Il Quarto Reich
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Il Quarto Reich

Come la Germania ha sottomesso l'Europa

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Il Quarto Reich

Come la Germania ha sottomesso l'Europa

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Lettere riservate a capi di governo, telefonate segrete alle più alte cariche di Stati sovrani, pressioni esercitate in mille modi da poteri forti che si muovono al di fuori e al di sopra delle elementari regole democratiche. La storia del ruolo svolto in questo inizio secolo dalla Germania in Europa, e in particolare nell'Unione europea, è ancora tutta da raccontare, soprattutto in relazione alle vicende politiche dell'Italia, il paese che per decenni è stato suo partner amichevole ma anche temibile concorrente economico sui mercati mondiali. Di questa storia, Vittorio Feltri e Gennaro Sangiuliano tracciano qui il quadro generale e non esitano a parlare di «Quarto Reich», una formula che, lungi dall'essere una banalizzazione giornalistica, è la sintesi estrema, e forse inquietante, della situazione venutasi a creare nell'area euro. In un decennio, infatti, grazie alla moneta unica e alla gabbia istituzionale dell'Unione, la Germania è riuscita a costruire sul Vecchio Continente una condizione di predominio economico e di egemonia politica. L'impossibilità di dissentire sulle leggi del rigore dettate dagli euroburocrati e ispirate da Berlino ha privato gli altri paesi membri di ogni reale sovranità economica e ha concentrato tutto il potere decisionale nelle mani delle élite e delle strutture comunitarie. Ma se per i cittadini tedeschi l'«era del Quarto Reich» significa benessere, lavoro e crescita, per le altre nazioni, soprattutto del Sud Europa, vuol dire povertà, disoccupazione e recessione. Come sperimentano ogni giorno sulla loro carne viva milioni di europei, stretti nella morsa di una crisi economica decisamente più grave e prolungata di quella del 1929. Così, se non ci sarà un radicale riequilibrio dei rapporti di forza all'interno dell'Unione europea e non si riconoscerà pari dignità alle diverse esigenze degli Stati che ne fanno parte, cioè se all'«Europa germanica» non subentrerà una «Germania europea» (Thomas Mann), la cancelliera Angela Merkel, donna di ferro della politica globale, passerà alla storia per aver realizzato quel sogno egemonico sempre coltivato dal popolo tedesco, che nel secolo scorso si è infranto solo contro l'implacabile verdetto di due tragiche guerre mondiali. Vittorio Feltri è editorialista del «Giornale», di cui è stato direttore. In precedenza ha diretto «L'Europeo» e «L'Indipendente». Nel 2000 ha fondato il quotidiano «Libero», di cui è stato direttore e editore. Da Mondadori ha pubblicato Una Repubblica senza patria (2013), con Gennaro Sangiuliano.

