Jucci
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Jucci

  1. 132 pagine
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Informazioni sul libro

Jucci è il nome di una donna la cui memoria, attraverso il tempo, attraverso i decenni, è rimasta intatta nella mente del poeta, che a lei ritorna in queste pagine, nei versi di un libro tanto unitario da potersi considerare, più che un canzoniere, un vero e proprio delicatissimo romanzo in versi. E un romanzo che, insieme, potrebbe essere definito romanzo di formazione, romanzo romantico, romanzo del rimpianto. Franco Buffoni, in versi spesso commossi, ma sempre fermissimi nel tono e quanto mai lucidi nello sguardo sul proprio passato, ci racconta di un amore giovanile, dell'incontro con una donna sensibilissima e sapiente, con la quale aveva trascorso indimenticabili momenti di un sentimento tanto forte e autentico da andare oltre i confini stessi del sesso. L'amore per una donna nel mentre si manifestavano e chiedevano ascolto impulsi e stimoli di una condizione omosessuale vissuta con tormento dentro un tempo e una cultura che la condannavano. Ma la trama di questo romanzo comporta anche un destino crudele, e dunque la malattia e la precoce scomparsa di Jucci, protagonista di questo che l'autore chiama, "un amore stilizzato", e che era stata in fondo come un'anima guida, come una candida figura irrinunciabile per un tempo non lungo ma essenziale nella vicenda personale e poetica di Buffoni. Il quale realizza questa sua storia in versi con una viva ricchezza di situazioni e circostanze, di microeventi, presentimenti, suggestioni, nella cornice di dolci paesaggi, soprattutto della sua terra lombarda. E le acque sotterranee di questa sua esemplare storia remota riaffiorano, oggi, in superficie, con la mirabile freschezza lirica che ne caratterizza i percorsi e la fisionomia. Franco Buffoni, nato a Gallarate nel 1948, vive a Roma. Saggista (L'ipotesi di Malin, Marcos y Marcos 2007) e traduttore (Poeti romantici inglesi, Mondadori 2005), ha insegnato per trent'anni letteratura inglese e letterature comparate. Nel 1989 ha fondato e tuttora dirige «Testo a fronte». Tra i suoi libri di narrativa Più luce, padre (Sossella 2006), Zamel (Marcos y Marcos 2009), Il servo di Byron (Fazi 2012), La casa di via Palestro (Marcos y Marcos 2014). Come poeta esordì nel 1978, presentato da Giovanni Raboni su «Paragone». Seguirono Nell'acqua degli occhi (Guanda 1979), I tre desideri (San Marco dei Giustiniani 1984), Quaranta a quindici (Crocetti 1987), Scuola di Atene (L'Arzanà 1991), Suora carmelitana (Guanda 1997), Il profilo del Rosa (Mondadori 2000), Guerra (Mondadori 2005), Noi e loro (Donzelli 2008), Roma (Guanda 2009). Il suo lavoro è stato raccolto in Poesie 1975-2012 (Mondadori 2012). www.francobuffoni.it

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852054389
Argomento
Littérature
Categoria
Poésie

VII. COME UN ETERNIT

Come un eternit

Ho provato a pensarti dal futuro
Da quando e dove
Ferma nel tempo io
Ti vedrò salire
Sempre più vicino
All’età mia.
Giusto un attimo prima fermerò il pensiero
Per festeggiare il nostro compleanno alla pari
Col mio safari nella tua sorpresa.
Come quando assistevi al tuo funerale
E lo trovavi troppo lungo
E contemplavi il tuo cadavere,
Funambola.
E l’ultima volta la mia tomba
Cancellata dalla neve...
Tu che mi cercavi, giocherellone insensato
Pirla gaudioso.
Arrivi, arrivi, e con i tuoi capelli...
Le note stonate hai sempre saputo
Come chiamarle a raccolta.
Di quando, per vincere il pallore,
Ti cimentavi coi colori accesi
Il verde e il paonazzo
L’incarnato e il ranciato.
Ma perché è ondulato il mio ricordo?
Come un eternit mi lavora alle tempie
E sotto il mento mi sorprende...
Perché io innamorata sono dentro di te,
Più ti scuoti per allontanarmi
Più io penetro in profondità.

