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Tutto quello che bisogna sapere sul disastro della scuola

  1. 224 pagine
  2. Italian
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Tutto quello che bisogna sapere sul disastro della scuola

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L'ultimo libro della Bibbia? La pocalisse. Tiepolo? Il fratello di Mammolo. Vasco de Gama? Circoncise l'Africa. E l' Infinito di Leopardi? Leopardare.
Benvenuti nella scuola italiana, che è ultima nei rapporti Ocse sulla preparazione degli studenti, che in dieci anni nelle superiori ha promosso nove milioni di alunni (tanti quanti la popolazione della Svezia) con lacune gravissime, che porta in quinta elementare un bambino su due con problemi di lettura e manda all'università giovani convinti che il Perú sia un biscotto al cioccolato, magari confinante con il Togo, Pinochet un vino italiano e il prodromo una pista dove si corre la Formula Uno.
Benvenuti nella scuola dei mille consulenti e dei mille corsi, quella dove si studiano il benessere, il tiro con l'arco, la pesca alla trota e perfino la ricetta del pollo al curry, ma poi ci si dimentica di insegnare l'aritmetica e l'ortografia; la scuola che non ha soldi per pagare i supplenti, ma poi assume ogni anno 36.000 consulenti (quasi il doppio degli abitanti di Sondrio); la scuola dove solo il 17 per cento di chi insegna matematica è laureato in matematica e il 25 per cento di quelli che insegnano scienze non sa che i polmoni trasferiscono ossigeno nel sangue; la scuola della maestra che lega alle sedie gli alunni troppo vivaci e della prof che si fa palpeggiare dagli studenti.
Benvenuti in questa scuola che cade a pezzi (20.000 edifici a rischio su 42.000, 240 alunni feriti ogni giorno), che si fa soffocare a volte dall'ideologia ("I gulag? Un errore di valutazione "), a volte dalla pignoleria ("Le lezioni iniziano alle 8.37 e 30 secondi...") e quasi sempre dalla burocrazia (2 circolari da leggere in media per ogni giorno di lezione); la scuola che ha il record di insegnanti, mal pagati ma intoccabili, persino quando vanno in aula per molestare le allieve. Benvenuti nella scuola degli sperperi e degli sprechi, dove per trovare un supplente ci vogliono 574 telefonate...
Mario Giordano ci accompagna in un viaggio, dai risvolti sorprendenti e inediti, dentro un disastro che non possiamo più sopportare, ma anche dentro quel "miracolo che si ripete ogni giorno", grazie al quale la scuola "resta in piedi, nonostante tutto, contro tutto": insegnanti che, con passione e tenacia, resistono in trincea e non hanno alcuna intenzione di arrendersi; istituti d'eccellenza e studenti brillanti, che trionfano alle olimpiadi di matematica e ai certamen di latino. Con la speranza che, di qui, possa iniziare un futuro diverso. Perché un'Italia migliore può nascere solo da una scuola migliore.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
ISBN
9788852012297
III

Gli insegnanti

«Ignoti continuano a mettere fette di prosciutto nel registro»
A Ciriè, Torino, un ragazzino di 11 anni è troppo esuberante: l’insegnante gli rasa i capelli a zero. A Vicenza un prof riesce a rimandare in ginnastica un invalido che era esonerato dalla ginnastica. Un suo collega di Rimini, per protestare contro il preside, occupa la biblioteca dell’istituto armato di una borsa piena di banane (la rivolta al sapor di Chiquita?). In una scuola media di Fara Gera d’Adda (Bergamo), l’insegnante interroga gli studenti in inglese: chi non risponde deve fare le flessioni. In una scuola elementare di Torino la maestra organizza un concorso di bellezza tra le bambine di 8 anni, sostituendo la lezione di geografia con una succursale di Miss Italia, e la bella grafia con la bella fisionomia. Un suo collega, sempre a Torino, tiene una lezione antisemita nel Giorno della Memoria. Un altro, a Firenze, si rolla uno spinello in classe. E, del resto, che c’è di strano? Un preside di Barletta istruisce i suoi ragazzi: coltivare marijuana sul balcone di casa è un’ottima iniziativa. Chissà cos’aveva fumato prima di entrare in aula.
