Hitler
eBook - ePub

Hitler

Il figlio della Germania

,
  1. 516 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Hitler

Il figlio della Germania

,
Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Figlio della Germania e del suo tempo, Hitler si affermò come dittatore in una nazione sconfitta e in grave crisi economica. Interprete di una cultura tedesca che si nutriva di irrazionalismo, che odiava le dottrine illuministiche e la democrazia, e si ispirava a Spengler, Heidegger, Schopenhauer, Wagner e Nietzsche, il Führer sostenne l'ideologia della razza ariana pura ed eroica, che lo porterà al genocidio degli ebrei, e vaneggiò l'illusorio diritto dei tedeschi all'espansionismo illimitato per una missione storica e un fatale destino. Illuso e capace di illudere, con forza magnetica, una nazione fino a condurla all'autodistruzione, bramoso di eternità e capace di costruire il proprio mito, folle, mostro o criminale, la figura di Hitler lascia ancor oggi degli interrogativi aperti. A questi cerca di rispondere Antonio Spinosa in una biografia a un tempo rigorosa e appassionante sull'uomo che ha tragicamente segnato un'epoca nella storia del mondo.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Hitler di in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Storia e Storia mondiale. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852052477
Argomento
Storia

Parte terza

LE ORE DI PARSIFAL
Il Führer del Reich

I

Quella stessa mattina del 30 gennaio il cancelliere designato Adolf Hitler e i suoi ministri si riunirono brevemente nello studio di von Papen. Poi, attraverso il giardino interno ricoperto di neve, raggiunsero il palazzo presidenziale. In attesa di essere ricevuti da Hindenburg per la cerimonia del giuramento, sostarono nell’ufficio del segretario di Stato, Meissner, dove si misero a discutere animatamente. Più che discutere bisticciavano. Hitler protestava concitatamente poiché gli avevano rifiutato la nomina a commissario del Land di Prussia. Ciò, diceva, comportava un’enorme riduzione dei suoi poteri. Aggiungeva che per superare una così grave situazione di inferiorità sarebbe stato costretto a indire immediatamente nuove consultazioni politiche generali al fine di dotare il suo ministero della maggioranza assoluta in parlamento.
Tali affermazioni irritarono il capo dei tedesco-nazionali Hugenberg che riaffermava la sua totale opposizione a riconvocare per l’ennesima volta in breve tempo i comizi elettorali. Lo scontro si faceva sempre più aspro. Von Papen, sulle spine, più che temere, sperava di veder cadere il governo ancor prima di formarsi, cosa che avrebbe rilanciato la sua candidatura. La discussione parve alquanto placarsi dal momento in cui Hitler con accortezza assicurò che i risultati delle nuove elezioni non avrebbero influito sulla composizione del governo in formazione. «Vi do la parola d’onore! Non mi separerò da voi!» disse. Ma Hugenberg ancora protestava, resisteva come un «caprone ostinato» – così egli si autodefiniva –, e allora von Papen bruscamente lo apostrofò: «Non vorrete dubitare» disse «della parola d’onore d’un tedesco!». Intervenne Meissner ricordando a quei ministri litigiosi la ragione per cui si trovavano a Palazzo. Il presidente li aspettava già dalle 10 per il giuramento. Erano passate le 11 e bisognava sbrigarsi.
Hitler, in redingote nera e cappello a cilindro, s’inchinò platealmente mentre stringeva la mano al vecchio e appesantito feldmaresciallo Hindenburg. A quarantatré anni l’ozioso vagabondo di Vienna succedeva a personaggi come il barone von Stein, Bismarck, il principe Bülow. L’autodidatta disordinato e inconcludente, il Meldegänger, il portaordini del reggimento, l’uomo che per decenni non aveva trovato uno sbocco qualsiasi alla sua vita e che non era mai stato né ministro e nemmeno deputato diventava d’emblée cancelliere del Reich con il pieno rispetto delle regole costituzionali. Aveva infatti giurato sulla Costituzione di Weimar, sulla carta fondamentale della repubblica che pure aveva sempre proclamato di voler fare a pezzi. Con lui avevano intrigato e giurato il vicecancelliere e i ministri, i quali, come Hitler, non avevano