La snob miracolata
Franca Valeri
ORIANA FALLACI. Per carità non si scomodi, resti pure a letto, signora Valeri. Quella di ricevere a letto è un’antichissima usanza. Lo facevano, se non sbaglio, anche Luigi XIV e la marchesa di Rambouillet: personaggi cui lei non ha nulla da invidiare. Ai giorni nostri lo fa Pierre de Rothschild il miliardario. E poi lei ci sta così bene: sembra Violetta nell’ultimo atto della Traviata. (Malgrado sia perfettamente pettinata e truccata Franca Valeri sostiene di essersi svegliata da poco e per questa ragione ci riceve stando a letto. Il letto è in stile Impero, ha quattro colonnine che sembrano ceri dipinti e un baldacchino di tulle il cui drappeggio scende da un fregio composto di un’aquila d’oro. Il tulle è bianco e anche i lenzuoli da cui Franca Valeri emerge fino a metà busto sono bianchi. La vestaglia di Franca Valeri è invece color acquamarina: come il volto della medesima. Il volto di Franca Valeri, infatti, è un po’ tragico e ci si aspetta, da un momento all’altro, di vederle sputare i polmoni. O almeno tossire. Invece sbadiglia).
FRANCA VALERI. È il letto che io preferisco, Dio che sonno. Pappo, voglio dire Vittorio, insomma mio marito, preferisce l’altro letto. L’altro letto è in campagna. La casa di campagna è di Pappo. La casa di città invece è mia. Mi piace perché è senza ascensore e perché è attaccata a Montecitorio. Che cosa deliziosa, questo Montecitorio. Visto di fuori sembra una cittadella di Courteline. Quei signori così vecchi, vestiti di scuro, che si scambiano salamelecchi come sessant’anni fa. La notte, quando i loro autisti si stancano di aspettare e suonano il clacson per convincerli a uscire, mi sembra di vedere i cocchieri coi landau. Mi piacerebbe entrarci, una volta. Vederli discutere, urlare, dev’essere come una pochade: una pochade alla Feydeau. Quando ho debuttato con le Catacombe, Pajetta mi ha scritto: «Cara Franca, verrei tanto volentieri a vederti. Purtroppo anch’io recito tutte le sere». Caro, carissimo gigione. Io adoro i gigioni. Essere un vero gigione è un gran punto di arrivo, e gli uomini politici lo sono talmente: più degli attori, n’est-ce pas?
Strano, allora, che non abbia mai pensato a prenderli in giro. Tanto più che a loro piace esser presi in giro: non si danno mica le arie che vi date voi attori.
Prenderli in giro vorrebbe dire imitarli, e come si fa a imitarli? Sono più comici di un comico, più istrioni di un istrione. Nel loro teatro sono tutti Ermete Zacconi e chi se la sente di competere con gli Ermete Zacconi? Chi se la sente di rifare il balletto quando escono da Montecitorio e quelli di destra salutano quelli di sinistra, quelli di sinistra si complimentano con quelli di destra: quasi si amassero come fratelli... Davvero: io non voglio inimicarmi nessuno però mi diverto molto di più se l’onorevole XY parla alla televisione di quando Dapporto fa la satira dell’onorevole XY. A parte il fatto che la satira politica come usava in Francia cinquant’anni fa in Italia non piace. Sulla politica gli italiani non riescono a ridere mai. Al massimo fanno un sorriso dinanzi agli sketch grossolani e «Orca, che coraggio!» esclamano. Quel genere di ironia, però, non è il mio tipo: io ho sempre bisogno di una conoscenza, come dire, psicologica per far dell’ironia su qualcuno. La psicologia di un personaggio... Oddio che ho detto, che ho fatto? Si sente male? Signorina Fallaci, signorina Fallaci...
Sto bene, grazie. Sono soltanto un po’ preoccupata. Ma come?! Si fa trovare come Violetta sotto un baldacchino e poi mi delude così. Capisco che essere sempre un personaggio umoristico è una fatica durissima, un impegno lacerante. Ma diventare seria di colpo, con me, è un colpo gobbo. Le pare?
Lo sapevo. Anche lei commette il medesimo errore degli altri quando credono che parli come le donne che invento, che abbia la battuta sempre pronta, che sia l’immagine viva della signorina snob. Ma io, quella, non la frequenterei per tutto l’oro del mondo. Io parlo piano, vede... ci metto un’ora a pensare le cose che dico, vede... Io sono una persona seria, vede. Rido pochissimo, sono spesso di malumore. Sono perfino malinconica...
Tutti i veri umoristi sono incapaci di divertirsi, di ridere. Buster Keaton era la tristezza in persona. Il clown Grock era di una noia mortale. Lo sanno tutti. Ma lei...
