Tiziano Terzani: la vita come avventura
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Tiziano Terzani: la vita come avventura

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  1. 304 pagine
  2. Italian
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Tiziano Terzani: la vita come avventura

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Un uomo libero: questo è stato, essenzialmente, Tiziano Terzani. Un reporter, un viaggiatore che si è inventato una vita irripetibile, segnata da guerre, rivoluzioni, strepitosi traguardi professionali e faticose battaglie civili. Uno scrittore che ancora oggi dialoga con un pubblico molto vasto il quale, a distanza di dieci anni dalla sua scomparsa, continua ad amarlo e a ispirarsi al suo modo di concepire il mondo e anche alla intensa spiritualità che caratterizza il suo intimo rapporto con la vita, la malattia e la morte. Àlen Loreti ci consegna, con questa che è la prima vera biografia di Terzani, un racconto scrupoloso e completo testimoniato da documenti inediti e immagini private che scandiscono, anno dopo anno, un percorso esistenziale estremamente accidentato e avventuroso. Un viaggio nell'opera e nel pensiero di chi ha raccontato un Novecento vissuto sulla propria pelle, senza mai rinunciare a smascherare illusioni, ad ammettere sbagli, e a interrogarsi sulla bellezza e durezza dello stare su questa terra. Una ricostruzione rigorosa nella quale rivivono la voce, gli incontri, gli affetti e la straordinaria, intrepida umanità di un grande interprete del nostro tempo.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852052460

1938
Lina era molto bella
Tiziano Livio Terzani nasce il 14 settembre a Firenze, in casa, in via Pisana 147, nel rione popolare di Monticelli, da Gerardo Terzani e Lina Venturi.
I Terzani sono originari di Malmantile, un piccolo borgo a una quindicina di chilometri dal capoluogo toscano in direzione di Empoli, nel cui castello risiedevano da quando era stato adibito ad abitazioni civili; lavoravano come scalpellini nelle cave della zona. Tiziano racconterà al figlio Folco nel libro-intervista apparso postumo, La fine è il mio inizio: «Scoprimmo una cosa curiosa a Malmantile: c’era un posto che si chiamava la Cava Terzani, un posto in cui questa famiglia per secoli e secoli cavava la pietra, la tagliava e la portava a Firenze» (LFMI, p. 30).
In quello stesso borgo l’11 luglio 1877 è nato il nonno Livio («era nato in quella casa. Aveva dei bei baffi bianchi, era un uomo dritto, pieno di belle storie, incazzereccio. Ritiro molto da lui», ivi, p. 31). A dodici anni Livio ha seguito il padre a Firenze, dove ha imparato il mestiere di muratore: partenze all’alba, a piedi, e ritorni al buio. Raggiunta la maggiore età e lasciata la famiglia, si è trasferito a Firenze dove ha sposato Eleonora, di un anno più giovane; si sono stabiliti in affitto in una casa per operai in via Pisana 153; al duro lavoro ha aggiunto le scuole serali.
Suo figlio Gerardo – nato il 9 settembre 1906 – ha abbandonato la via paterna per diventare tornitore e ha aperto con un amico un’officina meccanica in via Cantagalli, nella zona di Porta Romana. Ha incontrato Lina, che «faceva la cappellaia a Porta al Prato [...], a quel tempo le donne portavano i cappelli. Ogni giorno lui vedeva passare questa bella donna – perché la nonna Lina era molto bella, aveva un incarnato bianco, di velluto, ed era corvina di capelli – e in qualche modo lui, che era un tappettino, se la conquistò» (ibidem).