in realtà che uno scopo, quello di abbattere la repubblica fingendo di servirla. Il piccolo caporale austriaco non era da loro amato, se non altro perché privo di quarti di nobiltà, ma poteva essere usato come uno strumento d’attacco, una testuggine per affrettare la caduta del regime democratico parlamentare e accelerare il ritorno a uno Stato autoritario e monarchico. Era uno strumento per molti. Per gli industriali che lo sapevano nemico del collettivismo; per la piccola borghesia cui egli aveva assicurato di abbattere lo strapotere dei banchieri; per i militari che apprezzavano il suo antipacifismo; per i socialdemocratici che lo vedevano lancia in resta contro i comunisti.
Il presidente Hindenburg fu di poche parole durante la cerimonia del giuramento. Incombeva l’ora del pranzo e congedò frettolosamente i suoi ospiti limitandosi a dire: «E ora avanti con Dio». Dovette fare un discorsetto di circostanza von Papen che pensava di aver vinto la battaglia avendo favorito la formazione d’un governo in cui Hitler, con soli tre portafogli su undici ministeri dell’intero gabinetto, appariva prigioniero dei conservatori e dei tedesco-nazionali. Era perciò costretto a stare al gioco e a non usare violenza contro di loro. «Hitler? Lo abbiamo ingabbiato!» Era questo il vanto del capo dei tedesco-nazionali. Hugenberg si basava sul fatto che lui stesso deteneva un ministero chiave come quello unificato dell’Economia e dell’Agricoltura e che anche altri dicasteri di primaria importanza erano stati rifiutati ai nazisti.
Il Führer aveva infatti ottenuto soltanto il ministero degli Interni per Frick, privo tuttavia del controllo sulla polizia che era demandato ai singoli Länder, e un ministero senza portafoglio per Göring, con la sola garanzia che sarebbe diventato il titolare dell’Aviazione al momento della istituzione d’una forza aeronautica militare. Avevano conservato i loro portafogli quattro dei ministri presenti nel precedente governo, von Neurath agli Esteri, il conte Schwerin von Krosigk alle Finanze, Franz Gürtner alla Giustizia, von Eltz-Rübenach ai Trasporti. Il generale von Blomberg era naturalmente andato alla Difesa e Franz Seldte, il capo dello Stahlhelm che si era rappacificato con le SA, al Lavoro.
Da una finestra dell’albergo Kaiserhof, che fronteggiava il palazzo della Cancelleria, Goebbels e Röhm attendevano l’uscita del loro Capo, a conclusione dell’udienza presidenziale. Il capitano Röhm si era fornito di un binocolo, come in una battaglia campale, per leggere immediatamente sul viso del Führer l’esito dell’incontro. «Si verificherà il miracolo?» chiedeva col batticuore a Goebbels che mostrava di sapersi dominare meglio di lui. Sulla porta della Cancelleria apparve Hitler, e Röhm emise un urlo: «Miracolo! Miracolo!». Aveva visto il volto del nuovo cancelliere della Germania, era il volto raggiante della vittoria.
Hitler salutava la folla raccolta nella piazza, agitava le braccia come un forsennato dall’alto della scalinata del palazzo e gridava a gran voce la sua gioia irrefrenabile. Gli occhi gli si riempivano di lacrime. La popolazione lo festeggiava in pieno tripudio, le schiere dei manifestanti s’ingrossavano mentre le strade si illuminavano alla luce di decine di migliaia di fiaccole tra urla d’entusiasmo e rulli di tamburo. Non c’erano comunisti in giro, o meglio non c’erano comunisti inquadrati poiché Göring aveva posto un divieto tassativo alle loro dimostrazioni.
Lasciato il palazzo presidenziale, il nuovo cancelliere fu in pochi minuti nella sua stanza al Kaiserhof, attorniato dai collaboratori più stretti che apparivano increduli di aver colto un così decisivo successo, proprio nella fase in cui il partito accusava una pericolosa flessione elettorale. Il Führer in breve accomiatò i camerati. Aveva bisogno di raccogliersi in se stesso mentre entrava in uno stato di abbandono, quasi in trance. Non era soltanto un cancelliere, uno dei tanti cancellieri che andavano di qua e di là come poveri travicelli sballottati dai flutti delle tempeste parlamentari; si vedeva come il fondatore d’un ordine nuovo, il Messia, il creatore d’una nuova civiltà ariana capace di riunire in un corpo compatto la Germania che la bramosia ebraica aveva ridotto a brandelli. La sensazione di deliquio si protrasse per pochi minuti, ne uscì come sospinto dalla forza d’una sinfonia che gli risuonava nelle membra. In un identico languore cadeva quando ancora ragazzetto ascoltava dal loggione per più sere consecutive la musica del Lohengrin, stregato dalle note wagneriane.