Lei pure, io pure. E non me ne dispiace affatto. Se fossi come la gente crede che sia, mi tirerei un pugno nello specchio. L’equivoco è nato dagli articoli che si sono scritti su di me: di me i giornalisti presentano sempre l’imitazione dei personaggi che invento. A questo punto però devo dire che sono pessimi imitatori: considerata da un punto di vista dialettico, tale psicosi... Pronto? Oh, questo telefono! Pronto? Bebè!... Sei tu, Bebè caro? Stella, stellone, stellino, ma lo sai come s’è spernacchiata la Nora da quell’antiquario? È entrata con l’aria più sicura del mondo e gli ha chiesto se aveva qualcosa in stile neogotico. L’antiquario aveva visto la mia commedia e... Sì, il Pappo, voglio dire Vittorio, è andato a Milano. Torna stamani. La Pappona invece è qui, nel suo letto: ci fanno l’intervista. Bebè mio, perché non vieni ad aiutarmi? Vogliono farmi dir certe cose, certe cose... Ti aspetto, Bebè: ci ho il regalo. Ciao. Dunque, carissima: andiamo avanti. Che dicevamo? Ah, sì. Il Natale, i regali di Natale. Che noia, che dittatura. Io non capisco perché quando viene il Natale si debba fare i regali. Perché, sa, la gente non si contenta mica più di un librino, di un ramoscello. Ora vogliono il mobile, e antico, per giunta.
Possibilmente in stile neogotico, mi rendo conto. Ma non parliamo di questo. L’argomento è un po’ frivolo. Dopo ciò che mi ha spiegato, non oso. Cosa dicevamo sulla psicologia considerata da un punto di vista dialettico?
No, no. Io parlavo dei mobili antichi. Questa storia della Nora che si fa spernacchiare con lo stile neogotico, ad esempio. Io dico che l’antiquariato ci sta rovinando l’esistenza, ci mangia il cervello, piano piano, come un tarlo... Dico: perché mai uno che non sa nulla, che non capisce nulla, deve straziarsi coi mobili vecchi, mettersi in mano di qualche cafone che cita Luigi XV, Luigi XVI, Luigi XVIII come si citerebbe il cugino, la cognata o la zia? Senti nomi come Biedermeyer, Charles X, Rococò, in bocca a poverini che non sanno nemmeno se è Settecento, Duemila o Millecento: non ha senso. Dico: io con un armadio di acero bianco non ci starei. Ma quando incontro, per esempio, un attore che tiene in casa il suo bell’armadione di acero bianco, e ha il coraggio del suo cattivo gusto, provo una tal simpatia... una tal simpatia...
A chi lo dice. Oggigiorno, quando si va a intervistare un attore, bisogna portarsi dietro l’enciclopedia degli stili. E «il mio hobby è l’antiquariato», e «sono stata dall’antiquario» e «io ne so più di un antiquario». Anche considerata da un punto di vista dialettico, anzi direi metafisico, questa è una gran scocciatura. Ma non parliamo di futilità. Mi dica, piuttosto: lei si intende di alienazione?
Io no. Però credo si tratti di un termine filosofico-politico. Lo usa anche Marx nel Capitale, m’hanno detto. Mi hanno anche detto che l’ultimo atto della mia commedia è un esempio tipico di alienazione. Secondo me l’alienazione è una moda come lo stile Liberty. Da quando poi questo Liberty s’è accavallato col tema dell’incomunicabilità... Oddio, questo telefono. Chi mi chiama? Chi è? La Nora? Rispondete alla Nora che in questo momento non posso perché sono impegnata in una intervista: come del resto succede qualche volta anche a lei. Dunque, di che parlavamo? Ah, sì. Dell’incomunicabilità. Che follia. Come quella delle ninfette. Ma cosa sono queste ninfette, queste lolite?
Una mania di Alberto Lattuada. Nabokov gliel’ha rubata.
Maleducate, ecco quello che sono. Pazze. Io non le posso soffrire. Sarà anche un segno di vecchiaia: ma proprio non le posso soffrire. Quella mancanza di pudore, quella sfacciataggine mentale. Che m’importa se tirano fuori la gamba? È la loro impudicizia interiore che mi disturba. Se fossi un uomo, le butterei via con un calcio. Grazie a Dio, noto con un certo piacere che anche agli uomini piacciono poco.
Mica vero, sa. Piacciono, eccome.
Oddio, in quel senso possono anche essere utili: come alimento del desiderio, intendo dire. Perché, dico io, sia benedetto tutto quello che serve a tenere in vita la mascolinità.
Per quello, sa: anche le vamp. Intendiamoci: io non voglio farle parlar male di nessuno. Lo so bene che molte vamp sono amiche sue. Però...
Guardi sulle vamp io ci ho riso parecchio, ma in definitiva sono simpatiche. Voglio dire che in fondo qualche qualità genuina ce l’hanno. La potenza fisica, ad esempio. D’accordo: adoprano il sesso come gli altri il cervello: ma c’è una certa castità in tutto questo. Perché, lo sa cosa ho scoperto? Ho scoperto che, col sesso, le vamp hanno a che fare proprio pochino. Non c’è nulla di torbido nella loro abbondanza; tutto sommato sono assai più eccitanti le ragazzine al caffè delle dive che mostrano le loro tettone e le loro gambone. Sia chiaro, anche loro mi hanno deluso un pochino: questa mania di voler essere attrici, questo continuo citare il buon gusto... Sono state cattive: dovevano continuare a farsi doppiare, a tenere le bambole sopra il letto, a esser cafone, ma da qui a condannarle...
Lei è proprio indulgente. Scusa tutti, capisce tutti. Non capisco perché mi avevano detto che lei è una donna tremenda: senza pietà per nessuno. E degli attori, cosa ne pensa? Degli attori che sono tutto il contrario delle vamp, voglio dire. Quelli intellettuali...
L’attore intellettuale... poverello! Il problema non si pone nemmeno. La cultura è lunga da assimilare e la carriera d...