Benvenuti nella scuola dei professori. Meravigliosi, eroici, appassionati, generosi, straordinari professori. Voi dite che sono un po’ strani? Ma no: la maggior parte di loro sacrifica davvero la vita nel silenzio, soltanto per amor della materia e degli studenti. Che possono farci, poi, se su Internet tanto onesto e laborioso impegno non appare mai? Che possono farci se nei filmati rubati in classe si vedono solo un prof d’italiano che dorme, uno di tedesco che balla sulla cattedra, uno di filosofia che fa la verticale e uno di religione che entra in aula vestito da beduino, con tanto di turbante e tunica? Che possono farci? Impazzano i video dei prof pazzi. E così, vista di qui, dalla cattedra cibernetica che rimbalza su tutti i media e domina l’opinione pubblica, la scuola sembra soltanto un concentrato di magistrale follia.
Hai un bel ripetere che la maggior parte degli insegnanti farebbe follie solo per Dante e Ariosto. Hai un bel dire che fa più rumore un docente che balla sregolato di mille che regolarmente recitano Leopardi. Basta il prof Sciabolino, mascherato come uno zorro della Tiburtina, a distruggere tutto. Pochi secondi di YouTube travolgono un’intera categoria. Il prof Sciabolino, del resto, è in buona compagnia: c’è il prof Sergente dei Marines che trova uno studente chiuso in un armadio, lo tira fuori e lo prende a calci. C’è il prof Portiere Pazzo che d’improvviso scardina la porta e corre verso la presidenza. C’è il prof Foca che si mette a palleggiare di testa contro il muro. E c’è il prof Galante che, dopo aver fatto il gesto dell’ombrello alla classe, dà disposizione su come prendere posto in laboratorio. E ordina a un’alunna: «Tu mettiti davanti a Paoletto, così lui ti guarda il culo». Il problema è che le lezioni di chimica sono pallose. Quelle di algebra figuriamoci. Su YouTube non funzionano, in Internet non vengono cliccate. Le lezioni di sciabolino e quelle di galanteria, invece, sai che successo... E l’effetto è devastante: sciabolino dopo sciabolino, galanteria dopo galanteria, si rischia di rovinare per sempre l’immagine di una categoria che meriterebbe ben altro apprezzamento. Ma come si fa? Uno si sforza di ripensare ai migliori insegnanti della sua vita, alle loro lezioni appassionanti e profonde, alle loro vite magari grigie ma sempre severe. Niente da fare: l’immagine trema, vacilla, s’interrompe. E sul piccolo schermo della memoria, come in una paradossale interferenza, anziché il vecchio prof di matematica o quello di latino, continua ad apparire lui, sempre lui, soltanto lui: il prof Tacchi a Spillo...

Il professor Tacchi a Spillo e altre stranezze

Ricordate? Istituto alberghiero di Cervia (Ravenna), primavera 2006. Per cinque giorni di fila l’insegnante di italiano Vincenzo Di Grazia si presenta in aula vestito da donna: stivaletti, cerchietto, top e jeans attillati. I ragazzi lo filmano, naturalmente, e mettono il video su Internet. Scoppia il caso. Dapprima il prof Tacchi a Spillo si giustifica: «Era solo una provocazione». Poi decide di cavalcare il personaggio e rilascia interviste, queste sì, da vera primadonna: dice di meritare le copertine di «L’Uomo vogue» e di «Vogue (donna)» (insieme), dal momento che la sua «androginia» è «segreto della bellezza e della vita», «essenza di figura tradizionale», «doppia e volutamente ambigua».
