La nonna è ancora morta?
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La nonna è ancora morta?

Genitori e bambini davanti ai lutti della vita

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  1. 272 pagine
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La nonna è ancora morta?

Genitori e bambini davanti ai lutti della vita

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«Perché si muore?», «Perché Gesù è risorto e il nonno no?», «Mamma, ma quando io sarò grande tu sarai vecchia? E quando sarai vecchia, morirai? Allora io non voglio crescere, perché altrimenti dopo tu muori!» I bambini fanno spesso domande sulla morte, mettendo in imbarazzo noi adulti, affannati a trovare risposte che quasi sempre non abbiamo. Tanto più che la morte è oggi relegata nel terreno dell'impensabile, lontana, distante. Invece le perdite fanno parte della vita di tutti e crescere implica un continuo, quotidiano confronto con il dolore e il lutto. Ogni passaggio di crescita è infatti caratterizzato da una conquista, ma anche da una perdita: bisogna perdere il nostro ieri per far spazio al nostro domani. In questo senso, il lutto è evolutivo. Quando però un lutto colpisce la nostra famiglia, se c'è un bambino preferiamo quasi sempre tacere con lui, pensando così di proteggerlo, convinti come siamo che i bambini siano troppo piccoli per capire e vadano protetti dai fatti dolorosi della vita. Ma la loro «beata innocenza» è solo uno stereotipo: se c'è una grave preoccupazione o un dispiacere in casa il bambino, con i suoi sensi all'erta, lo percepisce subito. E sono proprio l'incertezza e la confusione prodotte dal nostro silenzio che più lo disorientano e che rischiano di lasciarlo solo davanti a qualcosa più grande di lui. Quando poi scoprirà la verità, cosa che alla fine inevitabilmente succede, si sentirà per giunta ingannato e tradito da coloro di cui più si fida. Invece, se un bambino che subisce una perdita viene «accompagnato» dagli adulti in modo paziente e rispettoso dei suoi tempi, dei suoi sentimenti e delle sue emozioni, attraverserà il tunnel di quel dolore uscendone non solo integro ma spesso anche rafforzato. Perché dare un nome ai fantasmi aiuta a contenerli e a renderli tollerabili alla mente. Il suo lutto sarà stato «elaborato» e non rischierà di trasformarsi in un trauma. Perché, come sottolinea Alba Marcoli, a differenza di quanto si crede l'elaborazione di un lutto non consiste nell'accettazione della morte di una persona cara e quindi nell'accettazione della perdita definitiva di un legame d'amore, consiste in realtà nel suo esatto opposto, «nella conquista di un legame interno fatto di ricordi, di emozioni, di un calore che nessuno potrà più portarci via». Ma come parlare ai bambini della morte e del dolore? Con le parole più semplici e piane possibili, con favole, immagini e metafore ci suggerisce Alba Marcoli, per far sì che un lutto non elaborato non ne blocchi la crescita psicologica ed emotiva. Perché «è diverso essere liberi di camminare verso il futuro, anche se con cicatrici e ferite, piuttosto che non riuscire a muoversi per paura di non farcela a sopravvivere».

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852054143

VII

Vita e morte

No, io credo, come credevano i nostri antenati, che al momento della nostra morte ci passiamo dei doni.
Come distribuiamo ai familiari e agli amici più intimi gli indumenti di chi è scomparso, così i morti donano il loro spirito a coloro che amano.
NOZIPO MARAIRE, Zenzele: lettera per mia figlia

Ma si sopravvive alle perdite?

