Dieci giorni dopo, venerdì 27 aprile 2007. Pomeriggio.
Nel teatro virtuale si trovano dodici fra i politici e i rappresentanti delle forze dell’ordine più importanti d’Italia. Kay Scarpetta non riesce a ricordare i loro nomi. Gli unici due stranieri nella sala sono lei e lo psicologo forense Benton Wesley, entrambi presenti in qualità di consulenti dell’International Investigative Response (IIR), sezione speciale dell’European Network of Forensic Science Institute (ENFSI). Il governo italiano si trova in una posizione molto delicata.
Nove giorni prima, la campionessa di tennis americana Drew Martin è stata assassinata mentre si trovava in vacanza in Italia. Il suo corpo nudo e mutilato è stato rinvenuto nei pressi di piazza Navona, nel cuore di Roma. Il caso ha destato scalpore e le televisioni di tutto il mondo non fanno che trasmettere immagini della vita e della morte dell’atleta sedicenne, mentre in sovrimpressione si avvicendano lente e inesorabili le ultime novità sul caso, commentate dalla voce di giornalisti ed esperti.
«Allora, dottoressa Scarpetta, cerchiamo di fare chiarezza. Mi sembra che ci sia ancora parecchia confusione. Secondo lei, alle due o alle tre del pomeriggio la ragazza era già morta» dice il capitano Ottorino Poma, medico legale dei carabinieri, responsabili dell’inchiesta.
«No, non secondo me» replica l’anatomopatologa, leggermente spazientita. «Secondo lei.»
L’ufficiale aggrotta la fronte nella penombra. «Mi sembrava proprio l’avesse affermato lei pochi minuti fa, riferendosi al contenuto dello stomaco e al livello alcolemico. Non ha detto che indicano che la ragazza è morta poche ore dopo essere stata vista per l’ultima volta dalle sue amiche?»
«Però non ho detto che alle due o alle tre del pomeriggio era già morta. Mi sembra che sia lei a sostenerlo, capitano Poma.»
Nonostante la giovane età, il capitano ha già una certa fama, non del tutto positiva. Quando Kay Scarpetta lo ha conosciuto, due anni prima, all’incontro annuale dell’ENFSI all’Aia, i maligni lo chiamavano “il Dottor Grandi Firme” e lo descrivevano come estremamente vanitoso e polemico. È davvero un bell’uomo, che ama le donne e gli abiti eleganti. Oggi indossa la divisa blu con le strisce rosse sui pantaloni e decorazioni argentate, e un paio di lucidissimi stivaletti di pelle nera. Quel mattino ha fatto la sua entrée sfoggiando una mantella foderata di rosso.
È seduto di fronte a Kay Scarpetta, al centro della prima fila, e non le toglie praticamente mai gli occhi di dosso. Alla sua destra c’è Benton Wesley, che non ha quasi parlato. Tutti indossano occhiali stereoscopici sincronizzati con il SASC, il Sistema per l’analisi della scena del crimine, una geniale innovazione che tutto il mondo invidia all’Unità per l’analisi del crimine violento della polizia scientifica italiana.
«A costo di ripetermi, vorrei esporre di nuovo il mio ragionamento, in modo che sia chiaro» dice Kay Scarpetta al capitano Poma, che nel frattempo ha posato il mento su una mano e la guarda come se la loro fosse una conversazione intima davanti a un buon bicchiere di vino. «Se la ragazza fosse stata uccisa nel primo pomeriggio, da quel momento a quando il cadavere è stato ritrovato, alle otto e trenta circa del mattino successivo, sarebbero passate diciassette ore. Ma livor mortis, rigor mortis e algor mortis non sono compatibili con tale ipotesi.»
Con una penna laser, Kay Scarpetta illustra la ricostruzione tridimensionale del cantiere edile proiettata sullo schermo, che occupa un’intera parete della sala. È come se si trovassero in piedi al centro della scena e stessero guardando il corpo mutilato di Drew Martin, in mezzo al fango, ai detriti e ai macchinari del cantiere. Il puntino rosso del laser indica la spalla sinistra, il gluteo sinistro, la gamba sinistra e infine il piede scalzo. Il gluteo destro non esiste più, come parte della coscia destra: sembra che la ragazza sia stata aggredita da uno squalo.
«Il livor…» riprende Scarpetta.
«Scusate, ma il mio inglese è quello che è. Non sono certo di aver capito bene» la interrompe il capitano Poma.
«Livor. È un termine che ho già usato.»
«Sì, ma forse non l’ho capito nemmeno prima.»
