Nuovi nonni per nuovi nipoti
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Nuovi nonni per nuovi nipoti

La gioia di un incontro

  1. 276 pagine
  2. Italian
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Nuovi nonni per nuovi nipoti

La gioia di un incontro

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Certo non ci sono più i nonni di una volta. Ne esistono però di nuovi, più giovani, aggiornati, curiosi, talvolta ancora professionalmente attivi, ben poco disposti a farsi da parte e sempre più capaci di misurarsi con relazioni sociali e familiari profondamente mutate.
Silvia Vegetti Finzi offre un interessante spaccato di questa realtà partendo dall'inedito rapporto tra l'ultima generazione di nonni e quella dei loro giovanissimi nipoti. I nonni di oggi, cresciuti per lo più negli anni del miracolo economico, hanno partecipato alla modernizzazione della società e fruito di un benessere diffuso, ma hanno anche assistito agli sconvolgimenti prodotti dagli anni della contestazione, al rovesciamento dei canoni e dei valori della tradizione.
Ora, in uno scenario caratterizzato dall'eclisse degli ideali politici, dalla precarietà del lavoro, dalla crisi della coppia e della scuola, nonne e nonni, seppure in modo diverso, sembrano costituire l'unica solida architrave della famiglia. Spesso garantiscono ai figli un aiuto economico e suppliscono alla generale carenza di servizi per l'infanzia prendendosi cura dei nipoti. Esentati da compiti educativi diretti, possono sperimentare il piacere di condividere con i bambini ambiti di libertà, di fantasia e di gioco, ricevendone in cambio affetto e complicità. La "nonnità" svolge quindi una funzione importante, talora essenziale, ma proprio per questo è sottoposta più che in passato a un carico di aspettative, richieste, pressioni e ricatti affettivi difficile da governare.
Le numerose testimonianze raccolte, organizzate e analizzate per argomenti, fanno di queste pagine un racconto a più voci in cui caratteri e storie molto diverse si incontrano e si confrontano. Ascoltandole i lettori potranno rievocare esperienze indimenticabili, emozioni e trepidazioni, e condividere dubbi e inquietudini. In mancanza di identità precostituite, di ruoli prefissati, di mappe già tracciate è importante, per non smarrirsi, procedere insieme. Nonni nuovi, dunque, anche nella rinnovata consapevolezza del proprio ruolo, della propria capacità di farsi tramite della memoria individuale e collettiva, e di aprire alle giovani generazioni futuri orizzonti di fiducia e di speranza.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
ISBN
9788852012402
Categoria
Sociologia

Parte seconda

LA PAROLA AI NONNI

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V

Si apre il sipario

Nella prima parte del libro ho cercato di delineare le condizioni storiche in cui accade oggi di diventare nonni. Le differenze con il passato sono tante e credo che i lettori ne abbiano evocate altre, relative alla loro vita, man mano che si aprivano nuove prospettive.
Mancavano tuttavia le voci dei protagonisti, i nuovi nonni, che entrano ora in scena per raccontarci la loro esperienza. Ascoltando molte testimonianze risulta evidente che i modi di essere nonni sono infiniti e che ognuno scrive il proprio copione in base alla sua storia, alla sua personalità, all’interazione che stabilisce con quel nipotino, perché i bambini, lungi dall’essere fruitori passivi, sono coautori della commedia umana che potremmo intitolare «I due estremi si toccano».
Basta infatti osservare come, per la strada, nonni e nipoti procedano insieme. Mentre in un primo tempo il nonno o la nonna rallentano i loro passi per accordarli a quelli del piccino, alla fine il rapporto si capovolge e l’adolescente frena il suo impeto per sostenere il parente anziano, si piega per farsi intendere meglio, sorregge borsa o bastone. Nulla di più efficace per rappresentare il ciclo della vita dove l’inizio e la fine si succedono, semplicemente, naturalmente.
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I nonni di ieri
Dopo aver ascoltato tante storie di famiglia, sono convinta che sia molto più facile mettere a fuoco i nonni che abbiamo avuto rispetto ai nonni che siamo.
