Ordine e disordine
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Ordine e disordine

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  1. 154 pagine
  2. Italian
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Ordine e disordine

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Scegliere tra il Bene e il Male, o tra l'Amore e l'Odio, è fin troppo facile; si sa già chi dovrebbe vincere. Ordine e Disordine invece sono forze contrapposte, ma meno irriducibili, più inclini al compromesso, e ognuna delle due ha i suoi pregi e i suoi difetti. Da che parte schierarsi? La risposta verrà dal cuore, ma prima di scegliere forse è meglio pensarci un po'...

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852053443

XIV

Il venditore di maniglie

Osservare uno studio e indovinare il mestiere del titolare potrebbe essere un quiz televisivo. Un ambiente disordinato presupporrebbe la presenza di un artista, l’ordine quella di un burocrate, di un ingegnere o di un collezionista di francobolli. Sarebbe interessante, inoltre, stabilire da che punto in poi il Disordine diventa creatività e da quale altro inaffidabilità. Sapere che lo studio del capo del governo è sommerso di cartacce non mi lascerebbe dormire affatto tranquillo. Come pure resterei stupito se il comico Roberto Benigni avesse una casa dove ogni cosa è al suo posto. Provo a immaginare gli studi di Paul Klee, di Freud e di Einstein, e mi chiedo quale dei tre fosse il più incasinato. A lume di naso direi: primo Paul Klee, secondo Einstein e terzo Freud, sempre in «ordine di disordine» ovviamente.
Immagino, ad esempio, il pittore svizzero che sta per uscire di casa e che si raccomanda alla domestica.
«Greta, per favore: non gettare via mai niente. Anche se vedi un foglio tutto coperto di macchie, lascialo dove l’hai trovato.»
E immagino lei, Greta, che ha dell’Ordine e del Disordine un concetto completamente diverso.
«Pover’uomo,» penserebbe «come padrone non sarebbe affatto male se non avesse questa mania infantile di scarabocchiare. Più maniaci di lui, però, sono quelli che gli comprano i fogli sporchi!»
Recentemente in America hanno scoperto un gene, nascosto nel Dna, primo responsabile del carattere ordinato o disordinato di una persona. A questo punto penso che ognuno di noi, prima di unirsi in matrimonio, farebbe bene a dare una sbirciatina alla scheda genetica del futuro coniuge, a meno che non voglia fare la fine del dottor Enzo Scaramella, uomo disordinato per natura, quando impalmò Fraulein Rauscher, donna amante dell’Ordine in modo ossessivo.
Il primo avviso Enzo Scaramella lo ebbe il giorno stesso del matrimonio, quando dimenticò a casa le fedi nuziali. Inge Rauscher lo fulminò con uno sguardo così severo che lui, per qualche secondo, intuì tutti i rimproveri che gli sarebbero piovuti addosso di lì a poco. A rigore, sarebbe stato ancora in tempo a rispondere «no» alla fatidica domanda del prete, ma, per quanto amante dell’imprevisto, gliene mancò il coraggio. Fraulein Rauscher poi, diciamo la verità, non è che avesse tutti i torti: come si fa a non ricordarsi delle fedi nuziali il giorno del matrimonio? Pazienza se uno si dimentica il portafoglio o le chiavi di casa; ma le fedi! Andiamo! È come dimenticarsi che ci si deve sposare!
Inge Rauscher, inutile precisarlo, era tedesca, e in quanto appassionata dell’ordine, più tedesca della media dei tedeschi. Il nazismo, nel suo piano di sterminio della razza ebraica, non avrebbe mai raggiunto certi livelli di efficienza se non avesse avuto a disposizione un popolo ordinato e civile. Quando si è disordinati, grazie a Dio, anche le dittature vanno in crisi.
Lui, lo Scaramella, era lì a capo chino, inginocchiato ai piedi dell’altare, e già avvertiva nell’aria, come avvoltoi in attesa di un lauto pranzo, innumerevoli Verboten:
«Non lasciare i libri sul letto! Non fumare. Non chiudere la finestra: c’è bisogno d’aria. Non aprire la finestra: entra la polvere. Non far sgocciolare l’ombrello sul parquet. Non gettare il cappotto sul divano! Non lasciare il telecomando in giro! Non posare i giornali sulle poltrone. Ricordati che in salotto abbiamo un apposito cestino per i giornali della settimana. Nossignore, quelli vecchi no, quelli vanno nello sgabuzzino. Poi, una volta al mese li andrai a gettare nel cassonetto. Non in uno qualsiasi, mi raccomando, in quelli della carta. Non appoggiare i bicchieri sui mobili. Usa i sottobicchieri altrimenti si forma l’alone. E chi dovrebbe, poi, secondo te, togliere l’alone? Io, naturalmente, dal momento che tu non alzi un dito per mantenere in ordine la casa. D’altra parte, se tua madre ti ha cresciuto come uno zingaro la colpa non è tua. Dopo, però, non venirti a lamentare se la casa sembra una fogna. A te, lo so, non importa nulla che io dalla mattina alla sera mi ammazzo di fatica per mantenerla presentabile!»