Risate. A parte l’interprete, Kay Scarpetta è l’unica donna presente nella sala e né lei né l’interprete trovano spiritoso il capitano. Gli altri uomini invece sì, a quanto pare. Tranne Benton, che in tutto il giorno non ha sorriso una sola volta.
«Come si dice in italiano?» domanda il capitano Poma a Kay Scarpetta.
«Ma è latino, la lingua dell’antica Roma!» esclama Kay. «La terminologia medica deriva quasi tutta dal latino.» Non lo dice sgarbatamente, ma in tono un po’ sbrigativo, perché sa benissimo che il capitano trova difficile capire la sua pronuncia soltanto quando gli fa comodo.
La fissa da dietro gli occhiali 3D, che lo fanno assomigliare a Zorro, e confessa: «Non sono mai stato molto bravo in latino».
«Okay. Livor, lividezza. Mortis, il genitivo di morte. Il livor mortis, o ipostasi cadaverica, è il colore che assume il corpo dopo la morte.»
«Così è molto più facile» commenta Poma. «Lei parla molto bene l’italiano, dottoressa…»
Kay Scarpetta non ha nessuna intenzione di parlare italiano, benché sia vero che se la cava. Per parlare di lavoro, preferisce la propria lingua, perché le sfumature sono importanti, e comunque c’è l’interprete che traduce tutto, parola per parola. Le difficoltà linguistiche, sommate alle pressioni da parte dei politici, allo stress e alle continue battutine di Poma aggravano una situazione già pesante di per sé. Il fatto è che l’assassino di Drew Martin sembra sfuggire a tutti i canoni e i profili consueti. In quel delitto, persino i dati scientifici paiono discutibili e incerti, e Kay Scarpetta deve ricordare a se stessa e agli altri che la scienza non mente e non sbaglia mai. La scienza non porta deliberatamente fuori strada, non si fa beffe di chi la segue.
Ma il capitano Poma non capisce, o finge di non capire. Forse non dice sul serio quando definisce il cadavere di Drew “poco collaborativo e polemico”, come se davvero potesse fare i capricci. Sostiene che le alterazioni post mortem dicono una cosa, ma che il contenuto dello stomaco e il livello alcolemico ne dicono un’altra e, contrariamente a quanto pensa Kay Scarpetta, su cibo e bevande si può sempre fare affidamento. Almeno in questo è serio.
«Quel che Drew ha mangiato e bevuto ci svela la verità.» Ripete ciò che ha detto nell’appassionata introduzione ai lavori quella mattina.
«Sì, ma non quella che dice lei, capitano» ribatte Kay Scarpetta. Il tono è più cortese di quanto non sia il contenuto. «La sua verità è un errore interpretativo.»
«Mi sembra che ne abbiamo già parlato» interviene Benton dall’ombra della prima fila. «Mi sembra che la dottoressa Scarpetta sia stata chiarissima in proposito.»
Gli occhiali 3D del capitano Poma – e non solo i suoi, ma quelli di tutti – rimangono fissi sull’anatomopatologa. «Mi dispiace se la annoio, dottor Wesley, ma dobbiamo cercare di capire. Riesaminiamo i dati a nostra disposizione. Il diciassette aprile tra le undici e trenta e le dodici e trenta, Drew Martin ha mangiato un piatto di lasagne di scarsa qualità e ha bevuto quattro bicchieri di Chianti, di qualità altrettanto scarsa, in una trattoria per turisti vicino a Trinità dei Monti. Ha pagato il conto, è uscita dal locale e in piazza di Spagna ha salutato le sue due amiche, promettendo loro di raggiungerle in piazza Navona nel giro di un’ora. Non si è mai presentata all’appuntamento. Questi sono gli unici dati certi. Tutto il resto è ancora un mistero.» Guarda Kay Scarpetta da dietro gli occhiali dalla spessa montatura, poi si volta a parlare alle persone sedute nelle file retrostanti. «Ed è un mistero anche perché la nostra illustre collega statunitense adesso affermi che Drew Martin non è morta poco dopo aver pranzato, e forse neanche quello stesso giorno.»
«L’ho sostenuto fin dall’inizio, e posso spiegare nuovamente perché. Visto che mi sembra ci sia ancora un po’ di confusione…» ribatte Kay Scarpetta.
«Dobbiamo andare avanti» dice Benton.
Ma andare avanti è impossibile: il capitano Poma è talmente famoso e rispettato in Italia che può fare quello che vuole. I giornalisti lo chiamano “lo Sherlock Holmes di Roma”, sebbene sia un medico e non un investigatore. Ma sembrano averlo dimenticato tutti, anche il comandante generale dell’Arma che, seduto in un angolo in fondo, ascolta con attenzione e parla pochissimo.
