Maria Luisa d'Austria, la donna che tradì Napoleone
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Maria Luisa d'Austria, la donna che tradì Napoleone

La gloria, le passioni, il tormento

  1. 352 pagine
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Maria Luisa d'Austria, la donna che tradì Napoleone

La gloria, le passioni, il tormento

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Più di tante altre grandi protagoniste della storia Maria Luisa d'Austria, figlia dell'imperatore Francesco I, moglie di Napoleone e infine duchessa di Parma e Piacenza, è una figura enigmatica di sovrana che visse molte esperienze e di cui non è facile cogliere la vera natura.
Antonio Spinosa ne rivela fortune e miserie, senza farsi tentare dall'agiografia ma senza dimenticare l'umana comprensione per una donna che fu più volte vittima della ragion di Stato. Al di là dei ritratti ufficiali, la futura sposa di Napoleone viene presentata come una creatura che raramente poté scegliere. Dovette piegarsi agli interessi dell'Impero asburgico, le sue nozze non furono benedette dal papa, il figlio le fu sottratto, in ossequio al rigido protocollo di Corte, la caduta dell'imperiale marito travolse anche lei, che non ebbe il coraggio di serbar fede al proprio ruolo e abbandonò Napoleone al proprio destino.
Questa donna si riscattò però nelle nuove e più circoscritte vesti di Maria Luigia, passando dal trono più prestigioso d'Europa al minuscolo ducato italiano, e dall'eccelso e terribile consorte a due più premurosi mariti. A Parma la sovrana è ancora oggi ricordata con affetto e ammirazione, per aver introdotto riforme e incoraggiato opere pubbliche.
Alla sua morte, nel 1847, si apriva l'età moderna.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
ISBN
9788852013454
Argomento
Histoire

