Teatri di guerra sulle Dolomiti
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Teatri di guerra sulle Dolomiti

1915-1917: guida ai campi di battaglia

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  1. 304 pagine
  2. Italian
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Teatri di guerra sulle Dolomiti

1915-1917: guida ai campi di battaglia

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La più incredibile e leggendaria delle guerre si accanì lungo il fronte delle Dolomiti per quasi due anni e mezzo, dal maggio 1915 al novembre 1917, in un ambiente naturale, maestoso, severo e difficile.
A novant'anni di distanza le montagne ne portano ancora i segni: tra pareti e ghiaioni sono ben visibili trincee, gallerie, postazioni in caverna e altri resti lasciati dagli anni di guerra, fra i quali particolarmente impressionanti sono i crateri prodotti dall'esplosione delle grandi mine. Alcuni fra i più importanti campi di battaglia sono stati oggetto negli ultimi anni di lavori di ripristino che li hanno resi visitabili: camminare fra queste montagne significa oggi non soltanto immergersi in una natura spettacolare, ma anche ritrovare e visitare le tracce del passato.
Teatri di guerra sulle Dolomiti illustra questo straordinario paesaggio storico e naturale, ricco di bellezza ma anche di amari spunti di riflessione. Racconta le vicende epiche e tragiche della Grande Guerra sul fronte dolomitico, ricorrendo a fonti fino a oggi poco utilizzate e a foto d'epoca spesso inedite. Grazie a un'ampia proposta di itinerari, scaturisce da questa ricerca un ritratto inusuale di quell'immane tragedia che ha segnato uno spartiacque nella storia d'Europa.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852051494
Argomento
History
Categoria
World History

Intorno al Falzarego: quattro teatri di guerra

Val Costeana – Tofane – Travenanzes
Lagazuoi – Valparola – Sass de Stria – Cinque Torri