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Informazioni

I

Il golpe bianco

La telefonata

Quella sera del 20 ottobre 2011 a Berlino faceva davvero freddo: lì l’inverno è precoce, il cielo è sempre grigio, la luce è scarsa. Ma se in strada il vento soffia forte, il Bundeskanzleramtsgebäude, impronunciabile nome tedesco che indica l’edificio della cancelleria federale tedesca, è perfettamente riscaldato, tanto che anche nei mesi più gelidi gli impiegati vi lavorano in maniche di camicia. I berlinesi hanno ribattezzato questo gigantesco edificio di dodicimila metri quadrati, otto volte più grande della Casa Bianca, Kohllosseum, con un riferimento misto all’ex cancelliere Helmut Kohl, che ne volle l’edificazione, e al Colosseo, simbolo del potere imperiale di Roma. L’altro nomignolo più popolare è Bundeswaschmaschine, lavabiancheria federale, ispirato dal grande oblò incastonato nella sua forma cubica.
L’edificio è un parallelepipedo di nove piani, di cemento armato e vetro, asettico e postmoderno, realizzato dagli architetti Axel Schultes e Charlotte Frank in un posto molto bello, là dove la Sprea fa una curva.
Il suo gigantismo attirò non poche critiche, a cominciare da quelle di un ex cancelliere, il socialdemocratico Helmut Schmidt, che guardando il nuovo edificio esclamò: «Se mi metto nei panni di un francese e guardo a quel mostruoso edificio della nuova cancelleria di Berlino, allora trovo la conferma di tutti i miei sospetti». Non pochi, infatti, hanno pensato a qualche assonanza con la maestosità della cancelleria hitleriana di Albert Speer, destando quelle che lo scrittore Peter Schneider ha definito «le immagini sbagliate». Comunque sia, a onore dei tedeschi va il merito di averlo costruito in quattro anni, senza dilatare i tempi e sforare il budget di 465 milioni di marchi, installando anche 1400 metri quadrati d’impianti fotovoltaici sul tetto.
Angela Merkel ha rinunciato all’appartamento di servizio di duecento metri quadrati, riservato al cancelliere, tornando ogni sera nella sua casa privata di fronte al Pergamon Museum nella prestigiosa zona chiamata «isola dei musei». Solo il suo predecessore Gerhard Schroeder vi aveva abitato, ma decidendo di pagare all’amministrazione un canone di ottocento euro al mese.
La cancelliera è una donna metodica, organizza le sue giornate con precisione teutonica, guida il governo di una grande potenza, lasciando il meno possibile all’improvvisazione. Alle 19 il Kanzleramtsminister, ministro della Cancelleria, Ronald Pofalla, una sorta di sottosegretario alla presidenza del Consiglio italiano, anche se ha il rango di ministro senza portafoglio, che di recente è diventato membro del supervisory board della Deutsche Bahn, comunica alla Merkel che è pronto il collegamento telefonico con il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, che si trova a Roma, nel palazzo del Quirinale, residenza decisamente più bella e storica di quella del capo del governo tedesco.
Quella mattina i giornali erano tornati sull’allarme per la crisi del debito, la Grecia era fallita, la Spagna stava per seguirla, ma tutti i commentatori concordavano che a far paura era soprattutto un crollo dell’Italia, bene o male ancora la terza economia dell’area euro. Il pericolo Roma era reale? Davvero il Belpaese era diventato l’anello debole della catena? O si trattava di amplificazioni mosse ad arte?
Il giorno prima a Francoforte la cancelliera aveva incontrato il presidente francese Nicolas Sarkozy in occasione della cerimonia di passaggio delle consegne al vertice della Banca centrale europea tra Jean-Claude Trichet e Mario Draghi. Prima di entrare nella Alte Oper concert hall dove stavano per risuonare le note del Barbiere di Siviglia, fra la Merkel e Sarkozy c’era stato un breve colloquio, che non aveva avuto esito positivo. Francia e Germania erano rimaste su posizioni nettamente diverse, come nei mesi precedenti: Parigi continuava a invocare un maggiore interventismo della Bce per sostenere i paesi in difficoltà, Berlino aveva replicato con il solito «nein». Le cattive notizie avevano affondato le Borse dei paesi dell’euro, che in quella giornata del 20 ottobre avevano bruciato ben 97 miliardi, prima fra tutte quella di Milano, con una perdita secca di 11 miliardi. Nel tardo pomeriggio era stata organizzata in fretta e furia una telefonata di circostanza fra la Merkel e Sarkozy, che non serviva a nulla se non a giustificare la diffusione di una nota congiunta nella quale si affermava che i due paesi stavano lavorando a una «risposta globale e ambiziosa» destinata a calmare la tempesta dei mercati. I rispettivi uffici stampa si erano affannati a far circolare con il massimo risalto la notizia dell’avvenuto contatto.