Con frenesia preparò le carte per la prima riunione del suo governo fissata di lì a qualche ora. Aprì la seduta alle cinque del pomeriggio e immediatamente comunicò la sua decisione di tenere avvolta nella più assoluta segretezza ogni deliberazione ministeriale. Venne sul tappeto un primo problema scaturito in un incontro che Göring aveva avuto quel giorno stesso con i rappresentanti del Zentrum cattolico per incarico del suo Capo. Il governo era privo d’una maggioranza parlamentare essendo sostenuto soltanto dai nazisti e dai tedesco-nazionali che disponevano di duecentoquarantasette seggi su un totale di cinquecentottantatré. I rappresentanti del Zentrum, con i loro settanta deputati, sembravano disponibili a imbarcarsi nella maggioranza, ma reclamavano adeguati compensi. Per tutta risposta i nazisti sostennero che c’era un solo modo per uscire da quella situazione minoritaria, sciogliere il parlamento e indire nuove elezioni. A nome dei tedesco-nazionali, Hugenberg si disse contrario sia ad estendere la base governativa ai centristi, sia a ricorrere nuovamente alle urne: meglio sarebbe stato dichiarare decaduti i cento parlamentari comunisti e porre fuori legge la Kpd. In tal maniera i due partiti al governo si sarebbero trovati automaticamente in una condizione di maggioranza assoluta.
Hitler considerò eccessiva la proposta e la lasciò cadere osservando che sarebbe stato molto pericoloso mettere fuori legge un partito sostenuto da sei milioni di persone. Preferiva le elezioni, certo di conquistarvi da solo l’agognata maggioranza assoluta ora che deteneva il cancellierato. Pensava che, favorendo la formazione d’una maggioranza dei due terzi in parlamento, avrebbe potuto far approvare i pieni poteri al governo come premessa per una trasformazione in chiave autoritaria della Carta costituzionale. Von Papen fu a questo proposito assai esplicito. «Le nuove elezioni» disse «dovranno essere le ultime. Dobbiamo evitare per sempre il ritorno al sistema parlamentare.»
Il cancelliere, condividendo in pieno le idee del suo vice, incalzò: «Le elezioni ormai imminenti dovranno davvero essere le ultime. Il ritorno al sistema parlamentare dovrà essere assolutamente scongiurato». Poi annunciò – ma era una finzione – che avrebbe saggiato personalmente la disponibilità dei centristi, prima di chiedere ufficialmente a Hindenburg di procedere allo scioglimento del Reichstag. Così, nell’incontro con il loro capo, monsignor Kaas, si mosse in maniera tale da non raggiungere alcuna intesa. Il giorno successivo Hindenburg si trovò di fronte alla richiesta del suo nuovo cancelliere di mandare a casa i deputati. Non perse tempo e indisse le elezioni per il 5 marzo.
A sera, fino a notte inoltrata, i nazisti scesero nuovamente in piazza per esprimere tutto intero il loro entusiasmo; per acclamare con interminabili fiaccolate e immensi falò il loro Führer che mostrava alla nazione come si potessero rapidamente bruciare le tappe verso un potere sempre più saldo. A morte, dunque, la democrazia paralizzante. Marciavano a ranghi serrati in venticinquemila gli uomini armati delle SA e delle SS in camicia bruna e in camicia nera, con la veemenza d’un torrente in piena passavano sotto la porta di Brandeburgo, col braccio teso al suono e al canto della Horst-Wessel-Lied sfilavano davanti al palazzo presidenziale e alla Cancelleria.
Il vecchio Hindenburg si appoggiava allo stipite della finestra. Di tanto in tanto alzava una mano per uno stanco saluto. Hitler era invece l’immagine stessa della forza e del vigore. Chiamava a gran voce questo o quel camerata che riconosceva fra tanti nella notte illuminata dalle torce. Dava chiaramente a vedere come fosse divorato da un grande fuoco interiore, e quel fuoco si trasmetteva alla massa dei manifestanti infiammandone gli animi.

