Novelle
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Novelle

  1. 722 pagine
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Dopo il Decameron, la raccolta di novelle più conosciuta nell'Europa del Cinquecento fu quella di Matteo Bandello. Frate girovago, Bandello conobbe il fasto delle corti e gli intrighi della politica, le raffinatezze del costume e la violenza delle lotte di potere, all'ombra dei signori (dai Bentivoglio agli Sforza ai Gonzaga) cui successivamente si legò. La sua vasta esperienza si riflette nelle sue 214 novelle, ciascuna delle quali è preceduta da una lettera dedicatoria, che precisa l'occasione del racconto. Quest'opera ricchissima, il cui fascino ha alimentato nei secoli la fantasia di grandi artisti da Shakespeare a D'Annunzio, è qui corredata dall'approfondito saggio di Luigi Russo e dalle note di Ettore Mazzali.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2011
ISBN
9788858617571

LA SECONDA PARTE DE LE NOVELLE

Il Bandello ai lettori.
Eccovi, lettori miei umanissimi, la seconda parte de le mie novelle, ridotta a la meglio che ho potuto insieme, essendomi stato necessario da diversi luoghi molte d’esse novelle raccogliere, secondo che erano state disperse.1 Seguirà in breve la terza parte che quasi per il più è insieme adunata. Pigliatevi piacere, se tali le mie ciancie sono che possino piacervi. Io vi confesso bene che a cotal fine furono da me scritte. Accettate dunque il mio buon volere e la sincerità de l’animo mio. E se l’opera od il suo effetto non corrisponde al desiderio ch’io aveva, incolpatene il mio poco sapere e la debole capacità del mio ingegno. E state sani.
1 disperse: le difficoltà della tradizione manoscritta delle novelle è testimoniata dalla sopravvivenza di soli due autografi: I, 21 e II, 37 (cfr. Bibliografia).

II, 2

Il Bandello a la molto magnifica e vertuosa signora la signora Ippolita Torella e Castigliona.1
Egli non fu mai, signora mia osservandissima, ingegno così rintuzzato2 né uomo tanto materiale o sì fieramente da melensaggine stordito, che s’apre il petto ai raggi de l’amoroso fuoco, ch’in breve tempo tutto non si tramuti e non divenga un altro da quello che era; perciò che l’amoroso focile3 gli apre gli occhi de la mente, lo desta, lo scuote, e l’offoscato e adombrato ingegno in modo gli alluma e rischiara che subito il fa divenir avveduto, scaltrito e malizioso. Veduti se ne sono pur assai i quali prima che s’innamorassero erano più che morti, senza avvedimento, semplici e trascurati ne l’azioni loro, che poi accesi d’amore d’alcuna donna, senza uscir de l’albergo, pare che siano stati a Bologna ad imparar senno e che partiti se ne siano a bocca chiusa, così fatti sono avvisti e prudenti. Onde quello che mille dottori non averebbero loro mai insegnato, Amore in un tratto gli mostra. Fui questo luglio passato da alcuni gentiluomini bresciani amici miei condotto a cenar a Montepiano,4 ove tanti rampolli sorgono d’acqua che per cento milia canaletti fanno dentro la città tante belle e fresche fontane. Quivi di queste forze d’Amore si cominciò a ragionare, e molte cose dicendosi e volendo ciascuno dimostrar quanto elle poderose siano, messer Gian Paolo Faità, eccellente e soavissimo musico di compor canti, sonar d’ogni stromento e di molte altre doti ornato, narrò una novella che tutti ci fece ridere; e fu a proposito de le forze amorose e dei mirabili effetti che sanno fare. Essa novella scrissi, e secondo il mio consueto, che a tutte le mie novelle metto ne la fronte il nome d’alcun mio signore, signora, o amico, a questa il vostro onorato nome posi come scudo che la diffenda; ed al presente che da Milano tornato sono, quella vi porto per non venir innanzi a voi che mia singolarissima padrona sète, a man vòte. Degnate adunque, signora mia, quella accettare e me nel numero dei vostri più fedeli servidori annoverare. Quando poi il signor conte Baldessare vostro onorato consorte sarà da Roma ritornato, vi piacerà essa mia novella mostrargli; ché mi fo a credere, per l’amore che sempre mi ha portato, che la vedrà molto volentieri, avendo di continovo dimostro le cose mie così in rima come in prosa piacergli, come per lettere sue a me scritte, che vedute avete, fa largo testimonio. State sana.5

Don Faustino con nuova invenzione de l’augello griffone gode del suo amore gabbando tutti i suoi popolani.