Quando non si sa dove si va,
si sappia da dove si viene.
Tradizione orale africana
Un giorno, in un bosco, accanto al tronco possente di una vecchia quercia, da una sua ghianda caduta sul terreno nacque un piccolissimo alberello.
E anche la nostra piccola quercia cominciò a crescere, lentamente, molto lentamente, giorno dopo giorno, mese dopo mese e anno dopo anno, come sempre accade su questa terra. Cresceva all’ombra della vecchia quercia, protetta dai suoi rami e cullata da tutte le sue voci di vita. Il sole filtrava tra le sue foglie, la brezza le faceva tremare leggermente, gli uccelli vi facevano il nido, che si riempiva del pigolio dei nuovi nati, la pioggia vi scivolava sopra e scendeva a dissetare le radici.
Era una vita proprio piena, di grande compagnia e di grandissimo calore e la nostra piccola quercia cresceva fiduciosa e sicura. «Che bello!» pensava tra sé. «La mia vita sarà per sempre così!»
Ma un giorno, in autunno, il bosco fu sconvolto da un temporale terribile, come non si era mai visto in tutta la sua storia. La pioggia infuriava, i venti soffiavano impazziti travolgendo tutto, il cielo lampeggiava di fulmini e saette che lo illuminavano cadendo da tutte le parti. Finché uno, il più tremendo di tutti, cadde proprio al cuore della vecchia quercia e la incenerì tutta in un momento. Furono risparmiate solo le piantine più giovani, quelle nate dalle ghiande cadute un po’ più lontano, dove il fulmine non era arrivato, come la nostra piccola quercia.
«Povera me, sto morendo anch’io!» si disse lei terrorizzata quando vide tutto quello sconquasso, e cercò istintivamente di aggrapparsi forte forte alle sue radici, sperando che il terreno non cedesse. Ma la vecchia quercia, quando aveva lasciato cadere le sue ghiande, aveva avuto cura di lanciarle un po’ lontano da lei, nei punti in cui il terreno era davvero molto, molto solido e forte, più forte dei temporali, cosicché questo non cedette e protesse bene le radici dell’alberello.
«Ma allora non sono morta, sono ancora viva!» si disse stupita la nostra piccola quercia quando anche il temporale, come sempre succede con tutte le cose di questa terra, fu passato. «Sono viva, sono viva» urlò alzando gli occhi verso la vecchia quercia, ma questa non le rispose più.
«Perché non mi risponde?» si disse allora disperata la piccola quercia. «Dov’è andata la sua voce? Perché è rimasto solo un tronco bruciacchiato e tutto nero al posto dei lunghi rami verdi e morbidi che prima mi accarezzavano col vento? Perché la mia vecchia quercia mi ha abbandonata così?» e si disperava sempre più, impotente e furiosa, sia con la vecchia quercia che con se stessa.
«È tutta colpa mia se il fulmine l’ha colpita! È stato per tutte le volte che io mi sono così arrabbiata con lei che desideravo che morisse! Allora sono stata io a farla morire col mio pensiero, è per questo che il fulmine l’ha incenerita proprio al cuore!» E piangeva disperata, pensando di essere stata solo lei la causa di quella tragedia, lei e i suoi cattivi pensieri, senza sapere che i pensieri sono soltanto un prodotto della testa e non possono fare male a nessuno.
«Come vorrei tornare indietro per cancellare tutto quello che le ho detto quando ero così arrabbiata! Che cosa non darei per tornare di nuovo a ieri, prima che si scatenasse il temporale... Forse lei era così dispiaciuta con me che non si è neanche difesa dal fulmine. Ma se lei non c’è più, vuol dire che io sono proprio rimasta sola al mondo. Non potrò che morire anch’io come lei.» E così si mise ad aspettare che anche per lei arrivasse la morte. Rinsecchì bene le sue tenere foglie perché non piangessero, si irrigidì tutta sul suo piccolo tronco, e quando la brezza arrivò, rimase ferma e immobile come una statua scolpita nella pietra.