Anticamente su Cortina furono scritti romanzi in quantità. Le montagne poco frequentate intorno ad essa servivano mirabilmente da sfondo per racconti d’amore e per avventure alpinistiche. Adesso l’amore è scomparso da questo immane bacino delle Dolomiti, e l’alpinismo viene compiuto da plotoni di soldati con lo scopo di uccidere e non da individui che danno conferenze nei Clubs Alpini.
RUDYARD KIPLING, La guerra nelle montagne, 1917
Se esiste un luogo che concentra e compendia la Grande Guerra nelle Dolomiti questo è senz’altro l’ampia vallata che dal Passo Falzarego si abbassa fino a Cortina stendendosi ai piedi dei ciclopici appicchi meridionali della Tofana di Rozes. In guerra l’intera zona fu chiamata “settore Val Costeana” dagli italiani, anche se il toponimo andrebbe più propriamente riservato al fianco destro del bacino, quello che scende dal Passo Giau. Nei quasi trenta mesi della durata del conflitto queste rocce videro esaltanti episodi di guerra alpinistica accanto al duro e polveroso lavoro di scavo nelle viscere delle montagne; assalti all’arma bianca, con centinaia di caduti, si alternarono a imprese individuali straordinarie, alla conquista di pinnacoli, di cenge, di nidi di mitragliatrici nascosti nelle nicchie di pareti vertiginose. E in diverse occasioni il rombo delle cannonate fu sovrastato dallo schianto delle mine e dal boato di interi pezzi di montagna che crollavano.
A novant’anni di distanza quello che fu un girone infernale è divenuto un paradiso turistico, meta frequentata ogni anno da migliaia di visitatori attratti non soltanto dalla conclamata bellezza naturale ma anche, e forse soprattutto, dalle testimonianze lasciate dalla guerra. Il “turismo di guerra” è stato senz’altro stimolato dalle lodevoli iniziative che hanno portato al restauro e alla messa in sicurezza di numerose vestigia belliche, rendendole visitabili con facilità e scongiurandone il completo disfacimento. Così i Musei all’aperto delle Cinque Torri e del Lagazuoi permettono a chiunque una conoscenza diretta degli allestimenti e dei percorsi di guerra, che si seguono fin nelle profondità nelle montagne con un incredibile dedalo di gallerie. Con le vicine postazioni del Sass de Stria e del Passo Valparola, dove si trova un museo allestito nei locali del vecchio forte austriaco di Tre Sassi, costituiscono una testimonianza di prima grandezza di quella che fu la guerra fra le montagne più belle del mondo, le stesse montagne dove oggi si incontrano e si mescolano i cittadini di tutte le nazionalità coinvolte nella grande tragedia europea.
La guerra arriva in Val Costeana
La guerra si affacciò sul fantastico scenario della Val Costeana il giorno stesso dell’inizio delle ostilità assieme a una pattuglia di alpini del battaglione Fenestrelle che varcò il confine alla Forcella Ambrizzola, spingendosi in perlustrazione fino ai piedi delle Cinque Torri. Non ci è dato di sapere se quegli uomini avvertissero il fascino straordinario del paesaggio di boschi e rocce titaniche che si apriva davanti a loro o se ne vedessero soltanto la dura materialità, la difficoltà della guerra in un ambiente tanto severo quanto grandioso. D’altronde non erano lì per seguire le inquietudini che si sublimano nel godimento estetico, ma per individuare e possibilmente stanare il nemico, del quale, però, non c’era traccia. Unica presenza umana, tre ampezzani: «28 maggio 1915, venerdì. Fanno prigioniero Fedele Siorpaès (Salvadòr) che era andato alle Cinque Torri con il Capàzo (Pietro Lacedelli) e sua figlia a prender roba, vide una pattuglia di soldati italiani in Nuvolau. Volle andar su e loro non lo lasciarono più andarsene. Invece il Capàzo quando vide i militari se ne fuggì e dietro la figlia [...]» narra il diario di Maria Menardi de Vico.
La quiete durò ancora pochi giorni, rotta dai cupi colpi delle artiglierie e dall’affluire crescente di uomini e materiali. Gli austriaci andavano febbrilmente fortificando la linea che dal Sass de Stria – attraverso il Passo Valparola, il Lagazuoi Piccolo e Cima Falzarego – si spingeva fino ai margini orientali della Tofana di Rozes, nel roccione noto agli italiani come Castelletto. Le truppe italiane, dal canto loro, si attestarono inizialmente su una linea che andava dalle Cinque Torri ai piedi della Tofana tagliando trasversalmente la Val Costeana, linea che ben presto si affrettarono anch’essi a munire di profonde trincee e di ricoveri riparati.
Temendo che potesse servire da base per l’avanzata dei nemici, il 6 giugno gli austriaci distrussero l’Hotel Falzarego. Ben presto all’incertezza e alla precarietà dei primi giorni subentrarono sentimenti differenti: gli austriaci, rinforzati dall’Alpenkorps tedesco, cominciarono a pensare che il rischio di un rapido sfondamento verso la Val Badia era ormai scongiurato; gli italiani intesero che la facile passeggiata nella terra di nessuno sgomberata dal nemico era stata soltanto un preludio e che la vera guerra doveva ancora iniziare. Entrambi capirono che la vita sarebbe stata assai dura sia per chi voleva attaccare, sia per chi doveva difendersi, cercando di adattarsi al meglio alle difficoltà ambientali e belliche che presto andarono emergendo.