Poi che s’è cenato, non so già io come entrati siamo a ragionar d’amore e de le sue poderose e divine forze, le quali senza dubio sono meravigliose molto e fuor d’ogni credenza umana, parendomi che tosto si doveva ciascuno di noi lamentare de l’ordinatore de la cena, essendo tutta stata insipida e senza sale, ancor che il nostro gentilissimo messer Emilio degli Emilii6 si sia rammaricato che alcune vivande fossero fuor di misura salate. Ma vadasi a far acconciar il mal sano palato e gusto, ed impari che cosa sia ad insaporir le vivande, e non si confidi del maestro dei cuochi Apicio,7 perciò che egli mai questo segreto non apparò, e se apparato lo aveva, non l’insegnò altrui quando tanti condimenti di cibi e sapori scrisse. E per non tenervi a bada, vi dico che cena né desinare sarà saporito già mai, e siavi pur per cuoco chi si sia, se non vi sono de le belle e leggiadre donne di brigata, intendendomi sanamente, ché io non ci vorrei pinzochere né spigolistre8 né vecchie, ma de le piacevoli, amorose ed oneste giovani.9 Io stamane quando invitato fui ad esser qui a cena, portai ferma openione che la brigata nostra non devesse esser senza donna, perciò che secondo che elle senza noi ponno far poco lieti e piacevoli i lor conviti, noi altresì senza loro vagliamo nulla, né aver possiamo piacer ch’intero sia. Pertanto se più di questi pasti vi verrà talento di fare, come far devete, ricordatevi che ci siano de le belle donne; altrimenti io v’avviso che vivanda non ci sarà che saporita sia. Ma ripigliando il parlare di cui noi si ragionava, a voler mostrar di non esser miglior maestro per aguzzar gli ingegni e destar gli addormentati, com’è Amore, dico che nel contado nostro di Brescia è una villa posta ne la valle di Sabbia,10 il cui nome è detto come quella cosa per cui tanto gli uomini piaceno a le donne ben che elle si vergognano nominarla, ne la quale fu un prete chiamato don Faustino da Nigolini, che era parrocchiano de la chiesa, uomo mezzanamente letterato ed assai bel parlatore, ma per altro tanto grosso e materiale che di leggero se li sarebbe dato ad intendere tutto ciò che l’uomo avesse voluto. Ché in vero da quelle lettere in fuori che da fanciullo apparate aveva ed il governar i suoi popolani ne le cose spirituali, nel resto ne le cose del mondo egli niente valeva, onde era spesso ingannato e fattoli creder una cosa per una altra; tuttavia per la sua buona vita era generalmente amato. Egli ogni festa, prima che la messa cantasse, soleva legger la passione del nostro Salvatore e in mezzo de la messa faceva una predicazione, ed assai sovente andava con l’acqua santa benedicendo i campi, dicendo suoi salmi, paternostri ed altre sue orazioni, e metteva su gli usci de le case de le croci benedette. Soleva anco benedir i buoi e l’altro bestiame con l’orazione del barone san Bovo,11 di modo che era da tutti tenuto uomo di santa vita. S’alcuna volta accadeva romore o mischia tra i popolani suoi, egli mai non cessava fin che tutti rappacificati non aveva. Medesimamente come uno infermava, don Faustino subito amorevolmente lo visitava e in tutto ciò che per lui far si poteva gli dava aita; e insomma si mostrava con tutti amorevole e caritativo. Egli è ben vero che era molto rigido quando udiva le confessioni dei suoi parrocchiani, riprendendo acerbamente i peccati, e un gran romor faceva in testa agli uomini e a le donne innamorate, contra i quali quando predicava diceva di terribili parole mandandogli tutti in bocca di Lucifero. Era per questo non solamente il confidente de la sua villa, ma di tutta la valle. Non era in quella terra pozzo veruno, ma v’erano due fontane, de le quali la più grande e megliore sorgeva in casa di don Faustino, lungo la chiesa a la quale la casa era attaccata. Quivi solevano tutto il dì per la maggior parte venir le donne de la villa con loro secchie a pigliar de