II

La manifestazione popolare si era svolta in un clima di «vertiginoso entusiasmo», sulla falsariga d’un rituale magico e religioso ormai consueto. Anche i dimostranti erano invasati dall’idea che il nuovo cancelliere non fosse un qualsiasi uomo di governo, ma il loro Redentore inviato dalla Provvidenza divina. In un negozio della Unter den Linden di Berlino era esposto in vetrina un suo ritratto fra le immagini di Gesù Cristo. Si diffondeva la convinzione, come diceva lo stesso Hitler ripetendo un’esaltante espressione di Goebbels, che i nazisti non avrebbero più lasciato il potere se non da morti. Le masse erano abbacinate. Dal vittorioso giorno del 30 gennaio le già sconfinate file hitleriane si avviavano a immedesimarsi con un popolo intero.
La macchina propagandistica del partito creava intorno al Führer un alone di magia, ne idealizzava la figura e faceva della sua azione politica una missione. Lui non mancava di rivelare come la sera dell’incarico si fosse sentito sospingere verso la meta da una forza sovrumana: «Ero in vista del porto e ho temuto di far naufragio, ma sono stato salvato dal volere divino». L’attesa di un Capo che fosse inviato dalla Provvidenza, un’attesa in cui il popolo tedesco viveva da tempo, aveva alfine compimento. Si riconosceva al Capo il diritto di vita e di morte per costruire la Grande Germania, legittimato da un’investitura divina a liberare il popolo dal male, secondo la predicazione riformatrice di Calvino. Il singolo individuo si confondeva in una superiore entità di gruppo, in una mitica realtà collettiva.
Quel 30 gennaio Hitler era arrivato al traguardo anche grazie alla sua abilità politica, alla mancanza di scrupoli e alla carica sovrumana di trascinatore e manipolatore di folle, sia minacciando di rovesciare la repubblica di Weimar con la violenza, sia brigando con i gruppi della conservazione, gli agrari, gli industriali, i banchieri che perseguivano il suo stesso scopo eversivo. L’ascesa dei nazisti era stata altresì favorita dalle clausole capestro del trattato di pace – si poteva dire che Hitler fosse nato a Versailles –, dalle disastrose conseguenze per l’economia mondiale del «venerdì nero» del ’29, dalle lotte intestine che attanagliavano i partiti della sinistra. I comunisti, nella loro sudditanza alla politica del Cremlino, ritenevano che il principale nemico da battere fosse la socialdemocrazia, chiamata da Stalin «socialfascismo», ed erano indotti a considerare una vittoria del nazismo come un passaggio obbligato verso l’instaurazione della dittatura del proletariato. Una teoria che si riassumeva nella formula del «tanto peggio tanto meglio». Agli occhi della classe operaia tedesca, indebolita da battaglie senza sbocco, Hitler era giudicato una marionetta nelle mani di capitalisti morenti. Presto quei fili sarebbero stati recisi, così si credeva.
I tedesco-nazionali, che si erano alleati ai nazisti, si mostravano fiduciosi di raggiungere i loro scopi. Dicevano di aver messo il guinzaglio al pittore austriaco fallito. Anche von Neurath, accettando di entrare nel governo di Hitler, esprimeva la convinzione di aver imboccato la strada migliore: «Lasciamolo che si sfoghi!» esclamava. C’era però chi ne temeva l’ascesa. Alcuni suoi avversari si trovavano anche tra le file dell’estrema destra come avveniva per Erich von Ludendorff. Il generale conosceva bene le ambizioni e le mire del nuovo cancelliere, se non altro per aver tentato con lui l’ormai storico putsch di Monaco di dieci anni prima. Non se ne fidava, e difatti fra i due si era arrivati a una insanabile rottura.
