Anima e corpo
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Anima e corpo

Viaggio nel cuore della vita

,
  1. 168 pagine
  2. Italian
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Anima e corpo

Viaggio nel cuore della vita

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Informazioni sul libro

Alla fine, ridotti all'essenziale, non siamo che anima e corpo. Il corpo è diventato la nostra ossessione vitale, sessuale e sanitaria. E l'anima è il nostro rifugio leggiadro nella vaghezza, testimonial di dediche e canzoni, ombra emotiva, ottimo titolo per CD, libri e terapie. Il corpo viene «alla» luce, l'anima viene «dalla» luce. L'anima è il nostro cielo, il corpo è la nostra terra. In queste pagine, leggerai una breve storia di ambedue, una sarà universale e impersonale, l'altra sarà intima e puerile. Poi entrerai nel cuore dell'anima e delle sue passioni e t'inoltrerai come un visitatore nel tuo corpo, raccontando dal vivo la sua scoperta e i suoi ricordi. Quindi cercherai nell'amore la sintesi di anima e corpo e avrai eros come guida. Viceversa troverai nella morte la loro separazione, quando verranno a prenderci i nostri cari perduti. La connessione anima la vita, la separazione la spegne. Tornando alla vita di ogni giorno, affronterai questa diffusa stanchezza di vivere, questa sfiducia nel mondo, nel futuro, in Dio, negli altri e in noi stessi... Questa perdita di luce e d'incanto, questo scivolare nella china dell'epoca e questo incenerire continuo di vita, progetti e passioni. Se tutto fuori crolla, muta, si spaesa, l'ultima casa che ci resta, la più esile e la più duratura è l'anima, rifugio estremo, spalancato sul precipizio dello svanire. Queste pagine s'interrogano su quel che resta di ciò che vivi e che fai, e cosa portare in salvo. Si misurano in un corpo a corpo con la vita e ciò che la anima. Lo scopo di questo viaggio nel cuore della vita è semplice, chiaro ed essenziale: rianimare il corpo, incarnare l'anima e ritrovarla al centro dell'esistenza per non finire in balia del corpo, del tempo e della morte.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852050558

VII

La casa dell’anima

Hai visto una casa finire in brandelli, e non per un terremoto, un incendio, una fuga di gas. Una famiglia stagionata, di componenti adulti, con delibera unanime, ha deciso di sciogliersi, dopo stagionate separazioni e sopraggiunti limiti d’età. E ha deciso di smantellare la casa disabitata. Una come tante, niente di straordinario; le famiglie sono insiemi fluttuanti, ormai, si compongono, si scompongono, si decompongono. Il tempo divora le famiglie, come Chronos divorava i suoi figli. Una volta la casa era il punto fermo della vita, l’asse che non vacilla di una famiglia. Ora la vita è un punto mobile, quasi sfuggente, e la casa è diventata un bene mobile più che immobile, a volte anche un male mobile, grumo sofferto di menzogne e rancori, dove si radunano le infelicità e le frustrazioni prendono corpo; si cambia e si trasloca tante volte nella vita, oggi assai più di ieri. E la famiglia è unione fragile e provvisoria, magari di lunga provvisorietà e di indistruttibile fragilità.
Questo è il racconto di un autosfratto, l’evacuazione concorde dalla tana famigliare. La famiglia si scioglie e ognuno prende la sua strada. I ragazzi son grandi e i grandi tornano single. Chiude la casa dove un tempo viveva una famiglia. Aveva perso i pezzi lungo la strada. Andò via il padre, poi la madre, poi il figlio, infine la figlia, dopo un anno di solitudine nel vuoto domestico. E dopo di loro, in una lenta cerimonia d’addio travestita da transito merci, vanno via tutti i mobili e gli oggetti di casa, uno dopo l’altro, in una processione di arredi, ricordi e smontaggi. Il letto matrimoniale si perse per primo, poi i libri divisi tra case, il tavolo e le sedie dal rigattiere, insieme al soggiorno, i comodini e il lume che calava il cappello di luce sopra il divano. Le cose del padre seguono il padre, la credenza va dalla madre, insieme ai servizi di piatti e bicchieri e il comò di sua nonna; i quadri spartiti, i vestiti alla Caritas, scartoffie agli appositi cassonetti, le stanze dei ragazzi naufragate nell’incuria degli abbandoni. Perduta l’unità della casa, schizzano le sue porzioni.