Parla di sé in terza persona e si definisce «un androgino che sale e scende le scale, inimitabile, unico e irripetibile, nel grande vetro dell’alberghiero»... In una lettera al «Resto del Carlino», il prof Tacchi a Spillo spiega la sua impresa, dicendo che in fondo non c’è niente di male a «esibire degli esercizi grammaticali e sintattici visivi e gestuali duchampiani nello stile Rrose Sélavy». A vederlo, dal video, sembra una trans dei viali di periferia, ma non è così, assicura lui. Anzi, «potevo sembrare Tiresia l’indovino, o Odisseo, o Pallade Atena o Cibele». Cibele, eccome no: proprio uguale. «Il prof Tacchi a Spillo non si è fatto ipnotizzare da Korov’ev che ha coniato l’espressione “allarme sociale”, ora si trova dentro una nuova recita, il Maestro e Margherita, ed è giunto allo smascheramento della magia nera, dopo il Gran Ballo di Satana, attendiamo la deliberazione del Maestro sui Monti dei Passeri al ritmo del nero mantello di Woland.» Ecco, sì: attendiamo la deliberazione del Maestro. Prima, però, attendiamo che qualcuno chiami un’ambulanza. Ma vi pare possibile? Questo insegna. Insegna italiano. Con «i valori alchemici duchampiani ermetici de La Jocon de L.H.O.O.Q.». Aspettando la «deliberazione del Maestro sui Monti dei Passeri». E smascherando il «Gran Ballo di Satana al ritmo del nero mantello di Woland». Ma ve li immaginate quei poveri aspiranti cuochi? Poi ci stupiamo che preparino piatti assurdi: la digestione si fa difficile. Coi tacchi a spillo, poi, è da ulcera.
Del resto, purtroppo, non è l’unico caso clinico assurto a dignità di cattedra. Marco Imarisio nel suo libro Mal di scuola, per esempio, racconta del professor Vietnam. È l’insegnante di italiano di un liceo del Sud che, dopo anni di onesta carriera, all’improvviso comincia a sentirsi circondato dal Male: lui si ritiene, come recitano i rapporti ufficiali del ministero, unico paladino della verità e della giustizia in un mondo «popolato solo da persone in malafede». Gli mandano gli ispettori. E quelli raccontano che il prof Vietnam si è armato di un registratore e di un computer portatile, che non abbandona mai, e sul quale riporta ogni parola pronunciata dalle persone che incontra. Ci sono colleghi che non osano nemmeno dirgli «buongiorno» o «buonasera» perché lui registra la conversazione e la trascrive su volantini, che poi lascia nei corridoi. Spesso sono volantini polemici. La scuola chiede un contributo facoltativo di 70 euro? L’insegnante accusa: «È la catena di Sant’Antonio». Si riunisce la Commissione fondi? Lui denuncia: «Un branco di corrotti avidi di denaro» (dimenticando però che ne fa parte pure lui). L’ispettore annota sconsolato: «Il professor C. ha tentato di trasformare l’istituto in una sorta di Vietnam personale». Il fatto è che ci è riuscito benissimo.
E, come il prof Vietnam, tanti altri. A Roma fa parlare di sé il prof Roberto Valva, del liceo Ripetta, che nega l’esistenza dell’Olocausto. A Milano una maestra insulta un bambino di colore: «Torna nella giungla». Un’altra prof, sempre nel saggio di Imarisio, è invece solita esibire sulla lavagna gentili parole dedicate ai suoi studenti. Per esempio: «Siete degli animali schifosi». Le scrive, poi si avvicina alla finestra, sta zitta e guarda fuori. Qualche volta legge un romanzo, ogni tanto piange sommessamente. Il ministro fa una verifica: alla fine di gennaio sul registro di quinta ha segnato un solo argomento affrontato. I ragazzi, però, sostengono che non abbia parlato nemmeno di quello. Sempre zitta, sempre vicina alla finestra. «Siete degli animali schifosi.» A chi chiede spiegazioni risponde con insulti e minacce di querela. Di ispezioni ne ha già subite quattro. Ne è sempre uscita indenne, però. Dice di avere «mal di schiena».

