L'arte dissente
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L'arte dissente

Scritti sull'estasi e la sfrontatezza

,
  1. 196 pagine
  2. Italian
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L'arte dissente

Scritti sull'estasi e la sfrontatezza

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Informazioni sul libro

In questi dieci saggi brillanti e provocatori Jeanette Winterson, una delle più stimate e anticonformiste narratrici contemporanee, rivela il suo personale e imprevedibile talento come critica d'arte e di letteratura. Le sue riflessioni sugli argomenti più eterogenei - dalla Gioconda all'autobiografia di Gertrude Stein, dalla ghettizzazione degli scrittori omosessuali alla nascita della sua passione per la lingua, dalla pittura moderna a Virginia Woolf - ci presentano una nuova prospettiva sul mondo e sulla creatività: la Winterson offre infatti una risposta all'eterno interrogativo su cosa sia l'arte e libera i capolavori di ogni genere dai preconcetti, per restituirceli con tutta la loro forza nel colpire, stupire, emozionare, trasformare. Tutta la loro forza nel generare l'estasi con la loro invereconda sfrontatezza.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852053184

Parte terza

ESTASI ED ENERGIA

La semiotica del sesso

Recentemente, mentre mi trovavo in libreria, mi si è avvicinata una ragazza.
Mi disse che stava scrivendo un saggio sulla mia opera e sull’opera di Radclyffe Hall. Potevo darle qualche suggerimento?
«Certo» le dissi. «Non hanno nulla in comune.»
«Credevo che lei fosse lesbica» rispose.
Ho capito che la differenza sessuale di una scrittrice è ritenuta di per se stessa sufficiente ad accomunarla, in una sorellanza semiotica, a ogni altra scrittrice, anche lei lesbica, morta o viva che sia.
Dopotutto sono una pervertita, e dunque non mi dispiacerà dividere il letto con un cadavere. Questo letto a forma di libro, questo libro a forma di letto, devono andare bene per tutte noi perché, a prescindere dallo stile, dalla filosofia, dalla classe, dall’età, dagli interessi e dal talento individuale, siamo lesbiche, e non è forse questa la chiave dorata per aprire la porta del nostro lavoro?
In ogni discussione sull’arte e sull’artista, l’eterosessualità è relegata sullo sfondo, mentre l’omosessualità viene messa in primo piano.
Con chi scopi è più importante di come scrivi, forse per via del fatto che leggere richiede uno sforzo maggiore che non scopare. Forse perché la parola «sesso» è più eccitante della parola «libro?» O non è così? Dipenderà di certo dal genere di libro e dal genere di sesso, vero? Posso solo presumere che il sesso tra eterosessuali sia così noioso che perfino un libro sull’argomento può offrire un resoconto al confronto più interessante. Nessuno si sognerebbe mai di interrogare Iris Murdoch sulla sua vita sessuale, mentre tutti gli intervistatori con cui ho a che fare m’interrogano sulla mia, e quel che non chiedono a me se lo inventano. Sono una scrittrice che, per puro caso, ama le donne. Non sono una lesbica che, per puro caso, si dedica alla scrittura.
Di che cosa si tratta? Di lascivia? Di stupidità? Descartes non ha detto «Scopo dunque sono». Il mondo eterosessuale si ostina a perseguire gli omosessuali tanto che, a mio parere, continuare a interrogare uno scrittore sulla sua omosessualità, quando il motivo dell’incontro è la discussione di un libro, di un quadro, di un’opera teatrale, è una forma di molestia occulta.
Il mondo queer è complice della lettura fuorviante dell’arte come sessualità. L’arte è differenza, ma non necessariamente differenza di tipo sessuale; e se il fatto di rimanere al di fuori della convenzione di una scelta imposta può aiutarci ad aumentare la consapevolezza in noi stessi, non è sufficiente a tramutarci automaticamente in artisti. Molta della letteratura gay, soprattutto se incentrata sulla tragedia dell’AIDS, funziona come una forma di terapia, di liberazione, ma non certo come arte. Si identifica con il suo argomento, senza spingersi oltre, e io spero ormai di aver convinto i lettori, in questi saggi, del fatto che tutta l’arte, compresa la letteratura, vada molto al di là del suo argomento. È pur vero che un certo numero di scrittori gay e di scrittrici lesbiche si sono conquistate un certo pubblico e una certa attenzione solo per la loro omosessualità. Le lesbiche e i gay, come del resto tutti i sottogruppi, compreso il sottogruppo degli eterosessuali, hanno bisogno di una loro cultura, ma i problemi nascono quando pensiamo che la condizione stessa della nostra omosessualità ci conferisca poteri speciali. Può, di certo, arrecarci alcuni vantaggi (è senz’altro utile per un’artista non avere marito) ma non ci garantisce di per sé l’accesso all’arte. Le lesbiche e i gay, costretti a passare al vaglio molto di tutto ciò che il mondo eterosessuale dà per scontato, non devono smettere di passare al vaglio i loro standard di giudizio in tutti i campi e, soprattutto, gli standard che ci siamo prefissati per il nostro lavoro.