Presentabile a chi, poi, era tutto da capire, dal momento che, proprio per non correre il rischio di sporcarla, lei gli proibiva di invitare gli amici.
«Buoni quelli!» blaterava. «Vorrei proprio vedere se a casa loro si comportano come quando vengono qua. Questa mattina lo sai dove ho trovato una cicca di sigaro? Lo sai dove l’ho trovata?»
Scaramella non lo sapeva, e non avrebbe nemmeno voluto saperlo. Se, però, non rispondeva «dove?», lei avrebbe continuato a chiederglielo per tutta la giornata.
«Nel portasapooone!» esclamava Inge scandalizzata, pronunciando portasapone alla tedesca, e cioè allungando a dismisura l’ultima «o». «E lo sai chi l’ha gettata nel portasapooone? Il tuo Giancarlo, il tuo caro compagno di scuola. Io mi chiedo come fa un uomo di cinquant’anni che fuma il sigaro a non rendersi conto che sta impuzzolentendo una casa.»
«Ma se sei stata tu a chiedergli di andare a fumare nel gabinetto della donna!»
«Sì, ma non di lasciare la cicca nel portasapooone!»
Probabilmente, incolpando la suocera, Inge aveva intuito l’origine delle sue distrazioni. Fin da piccolo, infatti, Scaramella era cresciuto in un ambiente di artisti: suo padre era stato un discreto violinista e sua madre una scultrice non priva di talento. E anche gli amici di famiglia, a pensarci bene, non erano gente del tutto normale. C’era, ad esempio, un certo Cianciripini, di professione acrobata, che si esibiva esclusivamente per lui bambino ogn qualvolta la madre doveva convincerlo a mangiare la pappa. Ora, vivere in una casa dove per sedersi bisogna prima liberare le sedie dai fogli di musica, poteva, magari, anche piacere a un ragazzino, non di certo a una maniaca dell’ordine come Inge Rauscher. Sua madre, poi, lui se la ricordava sempre con la faccia e i vestiti sporchi di gesso, quasi che col tempo volesse diventare anche lei una scultura. Insomma, Enzo Scaramella con i suoi genitori era stato felice. La sua sfortuna, piuttosto, era stata quella di averli persi entrambi quando era ancora un ragazzino. Ragione per cui, una volta entrato in debito di affetto, aveva ceduto al primo individuo di sesso femminile che aveva avuto la sfortuna d’incontrare: per l’appunto Inge.
Lei era venuta in vacanza a Napoli per una sola settimana, e lui l’aveva portata sul Vesuvio e subito dopo a Pompei.
«Noi, in Germania, non abbiamo vulcani!» disse lei con aria di rimprovero, e glielo disse come se avere vulcani a pochi chilometri di distanza fosse un segno di grande trascuratezza.
Tra tutti gli inconvenienti del matrimonio il più drammatico fu quello delle pattine. Le pattine divennero fin dall’inizio il personale assillo di Enzo Scaramella. Supponiamo, ad esempio, che avesse fatto un sogno erotico, e che avesse sognato, che so io, una bionda tutta nuda che gli tendeva le braccia dicendo: «Corri, corri amore mio, corri che non ce la faccio più a resistere!». Ebbene lui, malgrado fosse solo un sogno, non sarebbe riuscito a correre, a causa delle pattine. Ora, per chi non lo sapesse, le pattine erano delle orribili soprascarpe di panno grigio che lui, di anni 49, laureato in Economia e Commercio, aveva l’obbligo di indossare fin da quando metteva piede in casa, e che per nessuna ragione al mondo (compresi incendi, terremoti e alluvioni) avrebbe potuto abbandonare, pena una discussione interminabile con la sua gentile signora. Le pattine, inoltre, comportavano il fastidio di dover strascicare i piedi come il mostro di Frankenstein, cosa che, oltre a renderlo ridicolo, aveva finito col modificare il suo stesso modo di camminare. Ormai, anche quando stava solo per strada, strascicava i piedi e questo gli aveva conferito una strana andatura da robot.
Alleato della signora Inge c’era poi il dottor Salvini, il suo diretto superiore alla Lloyd Security, la società di assicurazioni per la quale prestava servizio da ormai quindici anni.
«Veda, Scaramella,» gli diceva Salvini «l’ordine è alla base del nostro lavoro. Come si fa a decidere se un cliente che sta firmando un contratto è o non è affidabile? Ci si basa sui precedenti storici. E come è possibile conoscere i precedenti storici se non si ha un computer a portata di mano e un archivio sempre aggiornato? Ergo: ordine, ordine, e poi ancora ordine! Questo deve essere il nostro motto.»
Scaramella, invece, aveva tutta un’altra idea di come trattare i clienti: li guardava negli occhi e in un attimo capiva se erano o non erano affidabili. Per lui era solo un fatto d’intuito: aveva notato, per esempio, che più la sua scrivania era in ordine e più l’intuito gli veniva a mancare, quasi che ci fosse un’incompatibilità tra l’ordine e le emozioni. Era come se l’Intuito, dando uno sguardo al suo studio, avesse detto:
