Il tiranno
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Il tiranno

  1. 434 pagine
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Informazioni sul libro

Sicilia, 412 a.C.: comincia il duello infinito fra un uomo e una superpotenza. L'uomo è Dionisio di Siracusa. La superpotenza Cartagine, signora dei mari e megalopoli mercantile. Dionisio, poco più che ventenne, combattente intrepido dell'esercito siracusano, è costretto ad assistere allo spaventoso massacro di Selinunte, splendida città greca al confine con la provincia cartaginese. Lo sdegno e la rabbia alimentano in lui tre ferree convinzioni: le democrazie sono inefficienti, i cartaginesi sono i mortali nemici dell'ellenismo e devono essere sradicati dalla Sicilia; l'unico uomo in grado di condurre a termine una tale impresa è lui stesso.
Inizia così l'avventura di un uomo che costituì il più grande esercito dell'antichità ed edificò in pochi mesi la più ampia cinta muraria mai vista. Ma anche di un uomo che fu drammaturgo e statista, pieno di passioni e con una personalità energica e controversa.
Ecco una storia che aspettava solo di essere raccontata. E nessuno poteva farlo meglio di Valerio Massimo Manfredi che regala ai suoi lettori un protagonista memorabile.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
ISBN
9788852010651

XXIII

L’appuntamento era a Motya in casa di Biton che comandava la piazzaforte. Dionisio arrivò dal molo a cavallo, con l’acqua che lambiva i malleoli al suo animale; Leptines si fece condurre a terra dalla scialuppa della Boubaris. La nave ammiraglia era ancora più impressionante di quando l’aveva vista l’ultima volta. La prua era stata scolpita con una testa di toro rivestita d’argento, la vela era orlata di porpora e portava al centro una testa di gorgone con le zanne insanguinate e la lingua estroflessa in un ghigno feroce. Gli scalmi di ciascun remo erano rivestiti in bronzo lucidato a specchio, la testa dell’albero maestro in lamina d’oro. Lungo i due bordi erano schierate, lucide di grasso, sei balliste armate di dardi micidiali.
«Non è stupenda?» disse Leptines balzando a terra di fronte al fratello e indicando alle sue spalle l’imponente vascello.
«Non c’è dubbio. Ma non è un po’ troppo vistosa?»
«Ah, io voglio che se la facciano sotto i merdosi, appena la vedono. Devono capire che non hanno scampo di fronte alle mascelle d’acciaio della mia Boubaris
Biton arrivò con una dozzina di mercenari e diede il benvenuto a entrambi.
«Novità?» chiese Dionisio mentre si avviavano verso la residenza del governatore.
«Tutto tranquillo per il momento» rispose Biton «ma non c’è da fidarsi. So che a Cartagine si stanno facendo grandi preparativi. Si parla di centinaia di navi da guerra, tre o quattrocento, ma c’è chi dice cinquecento. L’arsenale dell’ammiragliato ne è pieno. E mi risulta che le navi da carico sono in numero ancora maggiore.»
Leptines sembrò perdere per un attimo il suo buonumore. «Mi servono altre pentere» disse «almeno altrettante. Quante ne abbiamo in costruzione?»
«Dieci» rispose asciutto Dionisio.
«Dieci? E che ci faccio con dieci?»
«Te le fai bastare. Non posso darti altro, per ora. Dov’è il resto della flotta?»
«A Lilibeo» rispose Leptines. «È un buon posto per tendere agguati. Appena quelli si fanno vedere li colo a picco.»
«Speriamo bene» commentò Dionisio «ma stai attento. Himilko è furbo. Attacca solo quando è sicuro di vincere. Hai capito? Non lasciarti trarre in inganno.»
«Come stanno le mie cognate?» chiese Leptines.
«Bene. Perché me lo chiedi?»
«Così. L’ultima volta che ho visto Aristomache mi sembrava un po’ triste.»
«Cose di donne… Non c’è da preoccuparsi.»
«E il piccolo Dionisio? E l’altro maschietto?»
«Stanno bene, crescono in fretta.» Cambiò discorso. «Tu, piuttosto, Biton, come pensi di tenere questo posto in caso di attacco?»