La prof sale in cattedra. Alle Bahamas

Benvenuti nella scuola del prof Vietnam, dei tacchi a spillo e del mal di schiena. Non vi piace? Pazienza. Gli insegnanti bislacchi saranno pure una minoranza, ma lo capite: sono talmente bislacchi che finiscono per travolgere la maggioranza silenziosa delle persone normali. È inevitabile. O forse no, un modo per evitarlo ci sarebbe. Si potrebbe cominciare a distinguere nella scuola fra chi fa bene il suo mestiere e chi no. Si vuol giustamente tornare a dare i voti agli studenti. Perfetto: perché non darli pure ai docenti? Bene, bravo, sette più. O, altrimenti, bocciato. Invece no, nella scuola italiana non si boccia più nessuno. Soprattutto, non si bocciano i professori. Mai, per nessun motivo. Nella primavera 2008 un insegnante di matematica e fisica di un liceo di Genova viene beccato da una ragazza a masturbarsi in classe. Non è nuovo a imprese memorabili: i suoi studenti raccontano di compagni costretti a camminare a quattro zampe mentre lui, per deriderli, fa il verso del maiale. Altri sono stati obbligati a mettere la testa nel cestino dell’immondizia. Quasi tutti, in aula, devono fare il saluto fascista. Solite lamentele? Macché: «È incompatibile» stabiliscono nell’aprile 2008 al Provveditorato di Genova, dove conoscono bene la situazione. E il preside: «Vogliamo mandarlo via, ma non ci riusciamo...». In effetti a giugno diventa presidente di una commissione per l’esame di maturità. Maturità? Ma sì: il prof che si masturba in classe è perfetto per giudicare la maturità altrui. Se poi riuscisse a giudicare anche la sua non sarebbe male, certo. Ma non si può mica avere tutto dalla vita... Del resto a Milano continua a far regolarmente lezioni anche il professor Pinta, noto perché entra in classe completamente ubriaco e sommerge i ragazzi di insulti, gestacci e oscenità. Arriva perfino a mimare scene a luci rosse davanti ai dodicenni. Il Provveditorato dice che per intervenire bisogna aspettare l’inchiesta della Procura. E la Procura, si sa, non è velocissima. Così si allungano i tempi. E, nel frattempo, si allungano anche le mani del prof. Ma non temete, prima o poi la sentenza arriverà. E così il prof Pinta sarà definitivamente assolto, magari da una sentenza che stabilisce che ubriacarsi, in fondo, non è poi così male e anzi aiuta a insegnare meglio.
Ma sì, dài, fidatevi: come potranno i giudici accanirsi contro il prof Pinta dopo che, nel corso degli anni, hanno assolto tutti, ma proprio tutti, compresa (persino) la prof Bahamas? La storia di quest’ultima, forse la ricorderete, rimbalza sui giornali qualche tempo fa: la sciura, insegnante di Viterbo, è molto stanca e un po’ stressata. Il medico le prescrive cinque giorni di riposo e alcuni esami. Lei marca visita, sta a casa da scuola e va alle Bahamas. Il preside la scopre e la denuncia per truffa. Citazione, causa, sentenza. Risultato: insegnante assolta. È vero, dice il giudice, si è data malata da scuola ed è andata alle Bahamas, ma non era alle Bahamas per svagarsi. Macché: era là per fare accertamenti clinici. Non stiamo scherzando: la docente ha presentato regolare certificato di un ospedale di Nassau. E il giudice le ha dato ragione: sole, mare e radiografie caraibiche. Così si guarisce da tutti i mali. E si può tornare in cattedra a insegnare. Prima lezione: tecniche di assenteismo. «Cari ragazzi, fare i furbi conviene: guardate me...»