Parte terza

LA DUCHESSA A CAVALLO
Le follie amorose

I

L’itinerario seguito dal corteo reale che riconduceva Maria Luisa in Austria era stato accuratamente studiato da Francesco I e da Metternich affinché acquistasse un preciso significato politico. Su ventitré carrozze la seguivano sessantadue cortigiani francesi, fra uomini e donne, che lei non aveva voluto lasciare a Parigi ravvisando in loro un’ultima immagine della superba Maison de l’Impératrice de France. Fra gli accompagnatori figuravano la duchessa di Montebello, le contesse di Montesquiou e di Brignole, il segretario Méneval, il prefetto di palazzo Bausset, il dottor Corvisart e il gastronomo Louis de Cussy.
L’ex imperatrice era afflitta non soltanto da un «dimagrimento ogni giorno più evidente», ma soprattutto da «una sorta di diatesi febbrile che compariva quasi tutte le sere per poi scomparire durante la notte o di primo mattino causando una lieve, ma visibile sudorazione». Il senescente archiatra, per evitare che i disagi del trasloco potessero pesare oltremodo sulla malferma salute di Maria Luisa, aveva stabilito che il viaggio comprendesse numerose soste, anche se ciò, in realtà, non fece altro che rendere alla fuggitiva più lungo e penoso il ritorno a Vienna.
La prima sosta fu fatta a Grosbois, presso la dimora del principe di Neuchâtel, Louis Berthier. Quattro anni addietro egli era stato il primo francese a salutare la giovane che saliva sul trono di Francia, e il fato voleva che fosse sempre lui a renderle l’ultimo omaggio, ora che stava per tornare in Austria. L’accoglienza di Berthier fu però piuttosto freddina poiché lui, dimentico dei grandi onori ricevuti da Napoleone in compenso dei suoi servigi, già stava per recarsi a Parigi col proposito di sottomettersi al nuovo re Luigi XVIII.
Ancora su suolo francese Maria Luisa era quotidianamente informata di quanto avveniva nella capitale. Le descrivevano, ma senza entrare nei particolari per non umiliarla, il trionfale ritorno dei Borbone, intenti a riprendere possesso dei lussuosi appartamenti dei palazzi reali che erano stati occupati da Napoleone e a cancellarne le tracce. Lei non mancava di gettare lo sguardo su un giornaletto scandalistico di Madame de Staël, «Le Nain Jaune», in cui si parlava fra innumerevoli pettegolezzi degli indecorosi comportamenti in cui si crogiolavano i nobili nei salotti della Restaurazione. Vi si descrivevano le piccanti avventure in cui si perdeva la nobildonna Zoe de Cayla, una novella Madame du Barry, che amava «arrampicarsi sul pancione di Luigi XVIII». Così come si rivelavano le erotiche performances che la duchessa d’Abrantès consumava con il gaudente marchese de Balincourt. Tali misfatti aggravavano il disprezzo che la giovane aveva sempre nutrito per la nobiltà francese, e la spronavano a tornare ancor più rapidamente fra le polverose, ma pur dignitose parrucche austriache. Chiusa nei suoi pensieri non rimpiangeva di aver perso un impero per un piccolo ducato come quello di Parma, certa di poter mutare una penosa e insicura esistenza con qualcos’altro di più sereno e tranquillo.
Lasciata la verdeggiante Grosbois, la carovana si diresse speditamente verso il confine con la Svizzera attraverso cui sarebbe entrata in terra austriaca. Maria Luisa così descriveva l’evento nel suo diario di viaggio:
Scritto il 2 maggio 1814. In un borgo a due leghe da Trois Maisons si trova la frontiera francese. Passandola, ho avuto una fitta al cuore e ho fatto voti per la felicità di questa povera nazione affinché possa presto godere della tranquillità di cui manca da tempo. Sono stata distolta dai miei tristi pensieri soltanto dall’arrivo delle cavallerie svizzera e austriaca che mi hanno preceduta a una lega da Basilea, ma che hanno anche sollevato molta polvere, per cui le avrei volentieri pregate di dispensarmi da questo onore.
Aveva ancora pensieri per il còrso, e scriveva:
Un corriere mi ha portato notizie dell’Imperatore. Mi rimprovero di non averlo seguito: anche io, dunque, l’ho abbandonato. Oh! Mio Dio, che cosa egli penserà di me? Ma io lo raggiungerò, dovessi pur essere eternamente infelice!
Questi sussulti della coscienza sarebbero stati però ben presto soffocati dal calore degli austriaci che già accorrevano ad accoglierla come si sarebbe fatto con una pecorella smarrita che tornava all’ovile.
