Cuore di tenebra (Mondadori)
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Cuore di tenebra (Mondadori)

Joseph Conrad, Rossella Bernascone

  1. 336 pagine
  2. Italian
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Cuore di tenebra (Mondadori)

Joseph Conrad, Rossella Bernascone

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L'incontro con la tremenda realtà dello schiavismo nell'Africa centrale, la rivelazione dei guasti della solitudine, un confronto inquietante col diverso e col primitivo. Il capolavoro del grande narratore inglese d'origine polacca Joseph Conrad (1857-1924).

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
ISBN
9788852010866

Cuore di tenebra

I

La Nellie, una iolla da crociera, girò sull’ancora senza il minimo fluttuare delle vele e si fermò. La marea si era alzata, il vento era quasi calmo e, poiché dovevamo discendere il fiume, non ci restava che fermarci all’ancora e attendere il riflusso.
L’ultimo tratto del Tamigi si stendeva davanti a noi come il principio di un interminabile corso d’acqua. Al largo, cielo e mare erano saldati senza una giuntura e nello spazio luminoso le vele conciate delle barche che salivano con la marea sembravano immobili fastelli rossi di tele appuntite tra luccicori di aste verniciate. Sulle rive basse che correvano piatte a perdersi nel mare si era posata una nebbia leggera. Su Gravesend l’aria era scura e più in là pareva condensata in una oscurità funerea che incombeva immobile sulla città più vasta e grande della terra.
Nostro capitano e ospite era il direttore delle Compagnie. Noi quattro gli guardavamo affettuosamente le spalle mentre lui, a prua, era rivolto verso il mare. Non c’era niente sul fiume che avesse un aspetto altrettanto marinaresco. Somigliava a un pilota, che per l’uomo di mare è l’affidabilità fatta persona. Era difficile immaginare che il suo lavoro non fosse là sull’estuario luminoso, ma dietro di lui, nell’oscurità incombente.
Ci legava, come ho già detto altrove, il vincolo del mare. Oltre a tenere uniti i nostri cuori durante i lunghi periodi di separazione, ci rendeva tolleranti delle storie e perfino delle convinzioni degli altri. Al vecchio avvocato – persona eccellente – toccava, per via dei molti anni e delle molte virtù, l’unico cuscino che c’era sul ponte, e se ne stava sdraiato sull’unica stuoia. L’amministratore aveva già tirato fuori il domino e si trastullava a fare costruzioni con le tessere. Marlow sedeva a poppa, con le gambe incrociate, appoggiato all’albero di mezzana. Aveva le guance incavate, la carnagione giallastra, la schiena eretta, l’aspetto ascetico e con le braccia abbandonate e le palme rivolte all’infuori sembrava un idolo. Il direttore, soddisfatto che l’ancora avesse fatto buona presa, venne a poppa a sedersi in mezzo a noi. Scambiammo pigramente qualche parola. Poi cadde il silenzio a bordo dello yacht. Per un motivo o per l’altro non cominciammo la partita a domino. Eravamo d’umore meditabondo, in vena soltanto di una tranquilla contemplazione. Il giorno finiva in una serenità di quieto e squisito splendore. L’acqua riluceva pacifica; il cielo immacolato era una benigna immensità di luce pura; la stessa foschia sulle paludi dell’Essex sembrava un tessuto traslucido e radioso che appeso alle alture boscose dell’entroterra ricadeva in pieghe diafane sulle sponde basse. Soltanto l’oscurità, che a occidente incombeva sui tratti più alti del fiume, si faceva ogni istante più cupa, quasi irritata dall’approssimarsi del sole.
E alla fine, nella sua discesa curva e impercettibile, il sole calò e da bianco incandescente si fece di un rosso smorto senza raggi né calore, come stesse per spegnersi all’improvviso, colpito a morte dal tocco di quell’oscurità incombente su una folla d’uomini.