«In circostanze normali» riprende Kay Scarpetta «dopo alcune ore Drew Martin avrebbe digerito completamente tutto ciò che aveva mangiato e il suo tasso alcolemico non sarebbe stato 0,2, come invece risulta dalle analisi tossicologiche. Quindi sì, capitano Poma, il contenuto dello stomaco e i dati tossicologici fanno pensare che sia deceduta poco tempo dopo aver pranzato. Tuttavia, il livor mortis e il rigor mortis indicano in maniera abbastanza inequivocabile che dev’essere morta dodici o quindici ore dopo essere uscita dalla trattoria, e sono questi artefatti post mortem cui dovremmo prestare maggiore attenzione.»
Poma sospira. «Ci risiamo. Di nuovo il livor. La sua teoria continua a essere poco chiara per me. La prego di spiegarsi meglio, perché proprio non capisco che cosa intenda per artefatti post mortem. Sembra che ci stiamo occupando di scavi archeologici.» Il capitano Poma posa nuovamente il mento sulla mano.
«Livor, livor mortis, ipostasi cadaverica, è sempre la stessa cosa. Quando si muore, la circolazione si ferma e il sangue si accumula in basso per effetto della gravità, come il carico in una nave affondata.» Sente che Benton la osserva da dietro gli occhiali 3D, ma non osa guardarlo: non è lui, oggi.
«Continui, la prego» dice il capitano Poma, sottolineando più volte qualcosa sul suo blocco per appunti.
«Se dopo la morte il corpo rimane abbastanza a lungo nella stessa posizione, il sangue filtra attraverso i tessuti formando le cosiddette macchie ipostatiche, o livor mortis» spiega Kay Scarpetta. «Dopo un po’ il livor mortis si fissa e la parte del corpo in cui il sangue si è accumulato assume una colorazione rossoviolacea con chiazze ischemiche in corrispondenza dei punti in cui l’afflusso del sangue è stato ostacolato, per esempio dalla pressione di una superficie rigida o da indumenti stretti. Possiamo vedere le foto dell’autopsia?» Controlla un elenco sul leggio. «La numero ventuno, per favore.»
Sulla parete appare l’immagine del corpo di Drew Martin steso su un tavolo d’acciaio all’obitorio dell’Università di Tor Vergata, a faccia in giù. Con la penna laser, Kay Scarpetta indica le zone rosso violacee e le chiazze ischemiche più chiare. Delle impressionanti ferite che sembrano crateri rosso scuro non ha ancora parlato.
«Adesso potete proiettare di nuovo la scena del ritrovamento, grazie. Quella dove il cadavere viene chiuso nel sacco mortuario» dice.
La foto tridimensionale del cantiere riempie nuovamente la parete, ma questa volta si vedono anche gli investigatori in tuta, guanti e soprascarpe di Tyvek bianco, che sollevano il corpo nudo e inerte di Drew Martin e lo infilano in un sacco nero foderato di tela, sopra una barella. Intorno a loro altri tecnici tengono sollevati dei teli per impedire la vista ai curiosi e ai paparazzi che fanno ressa ai margini della scena.
«Confrontiamo questa immagine con la foto di poco fa. In sala autopsie, circa otto ore dopo il ritrovamento, il fenomeno si era ormai fissato» dice Kay Scarpetta. «Mentre nel cantiere, come vediamo, era ancora soltanto all’inizio.» Il puntino rosso indica alcune zone rosate sul dorso del cadavere. «Anche il rigor era in fase iniziale.»
«Esclude l’insorgenza precoce del rigor mortis in seguito a contrattura cadaverica? Dovuta per esempio a un intenso sforzo fisico poco prima del decesso? Magari la vittima ha lottato strenuamente contro l’assassino. Lo chiedo perché noto che finora non ha accennato a questo fenomeno.» Il capitano Poma sottolinea qualcosa sul blocco.
«Non c’è motivo di pensare a una contrattura cadaverica» replica Kay Scarpetta. “Nessun’altra bella pensata, già che ci siamo?” è tentata di chiedere. Invece dice: «Che abbia compiuto un intenso sforzo o no, non era completamente rigida quando è stata trovata, quindi non ha avuto contrattura cadaverica…».
«A meno che il rigor non sia comparso e poi regredito.»
«Impossibile, perché all’obitorio si era definitivamente stabilito. Non è che il rigor viene, va e poi ritorna.»
L’interprete si sforza di non sorridere nel tradurre le sue parole in italiano e varie persone nella sala ridono.
«Vediamo che i muscoli non sono rigidi» continua Kay Scarpetta puntando la penna laser sul cadavere di Drew Martin che viene sollevato e messo sulla barella. Anzi, sono piuttosto flessibili. Ritengo ...