C’è una certa reticenza a parlare di sé perché raccontare la propria storia richiede di prendere le distanze dall’immediatezza, di interrogare, analizzare, descrivere i rapporti che s’intrattengono con gli altri, con la nostra storia e le nostre aspirazioni. Mentre gli eventi vicini risultano ambivalenti e complessi, la lontananza seleziona i ricordi, conservando solo ciò che ci ha colpito intellettualmente e coinvolto affettivamente.
«Posso dire solo questo» afferma perentorio un giornalista «che i nonni di ieri erano meglio di quelli di oggi e che mio nonno era meglio di me»
Ma di solito il ricordo dei propri nonni è molto più sfumato. Ci sono particolari o episodi del passato che funzionano come la figura retorica della sineddoche, dove la parte vale per il tutto. «Di mia nonna» dice Daria «rammento soprattutto gli orecchini di corallo con piccoli tarli»; «Se penso a mio nonno» racconta Monica «mi torna subito alla mente quella volta che non riuscivamo più a tornare a riva con la barca, il mare era grosso e la spiaggia scoscesa. Alla fine hanno dovuto tirarci su con la gru»
Di tanta vita possiamo rievocare solo pochi brandelli che tuttavia, se ricomposti, costituiscono il nostro album di famiglia. Che cosa del passato va perduto e che cosa s’imprime invece sulla lastra della memoria? Credo che molto dipenda dalla forza delle emozioni, dalla loro capacità di incidere le esperienze in modo folgorante e indelebile. Una volta depositati nell’archivio dei ricordi, quei fotogrammi si fondono poi con le immagini dell’epoca, i modelli della società, i prototipi della cultura, gli stereotipi della tradizione.
Scrive in proposito Annina: «Non sento differenze nel mio sentirmi nonna rispetto ai miei nonni. Ma ho difficoltà a concordare l’immagine esterna di nonna con la percezione della mia età. Il termine “nonna” evoca una vecchietta con lo scialletto e la crocchia grigia. Io mi sento una donna attiva, non giovane ma neppure vecchia».
E un’altra: «“Nonna?”: mi viene subito in mente una poesia della mia infanzia: “la nonnetta nello scialle/ si rannicchia intirizzita/ piovon foglie, foglie gialle, sulla terra intirizzita…”». E pensare che io vado ancora in moto!
L’inverno della vita viene a coincidere, nell’oleografia, con l’inverno della natura. Ma il senso di sé si ribella reclamando piuttosto una sospensione del tempo. «I miei nonni mi sono sempre sembrati vecchissimi,» osserva acutamente Antonia «anche se a conti fatti erano molto più giovani di quanto lo sia ora, ma forse la vecchiaia è una condizione degli altri»
Se proviamo ad associare liberamente le parole e le immagini che si collegano a cascata con il termine «nonna», possiamo incontrare tanto Cappuccetto Rosso quanto Alla ricerca del tempo perduto di Proust, evocare un famoso ritratto storico come risentire il suono di una fisarmonica, riprovare il gusto delle fette di pane spalmate di burro e scricchiolanti di zucchero o rivedere un consunto libro di preghiere.
I ricordi si contaminano l’uno con l’altro e infine si sedimentano in un’autobiografia tanto arbitraria quanto vera. Arbitraria perché selettiva, vera perché ci restituisce l’essenziale della nostra vita.
Quando cerchiamo di valutare il passato mettendolo in prospettiva, le figure risultano semplificate e standardizzate. Disegnate come silhouette in nero, rappresentano soltanto i caratteri principali dell’epoca a scapito di quelli individuali. Ma dobbiamo riconoscere che, benché la società dei primi anni del Novecento fosse economicamente e culturalmente più stratificata della nostra, la morale familiare era una sola: la modalità di comportamento della media borghesia si proponeva come modello di riferimento per tutti. Ciò nonostante si colgono ancora, a distanza di un secolo, variazioni tra Nord e Sud, tra città e campagna. Ma le differenze non sono tali da impedire una tipologia generalizzata. Tanto che i commenti che abbiamo raccolto tra i nonni attuali circa i loro nonni costituiscono un coro uniforme, da cui fuoriescono, come in ogni regola, alcune eccezioni.
