È un problema
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È un problema

  1. 168 pagine
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È un problema

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Aristides Leonides, ultraottantenne miliardario di origine greca, ha da poco sposato una giovane di umili origini, Brenda, nonostante la feroce opposizione di tutta la famiglia, costituita da figli, nuore, nipoti e dalla sorella nubile della prima moglie. Quando Aristides muore, perché qualcuno ha sostituito l'insulina contenuta in una fiala con una sostanza letale, la famiglia Leonides unanime punta il dito accusatore contro Brenda e contro Lawrence Brown, il precettore dei nipoti sospettato di avere una relazione con Brenda. Anche la polizia non trascura questa traccia, ma sembra che le indagini non riescano a fare piena luce sulla vicenda: la famiglia Leonides comincia a temere di essere costretta a vivere costantemente con la certezza che un suo componente è un assassino, quando...
Pubblicato nel 1949, questo romanzo nel quale non compaiono i tradizionali protagonisti della Christie, è sempre stato considerato dall'autrice come il suo preferito.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852052316

1

Conobbi Sophia Leonides in Egitto, verso la fine della guerra. Ricopriva un ruolo piuttosto importante in una delle sezioni distaccate del ministero degli Esteri. Avendola conosciuta in veste ufficiale, ne apprezzai subito l’efficienza e le capacità che le avevano permesso di raggiungere quella posizione così elevata nonostante la giovanissima età (all’epoca aveva appena ventidue anni).
Non era solo incantevole, ma anche dotata di una bella intelligenza e di uno spirito caustico che trovavo delizioso. Diventammo subito amici. Era una persona con cui era facile parlare. Andare con lei a cena o a ballare era un vero piacere.
Questo lo avevo capito subito, ma solo poco prima dell’armistizio, quando fui trasferito in Oriente, mi accorsi che c’era ben altro. Mi ero innamorato di Sophia e desideravo sposarla.
Me ne resi conto una sera mentre stavamo cenando allo Shepheard’s: non fu una scoperta sorprendente, bensì la presa di coscienza di un sentimento che nutrivo da tempo. La stavo guardando con occhi diversi, ma vidi quello che sapevo già da un pezzo. Di lei mi piaceva tutto: i capelli neri e ondulati che le incorniciavano la fronte e ondeggiavano rigogliosi, gli occhi azzurri e luminosi, il mento piccolo e volitivo, il nasino regolare. Ammiravo l’eleganza dell’abito grigio chiaro fatto su misura, la camicetta bianca inamidata. Dopo tre anni di assenza dalla madrepatria, quel suo aspetto così straordinariamente inglese mi commuoveva. Più inglese di così non si può, pensai, ma subito mi chiesi se in effetti era o poteva essere inglese come sembrava. Può la realtà essere dotata di quella straordinaria perfezione che caratterizza la finzione scenica?
Per quanto liberamente e a cuore aperto chiacchierassimo, discutendo delle nostre idee, dei nostri gusti, di amici e conoscenti, Sophia non mi aveva mai parlato della sua casa né della famiglia. Lei sapeva tutto di me (come già sottolineato, era brava ad ascoltare), eppure io di lei non sapevo nulla. Presumevo che venisse da una famiglia tradizionale, ma non ne parlava mai. Solo in quel momento me ne resi conto.
Sophia mi chiese a cosa stessi pensando.
Le risposi, ed ero sincero: «A te».
«Capisco» disse. E sembrava proprio che mi capisse.
«Sophia, forse non potremo rivederci per un paio d’anni» continuai. «Non so quando riuscirò a tornare in Inghilterra. Ma non appena me lo permetteranno, verrò a cercarti e ti chiederò di sposarmi.»
Non batté ciglio. Rimase seduta e continuò a fumare la sigaretta, evitando il mio sguardo.
Per un attimo ebbi il timore che non avesse capito.
«Ascoltami bene» proseguii. «Sono fermamente deciso a non chiederti di sposarmi adesso. Sarebbe un errore. Per cominciare potresti respingermi, io mi dispererei e magari per dispetto sarei capace di legarmi a una qualunque orrenda creatura, non fosse che per curare la mia vanità ferita. Se invece non mi respingessi, come potremmo fare? Sposarci per separarci un attimo dopo? Fidanzarci per rassegnarci subito a una lunga attesa? Non potrei mai chiedertelo. Nel frattempo potresti incontrare qualcun altro e trattenerti per “fedeltà” nei miei confronti. Viviamo un periodo di insicurezza e di paura che ci spinge a bruciare le tappe nell’incertezza del domani. Tutto attorno a noi, la gente si innamora e si sposa per lasciarsi l’indomani. No, Sophia. Vorrei saperti a casa, indipendente e libera di familiarizzare con questo nuovo mondo post-bellico e decidere cosa vuoi fare della tua vita. Il nostro legame, Sophia, dovrà durare in eterno. Non concepisco altro genere di matrimonio.»
«Neanch’io» disse Sophia.
«D’altra parte,» continuai «credo di avere il diritto di comunicarti i… be’… i miei sentimenti.»
«Senza però eccedere con le romanticherie, vero?» mormorò Sophia.
«Cara, non capisci? Sto facendo il possibile per non dirti che ti amo…»
Mi interruppe.
«Ti capisco, Charles, credimi. E mi piacciono i tuoi modi buffi. Quando tornerai in Inghilterra vieni pure a trovarmi… se ancora lo desideri…»
Questa volta fui io a interromperla.
«Su questo non ci sono dubbi.»
«I dubbi ci sono sempre, Charles. Come escludere che qualche fattore imponderabile mandi tutto a monte? E poi, sbaglio o non sai molto di me?»
«Non so nemmeno dove abiti in Inghilterra.»
«Abito a Swinly Dean.»
Feci un cenno d’assenso: conoscevo quel sobborgo di Londra, che vanta tre magnifici campi da golf frequentati dagli uomini d’affari della City.
Sophia aggiunse, dolce e riflessiva: «In una piccola casa sbilenca…».
La mia espressione perplessa la divertì e la spinse a completare la citazione. «E vissero tutti insieme in una piccola casa sbilenca. Proprio come la nostra. Non proprio piccola, ma certamente sbilenca, a cominciare dagli spioventi e dall’armatura in legno.»
«Hai una famiglia numerosa? Sorelle e fratelli?»
«Un fratello, una sorella, una madre, un padre, uno zio, una zia acquisita, un nonno, una prozia e la seconda moglie di mio nonno.»
«Buon Dio!» esclamai, sopraffatto.
Lei rise.
«Di norma non viviamo tutti insieme, ovviamente. Sono stati la guerra e i bombardamenti a costringerci, ma non so…» aggrottò pensierosa la fronte «forse, spiritualmente, la famiglia ha sempre vissuto insieme sotto l’ala protettrice del nonno. Una personalità eccezionale, mio nonno. Ha più di ottant’anni, è alto un metro e sessanta scarsi, eppure vicino a lui gli altri sembrano pigmei.»
«Un uomo interessante» dissi.
«Molto interessante. È greco, di Smirne. Si chiama Aristide Leonides.» Poi, con un sorriso malizioso: «Ed è ricco sfondato».
«Ci saranno ancora uomini ricchi quando tutta questa follia sarà finita?»
«Mio nonno sì» ribadì Sophia con un tono che non ammetteva repliche. «Se qualcuno proverà a spremergli i suoi soldi, sarà lui a spremerlo per primo.»
«Chissà se ti sarà simpatico?» aggiunse.
«A te lo è?» le chiesi.
«Più di chiunque altro al mondo.»