Dall’altro mondo

Ma sì ma sì fatina mia
Che hai chiuso gli occhi nell’altro millennio
Sono convinto anch’io che per capire
Davvero quello che dicevi
Ci voleva l’undici a New York
Ci voleva per me
Che non so dire...
Perché la tua morte non mi ha insegnato a vivere
Mi ha solo permesso di continuare a vivere.
Senza la tua morte
Sarei già morto
Invece sono vivo e lo scrivo.
Sei morta per costringermi
Al referto in carta velina,
Per mandarmi in tempo alla tac
E farmi operare
Prima.
Ma dovevi dirmela la storia delle Gorgoni,
Non tacere sempre perché poi
Me le sarei trovate davanti,
Come ora che cammino ansimante e giro al largo
Dalle ombre che trascinano
Sacchi pesanti tra i vecchi
Grattacieli di New York
Ingrigiti dal tempo.

La lunga nota medievale

Ma voglio quegli anni o gli anni nuovi,
Mi sorprendo a chiedermi: un
Tuffo nell’ignoto o la strategia del noto?
Da capo rivivendo quel nostro decennio
Con la testa di oggi,
O ritrovandomelo intatto da stordire?
Si ripresenta la fuga dal padre
Perdutasi nel nulla verso oriente
Dopo che conventi e osterie
Bordelli e sacrestie
Mi ebbero accolto e scacciato
Nutrito e denunciato.
Poi apparisti tu, Jucci, e io...
Fammi almeno risentire
La tua lunga nota medievale,
Con quella in mente
Voglio trasmigrare.

Della croce riflessa

Della croce riflessa
Dalla vetta estrema nel laghetto
Di madreperla stamattina
In attesa che a ciotola tu ponga le tue mani
E io possa arrivare lì a nascondere il viso.
Una dimensione la tua ora
Bisecante la mia e non tagliente,
Rimarginano le pause le acque dolci.
E la tua voce disegna come allora
Il semicerchio della neve
Che si scioglie in roccia.
Oggi che sarebbe tempo di parlare
Dei libri usciti.

Sapessi, tiglio

Sapessi, tiglio, come ti guardava
Jucci nel settantanove
E le mancava il fiato per dirti
Che ti amava, pur così conciato,
Potato come me dal parrucchiere,
Ma per questo robusto. Tu qui ancora
E senza fili,
Fantaccino impiccato.

La mia invarianza

La mia invarianza dopo tanti anni
Non è cellulare o prospettica:
Se in quei giorni pensavo
A quanto mancava,
Vedevo una nebbia sottile
Su un lento futuro.
Poi la nebbia è calata davvero
Ed è diventata la vita.
La mia invarianza resta solo dentro
Ai fatti della storia che ho vissuto,
Al muro di Berlino e al nostro amore
Irrigidito alla sua ombra,
Mentre le cellule e le prospettive
Sono tutte mutate.
Restano però i rumori conosciuti
Delle piccole vite delle rane
Nei fondali bassi,
Resta il nocciolo che fiorisce
Quando tutto attorno è ancora bianco,
Resta la lotta degli uccelli
Che osservavi cupamente
Divenendo poi la spettatrice
Di un balletto di piume.

L’infinita paura

Mi fa paura l’acqua del canale
Mi ha sempre fatto paura e piangere il canale
Perché non si giunge a riva.
Non vedevi gli appigli,
Agnellino di montagna che tremi,
Corpo desiderato.
E il mio spavento ti penzolava davanti...
Eravamo una bocca che parlava a un orecchio
Per giurare qualcosa.
Quanto vorrei quanto sostituire
– Mentre si porta al mio fianco, assomiglia
A un serpente dorato il ruscello –
Quell’infinita paura con la gioia.
Ma tira calci il torrente, non senti
Quanto minaccia le baite da vicino la gente?
È un intero paese con le lacrime
Un luogo che piange.
E tu mi cerchi dietro il vetro smerigliato.
Non li sento e anche tu non dire che li senti...
Io da qui vedo solo
Un trattore alto e rosso sulle ruote
Saziare di letame la terra isterilita.
In profondità vedrò di seppellire i nostri cocci
Per tenere drenato il terreno.
Sei la solita a...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Jucci
  3. I. DIETRO UN MURETTO
  4. II. SOLO LICHENI E TUNDRA
  5. III. I RIFUGI SEGNATI
  6. IV. LE MANICHE DISTANTI
  7. V. COLLINE DI TULLE NERO
  8. VI. DEMOISELLE ANGLAISE
  9. VII. COME UN ETERNIT
  10. Note
  11. Copyright