È interessante descrivere i nonni di un tempo perché parlando di loro si possono cogliere, per contrasto, molte cose di noi. Ora, senza dilungarci troppo, vediamo quali sono le differenze più rilevanti.
Per iniziare mi sembra che il ritratto più efficace sia quello presentato da Serena, nonna di origini romagnole:
I miei nonni erano nonni-nonni, quelli delle oleografie. Vecchi, sicuramente vecchi, e riconoscibili come tali già dai vestiti. La nonna materna era sempre vestita di nero per aver perso il marito secoli prima. Ma allora il lutto era per sempre. Il nonno paterno era imponente più che per la statura (e i baffi all’insù), direi per come si presentava e si considerava al cospetto dei figli e dei nipoti. Ambedue i miei genitori (classe 1908 e 1906) davano rigorosamente del «voi» ai loro genitori. E non il «voi» fascista! Noi davamo del «tu» ai nonni, che erano buoni, gentili sì, ma anche severi. Non cioè di quelli che, si dice, «danno i vizi». I «vizi» non li do neanche io perché non lo trovo giusto per l’educazione dei miei tre nipoti, anzitutto. Ma il resto… intanto sono una nonna vestita tale e quale le loro mamme. Scherzosa, un po’ pazzerella, mi rotolo anche in terra con loro o gioco a tirarci i cuscini (a volte i due più piccoli, sei e quattro anni, mi chiedono «di quanto sono più giovane dell’altra nonna», che in realtà è mia coetanea. Lei è più «normale» e più accomodante sui «vizi»). Sono anche una nonna non sempre disponibile perché lavoro tuttora o viaggio ecc.
Ecco emergere una differenza che ne condiziona molte altre: la mutata dimensione del tempo. O meglio, rispetto al passato si è modificato il vissuto del tempo, la valutazione della durata del giorno, degli anni, della vita, il ritmo dei pensieri, delle parole, dei gesti.
Osserva in proposito Anna: «I miei nonni pareva che avessero per noi tutto il tempo del mondo. Invece il mio tempo (ma so di tante nonne come me) è limitato. Io e mio marito lavoriamo ancora e soprattutto (cosa che capita ormai a molte persone della mia età), ho una mamma non autosufficiente alla quale, nonostante la badante, devo dedicare parecchie ore. Quindi finisco per stare con i miei nipoti solo quando mia figlia ha assolutamente bisogno di me per i bambini e questo mi dispiace molto».
Un’altra differenza è che ora le donne lavorano mentre prima si dedicavano solo alla famiglia. Racconta Maria Teresa: «Grandissima differenza: mia nonna stava alla mia età seduta in poltrona parlando solo con i “grandi”, leggendo il giornale, dando ordini alla fantesca e rivolgendosi con una voce speciale e troppo infantile a noi nipoti. Era nata nel 1880».
Anche la nonna di Maria sembra uscire da un dagherrotipo: «Figlia del prefetto di Bergamo, il suo motto era “prima il rispetto poi l’affetto”. Siccome faceva ancora da mamma a un altro figlio, non era assolutamente disposta a fare contemporaneamente la “nonna”. Il rapporto era esattamente come quello che poi mia mamma ha instaurato con la sua nipotina. La cosa sembra assurda perché lei ha sempre criticato la nonna per poi comportarsi allo stesso modo, cioè pretendere visite di cortesia, con il vestitino bello e con la mamma ben presente: aiuto zero».