Ogni pezzo salvato andò a far compagnia alla solitudine di ciascuno; il resto lo portò via il fiume del tempo. E un fiume in piena sembrava davvero la roba che usciva di casa: come un’alluvione affioravano nel gorgo tranci di passato, lacerti di vita, poltrone, cuscini, lampadari e vassoi, tazze di latte, provviste scadute. Il catalogo di quasi un trentennio, l’inventario di una casa disfatta. Abiti, abitudini, abitare, tutto vortica nella centrifuga del tempo. Finisce la casa, subentra la foresteria, piccoli profitti occultano perdite gravi.
L’hai vista andare via pezzo su pezzo, la casa, come a un’asta fallimentare del destino, quasi per divertirvi. Voi battevate i pezzi all’incanto e loro si spartivano il bottino, saccheggiando il vostro passato. Vanno via come felini con la preda penzolante dai denti o come formiche operose che si caricano tra il dorso e le zampe la mollica più grande di loro. Per terra, sui muri, perfino sui vetri restano le tracce del passato, aloni del tempo e chiazze di vita trascorsa. Fate piano con la poltrona, voi non vedete ma sono ancora seduti i ricordi, sono fragili come vetri, le schegge feriscono...
La fine ricorda l’inizio, la casa vuota da cui cominciò. Ora ti scorre davanti, come in un trailer a ritroso, il riassunto di una vita vissuta, tramite icone, feticci, reperti di vite scadute, strati geologici di età precedenti. Esonda il passato sprigionato dai pezzi divelti: pianti notturni, scene d’amore e di gelosia, compiti a casa, pagine scritte coi bambini in braccio, porte sfasciate, pranzi sereni, giochi puerili di bambina con la testa ficcata dentro il divano, le preghiere serali nell’altra stanza, fraseggi nostrani, maschere di carnevale, vestiti di comunione, album di pianeti temporali perduti. Si sbaraccano brani di vita, il futuro è impaziente e batte nervosamente le dita. Non resta che resettare.
Ricordi la gioia del trasloco da bambino. Mezzo secolo fa, la casa da vuotare, il piacere di una casa da riempire, l’attesa eccitante del nuovo. Allora lasciavate solo i muri alle spalle, non le persone. La sera si mangiò pesce fritto, era di buon augurio. Si va tutti insieme a star meglio, nella casa più grande, col termosifone, un balcone infinito, la loggetta. Niente più stufa, borsa calda a letto, sei persone in tre stanze e un bagno solo. L’euforia di un trasloco dall’arcaico al moderno.
Nel presente trasloco non manca il piacere della catarsi, il gusto di liberarsi d’annosi fardelli e rendere leggero, essenziale il proprio bagaglio; il piacere di aggiudicarsi filetti del comune passato, sbucciati dall’atmosfera di casa. Via la zavorra. Non manca pure la dissennata euforia del vuoto, la gioia di resettare, sgombrare la vita d’intralci e rottami. Tabula rasa per farsi volatili. Ma alle spalle del cupio dissolvi risale l’horror vacui. Si decostruisce una casa, il contrario di un atto di fondazione. Smembrare una casa, cioè dividere i membri. Smembrare una casa, il contrario di rimembrare. Era rimasta la casa a raccontare della tua famiglia e a provarne la trascorsa esistenza. Anche le case hanno una loro personalità, ciascuna ha un suo odore, un carattere proprio; recano le impronte digitali di una vita, s’impregnano di gioie e dolori vissuti tra le loro pareti. Hanno un DNA inconfondibile, le case.