2

Passarono più di due anni prima che tornassi in Inghilterra. Non furono anni facili. Scrivevo spesso a Sophia e ricevevo sue notizie. Le sue lettere, come le mie, non erano lettere d’amore, ma lettere di amici intimi che si scambiano idee, riflessioni, pensieri e opinioni sulle vicissitudini quotidiane. Nondimeno ero convinto, e credevo che ne fosse convinta anche Sophia, che i nostri sentimenti reciproci andassero crescendo e rafforzandosi.
Tornai in Inghilterra in una mite giornata grigia di settembre. La luce del tardo pomeriggio dorava le foglie degli alberi, ingiallite e scompigliate da giocose raffiche di vento. Dall’aeroporto mandai subito un telegramma a Sophia.
APPENA ARRIVATO. TI INVITO A CENA STASERA DA MARIO ORE NOVE CHARLES.
Un paio d’ore dopo stavo sfogliando il «Times» quando, arrivato alla pagina dei necrologi, mi cadde l’occhio sul nome Leonides.
Il 19 settembre, a Three Gables, Swinly Dean, è mancato Aristide Leonides, ottantasette anni, amato consorte di Brenda Leonides. Verrà ricordato con profondo rimpianto.
Immediatamente sotto c’era un altro annuncio.
LEONIDES – Nella sua abitazione di Three Gables, Swinly Dean, è improvvisamente deceduto Aristide Leonides. Lo annunciano profondamente addolorati i figli e i nipoti. I funerali avranno luogo nella chiesa di St. Eldred, Swinly Dean.
Trovai strani quei due annunci separati e li attribuii a una redazione negligente, ma il mio primo pensiero andò al dolore di Sophia. Mi affrettai a mandarle subito un altro telegramma.
APPRENDO ORA SCOMPARSA TUO NONNO. ADDOLORATO. FAMMI SAPERE QUANDO TI POTRÒ VEDERE. CHARLES.
Quello stesso giorno, alle sei, ricevetti un telegramma di Sophia a casa di mio padre.
SARÒ DA MARIO ALLE NOVE. SOPHIA.
Il pensiero di rivedere Sophia mi innervosiva e mi emozionava. Il tempo passava con una lentezza esasperante. Arrivai da Mario con una ventina di minuti d’anticipo. Sophia arrivò con soli cinque minuti di ritardo.
Che emozione ritrovare qualcuno che non vedi da tempo ma è sempre rimasto ben presente nei tuoi pensieri. Quando finalmente Sophia entrò dalla porta girevole, il nostro incontro mi sembrò assolutamente irreale. Era vestita di nero e questo, stranamente, mi colpì. Al ristorante c’erano parecchie altre donne in nero, ma mi ero messo in testa che fosse vestita a lutto, il che mi sorprese: non immaginavo che fosse quel genere di donna che veste a lutto, per quanto stretto fosse il parente.
Bevemmo un cocktail prima di andare a sederci al tavolo. La conversazione era frettolosa, quasi febbrile. Ci scambiammo notizie sui vecchi amici del Cairo, e la superficialità del primo contatto ci permise di superare l’imbarazzo iniziale. Espressi il mio cordoglio per la morte del nonno e lei, in tono sommesso, mi disse che il decesso era stato “alquanto inaspettato”. Poi tornammo ai nostri ricordi, ma io cominciai a provare uno strano disagio: qualcosa non andava, e non parlo del naturale imbarazzo dell’incontro. Qualcosa tormentava Sophia. La sentivo lontana, preoccupata. Doveva forse confessarmi che aveva trovato un uomo migliore di me? Che i...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. È un problema
  4. 1
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  30. Copyright