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I genitori di Tiziano, Gerardo Terzani e Lina Venturi, nel 1933
Lina, nata a Firenze il 13 marzo 1909, è figlia di Giovanni Venturi, originario di Compiobbi, frazione di Fiesole, che lavorava come cuoco nella famiglia dei marchesi Gondi, antico casato fiorentino. Come le due figlie, uniche sorelle di Lina, Giovanni è morto di tubercolosi: «Dopo il suo funerale buttarono fuori dalle finestre del terzo piano tutto quello che apparteneva alla famiglia per bruciarlo in un falò per strada perché il male non passasse ad altri» (ivi, p. 32). Temendo di perdere Lina, Gerardo Terzani l’ha sposata alla svelta, nel 1936: «Andarono in viaggio di nozze a Prato, che era a 15 chilometri, ma quello era un grande viaggio per loro. Fu il viaggio più lungo che fecero fino a che io, cresciuto, non li invitai a venire a New York e poi anche in Asia» (ivi, pp. 19-20). Gli sposi si sono stabiliti al 147 di via Pisana, a tre case di distanza dai genitori di lui. «Lei odiava Monticelli perché era fuori le mura, non c’era l’ombra del Cupolone. Le pareva di essere in esilio, per cui non stava con quelle becere campagnole di Monticelli. Lei era così. Aveva questa aspirazione che, devo dire, in qualche modo si è riflessa anche in me, a essere qualcos’altro» (ivi, p. 31). Nel piccolo appartamento hanno ricavato lo spazio per ospitare Elisa, la madre di Lina. La casa, senza riscaldamento, è costituita da salottino, camera («Io dormivo in un lettino che era accanto al letto matrimoniale dei miei genitori dove appunto ero nato», ivi, p. 19), e cucina («con un tavolo di marmo, freddo d’inverno, che è stata la mia scrivania fino a che ho avuto quasi diciotto anni», ivi, p. 21).
1944-1953
Questo, fatelo studiare,
fategli fare almeno la scuola media
Tra il 1944 e il 1945, chiuse le scuole regolari per via della guerra, Tiziano frequenta la prima elementare dalle monache del convento di San Pietro a Monticelli. Angela ricorda: «Aveva una maestra fascista, la Miniutti, che faceva sempre i dispetti a lui e al suo amico Giuliano Garga, perché figli di comunisti e anarchici. L’aula non era riscaldata, e quando la Miniutti un giorno mise le sue mani gelide sul collo di Tiziano, il Garga per la rabbia le tirò addosso un calamaio».
Dal 1945 al 1949 Tiziano completa le elementari alla Giovanni Battista Niccolini, nel rione di Legnaia. Dopo l’esame di quinta, il maestro Cavalli convoca i genitori: «La fortuna venne quando l’ultimo maestro delle scuole elementari disse ai miei genitori: “Questo, fatelo studiare, fategli fare almeno la scuola media”» (LFMI, p. 35).
Con enorme sacrificio economico, dal 1949 al 1952 Tiziano frequenta la scuola media Niccolò Machiavelli, in piazza Frescobaldi. Piano piano riesce a eludere l’attenzione soffocante della madre che, preoccupata per la sua salute, gli impedisce di aver contatti con altri bambini e di giocare per strada. Frequenta coetanei della piccola borghesia, entra nelle loro case, resta affascinato dalle pareti coperte di libri: «In casa mia non c’è mai stato un libro [...]. Però mio zio Gusmano, fratello di mio padre, faceva il rilegatore [...]. Leggevo di nascosto questi libri che mio zio, carino, mi passava ancora in dispense e che poi rilegava [...]. Mie grandi emozioni! Questi sono stati i primi libri che ho toccato in vita mia» (ivi, p. 36). A quell’epoca scopre l’atmosfera cittadina, così diversa da quella di Monticelli.
Nei primi anni del dopoguerra passa le estati nel borgo di Orsigna, valle chiusa e silenziosa che segna il confine tra l’Appennino pistoiese e quello bolognese:
L’Orsigna l’ha trovata mio padre [...]. Si era iscritto a quella che si chiamava l’università popolare, che non era un’università, era un club per fare gite. La domenica con un autobus andavano di qua e di là e con una di quelle gite negli anni Venti lui, giovanissimo e operaio, arrivò per la prima volta in questa valle. [...] Ero spesso malato, avevo “le ghiandoline” e la carne di cavallo non mi bastava più. «Questo ragazzo ha bisogno d’aria buona, d’aria pulita» disse il medico. (Ivi, p. 367)
Le apprensioni materne lo soffocano e trova sfogo nella natura circostante, tra giochi e passeggiate. Abitata da pastori, carbonai, mugnai, la valle è una straordinaria fonte di storie e di cultura popolare:
Ero bambino, venivo dalla città a villeggiare e volevano che imparassi a comportarmi e a rispettare i tabù della montagna. Ogni bosco, ogni forra, ogni roccia sembrava averne uno e i loro nomi parevano fatti apposta per non far perdere alla gente la memoria delle loro origini, così come le croci e le madonnine messe lungo i sentieri e per le selve. (La Selva oscura nella Valle dell’Orsigna, CS, 24 agosto 1997)
Dopo l’esame di terza media, il professor Ernesto Cremasco convoca i genitori: «A lui debbo tutto perché lui prese la decisione importante di chiamare i miei genitori. Sai, a quei tempi, andare dal maestro... [...] e lui che dice “Guardate, dovete fare dei sacrifici. Lo dovete mandare al ginnasio”» (LFMI, p. 37). Angela racconta: «Tiziano per gratitudine gli regalò un quadretto a olio, sontuosamente incorniciato da uno zio: un pastore che cammina solitario su una lunga via alberata, seguito da un gregge di pecore. Quando morì, ultranovantenne, Cremasco lo lasciò a me, è ancora appeso nel mio salotto». Il consiglio del professore viene seguito: nel 1952 e 1953 Tiziano frequenta il ginnasio nella succursale del Machiavelli in piazza Pitti. «I miei si convinsero di mandarmi al ginnasio. E lì ci fu l’episodio famoso dei primi pantaloni lunghi comprati a rate» (ibidem).