È interessante notare che nella genealogia familiare tende a formarsi una «coazione a ripetere» per cui, nonostante le critiche, la figlia è indotta a comportarsi come la madre. Per fortuna questo condizionamento si è interrotto a partire dagli anni Sessanta e l’ultima generazione di nonne risulta del tutto indipendente rispetto alle proprie nonne, considerate appartenenti a un’altra era geologica. Continua infatti Maria: «Ho sempre condotto un tipo di vita non convenzionale, e non convenzionale era il modo come allevavo mia figlia. Il fatto è che nel frattempo la società è cambiata moltissimo, per cui non c’è differenza tra il mio essere stata mamma e il mio essere nonna, solo che all’epoca era considerato quasi scandaloso il mio modo di vivere e di far vivere mia figlia, mentre oggi lo stesso comportamento è considerato assolutamente normale».
Ma anche allora non tutte le nonne erano uguali. Soprattutto negli ambienti più colti si delineavano figure diverse. Ida ci presenta una nonna che assomiglia molto a quelle attuali:
Ho avuto un rapporto estremamente importante con la mia nonna materna: era una persona di grande cultura, intelligenza e sensibilità che certamente è stata un modello di riferimento centrale per le mie scelte. Questa nonna indirizzava le mie letture, si interessava ai miei pensieri, accompagnava la mia crescita con discrezione, ma con stimoli importanti. È morta quando avevo sedici anni, ma ho sicuramente continuato per anni ad averla come riferimento, forse più di mia madre. Penso che questa non sia una cosa rara. Ho conosciuto persone che, come me, si sono riconosciute in una genealogia femminile che passava più attraverso le nonne che attraverso le madri, forse perché la distanza permette di diluire alcuni aspetti conflittuali.
Certi ricordi aprono album di famiglia che hanno il fascino del tempo perduto: ci riportano figure remote, atmosfere svanite dopo che i venti di due guerre mondiali hanno devastato il Novecento. Ricorda Silvana:
Nonna Serafina ho avuto modo di conoscerla bene, ma non ho mai avuto con lei uno stretto legame nonna-nipote. Le volevo bene, certo, ma i nostri incontri erano brevi perché lei, purtroppo, era paralizzata in un letto. Il suo unico piacere era leggere. Abitava con una zia, sorella di papà. Quando andavo a trovarla mi sedevo accanto al suo letto; lei posava il libro sulle coperte e mi chiedeva come andavo a scuola. Ascoltava, mi faceva ancora qualche domanda, qualche raccomandazione e poi riprendeva il suo libro: l’incontro era terminato. … Nonna Teresa è stata invece parte integrante della mia vita. Mi ha cresciuto lei, viveva con noi ed è stata estremamente importante per me anche se oggi, guardando indietro, non posso considerarla un’educatrice, ma piuttosto «un’accompagnatrice» della mia infanzia e della mia fanciullezza. Mi accudiva in tutto, mi faceva trovare il pranzo o la merenda quando rientravo da scuola; su lei potevo sempre contare per un consiglio o una consolazione, ma per tutto il resto mi rimandava sempre a mamma o papà. Se le chiedevo un permesso, se volevo comperarmi qualcosa, se volevo fare una cosa desueta, allora no, bisognava sentire i miei genitori e, a sera, c’era il resoconto della giornata, nel bene e nel male.
Le nonne erano allora molto vicine o molto lontane, mentre ora cerchiamo di accordare le due distanze. Tra le più «distaccate» c’è la nonna evocata da Patrizia:
Mia nonna Maria, una signora veneziana dall’aspetto nobile e altezzoso, abitava distante da me e con lei non ho avuto molta confidenza. Mia nonna «Cecchina» invece era una signora rimasta vedova da giovane che doveva portare avanti un’azienda, per cui me la ricordo in ufficio. In alternativa, quando non era in ufficio, essendo io la sua nipote preferita, la accompagnavo a fare visita alle sue amiche, pure vedove, o dalla sarta a Lodi, oppure, durante il suo periodo di vacanze, alle terme a Chianciano. Mi ricordo che quando doveva andare a Lodi era un viaggio: chiamava Luigi, l’ex barbiere e amico del marito, penso affittasse una macchina o forse era sua, e andavamo a Lodi. Di tutto quel viaggio mi ricordo ancora il profumo di lavanda Atkinson.
