Introduzione. Una terra straniera
1 M. Bloch, Apologia della storia, o mestiere di storico, Torino, Einaudi, 1950, 19787, p. 41.
2 AUSSME, F.M. 4, b. 8, fasc. 6: Legione Allievi Carabinieri Reali Roma – Comando battaglione – n. 4/4-5 di prot. ris. pers. Roma, 18 settembre 1943 – Al Comando della Legione Allievi Carabinieri Reali, p. 1.
3 Ma non senza perdite: «in successive puntate del nemico, avvenute dalle ore 9 alle ore 12 del 9 [settembre] detto, cadevano al posto di combattimento sette allievi della 5ª e della 6ª compagnia non potuti identificare perché la zona rimase costantemente controllata dalle armi leggere nemiche» (AUSSME, F.M. 4, b. 8, fasc. 6: Legione Allievi Carabinieri Reali Roma, cit., p. 4).
4 I carabinieri hanno sempre svolto il ruolo di polizia militare, garantendo la sicurezza nelle retrovie, la sorveglianza dei comandi, la scorta agli ufficiali superiori; ma solo alcuni di loro, e non in tutti i conflitti a cui ha preso parte prima il Piemonte e poi l’Italia, sono stati chiamati a formare reparti combattenti propriamente detti. Questi ultimi sono i principali protagonisti del mio saggio.
5 «L’istituzione dell’Arma dei Carabinieri risale al 13 luglio 1814, anno in cui con Regie Patenti di Vittorio Emanuele I fu costituito un corpo di militari “per buona condotta e saviezza distinti”, i quali, oltre all’onore di contribuire alla difesa dello Stato in tempo di guerra, furono “specialmente incaricati di vigilare alla conservazione della pubblica e privata sicurezza e andare all’incontro di quei disordini che potrebbero intorbidarla” in tempo di pace. Il nuovo organismo ebbe la prerogativa di occupare il primo posto nell’Armata» (I Carabinieri 1814-1980, a cura di P. Di Paolo, [Roma], Ente editoriale per l’Arma dei Carabinieri, 1980, p. 9).
6 Cfr. T. Guarducci, L’esericto piemontese nella campagna del 1815, in «Rivista militare italiana», 43, 1898, pp. 1044-1070, p. 1066.
7 I Carabinieri 1814-1980, cit., p. 22.
I. Virtù e fortuna
1 Carlo Alberto, re di Sardegna, Memorie inedite del 1848, tradotte sugli autografi francesi del re ... da Carlo Promis, soppresse nel 1848 ed oggi per la prima volta pubblicate e commentate da Alberto Lumbroso, Milano, Corbaccio, 1935, pp. 226-227.
2 La frase venne pronunciata dal generale francese Pierre François Joseph Bosquet (1810-1861), comandante della 2a divisione e poi del II corpo d’armata durante la guerra di Crimea, che osservò – assieme a molti altri ufficiali del corpo di spedizione alleato e al corrispondente di guerra William Russell – l’inutile sacrificio della Light Brigade dalle alture a sud del campo di battaglia.
3 Cfr. T. Brighton, Hell Riders. The Truth about the Charge of the Light Brigade, London, Penguin, 2005; R. Dutton, Forgotten Heroes. The Charge of the Light Brigade, London, InfoDial, 2007.
4 Gioacchino Murat (1767-1815), maresciallo di Francia e dall’agosto 1808 re di Napoli, definito da Napoleone «il primo cavaliere d’Europa» per aver guidato personalmente alcune delle più audaci cariche dell’epoca, fu il primo a essere soprannominato beau sabreur («bello sciabolatore»), espressione diventata poi di uso piuttosto comune, nel XIX secolo, per indicare i soldati di cavalleria.
5 Lord Tennyson, The Charge of the Light Brigade, vv. 49-50 («quando potrà mai svanire la loro gloria? Oh, che carica furiosa...»). L’opera di Tennyson, poeta laureato del regno, venne pubblicata per la prima volta sulle colonne dell’«Examiner» il 9 dicembre 1854, un mese e mezzo dopo la battaglia.
6 J. Keegan, The Face of Battle. A Study of Agincourt, Waterloo, and the Somme, London, Jonathan Cape, 1976, p. 148.
7 Anche supponendo che il primo breve tratto, fuori dalla portata dei cannoni russi, sia stato percorso al passo, i cavalleggeri inglesi impiegarono comunque circa cinque minuti per coprire un migliaio di metri, a una velocità media di circa 12 chilometri l’ora, lontanissima dunque dal galoppo sfrenato della nostra immaginazione.