Immediatamente avvenne un cambiamento sulle acque e la serenità diventò meno brillante ma più profonda. Il vecchio fiume nel suo tratto più ampio riposava indisturbato al calare del giorno, dopo secoli di fedele servizio reso alla razza che ne popolava le sponde, disteso nella tranquilla dignità di un corso d’acqua diretto ai confini estremi della terra. Guardavamo quel flusso venerabile non nel bagliore vivido di un breve giorno che viene e se ne va per sempre, ma alla luce augusta di memorie eterne. E davvero non c’è nulla di più facile per chi, come si suol dire, “abbia seguito il mare” con riverenza e affetto, che evocare il grande spirito del passato sull’ultimo tratto del Tamigi. La corrente fluisce avanti e indietro con la marea nell’incessante servizio, popolata di ricordi di uomini e navi che ha portato al riposo della casa o alle battaglie del mare. Aveva conosciuto e servito tutti gli uomini di cui la nazione è fiera, da Sir Francis Drake a Sir John Franklin, cavalieri tutti, titolati o meno – i grandi cavalieri erranti del mare. Aveva portato tutte le navi i cui nomi sono come gioielli sfavillanti nella notte dei tempi, dalla Golden Hind che tornava con i fianchi tondi gonfi di tesori per essere visitata da Sua Maestà la Regina e uscire così dalla gigantesca leggenda, alla Erebus e alla Terror, partite per altre conquiste – e mai ritornate. Aveva conosciuto le navi e gli uomini. Erano partiti da Deptford, da Greenwich, da Erith – avventurieri e coloni; navi di re e di banchieri; capitani, ammiragli, gli oscuri “contrabbandieri” dei traffici orientali e i “generali” delle flotte delle Indie Orientali di nomina ufficiale. Cacciatori d’oro o inseguitori di gloria, erano tutti partiti da quel fiume, portando la spada e spesso la fiaccola, messaggeri della potenza racchiusa in quella terra, portatori di una scintilla del sacro fuoco. Quale grandezza non era salpata col riflusso di quel fiume verso il mistero di una terra sconosciuta!... Sogni di uomini, semi di confederazioni, germi d’imperi.
Il sole tramontò; il crepuscolo scese sul fiume, e sulla riva cominciò ad apparire qualche luce. Il faro di Chapman, una specie di treppiede eretto su un pantano, brillava gagliardo. Le luci delle navi si muovevano nel canale d’accesso – un viavai di luci sul fiume. E più a occidente, sui tratti superiori, il posto della città mostruosa era ancora segnato minacciosamente nel cielo, una oscurità incombente nella luce del sole, un bagliore livido sotto le stelle.
«E anche questo» disse Marlow improvvisamente, «è stato un angolo tenebroso della terra.»
Era l’unico di noi che ancora “seguisse il mare”. Il peggio che si potesse dire di lui era che non rappresentava affatto la sua categoria. Era un uomo di mare, ma anche un vagabondo, mentre per la maggior parte gli uomini di mare conducono una vita, per così dire, sedentaria. Hanno una mentalità domestica e non abbandonano mai la loro casa: la nave, né la loro patria: il mare. Le navi si assomigliano tutte e il mare è sempre lo stesso. Nell’immutabilità del loro ambiente le spiagge straniere, i volti stranieri, la mutevole immensità della vita, scivolano via, velati non da un senso di mistero ma da un’ignoranza un poco sdegnosa; poiché nulla è misterioso per l’uomo di mare se non il mare stesso, che è per lui l’amante di tutta una vita, imperscrutabile come il Destino. Per il resto, dopo il lavoro basta una passeggiata occasionale o un’occasionale baldoria a terra a svelargli il segreto di un intero continente, e quasi sempre gli pare che non valesse poi la pena di scoprirlo, quel segreto. I racconti degli uomini di mare hanno una semplicità immediata il cui significato sta in un guscio di noce. Marlow, però, non era il tipico uomo di mare (a parte la sua propensione a tessere racconti) e per lui il significato di un episodio non stava nell’interno come un gheriglio, ma dall’esterno avviluppava il racconto, e questo lo svelava soltanto come la luminescenza rivela la foschia, a somiglianza di quegli aloni indistinti che talvolta lo spettrale chiaro di luna rende visibili.
La sua osservazione non parve affatto sorprendente. Era proprio da Marlow. Venne accolta in silenzio. Nessuno si prese la briga di borbottare qualcosa; e subito egli aggiunse, molto lentamente:
«Pensavo ai tempi antichi, quando arrivarono qui i Romani, mille e novecento anni fa – l’altro giorno... La luce irradia da questo fiume sin dai tempi dei – i Cavalieri dite? Sì, ma è come un incendio che corre sulla pianura, come un lampo tra le nubi. Noi viviamo nel suo guizzo – speriamo che duri fintanto che la vecchia terra continua a girare! Ma qui ieri c’erano le tenebre. Pensate come doveva sentirsi il comandante di una bella – come si chiamano? – trireme del Mediterraneo, che venisse improvvisamente inviato al nord; trasportato in fretta e furia via terra in mezzo ai Galli, per comandare una di quelle barche che i legionari – e che manica di gente abilissima doveva essere pure quella – costruivano, pare, a centinaia in un mese o due, se dobbiamo credere a quello che si legge. Immaginatelo qui – proprio in capo al mondo, il mare color del piombo, il cielo color del fumo, una sorta di barca rigida quasi quanto una fisarmonica che risale il fiume portando provviste, o degli ordini, o quello che volete. Banchi di sabbia, paludi, foreste, selvaggi – ben poco di commestibile per un uomo civile e soltanto acqua del Tamigi da bere. Niente vino di Falerno da queste parti, né passeggiate a terra. Qui e là un accampamento militare perduto in questa regione selvaggia come un ago in un pagliaio – freddo, nebbia, tempeste, malattie, esilio e morte – la morte appostata nell’aria, nell’acqua, nella boscaglia. Dovevano morire come mosche da queste parti. Oh sì – lui ce la fece. Ce la fece benissimo, non c’è dubbio, e senza pensarci molto, a parte forse vantarsi in seguito di quello che aveva passato ai suoi tempi. Erano abbastanza virili da affrontare le tenebre. E forse lo sosteneva l’idea di una possibile vicina promozione alla flotta di Ravenna, se aveva buoni amici a Roma e sopravviveva al clima terribile. Oppure pensate a un giovane e decoroso cittadino in toga – magari con la passione dei dadi – che viene qui al seguito di qualche prefetto, o di qualche esattore delle imposte, o anche di un mercante, per rimettere in sesto le sue sostanze. Sbarca in una palude, marcia attraverso i boschi, e in qualche insediamento dell’interno sente che la natura selvaggia, la natura più selvaggia, gli si è chiusa intorno – tutta la vita misteriosa e selvatica che si agita nella foresta, nella giungla, nel cuore di uomini primitivi. Non c’è iniziazione a questi misteri. Deve vivere in mezzo all’incomprensibile, che è pure detestabile. E ha anche un fascino che a poco a poco agisce su di lui. Il fascino dell’abominio – sapete. Immaginate i rimpianti crescenti, il desiderio di fuggire, il disgusto impotente, la capitolazione, l’odio.»
S’arrestò un attimo.
«Badate» riprese, alzando l’avambraccio con la palma rivolta all’infuori, cosicché con le gambe incrociate pareva un Budda che predicasse in abiti europei e senza fior di loto. «Badate, nessuno di noi si sentirebbe esattamente così. Ci salva l’efficienza – la devozione all’efficienza. Ma quella gente non ne aveva granché davvero. Non erano colonizzatori: sospetto che la loro amministrazione si limitasse a spremere e nient’altro. Erano dei conquistatori, e per quello basta la forza bruta – niente di cui vantarsi, ad averla, dato che la forza dell’uno è solo un accidente che nasce dalla debolezza degli altri. Arraffavano tutto quello che potevano solo per amore del possesso. Pura e semplice rapina a mano armata, omicidio aggravato su vasta scala, e uomini che ci si buttavano alla cieca – come si conviene a chi affronta le tenebre. La conquista della terra, che più che altro significa toglierla a chi ha un diverso colore di pelle o il naso un po’ più schiacciato del nostro, non è una bella cosa a guardarla bene. C’è solo l’idea che la può riscattare. L’idea che le sta dietro: non una finzione sentimentale, ma un’idea; e una fede disinteressata nell’idea – qualcosa che si possa innalzare, davanti a cui ci si possa inchinare e offrire sacrifici...»
S’interruppe. Sul fiume scivolavano delle fiamme, fiammelle verdi, rosse, bianche s’inseguivano, si superavano, si congiungevano, s’incrociavano – per poi separarsi lentamente o in fretta. Il traffico della grande città proseguiva nella notte che s’incupiva sul fiume insonne. Guardavamo aspettando pazientemente – non c’era nulla da fare finché non cambiava la corrente; ma fu solo dopo un lungo silenzio, quando disse con voce esitante: «Immagino ricordiate che una volta mi sono messo a fare il marinaio d’acqua dolce per un po’», che sapemmo di essere destinati, in attesa del riflusso, ad ascoltare il racconto di una delle esperienze inconcludenti di Marlow.