Della seconda telefonata di quella sera, rigorosamente segreta, era a conoscenza invece solo un ristretto gruppo di persone: la Merkel, ovviamente, Pofalla, Beate Baumann, la potente segretaria particolare che guida il cerchio magico di Angela, e probabilmente la sua consigliera politica Eva Christiansen. Uno staff di persone che vivono nell’ombra, non rilasciano interviste e non amano i media, ma di grande potere ed efficienza. Per parte italiana ne erano informati, oltre a Napolitano, il segretario generale del Quirinale, Donato Marra, e un numero imprecisato di addetti che rendono materialmente possibile il collegamento.
L’ufficio di Frau Merkel è al settimo piano, ha una vista gradevole e domina il verde che connota la nuova Berlino, ricca di parchi e giardini. L’intero settimo piano è ribattezzato «Campgirls» per indicare che è territorio di azione del capo e delle sue strette collaboratrici.
La stanza della cancelliera è la più vasta dell’edificio, grande quanto asettica, 142 metri quadrati e pochi arredi. Le pareti trasparenti consentono una perfetta visuale della cupola del Bundestag, quella gigantesca in vetro disegnata dall’archistar Norman Foster. Angela passa molte ore del giorno dietro un’immensa e ordinatissima scrivania di legno di colore nero, con nessuna foto di famiglia ma un ritratto di Caterina II, la zarina russa nata a Stettino, città che nel Settecento era territorio tedesco della Pomerania occidentale. Ne ha letto tutte le biografie, esprimendo più volte la sua ammirazione per questa donna protagonista della storia, che intratteneva rapporti epistolari con Voltaire e che intraprese nella rigida Russia una politica di riforme. Qualche voce critica ha ricordato che Caterina, che si guadagnò la definizione di «la Grande», fu anche un’imperialista che perseguì politiche espansioniste. L’unico altro ritratto, appeso alla parete, è quello di Konrad Adenauer, il primo cancelliere della Repubblica federale, l’uomo della ricostruzione tedesca ed europea. Per il resto, il rigore spartano è assoluto: un tavolino su una moquette color corda, circondato da tre poltrone e due divanetti beige. Nient’altro.
La telefonata al Quirinale avviene in una settimana cruciale, alla vigilia del Consiglio europeo convocato per domenica 23 ottobre a Bruxelles proprio sull’onda dell’emergenza finanziaria. E quella giornata si rivelerà essere il momento più cupo per la leadership di Silvio Berlusconi, soprattutto per quel prestigio internazionale a cui il Cavaliere teneva tanto e che quel giorno finirà nella polvere. L’immagine è ampiamente nota, un video «cult» della Rete, rilanciato decine di volte dai media televisivi. La cancelliera Merkel e il presidente Sarkozy in piedi dietro i palchetti durante la conferenza stampa che segue il vertice. Quando un giornalista rivolge loro la domanda secca: c’è ancora da fidarsi di Berlusconi?, i due leader fanno smorfie, si guardano ammiccando mezzi sorrisi, che si trasformano in un’aperta risata. Un atteggiamento impensabile per i riti della diplomazia internazionale. Poi i due si rendono conto dell’errore e la cancelliera aggiunge una dichiarazione più formale: «Berlusconi è il nostro interlocutore e contiamo su di lui».
Se la prudente Angela Merkel ha sorriso e ammiccato alla domanda su Berlusconi, è perché dall’Italia qualcuno l’ha assicurata che sono iniziate le manovre per detronizzare il Cavaliere.
La conversazione con il presidente italiano avviene in inglese, lingua che Napolitano conosce bene. La cancelliera ha fatto inserire nel programma elettorale della Cdu, il suo partito, l’impegno alquanto arduo a fare del «tedesco uno degli strumenti di lavoro dell’Unione europea». Pagato dazio alla propaganda interna, però, nelle riunioni internazionali Angela parla perfettamente inglese, anzi la sua abitudine a ripetere spesso shitstorm, espressione poco elegante traducibile in «tempesta di merda», è stata consacrata dall’inserimento di questa parola nel Duden, il prestigioso dizionario che aggiorna con un sigillo di ufficialità la lingua tedesca. I giornali nazionali riferirono che la cancelliera la pronunciò in piena riunione di governo quando scoppiò lo scandalo del ministro della Difesa Karl-Theodor zu Guttenberg, di cui si scoprì che aveva copiato la tesi di dottorato.