Certe situazioni sono così lontane dalla nostra esperienza che evocandole possiamo valutare i cambiamenti intercorsi nel breve giro di due generazioni. Franca racconta:
Non ho conosciuto la nonna materna, morta prima della mia nascita, e quella paterna sarebbe stato meglio non conoscerla. Purtroppo ero figlia di una situazione particolare e per la nonna paterna, che si chiamava Marianna, non esistevo, non mi sopportava. Prima della guerra, i figli non potevano ribellarsi ai genitori e soprattutto non dovevano. Io ero una nipote non riconosciuta. Ho sempre giudicato cattiva mia nonna, specie quando vedevo i miei cugini trattati benissimo, a loro offriva quello che aveva di meglio. Nonostante la sofferenza, la delusione e a volte l’invidia sono sopravvissuta. Ero una bambina quasi normale. Quando sono diventata nonna ho dimenticato la mia e mi sono «buttata» su mio nipote. Ho cercato di trasmettergli tutto quello che di buono pensavo di avere.
Come vedremo la «seconda volta» costituisce per i nonni al tempo stesso una grande possibilità e un certo pericolo perché c’è il rischio di sovrapporre la loro storia, che riguarda il passato, a quella dei nipoti, che riguarda il futuro. Ma il confronto, ineludibile, serve a confermare la continuità della nostra biografia, come efficacemente risulta dalla narrazione di Daniela:
Non ho conosciuto i miei nonni. E le mie nonne le ho vissute in modo molto diversificato. La madre di mia madre soffriva di arteriosclerosi e di lei mi ricordo alcune carezze molto dolci, una fame continua, il portamento elegante di una donna che nella vita non ha mai conosciuto la fatica fisica, racconti del suo passato molto precisi ma di un presente completamente assente, le dame di compagnia che la seguivano come un’ombra affinché non subisse troppe conseguenze negative a causa della sua malattia. Rammento le sue mani asciutte quando assieme scendevamo le scale, gli orecchini di perle raffinati che davano risalto agli occhi di un nero che oggi so non mediterraneo, ma austro-ungarico. Conservo e porto ancora uno dei suoi orecchini che da mia madre è stato montato a spilla per me, mentre l’altro, montato nello stesso modo, è andato a mia sorella, pochi mesi dopo la morte della nonna. Avevo dieci anni. È il tempo e il ri-narrare di mia madre e di mia zia che mi hanno messo a fuoco la personalità di questa donna che oggi ricordo con un senso di velata tristezza. Altro il rapporto con la nonna paterna, donna dal carattere forte, indipendente, molto tesa verso la famiglia. Rimasta vedova dopo diciotto anni di matrimonio affrontò situazioni di forte disagio finanziario, ma riuscì a dare ai tre figli un diploma di scuola superiore. Rispetto a mio padre, piuttosto severo, tendeva a essere con noi decisamente permissiva e non temeva di affrontare discussioni forti con suo figlio in difesa dei nostri spazi di libertà … noi, le nipoti che amava e viziava con una genuina e buona cucina modenese. Ho le sue ricette e le uso ancora … Ero una ribelle, ma lei mi sosteneva ammorbidendo i miei atteggiamenti.
Il rapporto tra i nonni che abbiamo conosciuto e il nostro essere nonni oggi viene immediato e spontaneo. Lontani nel tempo sono tuttavia vivi e presenti nella mente come se i ricordi costituissero ineliminabili pietre di paragone. L’Io si definisce infatti rispetto all’altro, e l’altro dei nonni sono i loro nonni con i quali si confrontano così come si erano confrontati, in quanto genitori, con i loro genitori. In tal modo la genealogia familiare procede per somiglianze e differenze, coniugando ripetizione e cambiamento. Nulla infatti è mai completamente uguale e nulla è mai completamente diverso.
Una duplice attesa
Quando i figli ormai adulti aspettano un bambino, i nonni vivono una duplice attesa. Da una parte s’identificano con loro e ne condividono gli stati d’animo, sanno bene che cosa significa diventare genitori, dall’altra gioiscono e soffrono in prima persona, in quanto nonni.