D’altra parte l’impunità è assicurata, anche nell’improbabile e malaugurata ipotesi in cui si venga (per sbaglio?) condannati. Secondo i dati della Corte dei Conti, infatti, solo il 16,9 per cento degli insegnanti che hanno avuto una sentenza confermata definitivamente in Cassazione è stato espulso dalla scuola. Il 6 per cento è stato adibito a compiti diversi da quelli che svolgeva. E ben il 45,4 per cento, cioè quasi la metà, non ha avuto nemmeno una sanzione disciplinare. Niente di niente. «Professor non porta pena», come scrive Stefano Livadiotti. Nel suo pamphlet sui sindacati, dopo aver fatto le pulci ai vari settori, sentenzia: «Il massimo dell’impunità si ha nella scuola». Ma sicuro: a scuola non si può cacciare nessuno, nemmeno chi ruba o molesta i bambini. La maestra di Torino sottrae i buoni pasto agli studenti? Non cacciatela: sono «il giusto compenso per il servizio a favore della comunità scolastica». Il prof sottrae i soldi delle gite (57 milioni di lire)? Non cacciatelo: i magistrati gli hanno concesso la sospensione condizionale e dunque si deduce (chissà perché) che «si asterrà nel futuro dal compimento di atti illeciti analoghi». L’insegnante di Aosta viene condannato a due anni di carcere per pedofilia? Non cacciatelo. Per carità: che torni subito in classe a far lezioni del suo amato solfeggio. Do, re, mi, fa, sol. Sempre la solita musica, cioè.

Per completare gli Usa ci manca il Canada

Solo il 35 per cento degli insegnanti di scienze sa rispondere a domande elementari sul telescopio. Solo il 36 per cento sa perché la fermentazione fa lievitare la pasta. E solo il 37 per cento sa che lasciando tre oggetti diversi (chiodi, acqua e un’asse di legno) nel bagagliaio dell’auto sotto il sole tutti raggiungono la stessa temperatura. Fra di loro c’è, per esempio, chi pensa che le lenti più grandi del telescopio servano a cogliere i colori scuri nelle stelle, che l’acqua cominci a bollire a 40 gradi e che la pasta lieviti perché la fermentazione forma il vapore. Va un po’ meglio con le domande su carie dentali e sui polmoni. Ma resta un 15 per cento di insegnanti di scienze convinti che i batteri nei denti producano zucchero (sì, producono zucchero, e magari anche caramelle al miele). E un 25 per cento che non sa che i polmoni trasferiscono ossigeno nel sangue. Molti di loro, cioè l’11 per cento, sono convinti che servano a pompare il sangue nel corpo: evidentemente confondono i polmoni con il cuore. Come stupirsi se, poi, anziché la testa usano i piedi?
«Panorama» sottopone 100 professori (54 delle medie inferiori, 46 delle superiori) a cinque domande del test Ocse-Pisa 2006, quello in cui gli studenti italiani hanno fatto particolarmente la figura dei somari. Risultato: i professori non se la cavano molto meglio. D’altra parte, se nella scuola sono tutti uguali, se nessun insegnante viene mai cacciato, se nessuno viene premiato, se nessuno valuta chi merita e chi no, l’esito finale non può essere che questo. La scuola è diventata un’immensa piallatrice: i migliori ne pagano le conseguenze, i peggiori invece ci sguazzano. Anche fra i professori. E fin dall’inizio. Agli esami per le scuole di specializzazione i candidati (candidati a insegnare, si badi bene) scrivono «cristianizzazzione» con quattro «z» (meglio abbondare) e «all’ora» con l’apostrofo. E quando trovano l’errore segnato si stupiscono. «All’ora non è sbagliato, si può dire.» Lei crede? «Sì, per esempio: cento chilometri all’ora è corretto.» D’accordo. «E all’ora perché è sbagliato dire “all’ora ho fatto” o “all’ora ho detto”?» Già, perché?