Il barone de Bausset scriveva: «Marie-Louise retrouvait dans son voyage le même éclat, les mêmes hommages, les mêmes pompes qu’au palais des Tuileries». In effetti i sovrani del Baden-Württemberg e della Baviera avevano inviato alcune delegazioni per rendere omaggio a colei che era stata la loro imperatrice, e i semplici cittadini la salutavano con canti popolari ed elevando archi di fiori. Dopo aver costeggiato gli incantevoli laghi di Zurigo e di Costanza, Maria Luisa arrivava alfine in Tirolo, ancora soggetto al sovrano bavarese. La decisione di farle attraversare le vallate tirolesi non era stata casuale: quattro anni prima gli Asburgo avevano vergognosamente abbandonato quei territori al loro destino, e ora sia Metternich sia Francesco I avevano pensato bene di farvi sfilare l’ex sovrana di Francia quale trofeo di guerra, quasi a testimoniare l’avvenuta sconfitta di Bonaparte e la volontà degli Asburgo di riparare ai misfatti compiuti nel 1810.
I tirolesi – che lo scrittore Alfred de Musset definirà peuple héroïque et fier, /montagnard comme l’aigle, et libre comme l’air – accolsero con velata gioia Maria Luisa, tanto da acclamarla Erzherzogin, arciduchessa, e non Kaiserin, imperatrice. Evitarono cioè di rendere onore alla moglie del còrso, e applaudirono la figlia del loro imperatore, il quale li aveva liberati dalle grinfie del mefistofelico Napoleone. Innsbruck fu tale da suggestionare Maria Luisa e il seguito, presentandosi in una veste romantica da fiaba, incorniciata da frutteti in fiore, attraversata dalle increspate acque dell’Inn e soprattutto inondata da una folla in abiti variopinti secondo i costumi del luogo. La carrozza reale che era arrivata in Friedrich Strasse – davanti al famoso Goldenes Dachl, il Tettuccio d’oro, una loggia eretta per l’imperatore Massimiliano I e decorata con lamine di rame dorato – fu trascinata a braccia fino alla Hofburg, l’antica residenza estiva degli Asburgo.
Nei pressi di Salisburgo, avvicinandosi ormai alla sospirata Vienna, Maria Luisa scriveva a matita alcune parole su di un foglietto di carta:
Ritorno a te, mia cara patria, ma con quale amarezza! Perché mi hanno costretta ad allontanarmi da te? Il popolo di Parigi non ha mai strappato come i devoti tirolesi i finimenti della mia vettura! Che straziante fatalità, la mia vita! Iddio soltanto conosce il mio dolore. Ah! Come sono debole in questo turbine di intrighi e di tradimenti!
Fortunatamente sopraggiungevano a rincuorarla alcune lettere del padre, il quale, da Parigi, le scriveva affettuosamente: «Carissima Maria Luisa, ti prego di non essere preoccupata. Non devi credere che io sia scontento di te, come già ti ho detto altre due volte. Né devi cadere nella misantropia. Serba le tue preooccupazioni per te stessa o parlane soltanto con me». In un’altra missiva la incoraggiava scrivendo: «Su come sarai trattata a Schönbrunn, la cosa sarà regolata secondo i tuoi desideri. Credimi, agogno il momento in cui ci rivedremo, il tuo tenerissimo padre Francesco».
Col cuore aperto alla speranza lei tornava a casa, l’adorata casa. L’imperatrice Maria Ludovica le era andata incontro a Sieghartskirchen, a una trentina di chilometri da Vienna, mentre centinaia di carrozze e una folla immensa si radunavano lungo la strada campestre che portava a Schönbrunn. Grande era la gioia della popolazione nel rivedere l’amata arciduchessa che solennemente tornava nel suo antico palazzo. Ed era il 21 maggio del 1814. La vettura con a bordo la Montesquiou, che aveva accanto il piccolo Napoléon, oltrepassava i cancelli della reggia alcuni minuti dopo, e il fatto non avveniva per caso: si voleva cioè in tal modo dimostrare quanto forti fossero le distanze fra Maria Luisa, erede della nobile stirpe asburgica e lui, discendente della menzognera dinastia napoleonica.
Attendeva in ansia l’arrivo della ventiduenne Maria Luisa l’antica dama d’onore contessa Lazansky, insieme a Madame de Colloredo con la figlia Victoire e a uno sconfinato consesso di principi e di principesse imperiali. Gli abbracci e i moti di affetto furono sconvolgenti, le lacrime di gioia simili a fiumi.
Maria Ludovica aveva fatto riservare per la figliastra un appartamento nell’ala occidentale del castello di Schönbrunn, lo stesso luogo – strana era la coincidenza! – che alcuni anni prima era stato abusivamente occupato dal còrso il quale vi si era intrattenuto con la bionda amante polacca, la contessa Walewska. In quello stesso ambito del palazzo avrebbe ora alloggiato anche il principino.