Questa è la piccola storia domestica di una famiglia disciolta nell’acido corrosivo del tempo, che decise di cancellare i ricordi nefasti e riconvertire i resti salvabili in monodosi. La famiglia si scioglie, come l’orzo solubile che era nella credenza; lascia detriti al passaggio e macerie dentro di sé, cicatrici remote che non sanguinano più. Ciascuno va incontro alla sua vita, al suo futuro, alla sua vecchiaia. I componenti si guardano come naufraghi, sopravvissuti al disfarsi del loro mondo comune, e prendono strade diverse. Non si tratta di addii e non ci sono dissidi; ci si vedrà come sempre, si sta insieme talvolta. Ma il luogo comune si spezza, non c’è più la «nostra» tana. Un tempo la casa si smantellava con la morte dei cari; oggi, che fortuna, si muore da vivi.
Se la famiglia ha un’anima, il suo corpo è la casa. In quel luogo è rappreso il suo tempo, nei suoi spazi si condensano le stagioni della vita. La casa è il luogo materiale e spirituale, fisico e affettivo per eccellenza dove l’anima e il corpo si trovano più a loro agio e si sentono in famiglia con i luoghi, le memorie e le cose, oltre che con le persone. Vi sono case che somigliano a rifugi, alcove, ricoveri e case che somigliano a destini. Le prime sono domicili, le seconde invece, configurano la casa dell’anima.
Se la casa è il corpus famigliare, ogni oggetto vissuto insieme e passato attraverso le esperienze di ciascun famigliare diventa una costola, un osso e perfino un organo di quel corpo. Il suo corridoio è il suo sistema circolatorio, con le sue arterie e le sue vene, dove scorre il sangue e poi affluisce in ogni singolo organo vitale. Il suo cuore è il focolare che poi riscalda e irrora ogni ambiente. La sua testa è il soggiorno, le finestre sono i suoi occhi, i balconi sono i suoi polmoni.
L’intestino della famiglia si chiama cucina e il retto si chiama bagno dove si posano anche le natiche; gli arti superiori e inferiori riposano nelle camere da letto dove dimorano anche i genitali. La casa è l’estensione di un corpo umano, la proiezione delle sue membra e dei suoi abbandoni. Ma nel suo insieme la casa ha un suo carattere, una sua impronta: quel principio di unità è l’anima della casa. Ciascuno vive mentalmente in tre case: la casa natale (o delle origini); la casa vivente (o del presente); e la casa ideale (o dei sogni). Raramente le tre case confluiscono in una sola, a volte si accorpano due di esse, in formazione variabile. I ponti collegano due sponde, non tre. Di rado infatti la casa natale è la casa presente, altre volte accade che la casa ideale coincida con la casa delle origini, ma è quasi impensabile che la casa vivente coincida con la casa ideale. L’ideale ispira il reale, è arduo pensare che vi coincida, cesserebbe di essere ideale. In una sequenza puramente temporale, la casa natale s’identifica con il passato, la casa vivente con il presente e la casa ideale con un utopico futuro. In una dimensione spirituale, le case dell’anima sono quella natale e quella ideale; case trascendenti, soprannaturali. Ma può accadere che dimora spirituale sia anche la casa presente, se i suoi abitanti hanno un legame d’anima più forte di un legame occasionale, convenzionale o solo corporale, in senso erotico, genetico o viscerale. Quando una casa si percepisce come unità, e quando la sua coesione è affidata alla sorte e non al patrimonio, all’essere e non al suo farsi e disfarsi, allora si può dire che la casa abitata coincide con la casa dell’anima. La casa dell’anima è la casa del destino. La casa dell’anima nella sua più compiuta rappresentazione ha visto nascere e morire al suo interno, ha ospitato le più grandi gioie e i più gravi dolori. Il tempo più significativo si è raccolto in quello spazio, in cima allo scorrere quotidiano della vita ordinaria.
La casa natale può anche non essere la casa ove si nacque, o può essere la casa dei propri antenati, dei nonni, o la casa di villeggiatura, la casa d’infanzia, comunque è la casa in cui ha avuto luogo più che altrove la propria identificazione e il proprio incanto; è la casa del passato perenne, che ti resta dentro anche se muti abitazione, città, universo. Così la casa ideale può essere un mito di fondazione a cui vorresti conformare le tue dimore postume o provvisorie, di cui la casa reale ne è solo la pallida copia o il timido annuncio. La casa sognata è il frutto di una felice unione tra l’archetipo e l’idealtipo, cioè tra la casa delle origini e la casa della destinazione ideale, e allora il ricordo dell’una assume i tratti della casa ideale e le fattezze immaginarie dell’altra trasfigurano aspetti della casa d’infanzia. I mattoni della casa ideale sono fatti di sogni e ricordi, utopie e nostalgie, che si mescolano fino a rendere quasi impossibile distinguerli.