«Questa piccola quercia sta soffrendo troppo» dicevano allora i passanti che capitavano nel bosco. «Dobbiamo consolarla.» E si fermavano un po’ accanto a lei per cercare di curarla e guarirla. «Vedi quella piccola stella lassù?» le dicevano allora. «È là che è andata la tua quercia e da lì ti può proteggere e guardare sempre!»
Allora la nostra piccola quercia cominciò ad aspettare con ansia la notte per vedere spuntare le prime stelle e quando vedeva arrivare la sua, la chiamava piano piano sottovoce, per non farsi sentire dagli altri, nel modo più dolce, ma la stella era sempre troppo lontana per sentire e rispondere. E così il pensiero della sua vecchia quercia restava dentro di lei accompagnato soltanto dal buio, dal gelo, dalle domande senza risposta, mentre prima era accompagnato dalla luce, dal calore, da mille voci che si chiamavano e si rispondevano di ramo in ramo.
Passò il tempo e la nostra piccola quercia avvizziva sempre di più. Finché un giorno arrivò un altro piccolo, un uccello che si posò proprio sul cuore incenerito del vecchio tronco e cominciò a cantare una melodia tristissima. «Com’era bella la mia vecchia quercia e come mi manca,» diceva il suo canto «perché non torna? Perché non rinasce?» e le lacrime gli scivolavano dagli occhi mischiandosi al canto. «È proprio quello che provo anch’io!» si disse stupita la piccola quercia. «Ma se lo prova anche lui, forse vuol dire che io non sono più così sola al mondo.» E per la prima volta sentì un po’ di calore nel manto di lacrime gelate che le avvolgeva il cuore.
E fu così che il piccolo uccello e la piantina si fecero compagnia per tanto, tanto tempo e piangevano insieme per la struggente nostalgia che entrambi avevano della loro vecchia quercia. Ma ricordando tutte le giornate passate insieme, quello che lei aveva fatto per loro e come li aveva protetti, riparati, aiutati a crescere, cominciarono a sentir dentro di loro un po’ più di calore e di voci, invece del gelo e del silenzio.
E fu così che anche le foglie della piccola quercia furono a poco a poco bagnate dalle sue lacrime, che sono le vere e uniche parole che il dolore conosce bene, e che dissetarono le radici in profondità cadendo sul terreno. E quando fu passato abbastanza tempo, un tempo che nessuno strumento può calcolare prima, né gli orologi né tantomeno i calendari degli uomini, ecco che anche la nostra piccola quercia tornò a sentirsi viva, con i teneri rami protesi nel vento, carichi delle nuove gemme di primavera. E quando anche lei fu grande, possente, carica di frutti, di nidi, di pigolii di ogni specie, ebbe sempre molta cura di far cadere le sue ghiande su un punto del terreno forte e solido, dove le future radici potessero affondare sicure e protette.
E sapete perché lo seppe fare così bene, anche se mai nessuno glielo aveva insegnato? Perché questa era la stessa cosa che aveva fatto con lei la sua vecchia quercia. Era proprio lì, nel profondo del cuore, che le aveva lasciato il suo segreto. E un segreto custodito nel profondo del cuore è più forte di tutte le tempeste del mondo: nessun fulmine lo può incenerire e nessun vento, per quanto forte, lo può spazzare via.
Ma, per arrivare ai segreti del cuore, bisogna prima che si sciolgano i mantelli di lacrime gelate che li avvolgono, perché il ghiaccio si possa piano piano trasformare nella buona acqua che disseta la terra e perché la vita possa riprendere a scorrere come sempre: con i suoi tempi, alla sua velocità, con i suoi doni, i suoi dolori, i suoi misteri e con le domande che non hanno e non avranno mai risposta.