Quella telefonata a Roma era di per sé quantomeno irrituale, se non una vera e propria forzatura. In diplomazia i contatti avvengono in linea orizzontale fra omologhi, il capo del governo di un paese parla con il premier di un altro, il ministro degli Esteri con il suo collega e così via. L’Italia non è una repubblica presidenziale, come la Francia e gli Stati Uniti. Berlusconi, Monti, Cameron, Rajoy non hanno mai telefonato al presidente della Repubblica federale tedesca Christian Wulff per affrontare questioni di politica economica. Né risulta che altri cancellieri tedeschi lo abbiano fatto in passato con altri presidenti della Repubblica italiani. Inoltre, cosa più rilevante, nella diplomazia europea vige da sempre la regola non scritta di non intervenire negli affari interni dei partner.
«Questo Berlusconi è in una tempesta di merda»: difficile credere che Angela abbia usato la sua espressione preferita per definire la condizione del premier italiano in quelle settimane. Da almeno un anno, infatti, Silvio Berlusconi è nella bufera per una serie di scandali legati a sue frequentazioni personali, dalla vicenda Noemi a quella D’Addario, a quella ancor più insidiosa della ragazza minorenne marocchina Karima El Mahroug (detta «Ruby»), condita dalla storiella surreale che la voleva nipote dell’allora capo di Stato egiziano Moubarak e sfociata in una vicenda giudiziaria di grande clamore. Fatti che, in teoria, erano slegati dalle dinamiche della politica, soprattutto quella economica, ma che avevano avuto un grande rilievo sulla stampa internazionale. La «Bild», giornale popolare tedesco, pancia degli umori più politicamente scorretti e ritenuto vicino ai cristiano-democratici, il partito della Merkel, quotidiano da sempre capace di influenzare la lettura dei fatti presso l’opinione pubblica tedesca, era stato molto attivo nel dedicare ampi servizi, sempre assai critici, alle vicende del Cavaliere. Durissimo uno dei suoi titoli, riferito però alle vicende degli sprechi alla Regione Lazio: Berlusconi-Partei - Orgie wie im alten Rom, «Partito di Berlusconi: Orgia come nell’antica Roma».
Lo stile di vita del Cavaliere, indubbiamente un problema di immagine per l’interessato, veniva raccontato innestandolo sulla stereotipata rappresentazione dell’italiano gaudente, con una vocazione quasi antropologica a certi comportamenti. Solo tre anni dopo, il presidente della Repubblica francese François Hollande sarà pizzicato mentre con il casco e a bordo di uno scooter si reca dalla sua amante Julie Gayet.
Poche settimane prima, l’intreccio fra gossip e politica aveva trovato un altro acuto quando, negli ambienti politici romani e velatamente su alcuni giornali, si era parlato di una conversazione telefonica intercettata nella quale Berlusconi aveva riferito giudizi poco lusinghieri sulle fattezze fisiche della cancelliera. Tra sorrisi e ammiccamenti, nelle redazioni dei giornali italiani e fra i parlamentari era cominciato a circolare quel «culona inchiavabile», difficilmente traducibile in tedesco, che i collaboratori avranno riferito non senza imbarazzo al capo di governo tedesco. Il quotidiano «La Stampa» scrive in termini sibillini: «Al punto in cui siamo ci mancherebbe solo che uscisse un’intercettazione in cui Berlusconi dice volgarità sulla Merkel». Mentre «la Repubblica», più esplicitamente, riferisce l’intera vicenda. La notizia valica le Alpi. La «Bild», infatti, traduce e riporta: «Il presidente del governo italiano Silvio Berlusconi avrebbe scherzato sulla cancelliera federale Angela Merkel in telefonate ascoltate dagli inquirenti. I politici del partito di Berlusconi temerebbero ora che alcuni estratti dei colloqui possano essere resi pubblici. Secondo diversi blog italiani, Berlusconi si sarebbe espresso in modo sprezzante sull’aspetto fisico della politica della Cdu».
Due anni prima, a Baden Baden, in occasione di un vertice Nato per celebrare la pace franco-tedesca, Berlusconi aveva lasciato la signora Merkel in imbarazzante attesa sul molo del lungofiume, dove, secondo il cerimoniale, avrebbero dovuto stringersi la mano. Berlusconi era sceso dall’auto parlando al cellulare, con la cancelliera ferma a dieci metri che lo guardava appartarsi per proseguire la telefonata. In seguito era stato spiegato che il premier italiano stava conversando con il capo del governo turco Tayyip Erdogan, impegnato in un’opera di mediazione perché la Turchia era l’unico dei membri della Nato a opporsi alla nomina del premier danese Anders Fogh Rasmussen a segretario generale dell’Alleanza atlantica. Nonostante una giustificazione di sostanza, i giornali tedeschi si erano lanciati in commenti aspri, accusando Berlusconi di maleducazione.
