più con l’essenza dello spirito che con l’appartenenza di questo alla comicità.

So bene che gli scarsi estratti riportati dagli studi degli autori che si sono occupati del motto di spirito non possono fare giustizia al valore degli studi stessi. A causa delle difficoltàche presenta il riferire senza equivoci ragionamenti così complicati e sottilmente sfumati, non posso risparmiare a chi desideri saperne di più la fatica di procurarsi le conoscenze desiderate dalle fonti originarie. Ma non so se ne ritorneràpienamente soddisfatto. I criteri e le caratteristiche del motto di spirito indicati dagli autori e sopra elencati — l’attività, il rapporto con il contenuto del nostro pensiero, il carattere del giudizio ludico, l’accoppiamento di ciò che è dissimile, il contrasto delle rappresentazioni, il «senso nel nonsenso», la successione di stupore e illuminazione, il trarre fuori ciò che è nascosto e il tipo particolare di concisione del motto di spirito — ci appaiono infatti, al primo sguardo, così calzanti e così facilmente dimostrabili con esempi, che per noi non può esserci il pericolo di sottovalutare l’importanza di tali concezioni; ma si tratta di disiecta membra, che vorremmo veder riunite in un tutto organico. Essi in definitiva non contribuiscono alla conoscenza del motto di spirito più di quanto una serie di aneddoti contribuisca alla caratterizzazione di un personaggio del quale possiamo pretendere una biografia. Non comprendiamo affatto quale connessione sia da presupporre tra le singole determinazioni, per esempio che cosa possa avere a che fare la concisione del motto di spirito con il suo carattere di giudizio ludico, e inoltre non ci è affatto chiarito se il motto di spirito debba soddisfare tutte queste condizioni, per essere un vero motto di spirito, o alcune soltanto di esse, e quali poi siano sostituibili con altre e quali invece indispensabili. Desidereremmo anche un raggruppamento e una ripartizione dei motti di spirito in base alle loro caratteristiche definite essenziali. La ripartizione che troviamo negli autori si basa da un lato sui mezzi tecnici e dall’altro sull’uso del motto di spirito nel discorso (motto di spirito fonico, gioco di parole — motto caricaturante, motto caratterizzante, replica caustica).
Non avremmo dunque imbarazzo ad assegnare i fini da perseguire a una ulteriore ricerca sul significato del motto di spirito. Per poter contare sul successo, dovremmo o portare nel lavoro nuovi punti di vista o, raddoppiando l’attenzione e intensificando l’interesse, cercare di penetrare in esso più a fondo. Possiamo proporci per lo meno di non far mancare quest’ultimo mezzo. Salta tuttavia agli occhi quanto pochi esempi di motti di spirito riconosciuti come tali bastino agli autori per le loro ricerche, e come ognuno riprenda quelli giàfatti dai suoi predecessori. Noi non possiamo sottrarci all’obbligo di analizzare gli stessi esempi di cui, sul motto di spirito, si sono giàserviti gli autori classici, ma ci ripromettiamo di porre mano anche a materiale nuovo, onde poter disporre di una più larga base per le nostre conclusioni. È poi facile capire che prenderemo per oggetto della nostra indagine quegli esempi di motti di spirito che a noi stessi hanno fatto la più grande impressione nella vita e che ci hanno fatto più ridere.
Merita il tema del motto di spirito questi sforzi? Io credo che non ci sia da dubitarne. Anche prescindendo dai motivi personali che mi spingono a procurarmi comprensione nei problemi del motto di spirito, e che verranno fuori nel corso di questi studi, posso richiamarmi al fatto dell’intima connessione di tutti i fenomeni psichici, che assicura alle conoscenze psicologiche acquisite anche in un campo remoto un valore non misurabile in anticipo anche per gli altri campi. Si può anche ricordare quale forza particolare, quale fascino, addirittura, eserciti il motto di spirito nella nostra società. Un motto di spirito nuovo fa quasi l’effetto di un avvenimento di interesse generale: esso passa di bocca in bocca come la notizia dell’ultima vittoria. Anche uomini importanti, che ritengono degne di essere raccontate le vicende loro personali, le cittàe i paesi da loro visti, e le relazioni che hanno avute con i personaggi in vista, non disdegnano, nel narrare la propria vita, di inframmezzarvi questo o quell’ottimo motto di spirito che è loro accaduto di sentire.

1 [Jean Paul Richter, Vorschule der Ästhetik, Hamburg 1804.]
2 [Kuno Fischer (1824-1907), professore di filosofia all’Universitàdi Jena e in seguito a Heidelberg, seguì l’idealismo hegeliano, in cui introdusse elementi della logica aristotelica e del criticismo. Oltre al testo qui citato, fu autore di Geschichte der neueren Philosophie.]
3 [Theodor Lipps (1851-1914), psicologo e filosofo tedesco, insegnò all’Universitàdi Monaco. Fu autore di testi considerevoli, fra cui Die Grundtatsachen des Seelenlebens, Aesthetik e Psychologische Untersuchungen. Alcuni concetti — «la coscienza [come] mero organo di senso; qualsiasi contenuto psichico [come] mera rappresentazione; e i processi psichici tutti incon...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. BUR
  3. Frontespizio
  4. Prefazione
  5. Introduzione
  6. A: Parte Teorica
  7. B: Parte Teorica
  8. C: Parte Teorica
  9. Appendice