«Ho un sistema di segnalazioni da Lilibeo che mi avverte se c’è un pericolo in vista. La breccia è stata riparata e nei magazzini ci sono provviste sufficienti per tre mesi di assedio.»
«Bene. Questa sarà la sfida più grande della nostra vita. Non dobbiamo e non possiamo perderla. Mi avete capito bene?»
«Ti ho capito» rispose Leptines «ma se mi avessi mandato le pentere che ti avevo chiesto…»
«Inutile recriminare. Tenete gli occhi aperti. Io devo convincere gli indigeni sicani che noi siamo i più forti e che gli conviene stare dalla nostra parte. Quindi mi muoverò verso l’interno, per il momento.»
Cenarono assieme poi, al calare della notte, Dionisio raggiunse la terraferma e Leptines risalì a bordo della Boubaris.
Himilko partì molto tardi, quando l’estate era quasi alla fine. Salpò di notte, a luci spente per non farsi vedere, e navigò al largo, invisibile dalla costa.
A Leptines lasciò come esca la testa del suo convoglio di navi da carico, e lui abboccò. Quando le vide, lente e pesanti, profilarsi all’alba davanti al capo Lilibeo, saltò sulla Boubaris come un cavaliere sul suo destriero e si lanciò in avanti a gran velocità, tirandosi dietro le navi che a quell’ora del mattino potevano mettere insieme un equipaggio. Affondò una cinquantina di vascelli nemici, di cui quattro speronati dalla sua stessa ammiraglia; ne catturò un’altra ventina, ma il resto dell’immenso convoglio riuscì a raggiungere indenne Palermo, dove si ricongiunse alle unità da combattimento arrivate dopo una lunga deviazione al largo.
Quando venne a saperlo, Dionisio andò su tutte le furie. «Lo avevo avvertito, maledizione! L’avevo messo in guardia!»
Il corriere che gli aveva portato la notizia era un selinuntino e se ne stava in silenzio, senza sapere che cosa rispondere. «Heghemòn…» tentò di ribattere, ma Dionisio lo zittì.
«Taci!… E adesso dov’è?»
«Il navarco supremo? A Lilibeo.»
«Troppo esposto. Gli porterai la mia lettera, ora.» Dionisio dettò il messaggio che fu inviato subito dopo a destinazione. Lui si spostò ancora all’interno del territorio dei Sicani.
Himilko, che nel frattempo aveva reclutato altri mercenari, attaccò per terra e per mare. Prese Drepano ed Erice, dove installò, nel punto più alto della montagna, un segnalatore luminoso che trasmetteva di notte messaggi per Cartagine, che rimbalzavano da un paio di ripetitori su piattaforme galleggianti che facevano perno, a loro volta, sull’isola di Cossira.
Leptines voleva uscire per impegnare la flotta nemica, ma lo raggiunse prima, per fortuna, il messaggio in cifra del fratello.
Dionisio, egemone panellenico di Sicilia a Leptines, navarco supremo, salve!
Mi congratulo con te e con i tuoi uomini per l’affondamento di cinquanta vascelli nemici.
Ho informazioni di prima mano da Palermo. La flotta di Himilko ha nei nostri confronti una schiacciante superiorità di almeno tre a uno. Non hai alcuna speranza di successo e rischieresti inutilmente la nostra flotta.
Ritirati. Ripeto: ritirati.
Vai a Selinunte, se vuoi, e lascia dei ricognitori che ti portino notizie sulle mosse del cartaginese.
Questo è un ordine. E non hai altra possibilità se non obbedire.
Stammi bene.
«Stammi bene?» urlò Leptines dopo che ebbe letto. «Stammi bene? E come faccio a star bene, per Zeus! Dobbiamo svignarcela da vigliacchi e cedere il campo a quel figlio di un cane? E Biton? Lo lasciamo là in mezzo a quella laguna da solo come un idiota? Che accidente gli racconto a Biton, eh? Che devo obbedire agli ordini?»
Il messaggero osò prendere la parola. «Il comandante mi ha detto che è essenziale che tu esegua questi ordini, navarco, e…»
«Taci!» urlò Leptines, con tale veemenza che l’uomo non osò più aprire bocca. «E adesso fuori!» gridò ancora più forte. «Fuori tutti!»