Gli iniziali entusiasmi profusi a Maria Luisa si affievolirono rapidamente. Era evidente che lei non faceva più parte integrante del clan degli Asburgo, essendo stata la moglie dell’«Anticristo». Ludovica, che due anni addietro in quel di Dresda aveva dovuto sopportare l’alterigia della figliastra, ora si sentiva nuovamente la prima donna d’Europa e non esitava a umiliare la dame corse che riteneva in qualche modo ancora legata all’esiliato consorte. La moglie del consigliere di Stato Joseph Hudelist sosteneva che l’arciduchessa si comportava sfacciatamente come se si trovasse a Vienna in visita di piacere e come se Napoleone fosse ancora al governo della Francia.
ASchönbrunn gli austriaci erano peraltro infastiditi dai cortigiani francesi che folleggiavano nei saloni del palazzo imperiale, e quello era un entourage che per le sue abitudini si allontanava notevolmente dai costumi dei nobili viennesi. Sicché i loro stessi gusti alimentari erano oggetto di battute velenose, e così avveniva anche per le stravaganti ricette che preparava lo chef Curry.
Sullo stato d’animo di Maria Luisa la contessa Eleonore di Metternich aveva qualcosa da dire, e la annotava nei suoi diari: «L’arciduchessa dà l’impressione di aver dimenticato il passato. È indifferente persino nei confronti del figlio che non vede più di un quarto d’ora al giorno». Anche gli sgherri della polizia, che avevano il compito di vigilare sulla giovane, osservavano come lei fosse «sempre di ottimo umore, vivace, allegra, dedita a parlare soltanto di moda parigina, presa da passatempi come gli spettacoli, le cavalcate e le gite in carrozza».
Maria Luisa, a detta di Méneval, «evitava la comunanza con la famiglia e serbava la propria indipendenza a Corte»: questo perché se i dispersi parenti francesi le erano imbarazzanti, quelli austriaci le apparivano caustici e velenosi. L’unico che si sarebbe certamente salvato era papà Francesco, ma purtroppo lui era ancora lontano, a Parigi, intorno a un tavolo per decidere i destini dell’Europa.
La sessantaduenne regina Maria Carolina – l’ultima dei tredici figli di Maria Teresa la Grande – era ancora a Vienna, e viveva nel piccolo castello di Hetzendorf, collegato attraverso un viale con i giardini di Schönbrunn. La vecchia sovrana, di carattere duro e autoritario, era arrivata in Austria per perorare la causa del suo inetto marito Ferdinando affinché egli potesse riprendersi al più presto il regno di Napoli, ancora in mano all’aitante Murat e a sua moglie, l’altera Carolina.
Maria Luisa gioiva per la presenza della regina di Napoli a Vienna, anche perché sentiva di essere da lei sinceramente amata, mentre al contrario l’affetto dell’imbacuccata Ludovica era scopertamente posticcio e superficiale. Carolina confidava alla nipote come soffrisse per l’esilio, come fosse stata amara la fuga in Sicilia, una terra che giudicava inospitale e che peraltro aveva trovato praticamente nelle mani degli inglesi, alleati sì, ma niente affatto amati. Definiva avventuroso il viaggio che più tardi aveva dovuto affrontare per arrivare a Vienna: da Malta si era recata a Costantinopoli, su di un battello aveva quindi costeggiato il Mar Nero fino a Odessa per poi risalire il corso del Danubio.
L’ex regina di Napoli si mostrava cordiale con i cortigiani francesi, e in particolare con Méneval. «La Corte austriaca» gli confidò un giorno «commette un grave errore nell’impedire a Maria Luisa di ricongiungersi con Napoleone. Se qualcuno osasse impedirlo a me, attaccherei le lenzuola del letto alla finestra e mi calerei giù. Quando ci si sposa si contrae un impegno che dura per tutta la vita!» Méneval non confidò questi pensieri alla sua padrona, certo che lei, non possedendo né la tempra né la forza d’animo della nonna, non sarebbe stata in grado di comprenderli e di condividerli.
La strana situazione matrimoniale in cui Maria Luisa era venuta a trovarsi formava l’oggetto di molte dicussioni. I cattolici viennesi ritenevano oltremodo scandaloso che una moglie vivesse lontano dal proprio marito, pur chiamandosi questi Napoleone. Sprezzante era diventata la vox populi nel diffondersi dell’eco suscitata da una commovente rappresentazione teatrale di Beethoven, quella di Leonore, oder Der Triumph der ehelichen Liebe, ossia il Fidelio o l’amor coniugale. Il 23 maggio, al teatro di Porta Carinzia – Kärntnerthor – centinaia di persone avevano assistito al melodramma e avevano plaudito alla perseverante fedeltà della bella Leonora verso l’amato Florestano. Fra i viennesi si mormorava che la loro arciduchessa non avrebbe mai indossato i panni di una Leonore, ma non potevano immaginare che presto lei avrebbe addirittura interpretato la parte di una Messalina. Il tradimento dell’amor coniugale era ormai imminente.