l’acqua. Ora avvenne un dì che messer lo prete vide una fanciulla, secondo donna di montagna,12 assai appariscente ed avvenevole, la quale Orsolina aveva nome ed era figliuola di barba13 Tognino da Ossemo, contadino secondo l’uso di quelle contrade assai agiato e ricco. Piacque questa fanciulla mirabilmente al messere, e volentieri, quando veniva per attinger acqua, la vagheggiava ed anco l’aiutava ad empir le secchie, cotali sue sciocchezze dicendole. Onde vagheggiandola spesso, cominciò a poco a poco fieramente ad innamorarsi di lei, di modo che mai bene o riposo non aveva se non quando la vedeva e che parlava con lei. Il perché amorosamente vagheggiandola, destandosi in lui la concupiscenzia carnale, venne in desiderio se possibil era di ritrovarsi in luogo segreto con lei, e giacendo seco farla parente di messer Domenedio,14 e una volta provare se il servir a Dio cacciando il diavolo ne l’inferno era così dolce cosa come molti affermano. Perché quando Orsolina veniva per acqua, se senza scandalo poteva, le faceva vezzi cercandole far credere ch’egli era tutto suo e che le voleva gran bene. Ma con ciò sia ch’ella fosse ancor garzona e non mostrava accorgersi del fatto, il domine non ardiva scoprirle apertamente questo suo amoraccio. Egli aspettava pure che la fanciulla riuscisse fuor d’alcun motto, sovra il quale egli potesse fondar la sua intenzione e farla avveduta come per lei si struggeva. Ma o che ella fosse sì scaltrita che fingesse non se n’accorgere in modo che si sia, o che pure in effetto la sua semplicità l’adombrasse gli occhi, ella sembianza nessuna faceva che di lui le calesse. Del che messer lo prete che averebbe voluto sonar la piva, se ne trovava molto mal contento, e tanto più si disperava quanto che in effetto era fieramente di lei innamorato, e come di cosa più da lui non provata, de la quale con persona non ardiva scoprirsi, dava del capo nel muro farneticando com’egli di questo amore potesse venir a capo. Invescatosi adunque ne la pania amorosa e più di passo in passo invescandosi, altro mai non faceva che far chimere e castella in aria per trovar il mezzo d’indur Orsolina a’ suoi piaceri. E perché per l’ordinario Amore dove s’appicca gli animi rintuzzati suol assottigliare e mirabilmente aguzzargli, e i sopiti destare e render avveduti, cadde un nuovo modo ne l’animo del prete, col quale a lui pareva che troppo bene gli verrebbe fatto d’ingannar l’Orsolina e goder de l’amor di quella. Onde poi che più e più volte su v’ebbe pensato e ripensato ed ogni fiata più imaginandolo riuscibile, si deliberò mandarlo ad essecuzione. Era suo costume, come già vi dissi, le domeniche e le feste prencipali, o nel mezzo de la messa o dopo, esporre alcun passo del vangelo al popolo, e secondo i propositi occorrenti15 quello agramente riprendere e sgridare dei peccati che si facevano, e ammaestrar ciascuno a non conturbar il prossimo, a non rubare, non bestemmiare, non vagheggiar le donne in chiesa e a non lavorar le feste; e d’altre cose garriva i suoi popolani come è costume dei rettori de le chiese. Il perché essendogli ne la mente caduto il dissegno che far intendeva, cominciò quando in destro gli veniva, acerbissimamente a gridar contra tutti quelli che in chiesa stavano a vagheggiar le donne e far del venerabil tempio di Dio un chiazzo16 ed una taverna, minacciando loro da parte di Dio che un grandissimo flagello aspettassero. «Io v’avviso, figliuoli miei,» diceva egli «che il primo che io in chiesa vedrò con gli occhi levati andar in qua e in là balestrando...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. INTRODUZIONE
  4. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
  5. NOTA AL TESTO
  6. LA PRIMA PARTE DE LE NOVELLE
  7. LA SECONDA PARTE DE LE NOVELLE
  8. LA TERZA PARTE DE LE NOVELLE
  9. LA QUARTA PARTE DE LE NOVELLE
  10. APPENDICE BIOGRAFICA
  11. Copyright