Poiché è la persona nella sua individualità a provare piacere e dolore, a creare problemi e ad accumulare karma (tutto il chiasso e la confusione che fa l’io), devi cominciare l’analisi da te stesso. Successivamente, quando capisci che la persona è priva di esistenza intrinseca, puoi estendere questa consapevolezza alle cose di cui godi, a quelle che sopporti e a quelle che utilizzi. In questo senso la persona è padrona.
Ecco perché Nagarjuna presenta dapprima l’assenza di sé delle persone e successivamente se ne serve come esempio dell’assenza di sé dei fenomeni. Nella Preziosa ghirlanda afferma che:
Una persona non è terra, non è acqua,
non è fuoco, non è vento, non è spazio,
non è la coscienza e non è il loro insieme;
ma quale persona esiste che non sia fatta di quegli elementi?
Come la persona non è un assoluto ma un composto di sei elementi costitutivi,
così anche ciascuno di essi è un composto e non un assoluto.
Così come una persona non esiste intrinsecamente poiché dipende da un insieme di sei elementi costitutivi (la terra, cioè le sostanze dure del corpo; l’acqua, cioè i fluidi; il fuoco, cioè il calore; il vento, cioè l’energia, il movimento; lo spazio, cioè le parti vuote del corpo; e la coscienza), ne deriva che neppure ciascuno degli elementi costitutivi esiste intrinsecamente, essendo a sua volta fondato sulla dipendenza dalle sue parti.
Gli esempi sono più facili da comprendere di ciò che esemplificano. Buddha ne parla nel Sutra regale della stabilizzazione meditativa:
Come sei giunto a conoscere la falsa differenziazione di te,
applicala mentalmente a tutti i fenomeni.
Tutti i fenomeni sono completamente vuoti
di esistenza intrinseca, come lo spazio.
In uno si conoscono tutti.
In uno inoltre si vedono tutti.
Quando sai esattamente com’è davvero l’«io», potrai capire tutti i fenomeni interni ed esterni usando la stessa logica. Se si è in grado di vedere come esiste un fenomeno (il sé), si può allo stesso modo conoscere la natura di tutti gli altri fenomeni. Ecco perché nella meditazione si procede sforzandosi innanzitutto di generare la comprensione della propria mancanza di esistenza intrinseca, per poi dedicarsi alla stessa comprensione applicata ad altri fenomeni.
Meditazione
Considera che:
- La persona è al centro di tutti i problemi.
- La cosa migliore è, dunque, dedicarsi a comprendere innanzitutto la propria natura.
- Tale comprensione può essere in seguito applicata alla mente, al corpo, alla casa, all’automobile, al denaro e a tutti gli altri fenomeni.
Nel buddhismo il termine «sé» ha due significati che vanno distinti per evitare confusione. Un significato di sé è «persona» o «essere vivente». Si tratta dell’essere che ama e odia, che compie azioni e accumula karma buono e cattivo, che sperimenta i frutti di quelle azioni, che rinasce nell’esistenza ciclica, che coltiva cammini spirituali e così via.
L’altro significato di sé è contenuto nell’espressione «assenza di sé», dove si riferisce a una condizione dell’esistenza falsamente immaginata e resa eccessivamente concreta, che si chiama «esistenza intrinseca». L’ignoranza che aderisce a tale esagerazione è davvero la fonte della rovina, la madre di tutti gli atteggiamenti sbagliati, forse potremmo addirittura dire demoniaci. Nell’osservare l’«io» che dipende da attributi mentali e fisici, questa mente lo esagera fino a credere a una sua esistenza intrinseca, benché gli elementi mentali e fisici osservati non contengano affatto un essere esagerato di questo tipo.
Qual è la vera condizione di un essere senziente? Come un’automobile esiste in dipendenza dalle sue parti, le ruote, gli assi e via dicendo, così un essere senziente è convenzionalmente fondato in dipendenza dalla mente e dal corpo. Non è possibile trovare una persona separata dalla mente e dal corpo o interna alla mente e al corpo.