«Non voglio annoiarvi troppo con quello che mi accadde personalmente» esordì, mostrando con quell’affermazione la debolezza di tanti narratori che sembrano molto spesso ignari di ciò che il loro pubblico preferirebbe ascoltare; «eppure per comprendere l’effetto che ebbe su di me, dovete sapere come finii laggiù, che cosa vidi e come risalii quel fiume fino al punto in cui incontrai per la prima volta quel poveraccio. Fu il punto estremo della navigazione e il punto culminante della mia esperienza. Sembrò gettare, in qualche modo, una specie di luce su tutto quello che mi circondava – e nei miei pensieri. Fu una cosa piuttosto cupa – e pietosa – niente affatto straordinaria – neanche molto chiara. No, non molto chiara. Eppure sembrò gettare una specie di luce.
«Come ricorderete, ero appena ritornato a Londra dopo un bel po’ di Oceano Indiano, Pacifico, Mari della Cina – la solita dose di Oriente – sei anni più o meno, e me ne andavo in giro senza niente da fare, disturbandovi al lavoro e invadendovi le case, come se avessi ricevuto dal cielo la missione di civilizzarvi. Fu molto bello per qualche tempo, ma dopo un po’ il riposo cominciò a stancarmi. Allora mi misi a cercare una nave – per mia esperienza il lavoro più duro che ci sia sulla terra. Ma le navi non mi degnavano neppure di uno sguardo. E io mi stancai anche di quel gioco.
«Ora, quando ero bambino avevo una passione per le carte geografiche. Stavo ore a guardare il Sud America, l’Africa o l’Australia, e mi perdevo nelle glorie dell’esplorazione. Allora c’erano parecchi spazi vuoti sulla terra, e quando ne trovavo uno che sembrava particolarmente invitante sulla carta (ma lo sembravano tutti) ci mettevo il dito sopra e dicevo: “Quando sarò grande andrò là”. Ricordo che il Polo Nord era uno di quei posti. Be’, non ci sono ancora andato e non ci proverò adesso. L’incanto è svanito. C’erano altri posti sparsi intorno all’equatore e a ogni sorta di latitudine in entrambi gli emisferi. In alcuni ci sono stato e... be’, lasciamo perdere. Ma ce n’era ancora uno – il più grande, il più vuoto per così dire – che volevo vedere a tutti i costi.
«È vero, a quel punto non era più uno spazio vuoto. Dalla mia infanzia si era riempito di laghi e fiumi e nomi. Aveva cessato di essere uno spazio vuoto incantevole e misterioso – una macchia bianca che un bambino può riempire di sogni di gloria. Era diventato un luogo di tenebra. Ma conteneva un fiume, soprattutto, un fiume grandissimo che appariva sulla carta come un immenso serpente con la testa nel mare, mentre il corpo in riposo formava un’ampia curva su una vasta regione e la coda si perdeva nella profondità della terra. E mentre guardavo la carta geografica di quella zona esposta in una vetrina, mi affascinò come il serpente ammalia l’uccello – un uccellino sciocco. Mi ricordai allora che c’era una grossa impresa, una Compagnia commerciale su quel fiume. Accidenti! pensai fra me, per i loro traffici avranno senz’altro bisogno di qualche barca su tutta quell’acqua dolce – i battelli a vapore! Perché non potevo cercare di farmene assegnare uno? Continuai a camminare per Fleet Street senza riuscire a togliermi di mente quell’idea. Il serpente mi aveva incantato.
«Dovete sapere che quella Società era un’impresa continentale; ma io ho tanti parenti che vivono sul continente, perché costa poco e non si sta poi tanto male, dicono.
«Mi dispiace dover confessare che cominciai a importunarli. Cosa per me assolutamente nuova. Non ero abituato a ottenere le cose in quel modo, capite. Andavo sempre dove mi pareva, dritto per la mia strada, con le mie sole gambe. Non avrei neppure creduto di esserne capace, ma, ecco – vedete – sentivo non so come che dovevo arrivare laggiù per amore o per forza. Così presi a importunarli. Gli uomini dicevano “Carissimo” e non facevano nulla. E allora – ci credereste? – provai con le donne. Io, Charlie Marlow, misi le donne al lavoro – per trovare un posto. Santo Cielo! Be’, vedete, era quell’idea fissa a guidarmi. Avevo una zia, una cara creatura piena d’entusiasmo. Mi scrisse: “Sarà un vero piacere. Sono pronta a fare qualsiasi cosa, qualsiasi cosa per te. È un’idea stupenda. Conosco la moglie di un pezzo grosso dell’Amministrazione, e anche una persona che ha molta influenza su” eccetera eccetera. Era decisa a smuovere mari e monti pur di farmi affidare il comando di un battello a vapore, se era quello il mio capriccio.