Vi è poi, a latere, distaccata, una quarta casa assai diversa dalle altre, denominata estrema dimora che presso gli egizi si chiamava Casa Eterna, contrapposta agli asili/esili mondani. Quella casa è la stazione da cui partire per il viaggio nell’eternità in compagnia delle cose più care. La tomba venne considerata propriamente la casa dell’anima o delle anime, anche se raccoglie le ceneri dei corpi. La tomba di famiglia, frequente nella civiltà cattolica e mediterranea, più rara nella civiltà protestante e individualista, era la prosecuzione della casa nell’eternità. Ma quella casa estrema è piuttosto il segno della pietà dei vivi, il deposito delle loro illusioni e forse dei loro feticismi; non può definirsi casa dell’anima, semmai stazione di transito, casa cantoniera e magazzino dei corpi disfatti, dove le anime lasciano le loro vestigia corporali e prive di indumenti carnali, nuotano nell’aria. L’anima non abita nei cimiteri.
L’anima ha comunque bisogno di un luogo che sente come casa; e questo vale sia nella prospettiva di una casa famigliare sia di una casa della solitudine. Concorrono in modo decisivo alla casa dell’anima non solo coloro che l’abitano o l’hanno abitata ma anche presenze allusive, lari e penati in forma di autori, di opere e libri, di ritratti e paesaggi, oggetti simbolici strettamente legati a esperienze spirituali, luoghi, anfratti e finestre, eventi e passaggi. Quante volte le cose parlano all’anima più delle persone. E non solo quelle cose che recano o captano segni e segnali e riversano messaggi, parole, musiche, voci, immagini. Ma anche oggetti plasmati da chi li visse o da chi li creò, scatole nere di esistenze personali e comunitarie che ancora raccontano la loro presenza e se le porti all’orecchio spirituale come conchiglie ti fanno sentire il muggito della vita, le onde dei ricordi. A volte le cose, quando si sottraggono all’uso meccanico e alla loro genesi seriale, e attingono alla vita più vera di chi le maneggiò o solo le contemplò, sono corpi pieni di anima, seppur riflessa. La casa dell’anima è il luogo degli oggetti parlanti. Quante tende animate dal vento hanno velato e svelato l’intimità quasi respirando come i suoi abitatori, quanti bicchieri hanno baciato bocche assetate trattenendo l’orma di parole, sospiri e pensieri, quanti secretaire hanno custodito memorie, spasimi e gloriose vestigia, quanti letti hanno accolto gli eventi più significativi nella vita di un uomo e di una donna e anche le loro capitolazioni; al sonno, ai sogni, all’eros, ai lattanti, all’ozio, alla malattia, agli sconforti.
Ogni casa dell’anima ha una cripta dove custodisce le sue radici segrete, ha le sue nicchie inviolate e i suoi punti di accoglienza e ritrovo, gli angoli reconditi o perfino proibiti, le soffitte e le cantine dove è depositato il passato in cassapanca e il futuro in forma di provviste; una costellazione di luoghi e di atti sacri, di riti e di liturgie, e perfino un odore suo inconfondibile e un intreccio tutto suo di zone d’ombre e punti di luce. A coglierlo, a volte, è solo uno dei suoi abitatori, gli altri li vivono e li respirano inconsapevolmente, o ne sono ignari. Ma una casa dell’anima difficilmente può avere abitatori estranei alla sua unità di destino. La soglia di una casa dell’anima separa il luogo sacro dal mondo profano, modula e distingue due tipi diversi di presenza e di esistenza, ha una sua atmosfera irriproducibile che ne costituisce il suo fiato e la sua magia. Entrando, avverti il passaggio, percepisci la differenza.