Solo di nome
Questo è il motivo per cui il buddhismo descrive l’«io» e tutti gli altri fenomeni come «solo di nome». Ciò non significa che l’«io» e tutti gli altri fenomeni siano semplici parole, perché le parole che definiscono tali fenomeni fanno in effetti riferimento a oggetti reali. Si tratta piuttosto del fatto che questi fenomeni non esistono di per sé; l’espressione «solo di nome» elimina la possibilità che siano fondati a partire dall’oggetto di per sé. Abbiamo bisogno di questa avvertenza perché l’«io» e gli altri fenomeni non sembrano semplicemente fondati dal nome e dal pensiero. Anzi, proprio il contrario.
Noi diciamo, per esempio, che il Dalai Lama è un monaco, un essere umano e un tibetano. Non sembra forse che stiamo dicendo ciò in riferimento non al suo corpo o alla sua anima, ma a qualcosa di distinto? Se non ci fermiamo a riflettere, sembra che ci sia un Dalai Lama separato dal proprio corpo e addirittura indipendente dalla propria mente. Oppure prendi in considerazione te stesso. Se ti chiami Jane, per esempio, diciamo «il corpo di Jane, la mente di Jane», cosicché ti sembra che ci siano una Jane che è proprietaria del suo corpo e della sua mente, e una mente e un corpo che Jane possiede.
Come capire che questa prospettiva è erronea? Focalizziamo l’attenzione sul fatto che nulla dentro la mente e il corpo può essere «io». Mente e corpo sono vuoti di un «io» tangibile. Si tratta invece del fatto che, proprio come un’automobile è fondata dipendentemente dalle sue parti e di esse non è neppure la somma, così l’«io» dipende dalla mente e dal corpo. Un «io» che non dipende dalla mente e dal corpo non esiste, mentre un «io» inteso come dipendente dalla mente e dal corpo esiste in accordo con le convenzioni del mondo. Comprendere questo tipo di «io», che non si trova in alcun modo all’interno della mente e del corpo, e che non è neppure la somma della mente e del corpo, ma che esiste solo grazie alla forza del suo nome e dei nostri pensieri, è utile nel momento in cui ci sforziamo di vederci come veramente siamo.
Le quattro fasi verso la comprensione
Ci sono quattro fasi principali che portano a comprendere che non esistiamo nel modo in cui pensiamo. Ne tratterò dapprima brevemente e poi in dettaglio.
La prima fase consiste nell’identificare le convinzioni ignoranti da confutare. Devi fare ciò perché quando effettui l’analisi per cercare te stesso all’interno del corpo e della mente o separato dal corpo e dalla mente, e non lo trovi, potresti erroneamente dedurne che tu non esisti affatto.
Poiché l’«io» appare alla nostra mente come fondato in sé e per sé, quando ricorriamo all’analisi per tentare di trovarlo e non lo troviamo, sembra che l’«io» non esista affatto, mentre a non esistere è soltanto l’«io» indipendente, l’«io» intrinsecamente esistente. Poiché qui c’è il pericolo di inciampare nella negazione e nel nichilismo, è fondamentale in questa prima fase capire che cos’è negato nell’assenza di sé.
Come appare l’«io» alla tua mente? Esso sembra esistere non grazie alla forza del pensiero, ma più concretamente. Devi riconoscere e identificare tale modalità di comprensione. È il tuo obiettivo.
La seconda fase consiste nel decidere che, se l’«io» esiste così come sembra, dev’essere o un tutt’uno con la mente e il corpo o separato da entrambi. Dopo avere verificato che non ci sono altre possibilità, nelle due fasi conclusive analizza se l’«io» e il complesso mente-corpo possono essere o una sola entità intrinsecamente fondata o diverse entità intrinsecamente fondate.