Marco Imarisio racconta di aver sentito una docente di filosofia che al bar di un liceo romano annunciava trionfante a un suo collega di aver letto per la prima volta il Simposio di Platone. «La scoperta tardiva non le aveva impedito di cogliere il senso più profondo dell’opera: “Certo che questi Greci erano davvero dei maiali” ha esclamato con vocalizzo trillante. Non stava scherzando. E non era una debuttante, ma una signora di mezza età avviata verso la pensione.» «Da che cosa dipende il buco nell’ozono?» chiede la rivista «Terra» a 420 professori. E uno su cinque risponde: dall’eclisse; uno su sei: è un’invenzione delle aziende per vendere creme solari. Solo il 17 per cento l’azzecca. E su Internet i ragazzi infieriscono facendosi delatori dei clamorosi strafalcioni dei loro insegnanti. «I barbari sono chiamati così per le loro lunghe barbe» spiega una professoressa di storia a Borgo Trevi (Perugia). E Andrea, 12 anni, di Roma, racconta: «Ho chiesto alla prof qual è la capitale del Canada, e lei: Vancouver? No, quella è de’ l’Australia». È nato addirittura un sito, sputtanailprof.it. C’è un docente di italiano che sgrida i ragazzi: «Smettetela se no non ce la facete a passare l’anno». E uno di geografia che annuncia: «Per completare gli Usa ci manca il Canada». «Il libro? Escilo dallo zaino.» «Gli alunni? Pascolano per la classe.»
Quando l’Università di Bergamo fa un’indagine fra docenti lombardi di tutte le scuole, scopre che il 70 per cento dei maestri non sa a quanto equivalgono 254 decimi (bisognava scegliere tra le seguenti risposte: 25 unità e 4 decimi, 2 unità e 54 decimi, 2 decimi e 54 centesimi, 2 centinaia e 54 decimi). I prof delle superiori rispondono meno bene dei loro studenti a una domanda sulle probabilità, tutti gli insegnanti annaspano di fronte a una divisione con i decimali. Il 10 per cento addirittura non riesce a calcolare quant’è 1/6 di 48 caramelle. La stessa percentuale non riesce a risolvere il seguente problema: un salame pesa 1 chilo e costa 12 euro, quanto si spende per comperarne 250 grammi? Roba da prima media. Alcuni docenti dimostrano di non sapere con precisione il significato di «patogeno» o «cure palliative», uno su due non sarebbe stato ammesso all’università, due su dieci non sarebbero in grado di svolgere i compiti assegnati ai loro alunni. «In quale città è avvenuta la firma della Costituzione europea?» Solo il 12 per cento risponde correttamente: Roma. Molti sono in difficoltà a dire che cosa è successo il 25 luglio 1943; non tutti sanno che le donne in Italia votarono per la prima volta nel 1946.
Un nonno mi scrive raccontando del nipote in quarta ginnasio: «La professoressa di latino e greco (ergo: laurea in Lettere antiche) gli ha dato 5 e poi ha aggiunto una nota sul diario: il ragazzo non ha portato il quaderno degli esercizi, cuindi non ho potuto controllare i compiti a casa». Cuindi, verrebbe da dire, era meglio se faceva la quoca. Sorprendente? Macché, in fondo c’è da aspettarselo: uno studio di Dora De Maio sui professori universitari, infatti, rivela che persino i cosiddetti «supercolti», cioè appunto i docenti degli atenei, hanno qualche problema con l’italiano: scrivono «un’altro» con l’apostrofo, «qual’è», «un’habitat», «la partita è aperta e và giocata», sbagliano le virgole, i nomi stranieri, mandano in archivio il congiuntivo e si affidano a formule burocratiche. Se questi sono i supercolti, che aspettarsi dai maestri elementari? Rassegniamoci. Come mi racconta un’insegnante un po’ delusa: «Ormai i miei giovani colleghi confondono la “Sacra Rota” con la sacra ruota (benedette gomme Michelin?), la musica metallara con la musica metallurgica, e sono convinti che i bambini poveri brasiliani non vivano nelle favelas ma nelle paellas». Sì, nelle paellas. Fra riso e frutti di mare, ma che bontà.