«Ottenni la nomina – naturalmente; e molto in fretta anche. Pare che la Compagnia avesse saputo che uno dei loro capitani era stato ucciso in una zuffa con gli indigeni. Era l’occasione buona per me e mi rese ancora più ansioso di partire. Solo molti mesi dopo, quando tentai di recuperare ciò che restava del corpo, venni a sapere che la lite era sorta per un malinteso a proposito di certe galline. Sì, due galline nere. Fresleven – così si chiamava quel tale, un danese – convinto che l’avessero imbrogliato nell’affare, era sceso a terra e si era messo a bastonare il capo del villaggio. Oh, tutto questo non mi sorprese affatto, anche se al tempo stesso mi si garantiva che Fresleven era la persona più cortese e tranquilla che avesse mai messo piede sulla terra. Lo era senza dubbio; ma da più di due anni si trovava laggiù, impegnato nella nobile causa, sapete, e probabilmente aveva infine sentito il bisogno di rivendicare in qualche modo la sua dignità. Perciò bastonò spietatamente il povero negro, davanti alla sua gente che lo stava a guardare impietrita, finché un uomo – il figlio del capo, mi dissero – angosciato dalle grida del vecchio, tentò una stoccata al bianco con la lancia – che ovviamente penetrò con facilità tra le scapole. Al che tutta la popolazione fuggì nella foresta in attesa di chissà quali calamità, mentre, per parte sua, pure il battello di Fresleven si allontanava in preda al panico, agli ordini del macchinista, credo. In seguito nessuno sembrò darsi gran pena per i resti mortali di Fresleven, finché non saltai fuori io a prenderne il posto. Io, però, non riuscivo a non pensarci; ma quando finalmente ebbi l’opportunità di incontrare il mio predecessore, l’erba che gli cresceva tra le costole era alta abbastanza da nasconderne le ossa. C’erano tutte. L’essere soprannaturale non era stato toccato dopo la caduta. E il villaggio era deserto, le capanne si spalancavano nere, marcescenti e tutte sghembe tra gli steccati in rovina. Senz’altro una calamità si era abbattuta su quel luogo. La gente era svanita. Un terrore folle li aveva dispersi nella boscaglia, uomini, donne e bambini, e non erano più tornati. Non so neppure che fine abbiano fatto le galline. Credo, però, che se le sia prese la causa del progresso. Comunque, grazie a questo fatto glorioso ottenni la nomina, prima ancora di cominciare a sperarvi.
«Corsi di qua e di là come un forsennato per i preparativi, e in meno di quarantott’ore già attraversavo la Manica per presentarmi ai miei principali e firmare il contratto. In pochissime ore arrivai in una città che mi fa sempre pensare a un sepolcro imbiancato. Senza dubbio un pregiudizio. Non ebbi difficoltà a trovare gli uffici della Compagnia. Era la cosa più grande della città ed era sulla bocca di tutti quelli che incontrai. Stavano costruendo un impero oltremare e avrebbero guadagnato quattrini a non finire con il commercio.
«Una strada stretta e deserta nell’ombra profonda, case alte, innumerevoli finestre con le veneziane, un silenzio di tomba, erba che spuntava tra le pietre, volte imponenti a destra e a manca, portoni immensi e massicci appena socchiusi. Scivolai attraverso una di queste fessure, salii una scala spazzata e spoglia, arida come un deserto, e aprii la prima porta che trovai. Due donne, una grassa e l’altra magra, sedevano su due sedie impagliate sferruzzando della lana nera. La magra si alzò e mi venne dritta incontro – continuando a sferruzzare con gli occhi bassi – e solo nel momento in cui cominciai a pensare di scansarmi come si farebbe con un sonnambulo, si fermò e alzò gli occhi. L’abito che indossava era liscio quanto il fodero di un ombrello, lei si voltò senza una parola e mi precedette in una sala d’attesa. Diedi il mio nome e mi guardai intorno. Un tavolo