Fare la pace per salutarsi

A quel punto è venuta a mancare una
ragione di vita non però la vita stessa,
che continuavo ad amare.
ANNA RUCHAT, In questa vita
C’è una condizione fondamentale che ci impedisce spesso di elaborare il lutto delle persone care che abbiamo perso: è il non avere ancora fatto la pace nei loro confronti e l’avere dei conti in sospeso che ci tormentano dentro.
Tutte le nostre relazioni sono caratterizzate dall’ambivalenza affettiva nei confronti delle persone a cui teniamo: le amiamo, ma le odiamo, a volte contemporaneamente, e questo alternarsi di amore e odio è del tutto naturale e normale nelle relazioni. Ma se la persona cara ci è venuta a mancare in un momento in cui nella relazione erano presenti soprattutto pensieri di odio e di aggressività, l’elaborazione del lutto sarà decisamente molto più difficile e faticosa. Bisogna non aver più dei conti in sospeso con loro per riuscire a lasciare andare in un modo più sereno le persone care che abbiamo perso.
Tante piccole cose possono essere d’aiuto in questo percorso, fra cui lo scrivere una o più lettere d’addio: rappresenta una piccola, ma insieme grande possibilità di riaprire un dialogo che la morte ha interrotto, anche sul tema dei conti in sospeso. Può permettere di dirsi delle cose che non si sono mai dette prima, di vedere anche attraverso gli occhi dell’altro e così via. Può permettere un incontro che in vita non era ancora stato possibile, proprio perché piano piano si trasformano anche le immagini dentro di noi.
Il fare la pace credo sia un tema importante nella relazione genitori-figli. Fare la pace e non avere conti in sospeso con i propri genitori è una condizione indispensabile, nella mia esperienza, per non introdurre vecchi fantasmi anche nella relazione con i propri figli, altrimenti il rischio che si corre è quello di recitare la stessa commedia, solo cambiando i personaggi che vi agiscono. Il rischio che si corre è quello di non agire liberamente, ma solo in opposizione a qualcosa di antico.
Sono tanti gli aspetti con cui è importante fare la pace: anzitutto con noi stessi, anche per esserci spesso augurati che la persona cara morisse, nei momenti più dolorosi, quando ormai non si spera più e solo la morte sembra, e in effetti in parte è, l’unica soluzione possibile. E poi con la colpa, il sentirsi colpevoli anche del sollievo provato quando finalmente la morte pietosa arriva, come se fosse venuta proprio su nostra richiesta, quasi obbedendo al nostro desiderio di non volere, ma insieme volere, la morte dell’altro.
Un bel conflitto! Che spaccatura dentro...
E poi tutti i conti in sospeso per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, per i sogni non realizzati, i bisogni non espressi, le parole non dette.
Ecco come lo riassume bene una figlia nella lettera di addio al padre, dopo la sua morte.
L’ultimo saluto
Ciao babbo,
eccoci di nuovo qui, dopo trent’anni ti scrivo un’altra lettera, una lettera che questa volta non leggerai, ma chissà, forse questa volta mi risponderai.
Sai che cosa ho detto a un’amica subito dopo il tuo funerale? Che avrei voluto conoscerti come amico anziché come padre, per prendere la parte migliore di te, quella che durante la predica tutti hanno continuato a decantare, l’uomo colto, intelligente, curioso, appassionato, sempre una parola buona per tutti e un gesto caritatevole per chi ne aveva bisogno; mi sarei evitata volentieri la parte che invece mi è toccata, di averti come genitore-educatore, che adesso in quanto mamma di due figlie adolescenti so essere una parte pesantissima e difficilissima da gestire ...
Sai, sono stata così tanti anni arrabbiata con te, ma proprio tanti, perché non l’ha detto nessuno, ma tu eri un grande rompiballe, autoritario, inflessibile e limitante, con te non ero mai riuscita ad avere un dialogo perché mi facevi paura, con quel tuo sguardo severo, nonostante ti volessi un mondo di bene e cercassi in ogni modo la tua approvazione, ma sembrava non bastare mai quello che riuscivo a fare; e poi, non so perché, avevi deciso che non ero in grado di decidere per me, che le mie scelte sarebbero state sbagliate per il mio futuro e hai voluto scegliere al posto mio, hai indirizzato la mia vita, senza lasciarmi fare quelle scelte e quegli errori che ci permettono di crescere e di imparare a nostre spese ...
E non è solo per questo che sono stata arrabbiata con te, ma anche perché hai lasciato tanto sola la mamma, non nel senso che l’hai abbandonata, ma che ti sei fatto comunque la tua vita, con altre donne, altri interessi in cui lei non rientrava, hai cercato in altre quello che lei non ti dava e ok, adesso sono grande e so come vanno le cose, che la vita di coppia non è l’idillio e il grande sogno che uno si aspetta, che richiede impegno costante, che due persone totalmente diverse si ritrovano a condividere tempi e spazi che non sempre contengono entrambe e non nello stesso momento, ma allora non lo sapevo e mi sono dovuta sorbire tutta la frustrazione e la solitudine della mamma, che lei non è stata in grado di gestire: mi ha usata come paladino contro la sua sofferenza e la sua solitudine.
E ora che te ne sei andato vorrebbero che ancora io arginassi il suo dolore, ma io non ce la faccio, sai, è ancora troppo grande il mio dolore di figlia in questo momento, per potermi occupare anche del dolore della mamma, e posso starle vicino sì, ma questa volta senza farmi travolgere dai suoi bisogni che, sono sicura, inconsapevolmente a suo tempo mi aveva incaricato di gestire.
Ma la sai una cosa babbo? Io non sono più arrabbiata con te, in questi ultimi anni mi hai finalmente accordato la tua fiducia, mi hai visto come mamma capace, come una figlia finalmente cresciuta, in grado di prendere in mano le situazioni anche quando sono complicate, magari non sempre condividevi, ma stavi in disparte a guardare e io lo sentivo che mi lasciavi fare, ma che mi stavi silenziosamente accanto, pronto a intervenire in qualunque momento te lo avessi chiesto, ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La nonna è ancora morta?
  3. Premessa - La storia di questo libro
  4. I. Il lutto e la vita
  5. II. Malattie e morte: che fare?
  6. III. Malattie e morti in famiglia
  7. IV. I lutti non elaborati
  8. V. Da una generazione all’altra
  9. VI. Accompagnare il dolore
  10. VII. Vita e morte
  11. Epilogo
  12. Ringraziamenti
  13. Bibliografia
  14. Copyright