II

Nel giugno del 1814 Madame de Montebello lasciava l’Austria, dovendo tornare in Francia per motivi di famiglia, e ciò provocava un vuoto nel cuore di Maria Luisa che aveva in lei l’amica più sincera.
Per l’arciduchessa la vita a Corte non si svolgeva serenamente, e ciò avveniva anche a causa della contemporanea presenza di altre tre sovrane – l’imperatrice Ludovica, la duchessa Beatrice di Modena-Este e la regina Maria Carolina – che affollavano le pur luminose gallerie di Schönbrunn. Troppe donne, e tutte dotate di una lingua biforcuta che aveva per oggetto preferito proprio la moglie del còrso. E difatti così scriveva malignamente Ludovica a Francesco I, il marito: «Maria Luisa è sempre più magra e infantile. Il figlio è un bel bambino, ma disgraziatamente assomiglia tutto a suo padre. Avrei preferito che fosse una bambina. Prepotentemente i francesi sono diventati i padroni del tuo palazzo e del tuo paese, e pronunciano in continuazione la parola Empereur che noi però ascoltiamo con indifferenza».
Sulla base di un Diktat, imposto dall’acidula Ludovica, soltanto a uno zio di Maria Luisa, l’arciduca Giovanni, era consentito di frequentarne gli appartamenti, mentre ciò era severamente vietato a ogni altra persona, fossero pure principi o principesse reali. Ma da Giovanni la giovane non ricavava grandi soddisfazioni poiché lui, essendo di vedute assai ristrette, premeva affinché la nipote lasciasse l’Austria per stabilirsi alfine nel suo ducato in Italia. Né mancava di fare sgradevoli apprezzamenti sull’«Aiglon», considerandolo ostinato e cattivo come dimostrava «il suo sguardo fin troppo espressivo per un bambino di tre anni».
Accolto come un liberatore, Francesco I tornava a Vienna. Ed era il 15 di giugno. Maria Luisa gli andava incontro «per aprirgli sì il cuore», ma anche per cercar di capire da lui quale sarebbe stato il proprio futuro. Il «papà» si mostrò freddo, desideroso com’era di arrivare alla Hofburg per «pavoneggiarsi come un tacchino» avendo appena siglato un buon trattato. Egli esaltava il valore di quel documento, ritenendolo un accordo tale da «porre fine ai lunghi turbamenti, alle sciagure che avevano falcidiato i popoli d’Europa», e tale da «creare una pace duratura, basata sull’equa ripartizione delle forze fra le varie potenze alleate».
Era già stato deciso che il 1° di ottobre, nelle sale della reggia viennese, si sarebbe riunito un congresso fra le nazioni vittoriose per ratificare gli accordi di Parigi. Ad amministrare quello straordinario incontro di superpotenze sarebbe stato il cancelliere Metternich, il vero tessitore degli accordi diplomatici che avevano portato al crollo del sistema napoleonico e alla resta...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Indice
  5. L’ondeggiare di una vita
  6. Parte prima - LA PAURA DELL’«ANTICRISTO»
  7. Parte seconda - L’IMPERATRICE DIMEZZATA
  8. Parte terza - LA DUCHESSA A CAVALLO
  9. Itinerario bibliografico
  10. Indice dei nomi