Rapidi combattimenti portarono gli italiani fino al Passo Falzarego e ad affacciarsi alla testata della Val Travenanzes nella zona del Col dei Bos, ai piedi del baluardo austriaco del Castelletto. Le linee contrapposte erano ora vicinissime e tali rimasero, con modesti ma sanguinosi spostamenti, nei due anni seguenti. L’immenso sforzo profuso nello scavare gallerie e scalare pareti, le migliaia di proiettili di artiglieria sparati, le sofferenze invernali, le molte vittime non portarono allo spostamento del fronte verso l’agognata Val Badia.
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Le Cinque Torri e il gruppo di Croda da Lago inquadrato dai reticolati di Col dei Bos, teatro di accaniti combattimenti. Fototeca Musei Provinciali di Gorizia (Fondo ing. Stanislao Primo)
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Colonna austriaca in marcia alle pendici della cresta di Fanis. Fondo Ugo Pompanin, Archivio Comitato Cengia Martini Lagazuoi Cortina
La lotta per le Tofane
La guerra coinvolse le Tofane per l’ostinata decisione del feldmaresciallo Goiginger che le riteneva indispensabili alla difesa del fianco della linea principale, che correva dal Lagazuoi fino alla Coda del Vallon Bianco attraverso le aspre creste di Fanis. Altri, fra cui il comandante dell’Alpenkorps tedesco, tenente generale Krafft von Dellmensingen, pensavano invece che il fianco destro e l’intera testata della Val Travenanzes andassero abbandonati, accorciando così la linea difensiva e migliorando l’afflusso di rinforzi e rifornimenti; ricordiamo che in questo settore gli approvvigionamenti austriaci furono sempre laboriosi e spesso scarsi, dovendo dipendere completamente dalla rete di teleferiche provenienti dalla lontana Val Gardena, e poi da muli, portatori e cavi volanti che raggiungevano ogni caposaldo sperduto fra le rocce. All’ostinazione del comando austriaco si contrappose quella italiana, con un accanimento sorprendente contro obiettivi che non avrebbero comunque portato ad alcun vantaggio strategico.
Nelle prime settimane di guerra, gli austriaci e i loro alleati si erano attestati sulla linea di spartiacque dell’alta Val Travenanzes, fortificandone i punti salienti e soprattutto il Castelletto; erano inoltre annidati fra le caotiche rocce della Forcella Fontananegra (2580 m), a nord della calotta della Tofana di Rozes (3225 m), e in due sperduti avamposti protesi sulla valle: lo sperone noto come Tre Dita (2694 m) e la spalla della Tofana di Dentro battezzata da un ufficiale austriaco con il significativo nome di Nemesis (2755 m), mitologica dea dell’ira e della vendetta. Tutte le azioni italiane in questo settore – accanite e continue, tanto numerose da non poter essere che accennate – non furono altro che il tentativo di scacciare il nemico da queste insidiose posizioni. I numerosi successi tattici furono però vani e non si giunse mai ad attaccare le poderose difese della Bassa Val Travenanzes.
L’unico risultato che avrebbe potuto cambiare le sorti di questo pezzo di fronte non venne sfruttato. L’episodio avvenne nei primi giorni del luglio 1915, quando gli alpini comandati dal capitano Augusto Baccon riuscirono a sorprendere i difensori austriaci con un audace aggiramento lungo le cenge della Tofana di Dentro. Nei giorni seguenti furono conquistate le importanti posizioni della Furcia Rossa e della Croda del Vallon Bianco, alle spalle e sul fianco dello schieramento austriaco, ma le truppe furono poco dopo richiamate da un incomprensibile ordine del generale Cantore, forse preoccupato di non riuscire a mantenere posizioni così remote rispetto alle retrovie. In seguito gli italiani furono scacciati dai fianchi della Bassa Val Travenanzes, mantenendo soltanto un presidio di osservazione fra le cenge dell’estremo sperone settentrionale delle Tofane, nella postazione denominata Lorto.
Ma procediamo con un po’ d’ordine, tralasciando per il momento il Castelletto che merita un’attenzione particolare. Nel luglio 1915 arrivò nel settore di Travenanzes un distaccamento dell’Alpenkorps tedesco, che rafforzò sensibilmente le capacità difensive. Due pattuglie vennero inviate in cima alla Tofana di Rozes, raggiunta scalando la parete occidentale, allestendovi tre minuscoli avamposti d’osservazione a oltre 3200 metri di quota, difficili da raggiungere e difficilissimi da approvvigionare. I tedeschi rimarranno lassù fino al 18 settembre, quando un attacco in forze dei Volontari Feltrini li costringerà a una precipitosa ritirata con calate in corda doppia per sfuggire alla cattura.
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Ufficiali italiani durante una salita alla Tofana di Dentro; al centro il capitano Augusto Baccon. Archivio Storico Brigata Alpina Cadore
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La protezione dal fuoco nemico, più della comodità del terreno, determinava l’ubicazione degli accampamenti. Collezione Luigi Zambelli presso le Regole d’Ampezzo, Cortina d’Ampezzo
Morire per le pietraie di Fontananegra
Nel frattempo gli italiani avevano occupato le cime delle altre Tofane (di Mezzo e di Dentro) e stavano stringendo il cerchio attorno alla Forcella Fontananegra, da dove speravano di poter calare sulla Val Travenanzes. Il valico è una desolata distesa di rocce di ogni forma e dimensione, stretta fra le ripide placche gradinate che salgono alla Tofana di Rozes e i vertiginosi appicchi di Punta Giovannina, potente spalla della Tofana di Mezzo. Vicino alla sella si trovava il rifugio Tofana, costruito nel 1886 dalla sezione di Cortina dell’Alpenverein (“Società alpina”), molto frequentato fin da quegli anni per la selvaggia grandiosità dell’ambiente circostante.