Ora Ludendorff inviava a Hindenburg un durissimo telegramma di riprovazione per aver consegnato il potere al Capo nazista: «Con la nomina di Hitler a cancelliere del Reich, Ella ha ceduto la nostra sacra patria tedesca a uno dei peggiori demagoghi di tutti i tempi. Le preconizzo che questo malvagio individuo getterà in un abisso il nostro Reich infliggendo immani sciagure alla nostra nazione. Le future generazioni La malediranno nella tomba per questa sua scelta».
Il Führer si proponeva di cambiare tutto in Germania, a cominciare dal palazzo della Cancelleria. «Farò di questa misera scatola da sigari» diceva «la reggia del nazismo.» Intanto si accingeva a mettere fuori gioco le opposizioni adoperandosi a conferire un aspetto di legalità a interventi contrari alla legge. Quali sarebbero state le linee di lotta contro il «terrore rosso»? Rispondeva Goebbels: «In questa primissima fase ci asterremo da immediate contromisure. Dovrà anzitutto divampare un tentativo rivoluzionario bolscevico. Quindi colpiremo, al momento giusto».
Trascorsi due giorni dalla presa del potere, Hitler rivolse un appello via radio al popolo tedesco. «Quattordici anni di marxismo» disse «hanno rovinato la Germania. Un anno di bolscevismo la distruggerebbe. I luoghi più ricchi e più belli del mondo sarebbero ridotti a un fumante mucchio di rovine sul quale sventolerebbe la rossa bandiera del disfacimento.» Evocava a fosche tinte le condizioni di miseria e di fame in cui il suo popolo era stato costretto a vivere sotto un’idea «esclusivamente negatrice» che portava a morte la bimillenaria Kultur tedesca. Ora si apriva un’era nuova, un nuovo millennio: «È mia ferma convinzione che sia vicino il momento in cui i milioni di tedeschi, che oggi non sono con noi, ci seguiranno e saluteranno al nostro fianco il nuovo Reich della grandezza, dell’onore, della forza e della giustizia. Amen!».
Pronunciò queste parole nervosamente. Esse erano un segnale per le imminenti elezioni, l’apertura delle ostilità contro i capi comunisti e i loro elettori. Gli uni e gli altri dovevano sapere che non c’era più misericordia per loro nella sua Germania e che sarebbero stati colpiti con la massima durezza, «come meritavano». Alla dichiarazione radiofonica fecero immediatamente seguito le prime misure repressive con le quali si impediva ai comunisti e ai socialdemocratici di partecipare alla campagna elettorale. Se ne scioglievano i comizi, se ne aggredivano gli oratori, se ne staccavano i manifesti dai muri. I giornali di ispirazione socialdemocratica venivano parzialmente tollerati, mentre si tolsero brutalmente dalla circolazione quelli comunisti.
Il tutto avveniva in forza d’un decreto che recava un titolo pretestuoso, Zum Schutze des deutschen Volkes, Per la protezione del popolo tedesco. La scure hitleriana si abbatté sul Landtang di Prussia che fu sciolto al di fuori di ogni norma parlamentare e sostituito con un consiglio di Stato consultivo. I nazisti si sentivano forti. «Ora» diceva Goebbels «potremo condurre più facilmente la nostra battaglia, potremo servirci di tutte le risorse dello Stato. La radio e i giornali sono nostri; il denaro non ci mancherà. Costruiremo un capolavoro di propaganda.» Nel suo primo giro elettorale in veste di cancelliere, Hitler si recò nelle città fornite di stazioni radiofoniche. Era sempre Goebbels a spiegare la strategia propagandistica. Essa si basava sulla ripresa radiofonica dei discorsi del Führer che si effettuava direttamente in mezzo al popolo per dare agli ascoltatori un’«immagine plastica» di ciò che avveniva, per comunicare anche alla gente più lontana la «magica atmosfera» delle manifestazioni di massa.