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Spesso desideravano da tempo ricevere il felice annuncio e temevano che giungesse troppo tardi, ormai spenta la voglia di amare e di giocare.
Con il procedere della vecchiaia, mentre l’orizzonte personale si chiude, si sente il bisogno che altri se ne aprano portando una ventata di fiducia e di speranza. Tanto che, sull’onda del desiderio, è facile cedere alla tentazione di incentivare i figli a diventare genitori mentre è forte l’esigenza delle giovani coppie di rimandare a più tardi il lieto evento. E comunque di programmarlo secondo scadenze e sogni che appartengono alla sfera intima e privata. Di fatto ogni esortazione serve solo a produrre irritazione perché i tempi che presiedono alla procreazione sono così complessi e misteriosi che l’intenzione da sola non basta.
Conosco molte donne che, a un certo punto, muoiono dalla voglia di avere un nipote e di trasformarsi in nonne. Ma non a tutte è concesso, per alcune questa possibilità è destinata a rimanere inattuata.
Una signora ormai anziana così riflette: «Nella vita ho ottenuto tutto, per lo meno mi sembra. Ho fatto un buon matrimonio e, dopo una giovinezza trascorsa nei Movimenti – la contestazione politica prima, il femminismo poi – mi sono dedicata al giornalismo con ottimi risultati. Rimasta sola dopo la morte di mio marito e l’uscita di casa delle due figlie, avrei voluto tanto che la nascita di un nipotino coronasse la mia storia, realizzasse anche l’ultima delle mie aspettative. Ma ho compreso che questo happy end non avverrà mai, che devo rassegnarmi a una vita inconclusa».
Un’altra nonna mancata si addolora invece, non solo per sé, ma anche per sua figlia: «Mia figlia Nora non ha figli» scrive «né potrebbe averli perché ama un’altra donna con la quale, da qualche anno, vive e lavora. Io accetto il loro ménage, anche se francamente non lo comprendo. Mi dispiace però che Nora, pur avendo sempre amato i bambini, si neghi le gioie della maternità. Non sa quello che perde e quanto mi toglie!».
Ci sono momenti della vita in cui abbiamo bisogno che qualcuno abbia bisogno di noi. Dapprima accade alla fine della giovinezza quando, avendo portato a termine il compito di realizzarci personalmente, cerchiamo nuovi obiettivi su cui incanalare le nostre energie. La seconda volta emerge invece alle soglie della vecchiaia, in corrispondenza al sentimento di caducità, al presagio che qualche cosa sta per finire. Sorge allora, quasi per reazione, la voglia di ricominciare, di dare inizio a una nuova narrazione di sé. Sullo sfondo del futuro prende forma l’immagine del nipotino atteso, un neonato fragile e dipendente cui potremmo donare amore e accudimento. E dal quale potremmo ricevere il piacere di sentirci, ancora una volta, utili e motivate. Per certi aspetti la donna che non riesce ad avere nipoti assomiglia alla donna sterile: come lei si confronta con un senso d’ingiustizia biologica difficile da comprendere e accettare. A entrambe accade di chiedersi: «Perché proprio a me è negato quanto altre invece ottengono facilmente? Perché non posso stringere tra le braccia un fagottino morbido e profumato?». Le domande rivolte al destino non trovano risposta e la nonna negata può sentirsi, come la mamma impossibile, una canna secca che non darà frutti.
Una mia vecchia amica acquista da anni giocattoli e vestitini per i nipotini che vorrebbe avere. Per loro ha già approntato una bella stanzetta e, benché sia ormai chiaro che quei bambini non giungeranno, non riesce a rinunciare a questo segno tangibile del suo desiderio.
Anche gli uomini soffrono quando non riescono a realizzare l’ultima tappa del processo generativo, la «nonnità». Un vecchio signore così si confida: «...

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  1. Indice
  2. I NONNI DI OGGI
  3. LA PAROLA AI NONNI