8 Cfr. Keegan, The Face of Battle, cit., pp. 154-160.
9 J. Ellis, Cavalry. The History of Mounted Warfare, Barnsley, Pen & Sword, 20042, p. 143.
10 Regola destinata ovviamente a diventare assai più ferrea dopo la diffusione dei fucili a canna rigata, nella seconda metà del XIX secolo: questi resero infatti molto più letale il fuoco della fanteria.
11 Dispaccio citato in P. Pieri, Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni, Torino, Einaudi, 1962, p. 193.
12 C. Benso, conte di Cavour, L’ora suprema della monarchia, in «Il Risorgimento», 23 marzo 1848 (in C. Casati, Nuove rivelazioni su i fatti di Milano nel 1847-48, 2 voll., Milano, Hoepli, 1885, vol. II, p. 202).
13 Pieri, Storia militare del Risorgimento, cit., p. 197.
14 Ivi, p. 201.
15 Le fortezze del cosiddetto Quadrilatero – Peschiera e Mantova sul Mincio, Verona e Legnago sull’Adige – costituivano un formidabile ostacolo per qualsiasi esercito avesse tentato di avanzare in val Padana verso Venezia, tenendosi a settentrione del corso del Po: esse rappresentavano dunque la chiave strategica del dominio austriaco in Italia, anche perché coprivano tutte le vie di comunicazione verso il cuore dell’impero.
16 Comando del Corpo di Stato Maggiore-Ufficio Storico, Relazioni e rapporti finali sulla campagna del 1848 nell’Alta Italia, 3 voll., Roma, Stab. tip. della Società Editrice Laziale, 1910, vol. III, p. 51. La colonna Bes, forte di 3000 fanti, 800 cavalieri e 8 cannoni, costituiva l’avanguardia settentrionale delle forze piemontesi; passò il Ticino a Magenta tra il 25 e il 26 marzo. A sud una seconda colonna, agli ordini del generale Trotti, attraversava invece il fiume a Pavia. Le due forze, infoltite da alcune migliaia di volontari lombardi, avrebbero potuto convergere rapidamente e «cogliere ancora in crisi il Radetzky al passaggio dell’Oglio; e dato anche che non fosse loro riuscito d’annientare le forze austriache e precederle in Verona, avrebbero potuto tentare un’azione avvolgente dal lato del Trentino, che chiudesse al maresciallo l’ultima via di comunicazione con la Monarchia e l’obbligasse, abbandonato il Quadrilatero, ad aprirsi il passo verso l’Isonzo attraverso il Veneto insorto» (Pieri, Storia militare del Risorgimento, cit., p. 200). Niente di tutto questo, come sappiamo, venne pianificato dallo Stato Maggiore sabaudo.
17 Pieri, Storia militare del Risorgimento, cit., p. 201.
18 U. Barengo, I Carabinieri nel 1848, in «Il Giornale dei Carabinieri», anno II, n. 31, 4 agosto 1929, p. 1.
19 Ufficialmente designato come «cavalleria di riserva», perché doveva restare a disposizione del quartier generale di Carlo Alberto, il reparto dei carabinieri a cavallo era però di fatto «di linea», destinato cioè a operare, se necessario, accanto alle altre unità che combattevano in campo aperto.
20 In totale, alla fine di marzo del 1848, e dopo la mobilitazione dei riservisti delle classi 1821, 1822 e 1823, l’esercito piemontese contava circa 65.000 uomini (una cinquantina di battaglioni di fanteria di circa 800 uomini ciascuno, più artiglieria, cavalleria e i servizi). Il I corpo d’armata, agli ordini del generale Eusebio Bava, era formato dalla 1a divisione del generale Federico Millet d’Arvillars e dalla 2a divisione del generale Vittorio Garretti di Ferrere; il II corpo d’armata, agli ordini del generale Ettore Gerbaix de Sonnaz, dalla 3a e dalla 4a divisione, rispettivamente agli ordini dei generali Giovanni Battista Federici e Mario Broglia; a essi andava aggiunta la divisione di riserva affidata al duca di Savoia, il futuro re Vittorio Emanuele II. Ogni divisione piemontese era su due brigate, e ogni brigata su sei battaglioni; il battaglione era l’unità tattica di manovra. L’esercito austriaco aveva battaglioni più numerosi (circa 1000 uomini), ma brigate e divisioni più snelle e manovriere, le prime formate da due, tre o al massimo quattro battaglioni, le seconde da du...