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Tiziano nel 1944
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Con i genitori a piazzale Michelangelo nel 1948
1954-1956
Studiavo, studiavo, mi piaceva
Dal 1954 prosegue gli studi al Liceo Galileo in via Martelli, insieme al Michelangelo il migliore della città: «Il classico era quello che volevo fare» (ivi, p. 38).
Risale a questo periodo l’incontro con il giornalismo: «a sedici anni, avevo avuto la mia prima offerta di lavoro: cronista sportivo al “Giornale del Mattino”. Cominciai con le corse a piedi, passai a quelle in bicicletta e poi alle partite di calcio. Le domeniche, invece che alle feste da ballo, le passai da allora andando a giro per i paesi e le cittadine della Toscana con una vecchia Vespa 98» (In Asia, p. 7; Opere, II, p. 507). Un’attività che lo conquista subito: «Ricordo la gioia con cui a quindici, sedici anni andavo dietro agli sportivi con la Vespa e un cartellino su cui c’era scritto GIORNALISTA. [...] Mi ricordo la gioia, il senso di potere che mi veniva dall’avere al collo quel cartellino. [...] Questo “Largo, c’è il giornalista!” è stato la mia vita. Poter andare in prima linea e mettere il piede là dove succedevano le cose, di diritto! Avevo il diritto di stare in prima linea, di vedere cosa succedeva nella stanza dei bottoni» (LFMI, pp. 44-5). In una lettera degli anni Settanta spedita a Bruno Gamucci della Banca Steinhauslin, a cui «tanti anni fa venni a chiedere un prestito di centomila lire prima di laurearmi», ricorderà con affetto i meriti del cronista che lo avviò alla pratica giornalistica:
Saluti tanto il Roberto Gamucci e gli ricordi che mi ha insegnato lui a scrivere i primi articoli nel 1954 al «Giornale del Mattino». N’è passata di acqua!
Il «Giornale del Mattino», quotidiano d’ispirazione cattolica vicino a Fanfani e alla sinistra DC di La Pira, è diretto all’epoca dal trentaquattrenne Ettore Bernabei, futuro dirigente RAI, e dal caporedattore Sergio Lepri, poi direttore dell’ANSA. Tra l’autunno del 1954 e l’inizio del 1956 Tiziano scrive una ventina di pezzi occupandosi del campionato di promozione, in particolare del Girone B che raccoglie in maggioranza le squadre della provincia di Firenze e viene registrato come “collaboratore sportivo” dal primo gennaio 1955 (tessera n. 54 cs).