Il sottoscritto professor M. si mette una nota sul registro...

E di insegnanti delusi come la maestra della paellas, purtroppo, se ne trovano sempre di più. Il rapporto Bankitalia sulla scuola (luglio 2008) conferma: «I docenti sono frustrati, logorati, senza entusiasmo». E Paola Mastrocola lo confessa, come sempre, senza giri di parole: «Fino a sette o otto anni fa riuscivo a fare l’insegnante, adesso non più. Peccato, perché era un bel mestiere». Oreste Pacelli, professore di un istituto tecnico di Milano, racconta al «Giornale»: «Sono obbligato a dare il 6 politico a tutti i miei studenti. Motivo? Non conosco la materia che insegno». Proprio così: gli hanno dato la cattedra di sistemi elettronici, di cui lui non sa assolutamente nulla. Una trentacinquenne docente di italiano, storia e geografia, scrive a «Libero»: «Mi sembra che il messaggio sia chiaro: a scuola mi è concesso di fare tutto (animatore, ballerina, artista, vigile del fuoco, agente della sicurezza, crocerossina, occultatrice dell’ignoranza degli alunni), tutto tranne l’insegnante». Come si fa a non scoraggiarsi? Secondo un rapporto pubblicato nel maggio 2008 dall’Associazione dirigenti della scuola e dallo Iard, sei professori su dieci manifestano segnali di disagio mentale. In Brianza una ricerca della Cisl rivela: un prof su dieci scoppia, sono sempre più tesi, soffrono del burnout, cioè del crollo psicofisico con depressione, ipertensione e disturbi cardiocircolatori. Il dato trova riscontro all’Asl di Milano: calcolata su un periodo di dieci anni, l’incidenza delle patologie psichiatriche è pari al 49,8 per cento fra gli insegnanti contro il 37,6 per cento degli impiegati e il 16,9 per cento degli operai. «Oggi il mestiere di maestro» spiegano gli esperti «è il più usurante.»
A Bra, provincia di Cuneo, nel febbraio 2009 Carlo Zonin, 50 anni, insegnante di religione dell’istituto tecnico Guala, trentadue anni di onorata carriera alle spalle, impegnato nel sociale e con un posto in prima fila in un coro alpino, mentre è in auto vede un gruppo di suoi ex studenti, riconosce due bulli, accelera, li investe e li manda all’ospedale. «Mi avevano reso la vita impossibile» confessa. «Ho perso la testa...» Già, ha perso la testa. E non è un caso isolato. Marco Imarisio racconta di un professore che fa lezione sempre con le spalle rivolte agli studenti: fissa il muro o la lavagna, evita di incrociare gli occhi dei ragazzi, tiene le mani lungo i fianchi e parla con voce sommessa. Gli ispettori parlano di «scarsa autostima» e «bassissima immagine di sé». Da Mantova giunge voce di due maestre che si picchiano a sangue in classe, davanti ai bambini. In una scuola elementare di Milano un’insegnante taglia la lingua a un bimbo con le forbici. In una scuola elementare di Pescara una maestra lega i suoi alunni con lo scotch («Solo per tenerl...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. 5 in condotta
  4. Premessa alla nuova edizione
  5. I. Mia figlia. Tutto quello che non so l’ho imparato a scuola
  6. II . Gli asini. Pompei? Fu distrutta dall’erezione del Vesuvio
  7. III. Gli insegnanti. «Ignoti continuano a mettere fette di prosciutto nel registro»
  8. IV. Le follie. Se a scuola s’insegnano mucca felice e tai chi chuan
  9. V. La burocrazia. Dove anche la vita viene seppellita da una circolare
  10. VI. I bulli. «Dimmi il congiuntivo.» «Che tua sia maledetta, prof...»
  11. VII. Gli edifici . Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate
  12. Conclusione. La speranza . Mettete un Kant nei vostri cannoni
  13. Copyright