Dunque, c’è più di un motivo di tensione fra la Merkel e il Cavaliere quando la cancelliera tedesca chiama il Quirinale per esprimere la sua forte preoccupazione per la fuga degli investitori internazionali dai titoli di Stato italiani, una cosa impensabile per una delle più forti economie del mondo. Un default, o comunque una crisi del debito sovrano italiano, se fosse continuata la vendita dei suoi titoli, avrebbe potuto trascinare tutta l’Europa nel baratro e segnare così la fine dell’euro. La cancelliera, più che valutare i fondamentali dell’economia italiana, che allora erano di gran lunga migliori di quanto sarebbero stati con i governi Monti e Letta, era impressionata dalla scarsa credibilità personale di Berlusconi. Oppure, come avrebbero notato alcuni commentatori, voleva solo utilizzare questa debolezza di immagine per sbarazzarsene.
La Merkel si sarebbe spinta fino a un’affermazione grave quanto esplicita: «Berlusconi non ce la fa, occorre un nuovo governo». Nei mesi successivi ci sarebbero state molte ricostruzioni di quel colloquio telefonico che, pur diverse fra loro e al di là delle singole parole utilizzate, convergevano tutte nel riferire una netta richiesta della cancelliera al presidente Napolitano, ovvero quella di un cambio nella guida del governo italiano, giustificata dalla necessità di fare «riforme più aggressive».
La telefonata restò segreta per il tempo sufficiente a sostituire Berlusconi con Monti. A darne notizia fu uno scoop del quotidiano americano «Wall Street Journal», giornale da sempre ritenuto autorevole e poco propenso ai retroscena e alle supposizioni, che il 30 dicembre, con Mario Monti già insediato a palazzo Chigi, dedicò alla vicenda una lunga inchiesta firmata Marcus Walker da Berlino, Charles Forelle da Bruxelles e Stacy Meichtry da Roma (con il contributo di Brian Blackstone da Francoforte, David Gauthier-Villars da Parigi e Stephen Fidler da Bruxelles). Sei giornalisti avevano lavorato settimane per tirar fuori due pagine zeppe di dettagli. Eccone l’inizio: «Her phone call that night to the 16th-century Quirinale Palace, once a residence of popes, now home to Italy’s octogenarian head of state, President Giorgio Napolitano, trod on delicate ground for a German chancellor. Europe’s leaders have an unwritten rule not to intervene in one another’s domestic politics». (Con la telefonata che fece quella notte al cinquecentesco palazzo del Quirinale, un tempo residenza dei papi, ora casa dell’ottuagenario capo di Stato italiano, il presidente Giorgio Napolitano, Angela Merkel si mise su un terreno delicato. I leader europei hanno un patto non scritto: non intervenire nella politica interna dei reciproci paesi.)
Il «Corriere della Sera», nel riferire lo scoop del «Wall Street Journal», titolò: La Merkel disse a Napolitano: «Berlusconi va tolto dalla guida del governo per salvare l’euro». «La Stampa» fu ancora più esplicita: La Merkel regista della crisi italiana. L’agenzia Ansa realizza un focus e scrive: «“WSJ”: Euro rischiava e Merkel dimissionò Berlusconi».
Le rivelazioni del «Wall Street Journal» erano decisamente clamorose, perché, se vere, avrebbero configurato lesioni delle regole costituzionali italiane, oltre che di quelle della diplomazia europea e dei trattati comunitari. Sei giorni prima della telefonata, il 14 ottobre, la Camera dei deputati, sia pur con una maggioranza risicata, aveva confermato la fiducia al governo Berlusconi, con 316 voti contro 301 rispetto a una maggioranza richiesta di 309.
Il Quirinale decide di replicare al quotidiano economico americano. Non può negare che la telefonata ci sia stata, ma ne smentisce i contenuti più imbarazzanti precisando che, nella conversazione, da parte della cancelliera Merkel non era stata posta «alcuna questione di politica interna italiana, né tantomeno … alcuna richiesta di cambiare il premier». La telefonata – chiariva una nota del Quirinale – aveva avuto per oggetto soltanto «le misure prese e da prendere per la riduzione del deficit, in difesa dell’euro e in materia di riforme strutturali». Da Berlino il portavoce del governo tedesco si fa sentire con un’ulteriore smentita: «Non vi è nulla da aggiungere all’accurata descrizione della conversazione fornita dall’ufficio del presidente italiano». Ma, per il quotidiano americano,...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione alla nuova edizione. «Il Quarto Reich» e la questione tedesca
  4. IL QUARTO REICH
  5. Introduzione
  6. I. Il golpe bianco
  7. II. La ragazza venuta dall’Est
  8. III. Euro: chi ha vinto e chi ha perso
  9. IV. «Viertes Reich»
  10. V. L’oro del Reno
  11. VI. Germania, l’Impero europeo
  12. VII. La nuova Resistenza
  13. Note
  14. Bibliografia
  15. Copyright