«Questo qui lo vedo troppo ordinato: che si arrangi con l’archivio storico.»
Purtroppo, però, i colleghi non erano tutti del suo parere. C’era, ad esempio, uno degli ultimi arrivati, tale Ramazzini, un omino con gli occhiali neri e la faccia tipica del traditore, che non faceva altro che riferire alla dirigenza della Lloyd tutte le sue dimenticanze. A volte aspettava giù per strada l’arrivo del dottor Salvini, per poi spettegolare in ascensore:
«Ieri sera Scaramella è andato dal commendator Girolami, quello dei supermercati, e si è dimenticato il contratto in ufficio. Il commendatore, magari, lo avrebbe anche firmato, ma Scaramella, lei lo sa com’è, ha la testa fra le nuvole. E pensare che glielo avevo tanto raccomandato: “Dottò,” gli avevo detto, “non fate come il mese scorso, quando ve lo siete fatto scippare in metropolitana”.»
Enzo Scaramella era l’unico uomo al mondo che aveva perso le chiavi della macchina mentre la stava guidando. Ed è sempre Ramazzini a raccontare l’episodio.
«Un giorno stavamo andando in ufficio. Scaramella si era fermato a un semaforo rosso. Mentre aspettava, ha aperto lo sportellino del cruscotto con un mazzetto di chiavi, tra le quali c’era anche quella di accensione. Poi ha chiuso lo sportellino e si è infilato le chiavi in tasca. Ebbene, non ci crederete, la tasca era sfondata e le chiavi gli sono finite Dio solo sa dove, forse nella fodera del cappotto. Quando è tornato il verde non è potuto più ripartire. Dietro di noi c’era una fila di automobilisti incazzati che strombettavano a più non posso, tutti convinti che il guidatore davanti si fosse addormentato. Allora lui è sceso dalla macchina e, dopo aver urlato per due volte “Ho perso le chiavi, ho perso le chiavi!”, si è messo a saltellare come un tarantolato per capire dal rumore dove potevano essere andate a finire.»
La verità era che Giuda Ramazzini non vedeva l’ora di soffiare la zona del centro storico al collega Scaramella, e faceva di tutto per metterlo in cattiva luce.
«Un cliente come Girolami,» era solito dire «non lo si può affidare a uno come Scaramella. Prima o poi la concorrenza se ne accorge e ce lo frega.»
E invece, al contrario di quanto pensava Ramazzini, Girolami era diventato cliente della Lloyd Security proprio perché gli piaceva Scaramella e la sua sprovvedutezza.
«Veda,» aveva detto un giorno il commendatore a Scaramella «io con lei mi trovo bene perché non la vedo come uno che mi vuole per forza impallinare. Negli affari, si sa, siamo tutti o lepri o cacciatori. Poi ci sono quelli come lei che, grazie a Dio, si sono dimenticati a casa il fucile.»
La vita di Enzo Scaramella ebbe una svolta il giorno in cui decise di andare in ufficio a piedi. Lui abitava in via Campania e aveva l’ufficio in viale Bruno Buozzi. Scendere a piedi, attraversare tutta Villa Borghese, fermarsi di tanto in tanto a guardare gli alberi, per lui era un piacere, specialmente quando c’era il sole. In genere usciva con una mezz’oretta di anticipo in modo da potersi riposare su una panchina. Aveva preso l’abitudine di portarsi dietro una busta di plastica piena di briciole di pane. Gli piaceva dare da mangiare ai passerotti. Era convinto, tra l’altro, che i passerotti, la mattina, lo stessero aspettando. Il fatto è che lui, fin da piccolo, aveva sempre desiderato un animaletto da allevare in casa, che so io, un cane, un gatto, o anche solo un canarino. Di proporlo a Inge, però, neanche a pensarci. Gli animali, si sa, sporcano, e se non li si ama davvero, sono difficili da sopportare. Comunque, a forza di attraversare Villa Borghese, cominciò a fare delle amicizie. I parchi hanno sempre i loro frequentatori abituali. Quelli di Villa Borghese si dividono sostanzialmente in quattro categorie: gli extracomunitari, i barboni, le puttane e i pensionati. Tra questi ultimi c’era un ex insegnante di filosofia, da tut...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Ordine e Disordine
  3. Premessa
  4. I. La quaterna secca
  5. II. La matematica
  6. III. La metamorfosi
  7. IV. De immunditia
  8. V. La stocastica
  9. VI. Il limbo
  10. VII. Gli anni del Disordine
  11. VIII. Ordine e ammuìna
  12. IX. Lo sport
  13. X. Il computer
  14. XI. Ordine e Disordine nell’arte
  15. XII. Ordine e Disordine nel cinema
  16. XIII. Il Bene e il Male
  17. XIV. Il venditore di maniglie
  18. XV. La doccia del Disordine
  19. XVI. Notarella su Nietzsche, Apollo e Dioniso
  20. Appendice: – Il gioco dell’Ordine
  21. Copyright