In quello stesso anno si associa a «La Frusta», periodico polemico di cultura diretto a Torino da Luigi Valerio, il cui tesserino, con la profetica qualifica di “corrispondente”, gli consente l’accesso a cinematografi, teatri, sale da concerti, musei e gallerie d’arte. Alimenta la sua fame di conoscenza nelle ore extrascolastiche: «Studiavo nelle stanze stupende della biblioteca Marucelliana, piene di incunabuli con vecchi libri. Studiavo, studiavo, mi piaceva» (LFMI, p. 40). Frequenta “I sabati dello studente”, circolo ricreativo che organizza proiezioni ed eventi culturali, dove conosce padre Ernesto Balducci, educatore ed esponente di un cattolicesimo democratico e progressista. In quel periodo, racconta: «Frequentavo l’oratorio di don Bensi, un bel personaggio cattolico; ho conosciuto La Pira e tanta altra gente con cui avrei potuto fare strada. Ma sentivo che quello non ero io» (ivi, p. 164). Un legame, quello con i sacerdoti “indipendenti”, che Tiziano conserverà nel tempo, affascinato da forti figure di fede con le quali misurare lo scetticismo ma anche le aspirazioni maturate in un ambiente familiare governato dai contrasti: «Mio padre era un comunista ex partigiano, mia madre era cattolicissima. Al tempo delle elezioni mio padre diceva a mia madre “Te per chi voti?”, “Il voto è segreto” diceva lei. E uno votava Partito comunista e l’altra Democrazia cristiana. Debbo molto a loro, forse anche un senso di tolleranza. Mi è venuto un modo di vedere le cose. Anche una loro drittezza morale che mi hanno tramandato» (da “Fratelli d’Italie”, RaiTre, 22 aprile 2002).
Studia il francese all’Alliance Française in via Tornabuoni. Quell’estate salta le vacanze a Orsigna e con l’amico Anacleto Menzella scappa in Svizzera dove per alcune settimane lavorano come lavapiatti in un albergo sul lago Lemano, quindi raggiungono Parigi in autostop. Dopo qualche giorno proseguono per il Belgio, rientrando a casa attraverso la Germania: «Quella fu la mia prima uscita nel mondo. Era la prima volta che avevo passato la frontiera e capii che la mia strada era di andare a guardare. Da allora questa aspirazione mi rimase sempre, tutte le scuse erano buone per partire. La diversità mi piaceva moltissimo» (LFMI, p. 39).
Nel 1956 aderisce alla sezione fiorentina della Gioventù Federalista Europea (tessera n. 7410) – di cui farà parte per un paio d’anni –, l’organizzazione giovanile del Movimento Federalista Europeo fondato da Altiero Spinelli, mostrando una visione della politica non “di supplenza”, probabilmente in risposta alla rivolta ungherese: «Nel 1956, al XX Congresso del PCUS, Chruščëv rivela i crimini di Stalin. Seguono l’invasione dell’Ungheria, della Cecoslovacchia, le rivolte nell’Est europeo. Era ovvio che l’Unione Sovietica non poteva più essere un grande ideale» (ivi, p. 49). Il 15 aprile 1975, da Vientiane, Terzani scriverà a Massimo Loche, corrispondente de «l’Unità» da Hanoi: «Una delle differenze tra te e me (che non ci conosciamo) è forse in quei quattro o cinque anni per cui io mi trovai a dover decidere nel 1956 in che chiesa entrare e finii così per star fuori da tutte. Ciò non toglie che avendo occhi e orecchie si veda il mondo alla stessa maniera. Un giorno ne potremo parlare».
1957
... ed entrò questa ragazza. Era tutto quello che potevo sognarmi
Il 30 luglio sul «Giornale del Mattino» compaiono i risultati degli esami di maturità classica. Secondo la III commissione del liceo Galileo Tiziano è dichiarato “maturo” con i seguenti voti: italiano 7, latino 7, greco 8, storia 9, filosofia 9, matematica 7, fisica 7, scienze 7, arte 9, educazione fisica 8.
Conseguito il diploma riceve una proposta di lavoro dalla Banca Toscana: «Io ero terrorizzato, per me era la morte civile. Però avevo tutta la famiglia contro» (LFMI, p. 40). Spiega ai genitori di voler continuare a studiare e tenta il concorso per entrare alla Scuola Normale Superiore di Pisa. La selezione è durissima, cinque posti per duecento candidati provenienti da tutta Italia: «O vinco il posto in Normale o non posso continuare a studiare e devo accettare il lavoro che mi è stato offerto dalla Banca Toscana. Vado a questo esame non impaurito – non ricordo affatto di essere stato impaurito – ma sapendo che ne dipendeva la mia vita» (ibidem). È il secondo classificato dopo Fabio Merusi, c...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Tiziano Terzani: la vita come avventura
  3. 1938
  4. 1984
  5. 1985
  6. Ringraziamenti
  7. Copyright