Credo che sia un’esigenza particolarmente pressante nel caso della narrativa e della poesia, dove si corre un rischio maggiore di ritenere che l’autobiografia della Differenza basterà di per sé.
Lasciatemelo dire in un altro modo: se amo Peggy, e sono una compositrice, potrò esprimere il mio amore per lei in un ensemble o in una sinfonia. Se amo Peggy, e sono una pittrice, non ho bisogno di dipingere il suo ritratto, ma sono libera di esprimere la mia passione in splendide armonie di linee e di colore. Se sono una scrittrice, dovrò invece stare in guardia, per evitare di cadere nella trappola di credere che la mia passione sia, di per se stessa, una forma di arte. Nel mio ruolo di compositrice o di pittrice sono consapevole di questo. So che dovrò trovare una forma per tradurre me stessa, per rendermi trasparente. So che la lingua della mia passione e la lingua della mia arte non coincidono.
Di certo qui è in gioco un paradosso: i testi scritti che si rivelano più incisivi si travestono spesso da autobiografia, proponendosi come materiale grezzo mentre in realtà sono abilmente contraffatti. Si presentano sotto forma di diario, ma in realtà sono un’orazione. Le opere migliori ci toccano nel nostro intimo, anche se sono state consapevolmente costruite per toccare nel loro intimo migliaia di persone. Lo scrittore inesperto crede che la sincerità di sentimento sia sufficiente, e ripone la sua fiducia nel potere dell’esperienza. Il vero scrittore sa che il sentimento deve cedere alla forma. È attraverso la forma, non a dispetto di essa o al di là di essa, che le emozioni più forti vengono liberate e messe a disposizione di un numero sempre più grande di persone.
L’arte deve opporsi all’autobiografia se spera di superare i limiti di classe, di cultura… e di… sessualità. La letteratura non è una conferenza rivolta a un gruppo di persone animate da un interesse specifico, ma è una forza che compatta il proprio pubblico. I sottogruppi si sono sciolti.
Come ogni artista impari a tradurre l’autobiografia nell’arte è un problema che ciascuno risolve a suo modo. Una volta risolto, non c’è modo di tornare indietro, non possiamo risalire a ritroso dal testo finito al materiale grezzo. L’errore più comune dei critici e dei biografi è ritenere che ciò che ha un significato per loro debba avere necessariamente un significato anche per lo scrittore. Risospingere il testo nei confini dell’autobiografia è un modo di cercare di contenerlo, di trasformare quello che è diventato diverso da tutto il resto in qualcosa che è simile a tutto il resto. Può essere che per il mondo moderno, timoroso del sentimento, sia più conveniente distogliere lo sguardo critico da un’opera d’arte interamente compiuta. È sempre più facile focalizzarsi sul sesso. La sessualità dello scrittore offre uno straordinario diversivo.
Se la queer culture è impegnata al momento a contestare i presupposti dell’identità come sessualità, l’arte ci arriva per prima, implicitamente o esplicitamente, creando emozioni attorno al proibito. Alcune delle prime tesi femministe, in cui si sottolineava quanto fosse ingiusto da parte degli uomini dipingere nudi femminili provocanti, mi sembra abbiano tralasciato la possibilità o il fatto che un’altra donna potesse essere interessata a guardarli. Perché dovrebbe identificarsi con il nudo? Quali profondi tabù le impediscono invece di desiderarlo?
L’opera, prima e dopo il XIX secolo, ma non durante, si dilettava a mettere in scena giochi di ambiguità sessuale, e i fan dell’opera conosceranno il piacere sopraffino e inquietante di guardare una donna vestita da uomo e sentirla corteggiare un’altra donna con voce inequivocabilmente femminile. I nostri antenati dell’opera conoscevano il piacere, ora proibito, di ascoltare un uomo che cantava come una donna: nel suo diario, Casanova scrive del fascino e del desiderio che quelle creature compromettenti ispiravano in uomini per altri versi eterosessuali. La musica è sexy in modo androgino e penetra uomini e donne con la stessa determinazione sensuale. A meno che, naturalmente, qualcuno non vi opponga resistenza, e quanta resistenza è implicita nella bugia «Non mi piace l’opera»?