L’accesso austriaco a Fontananegra era attraverso i ghiaioni della conca del Masarè, sospesa su un salto roccioso affrontato direttamente dalla cosiddetta Scala di Menighel, 274 sbarre di ferro infisse nella roccia verticale nel 1907, prima via ferrata dell’Ampezzano; le postazioni delle Tre Dita e di Nemesis tenevano sotto il tiro delle mitragliatrici l’intera conca e coprivano anche Fontananegra, cosicché ogni assalto italiano si trasformava in un massacro. Durante uno di questi attacchi, il 20 luglio 1915, fu colpito a morte il generale Antonio Cantore. Un’altra azione offensiva, il 2 agosto, portò gli alpini a conquistare la forcella e a spingersi nel Masarè, ma furono poi respinti dal contrattacco austriaco.
Gli scontri proseguirono fino agli ultimi giorni di ottobre, poi sulle Tofane scesero il rigore e il silenzio dell’inverno, quando il vero nemico divennero il gelo, il vento e soprattutto le valanghe, che anche qui fecero numerose vittime. Alcune delle posizioni meno accessibili furono evacuate, ma in quelle rimaste la vita era durissima e il pericolo costante. Walther Schaumann racconta che: «Un giorno una valanga trascinò un intero rifugio italiano, con uomini, armi e bagagli, lungo le pareti della Tofana facendolo precipitare nei pressi d’una postazione austriaca». In primavera le operazioni ripresero più cruente che mai, alimentate dalle nuove truppe fatte affluire in forze e dal migliorato armamento. Dopo alcuni combattimenti senza esito l’attacco decisivo fu sferrato prima dell’alba dell’8 luglio 1916.
È tutta la notte che le artiglierie italiane martellano senza sosta le trincee della Forcella Fontananegra; trecento alpini del battaglione Monte Antelao sono nascosti fra i massi in attesa. Il segnale dell’attacco arriva con le prime luci di un’alba che emerge lentamente fra il biancore di una fitta nevicata: allora tutti si muovono, in scaglioni successivi, mentre aprono il fuoco anche le pattuglie arroccate fra le pieghe delle pareti circostanti. In breve sulla forcella divampano i combattimenti: la linea austriaca è spezzata, ma gli alpini devono avanzare lottando per ogni masso e per ogni buca con feroci corpo a corpo. Altri alpini si calano dalle pareti, lanciando bombe a mano sui difensori e stringendoli sempre di più attorno al nucleo centrale delle difese, quelle caverne che resistono ai bombardamenti e lasciano sperare in una riorganizzazione in attesa dei rincalzi. Ma i rinforzi non arriveranno mai: l’esigua colonna guidata dal capitano Barborka è bloccata sulle ghiaie del Masarè dove lo stesso comandante cade fra i suoi soldati. Le munizioni scarseggiano, alcuni reparti isolati si sono già arresi quando gli italiani attaccano la caverna centrale con bombe a mano e lanciafiamme. Nel fumo vengono fatti prigionieri i superstiti.
L’assalto prosegue con determinazione il giorno seguente, rivolgendosi ai pilastri angolari che dominano l’accesso al Masarè e all’agognata Val Travenanzes. Il pugno di uomini che difende le Tre Dita resiste per quasi due giorni, poi, completamente tagliato fuori e a corto di munizioni, è costretto ad arrendersi, dopo avere gettato le armi nel vuoto. Gli austriaci del piccolo presidio di Nemesis sono ora in una posizione difficilissima, anche perché gli alpini guidati dal tenente Gino Carugati, forte alpinista esperto del difficile terreno dolomitico, li possono bersagliare dalle aeree posizioni dello spallone occidentale della Tofana di Mezzo. Un duro scontro li convince che non è più possibile tenere la posizione, ma gli italiani temporeggiano, temendo una reazione che non ci sarà. Quando finalmente, il 10 agosto, Carugati sale fino a Nemesis per il ripidissimo canalone a oriente della punta, la trova completamente sgombra. Nei giorni precedenti tutti i difensori se ne sono andati alla chetichella, muovendosi di notte per sfuggire agli osservatori italiani, affrontando un itinerario difficilissimo di calate in corda e di traversate lungo cenge sospese su un vuoto abissale. Si saprà poi che impiegarono quattro giorni per raggiungere il comando di Val Travenanzes.
Se si escludono le sporadiche ricognizioni delle pattuglie austriache, tutto il gruppo delle Tofane è ora in mano italiana, ma ques...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Teatri di guerra sulle Dolomiti
  3. Introduzione - Una storia da visitare a passo d’uomo
  4. TEATRI DI GUERRA SULLE DOLOMITI
  5. Il fronte dolomitico
  6. Le forze in campo
  7. La guerra in montagna
  8. I trasporti in montagna
  9. Il dissolvimento del fronte dolomitico
  10. Il fronte verticale della Croda Rossa di Sesto - Monte Popera – Cima Undici – Passo della Sentinella Val Fiscalina – Passo di Monte Croce Comelico
  11. All’ombra delle Tre Cime - Tre Cime di Lavaredo – Paterno – Sasso di Sesto Torre di Toblin – Alpe Mattina – Pian di Cengia
  12. Morire per Monte Piana
  13. La guerra sul Monte Cristallo - Rauchkofel – Costabella – Forame
  14. Lo sbarramento di Som Pouses - Cortina d’Ampezzo – Ponte Alto Ra Stua – Som Pouses – Croda d’Ancona – Ciadenes
  15. Intorno al Falzarego: quattro teatri di guerra - Val Costeana – Tofane – Travenanzes Lagazuoi – Valparola – Sass de Stria – Cinque Torri
  16. La battaglia del Col di Lana - Livinallongo – Col di Lana – Monte Sief
  17. Al cospetto della Marmolada - Padon – Marmolada – Ombretta Valle di San Nicolò – Costabella – Passo San Pellegrino
  18. Il fronte dolomitico in automobile
  19. Ringraziamenti
  20. Bibliografia
  21. Copyright