La compiuta perfezione della casa dell’anima è nell’avvertire dentro il suo cuore qualcosa che ci mette ad agio in assoluta intimità, che ci fa sentire interamente, teneramente e profondamente noi stessi. È il luogo in cui siamo più disarmati, offriamo inermi la vita, la nudità, il corpo senza maschere e precauzioni. La protezione è già nella casa. Se sposiamo la sua domestica alchimia, l’avvertiamo come luogo dell’autenticità più genuina, in cui non siamo altro che noi stessi e ritroviamo nella sua aura la continuità con ciò che fummo e ciò che saremo. Dove stiamo andando? Sempre verso casa, dice il poeta. Ma non era solo una romantica evocazione. Ci sono lontananze così estreme che ci portano nei pressi di casa, assai più di banali prossimità ed esteriori somiglianze.
Non c’è esistenza viandante, remota, perfino randagia, che non nutra, anche solo in forma di nostalgia, il desiderio di tornare a casa. O in subordine elegge un luogo a punto di raccolta e di riferimento. Chi crede che la vita mutante, i domicili variabili e le unioni provvisorie abbiano definitivamente cancellato il bisogno di una casa dell’anima, mente nel profondo dell’anima. È bello andare se sai di poter tornare, è più bello il cielo aperto, più bella l’avventura, se porti dentro di te la memoria e il presagio di una casa che ti aspetta. Anche i nomadi più irrequieti, dalla Patagonia all’infinito vagare, confessano il desiderio di tornare a casa. L’infinito ci attrae senza smarrirci se sai che c’è un luogo concluso pronto ad accoglierti come una tana dello spirito e a restituirti familiarità con la vita. Il moltiplicarsi dei siti virtuali, il proliferare dei domini senza domus, i condomini mutati in account, il domiciliarsi presso indirizzi e-mail al posto delle residenze fisiche, acuiscono anziché spegnere il richiamo a una casa dell’anima, originaria e/o ideale, e accentuano lo scarto tra la insignificante fisicità di appartamenti abitati a tempo, per caso o per opportunità, e la metafisica della casa-destino, che è posta all’Inizio e alla Fine del nostro andare. Un tempo vi fu la distinzione tra la sfera naturale e la sfera soprannaturale, è il momento di pensare la differenza tra la sfera tecnica e la sfera sopratecnica. La tecnica espande e potenzia il corpo umano, le sue mani come le sue gambe, i suoi organi e il suo cervello; la sopratecnica espande e potenzia l’anima, perché accresce e prolunga parole, canti, visioni, affetti, emozioni. Più vivremo in transito nel mondo, più saremo sradicati globali, nomadi cosmonauti e apolidi cittadini del pianeta e più avvertiremo il conato nostalgico che ci conduce spiritualmente a una casa definitiva. Punto di partenza e di approdo da cui si parte, diparte, ritorna. E la casa via via si fa corposa metafora di famiglia, comunità, patria.
La casa dell’anima è il fulcro di una topografia, e forse di una geografia, dell’anima. Oltre la casa dell’anima vi sono luoghi dell’anima che non sono semplicemente luoghi diletti, dove stiamo bene. Sono luoghi liberi dalla necessità, dove nessun obbligo, nessun impegno, nessuna convenienza ci impone di andare. Sono luoghi che ricompongono in unità la nostra vita, riconciliano la nostra condizione presente con la nostra origine e la nostra infanzia, anche se da bambini non ci siamo mai stati. Sono luoghi significativi e non funzionali, che danno senso e bellezza e non vantaggi o servizi; località che non si raggiungono con uno scopo perché esse stesse sono lo scopo.
Sono i luoghi in cui l’anima si sente a casa, universi di senso anche in miniatura, con una loro intrinseca compiutezza. Possono essere luoghi di culto, palazzi carichi d’arte e di storia, scorci di paesaggio, angoli di periferia, strade e perfino borghi interi o case un tempo abitate da spiriti magni che hanno lasciato il loro alito e la loro magia. Ma luoghi dell’anima possono essere anche luoghi della natura, senza tracce umane, spazi aperti dove la luce, l’aria e la terra s’intrecciano in una speciale armonia; cime e campagne, rocce, torrenti e discese al mare, boschi, radure e grotte. Sono paesaggi che parlano nel loro muto linguaggio perché corrispondono a una nostra geografia interiore, fanno rima baciata con paesaggi che portiamo dentro e che a volte battezziamo stati d’animo. Quando si fa il sunto di una vita sono quei pochi momenti vissuti in quei rari luoghi in cui ti sei sentito veramente a casa a restare impressi nell’anima.