Allo stesso modo, sono sicura che molta della falsa timidezza e della stupidità che caratterizzano tante produzioni shakespeariane, in cui sono previsti ruoli di travestiti, sia un tentativo di sgombrare il campo da qualsiasi suggestione queer. Fintanto che tutti sappiamo che si tratta di una finzione – la finzione del Principal Boy (la ragazza vestita da uomo della pantomima) o quella kitsch del music-hall – ci sentiamo al sicuro nei nostri vestiti etero. Troppi registi tralasciano il fatto ovvio che, in Shakespeare, i travestimenti devono risultare convincenti. Non sono la burla di un commediante: anche noi dobbiamo innamorarci. Anche noi dobbiamo sapere cosa significa scoprire di aver desiderato un’altra donna, o un altro uomo. E dobbiamo veramente prendere sul serio quegli atti quinti, dove tutto si risolve con uno scambio di partner, e ciascuno si riprende il partner del sesso giusto, per poi tornarsene a casa felice e contento?
Non intendo con ciò suggerire che tutte le donne debbano lasciare i mariti e vivere da queer.
Non voglio suggerire che una lesbica, se scopre di desiderare un uomo, debba andare a letto con lui. Non è il caso di essere così rozzi. Quello di cui abbiamo bisogno è di riconoscere in noi stessi, con piacere, la presenza di emozioni sfumate e varie che costituiscono l’infinità dell’essere umano. Più grande, non più piccola, è la capienza del cuore. Più grande, non più piccola, è la capienza dell’arte.
L’arte suscita in noi emozioni che normalmente non proviamo. Non perché l’arte si proponga di scioccarci (succede di rado), ma piuttosto perché l’arte occupa un territorio non colonizzato dalle convenienze sociali. Non sforzandosi di piacere, né di dispiacere, l’arte lavora per allargare la sfera emotiva. Questo, in una società morta, inevitabilmente la relega tra i ribelli. Non fraintendetemi, non appartengo alla cerchia di bohémien e di bad boys, e la natura ribelle dell’arte non fa di ogni ribelle un artista. La ribellione dell’arte è una ribellione quotidiana contro la condizione di morte in vita, normalmente definita vita.
Dal momento che ogni decisione pubblica deve essere giustificata in termini di profitto istituzionale, la poesia sconvolge queste tesi in apparenza palesi non attraverso l’ideologia, ma attraverso la sua stessa presenza, i suoi modi di essere e la capacità di incarnare la brama e il desiderio.
Adrienne Rich, What is found there: Notebook on Poetry and Politics (1993)
E non si tratta solo di decisioni pubbliche, ma anche di compromessi privati. Calcoli del cuore che non andrebbero mai fatti. Accettando il venir meno del senso di appartenenza, della fiducia, della comunità, della comunicazione, della lingua, dell’amore, noi stessi veniamo meno, membri di una società frammentata che ha paura del sentimento.
Opponendosi a questa paura, l’arte arreca una nuova guarigione e un nuovo dolore. Lo scrittore ribelle che arreca guarigione e insieme dolore non deve necessariamente essere un marxista o un socialista, non deve essere un politico nel senso giornalistico del termine; potrebbe non superare i test della Correttezza, che cambiano di continuo, mentre si delinea come un rimprovero per i giorni vuoti e come un rifugio per i nostri cuori randagi. Stephen Spender, comunista e uomo del popolo, aveva le credenziali giuste, ma fu T.S. Eliot, un intellettuale cattolico e culturalmente reazionario, a scrivere vera poesia. Non sempre si verifica un simile paradosso ma a volte può accadere, e l’esempio sopra citato deve costituire un motivo valido per non giudicare l’opera dallo scrittore ma lo scrittore dall’opera.
Quando leggo Adrienne Rich o Oscar Wilde, entrambi ribelli ma di tipo molto diverso, il dato della loro omosessualità non deve essere predominante. Non leggo la loro opera per arrivare alla loro vita privata: leggo la loro opera perché ho bisogno della bomba di profondità che trasporta.
Grazie al loro significato formale, alla forza delle loro immagini, alla loro fedeltà alla lingua riescono a raggiungermi attraverso distanze fisiche e temporali. Se non fossero entrambi scrittori eccezionali, non potrebbero travalicare gli interessi del loro sottogruppo. La verità è che entrambi hanno un pubblico e che questo pubblico, pur non condividendo la sessualità o la carica sovversiva del commediografo Wilde e della poeta Rich, non può non rimanere colpito da quegli elementi quando legge le loro opere. L’arte trionfa là dove la polemica fallisce.