d’abete nel centro, comunissime sedie tutt’intorno alle pareti e a un’estremità una grande carta geografica sgargiante segnata con tutti i colori dell’arcobaleno. C’era moltissimo rosso – che fa sempre piacere vedere, perché vuol dire che in quel punto si lavora davvero, un sacco di blu, un po’ di verde, qualche chiazza arancione e sulla costa orientale una macchia viola a indicare il posto in cui gli allegri pionieri del progresso si ubriacano allegramente di birra. Io però non sarei andato in nessuno di quei posti. Andavo nel giallo. Dritto nel centro. Lì c’era il fiume – affascinante – letale – come un serpente. Brr! Si aprì una porta, spuntò una testa bianca segretariale, ma con un’espressione compassionevole, e un indice scarno m’invitò a entrare nel santuario. Dentro, la luce era fioca e nel centro era acquattata una pesante scrivania. Da dietro quella struttura emergeva un’impressione di pallida pinguedine in finanziera. Il grand’uomo in persona. Era alto un metro e sessanta, direi, e teneva in pugno chissà quanti milioni. Mi strinse la mano, immagino, bisbigliò qualcosa, sembrò soddisfatto del mio francese. Bon voyage.
«Nel giro di quarantacinque secondi mi ritrovai nella sala d’attesa con il segretario compassionevole che, pieno di desolazione e solidarietà, mi fece firmare dei documenti. Credo di essermi impegnato tra le altre cose a non rivelare nessun segreto commerciale. Be’, non ho intenzione di farlo.
«Cominciavo a sentirmi un po’ a disagio. Sapete che non sono abituato a quelle cerimonie e c’era qualcosa di sinistro nell’atmosfera. Era come se mi avessero ammesso a far parte di qualche cospirazione – non so – di qualcosa non del tutto a posto, e fui contento di andarmene. Nella prima stanza le due donne sferruzzavano febbrilmente la lana nera. Stavano arrivando delle persone e la giovane faceva la spola avanti e indietro per farle accomodare. La vecchia sedeva sulla sua seggiola, le pantofole basse di stoffa erano appoggiate su uno scaldino e un gatto le riposava in grembo. Aveva in testa una cosa bianca e inamidata, una verruca sulla guancia e degli occhiali d’argento sulla punta del naso. Mi lanciò un’occhiata da sopra le lenti. La placidità rapida e indifferente di quello sguardo mi turbò. Due giovani dall’espressione sciocca ed euforica venivano pilotati dall’altra parte e a loro lanciò lo stesso sguardo lesto di noncurante saggezza. Sembrava sapere tutto di loro e anche di me. Venni assalito da una sensazione arcana. La donna pareva misteriosa e fatale. Spesso laggiù pensai a quelle due, di guardia alla porta delle Tenebre, che sferruzzavano lana nera come per un caldo drappo funebre, l’una che introduceva, introduceva continuamente all’ignoto, l’altra che scrutava i volti euforici e sciocchi con vecchi occhi colmi di noncuranza. Ave! Vecchia sferruzzatrice di lana nera! Morituri te salutant. Tra quelli che guardò, non furono in molti a rivederla – assai meno della metà.
«C’era ancora la visita dal medico. “Una semplice formalità”, mi assicurò il segretario con l’aria di prendere immensa parte a tutte le mie pene. Quindi un giovanotto col cappello calato sull’occhio sinistro, un impiegato suppong...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Cuore di tenebra
  3. Introduzione - di Robert Hampson
  4. Cronologia
  5. Bibliografia
  6. Cuore di tenebra
  7. Postfazione - di V.S. Naipaul
  8. Copyright
Stili delle citazioni per Cuore di tenebra (Mondadori)

APA 6 Citation

Conrad, J., & Bernascone, R. (2010). Cuore di tenebra (Mondadori) ([edition unavailable]). Mondadori. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3299789 (Original work published 2010)

Chicago Citation

Conrad, Joseph, and Rossella Bernascone. (2010) 2010. Cuore Di Tenebra (Mondadori). [Edition unavailable]. Mondadori. https://www.perlego.com/book/3299789.

Harvard Citation

Conrad, J. and Bernascone, R. (2010) Cuore di tenebra (Mondadori). [edition unavailable]. Mondadori. Available at: https://www.perlego.com/book/3299789 (Accessed: 25 June 2024).

MLA 7 Citation

Conrad, Joseph, and Rossella Bernascone. Cuore Di Tenebra (Mondadori). [edition unavailable]. Mondadori, 2010. Web. 25 June 2024.