I grandi industriali, i banchieri, gli agrari aprivano le borse più volentieri e più numerosi che in passato. Con la collaborazione di Göring e del principe delle finanze Hjalmar Schacht, il cancelliere ne invitò alcuni tra i più autorevoli in una sala del Reichstag. Convennero alla riunione i Gustav Krupp von Bohlen, i Karl Bosch, i Georg von Schnitzler, gli Albert Vögler. Si dissero entusiasti del cancelliere che li aveva rassicurati non soltanto sulla eliminazione dei marxisti, ma anche e soprattutto sulla rinascita della Wehrmacht nonostante le pastoie del trattato di Versailles. Ne gioirono particolarmente i magnati degli armamenti, i fabbricanti di cannoni come Vögler, ch’era alla testa delle Acciaierie Riunite (Vereinigte Stahlwerke), e il re delle munizioni Krupp. Eppure pochi giorni prima Krupp si era augurato in un colloquio con Hindenburg che il potere in Germania non cadesse in preda al Führer dei nazisti.
Anche a loro il cancelliere disse che stavano per svolgersi le ultime elezioni: «Non so quale potrà esserne l’esito, ma noi rimarremo dove siamo arrivati. Vi assicuro che manterremo il posto con altri mezzi, con altre armi». Illustrò il suo programma economico fondato su due grandi piani quadriennali. «Nel giro di quattro anni» disse «salderemo i debiti di tre lustri. E avremo bisogno della benedizione di Dio per restaurare l’unità spirituale del nostro popolo. Il cristianesimo sostanzia la nostra morale, mentre la famiglia è il nucleo basilare del nostro organismo statale.»
In quei giorni il cancelliere parlò anche agli intellettuali e ai militari, sempre propugnando l’immediata soppressione del sistema parlamentare. Assai singolare fu il discorso radiofonico rivolto agli uomini di cultura ai quali si preparava a restituire la libertà instaurando la dittatura: «In regime parlamentare gli intellettuali non sono liberi, ma io li sottrarrò ai ceppi del parlamentarismo, alla prepotenza dei numeri. Sappiamo bene che lo spirito non subisce mai tanta violenza come quando è dominato dalla forza dei numeri».
Volle invece incontrare di persona le più alte sfere militari, e parlò agli ufficiali nella residenza del capo di Stato maggiore dell’esercito von Hammerstein, il generale che aveva sempre pensato di legarlo un giorno al «palo della legalità». Non fu un approccio facile. Il cancelliere, ben sapendo che la Reichswehr era uno dei punti di forza del sistema, non nascondeva ai comandanti le sue più riposte intenzioni. Guardando tutti quei generali riceveva però l’impressione di parlare a un muro. Hitler teneva sempre d’occhio l’uditorio per misurare l’effetto delle sue parole, saggiare il grado di tensione del pubblico e intuire il momento propizio all’affondo decisivo. Quella volta, fin dal momento della sua apparizione nella sala, si era sentito invaso da un certo imbarazzo. Cercava di nasconderlo con «goffi e umili inchini», come osservava von Hammerstein all’orecchio di un vicino.
Eppu...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Hitler
  3. Ossessione
  4. Parte prima - VERSO I GIORNI DI SIGFRIDO Il vagabondo di Vienna
  5. Parte seconda - LE ORE DI ODINO Il capopopolo di Monaco
  6. Parte terza - LE ORE DI PARSIFAL Il Führer del Reich
  7. Parte quarta - VERSO LA NOTTE DI VALPURGA Il prigioniero del bunker
  8. Itinerario bibliografico
  9. Copyright