Non prese cibo né bevve un sorso di vino per il resto del giorno. Poi, a notte fonda, chiamò un attendente. «Fammi preparare la mia scialuppa. Usciamo.»
«Usciamo? A quest’ora?»
«Muoviti, non ho molta pazienza.»
L’uomo obbedì e poco dopo Leptines, a capo coperto, entrò nella scialuppa e ordinò al timoniere di mettere prua a nord.
Sbarcò a Motya a metà della notte e fece buttare Biton giù dal letto.
L’amico si presentò a riceverlo vestito con il lenzuolo in cui dormiva e lo fece entrare. «Sei matto ad andare in giro a quest’ora con quel guscio di noce! E se finivi in bocca a un ricognitore cartaginese? Sai che colpo un pesce così nella loro rete?»
«Il fatto è che questa faccenda te la dovevo dire di persona. Odio chi manda messaggi e non ha il coraggio di mostrare la faccia mentre dice certe cose…»
«Ma… di che stai parlando?» Prese una brocca da un tavolo e due coppe di ceramica. «Un goccio di vino?»
Leptines scosse la testa. «Ah, non ho voglia di niente.»
«Allora, di che si tratta? Chi sono questi individui che si nascondono dietro i messaggi?»
«Lui.»
«Dionisio?»
Leptines annuì.
«E che cosa dice?»
«Mi ordina di ritirarmi, di abbandonare Lilibeo. Dice che sono troppo esposto. Vuole che ripieghi su Selinunte, ma così facendo…»
«Mi lasci completamente solo. È per questo che sei venuto fin qui nel cuore della notte?»
Leptines annuì nuovamente. «A te non ha comunicato niente?» chiese poi.
Biton scosse la testa.
«Lo vedi? Non si è nemmeno degnato di avvertirti. È troppo! Io dico che questo è troppo!»
Biton cercò di calmarlo. «Può darsi che il messaggio mi arriverà domani, o dopodomani. In guerra le comunicazioni sono molto precarie, lo sai.»
«Può darsi, ma la sostanza non cambia.»
«Ma qual è il motivo?»
«Dice che ci superano tre a uno.»
«È un buon motivo.»
«E per questo io dovrei lasciare un amico con il culo scoperto?»
«Non hai scelta, Leptines. Prima che amici, noi siamo ufficiali dell’armata siracusana, e Dionisio è il nostro comandante supremo.»
«Nella Compagnia siamo sempre stati abituati a coprirci l’un l’altro, a sostenerci in ogni modo. Quando eravamo ragazzi e uno di noi era aggredito da quelli delle altre bande correvamo ad aiutarlo a costo di farci rompere il muso. È sempre stata la regola fra noi e io non lo dimentico.»
Biton sorseggiò un po’ di vino, appoggiò la coppa sul tavolo e la schiena contro la sedia. «Altri tempi, amico mio» sospirò. «Altri tempi… Abbiamo fatto molta strada. Abbiamo goduto di molti privilegi al fianco di Dionisio: belle donne, belle case, bei vestiti, cibi raffinati, potere, rispetto… Ora lui ci chiede di fare la nostra parte per la buona riuscita della guerra e noi dobbiamo obbedire. Ha ragione lui. Se tu restassi qui, otterresti solo di farti massacrare. Invece devi salvare la flotta, tenerla per un’altra occasione più favorevole. È giusto così. Siamo soldati, per Eracle!»
«Ma perché non fa sgombrare anche te quel bas...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il tiranno
  4. Corinto, 342 avanti Cristo. Secondo anno della CIX Olimpiade
  5. Prologo
  6. I
  7. II
  8. III
  9. IV
  10. V
  11. VI
  12. VII
  13. VIII
  14. IX
  15. X
  16. XI
  17. XII
  18. XIII
  19. XIV
  20. XV
  21. XVI
  22. XVII
  23. XVIII
  24. XIX
  25. XX
  26. XXI
  27. XXII
  28. XXIII
  29. XXIV
  30. XXV
  31. XXVI
  32. XXVII
  33. XXVIII
  34. XXIX
  35. XXX
  36. XXXI
  37. Epilogo
  38. Nota dell’Autore
  39. Carte
  40. Copyright