Come vedremo nei due paragrafi che seguono, attraverso la meditazione arriverai gradualmente a capire che ci sono convinzioni erronee in entrambe le versioni dell’«io». A questo punto potrai subito comprendere che un «io» intrinsecamente esistente è infondato. Questa è la comprensione dell’assenza di sé. Una volta capito che l’«io» non è intrinsecamente esistente, ti renderai conto facilmente che ciò che è «mio» non è intrinsecamente esistente.
La prima fase. Identificare l’obiettivo
Di solito qualsiasi cosa appaia alla nostra mente sembra esistere di per sé, indipendentemente dal pensiero. Quando rivolgi l’attenzione a un oggetto – che si tratti di te stesso, di un’altra persona, del corpo, della mente o di una cosa materiale – accetti il modo in cui appare come se fosse la sua condizione finale, interiore e reale. Ciò è chiaramente visibile nei momenti di stress, quando per esempio qualcuno ti critica per qualcosa che non hai fatto: «Hai rovinato la tal cosa». Improvvisamente pensi con decisione: «Non sono stato io!» e magari urli addirittura questa frase a chi ti accusa.
Come appare l’«io» alla tua mente in quel momento? In che modo sembra esistere questo «io» al quale dai così tanto valore e affetto? Come lo comprendi? Riflettendo su queste domande, puoi farti un’idea di come la mente comprenda in modo naturale e innato l’«io» come esistente di per sé, intrinsecamente.
Facciamo un altro esempio. Quando si suppone che tu debba fare qualcosa di importante e scopri di esserti dimenticato di farlo, puoi prendertela con la tua mente: «Che memoria terribile!». Quando ti arrabbi con la mente, l’«io» che è arrabbiato e la mente alla quale rivolgi la tua rabbia sembrano separati l’uno dall’altro.
Lo stesso accade quando te la prendi con il tuo corpo o con una sua parte, per esempio la tua mano. L’«io» che è arrabbiato sembra esistere autonomamente, in sé e per sé, distinto dal corpo con il quale sei arrabbiato. In situazioni del genere puoi notare che l’«io» sembra esistere di per sé, come se fosse autofondante, istituito in virtù del suo stesso carattere. A una tale coscienza l’«io» non appare fondato in dipendenza dalla mente e dal corpo.
Sei in grado di ricordare un’occasione in cui hai fatto qualcosa di orribile e la tua mente ha pensato: «Ho proprio combinato un guaio»? In quel momento ti sei identificato con una sensazione dell’«io» che ha una sua entità concreta, che non è né mente né corpo, ma qualcosa che appare con molta più forza.
Oppure ricorda un’occasione in cui hai fatto qualcosa di stupendo o ti è successo qualcosa di veramente bello, e ne sei stato molto orgoglioso. Questo «io» che è così stimato, curato e amato e che è l’oggetto di una così alta opinione era, dunque, concretamente e vividamente chiaro. In tali momenti il modo in cui intendiamo l’«io» è assolutamente ovvio.
Una volta che hai colto una manifestazione tanto ovvia, puoi far sì che questa forte sensazione dell’«io» appaia alla tua mente e, senza permettere che il modo in cui appare diminuisca di intensità, puoi osservare, come da dietro un angolo, se esiste concretamente come appare. Nel XVII secolo il Quinto Dalai Lama parlò di ciò con grande chiarezza:
Talvolta l’«io» sembrerà esistere nel contesto del corpo. Talvolta sembrerà esistere nel contesto della mente. Talvolta sembrerà esistere nel contesto di sensazioni, discriminazioni o altri fattori. Dopo aver notato tutta questa gamma di suoi modi di apparire, arriverai a identificare un «io» che esiste di per sé, che esiste in modo intrinseco, che è autofondato fin dall’inizio, che esiste non differenziato rispetto alla mente e al corpo, mescolati a loro volta come latte e acqua. Questo è il primo passo: l’accertamento che l’oggetto va negato nella prospettiva dell’assenza di sé. Dovrai lavorarci finché non sorge un’esperienza profonda.
Le tre rimanenti fasi, discusse nei tre capitoli che seguono, mirano a comprendere che questa version...