Tuttavia, ci sono molti lettori eterosessuali che non aprirebbero mai libri scritti dai queer e molti lettori queer che sono solo alla ricerca di baci proibiti. Tutti noi conosciamo uomini che non leggerebbero mai libri scritti da donne: si tratta solo del consueto terrore della differenza, a dispetto della reazione esagerata che tenta di mascherare questo rifiuto con altisonanti pretese di creatività. Gli uomini non si sentono a loro agio nel guardare il mondo attraverso occhi che non siano maschili. Non è una questione di frasi o di sintassi, è sessismo sotto un altro nome. Sarebbe un peccato se le lesbiche e i gay si barricassero nello stesso tipo di separatismo culturale. Impariamo presto come vivere in due mondi, il nostro e quello del modello dominante; perché dunque non imparare a vivere in mondi multipli, negli strani mondi prismatici che l’arte ci offre? Non voglio leggere solo libri scritti da donne, o solo da queer. Voglio tutto quello che c’è, basta che sia autentico; mi sembra infatti che scegliere le nostre letture secondo il sesso e/o la sessualità dello scrittore sia un modo squallido di leggere. Per noi lesbiche, e per i gay, è stato vitale creare una nostra controcultura, ma questo non significa che non ci sia nulla nella cultura eterosessuale che non possa fare al caso nostro. Siamo più sofisticati di quanto non si pensi e vale la pena di ricordare che la mente convenzionale tende a chiudersi da sola in una prigione.
L’uomo che si rifiuta di leggere Virginia Woolf e la lesbica che si tiene lontano da T.S. Eliot frappongono problematiche soggettive tra loro stessi e le opere in questione. La letteratura, non importa se prodotta da eterosessuali o da omosessuali, se tratti di vite gay o di vite etero, fornisce comunque provviste di energie e di emozioni di cui noi tutti abbiamo bisogno. Naturalmente, se un testo non è arte, non ci procurerà alcun piacere artistico, e lo troveremo privo dell’energia e dell’emozione da cui possiamo attingere senza riserve. È difficile, quando si è circondati da creatori di banalità e da mercanti di banalità, tutti che si arrogano il potere della creazione artistica, non convincersi della bugia che non esista nulla di simile all’arte o che tutto è arte. La ristrettezza di questa visione è deprimente, ed è inevitabile per noi tirare fuori la lente di ingrandimento dei nostri interessi per riportare l’oggetto in questione alla grandezza naturale. «Mi riguarda?», «È divertente?», «È sconcio?», «Parla di sesso?» non sono domande di carattere estetico ma sono le domande che la maggior parte dei recensori e dei lettori ci pone per la maggior parte del tempo. Fino a quando non stabiliremo criteri di giudizio che siano rilevanti per la letteratura, e non per la sociologia, per l’intrattenimento o per l’attualità, troveremo sempre più difficile sapere cosa separa l’arte da tutto il resto.
Imparare a leggere significa qualcosa di più che imparare a raggruppare le lettere su una pagina. Imparare a leggere è un esercizio che mette in moto tutte le risorse del corpo e della mente. Non mi riferisco all’infinito sforzo di setacciare scorie, che viene spacciato per alfabetizzazione, intendo l’abilità di confrontarsi con un testo come ci si rivolgerebbe a un essere umano. Riconoscerlo per quello che è, distinto, particolare, lasciarlo parlare con la sua voce, non trasformarlo in un ventriloquo che parla per noi. Scoprire la relazione che ha con voi, che non ha con nessun altro. Riconoscere al tempo stesso che voi non siete né la risorsa né la modalità della sua esistenza e che l’amore fra voi non è un suicidio reciproco. L’amore tra di voi offre un paradigma alternativo; una visione completa e del tutto compiuta in un mondo incompiuto. L’arte non è una forma di amnesia, e l’idea popolare dei libri come evasione o svago non coglie affatto l’essenza dell’arte. Ci sono molte occasioni di evadere e di svagarsi, ma non si trovano nei libri veri, nella musica vera, nel teatro vero. L’arte è la realizzazione di un’emozione complessa.
Noi apprezziamo apparecchi ad alta sensibilità. Spendiamo bilioni di sterline per renderli ancora più sensibili, in modo tale che possano segnalare i minerali sepolti nel profondo della crosta terrestre, la radioattività lontana migliaia di miglia. Non apprezziamo gli esseri umani sensibili e non spendiamo denaro per promuoverli. Mentre gli apparecchi diventano sempre più sofisticati e gli uomini sempre più rozzi, arriveremo al ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. L’arte dissente
  3. Parte prima: L’ARTE DISSENTE
  4. Parte seconda: TRASFORMAZIONE
  5. Parte terza: ESTASI ED ENERGIA
  6. Copyright