I luoghi dell’anima sono l’esatto inverso dei non-luoghi, ovvero degli spazi che non hanno alcun legame significativo né con il posto in cui sorgono né con le persone che vi stazionano o vi transitano. Ma non si possono escludere prodigiose alchimie e i non-luoghi diventano, in alcuni risvolti periferici, in alcuni anfratti marginali, posti dell’anima nonostante la loro destinazione d’uso puramente anonima e funzionale. L’anima a volte si prende le sue rivincite e sporca di vita vera e calda i freddi spazi dell’inappartenenza seriale. È difficile sterilizzare la vita del corpo, più arduo è sterilizzare quella dello spirito. È facile dire che il contrario dei luoghi dell’anima sono le discariche dove si raccolgono gli scarti di una società. Ma pur nel loro agglomerato di rifiuti, le discariche sono cimiteri del consumo e come tali conservano un pur tetro e ripugnante legame con la vita vissuta; il non luogo è invece asettico, le tracce di vita sono da cancellare, l’umano è di troppo se non si attiene alla sua frigidità e ai suoi automatismi. Nelle discariche si raccoglie la vita disfatta delle merci, riflesso di vite a perdere; nei non-luoghi è escluso tutto quel che indica identità, differenza, anima, è luogo che per essere universale si fa atopico, per tutti cioè per nessuno, intercambiabile, mefiticamente neutro.
Cercare i luoghi dell’anima è un esercizio delicato e gioioso, essenziale per il ristoro dell’anima e la sua amicizia col mondo, anche se rasenta l’illusione e rischia l’evanescenza. Perché l’anima non ha sede solo nel foro interiore di noi, ma s’imprime nei luoghi, intride i centri focali del mondo e talvolta assume il ruolo di genius loci. L’espressione che meglio definisce l’anima di un luogo e allude agli spiriti presenti è proprio quella, genius loci. Nell’era spaziale dei non-luoghi è il genius loci a dare dignità ai lacerti strappati del mondo.
Il pescatore di anime semplici
Oltre le case dell’anima che ciascuno porta nel cuore c’è una casa dell’anima che è corale e rituale e ha accolto nei secoli i suoi devoti. Quella casa è il tempio, la pagoda, la sinagoga, la chiesa, la moschea. Nella nostra civiltà la più grande impresa, ormai millenaria, che s’occupa di anime e verso il cielo le convoglia è la Chiesa di Pietro, pescatore d’anime. La sua crisi è indubbia, il suo ruolo di guida delle anime vacilla ormai da tempo, soprattutto in Europa. I suoi grandi pontefici hanno fronteggiato l’anemia spirituale del nostro tempo che è poi perdersi d’animo e perdita d’anima, in modo diverso: chi inseguendo la gloria imperitura dell’asse che non vacilla, l’Istituzione e le sue certezze; chi andando incontro ai tempi, ai suoi linguaggi e alle sue istanze; chi cercando strategie di inserimento nello spirito del tempo tramite i suoi dubbi; chi riportando la Chiesa a teatro dell’anima e comunicazione possente del suo messaggio; chi ripensando il tessuto dottrinale nell’inquieta ricerca di una Verità che fosse Pensiero vivo e non puro dogma. Ora appare alla guida della Chiesa un papa che ha scelto la simplicitas sin nel suo nome. Francesco parla da bambino ai bambini, da umile agli umili, fa della fede un elementare precetto e a volte perfino un karaoke, compie gesti comuni. Rilancia una catechesi popolare fondata su canoni di santissima banalità, che a volte sfiorano la demagogia, il gergo dell’umiltà e la retorica della spontaneità. Il suo è un Dio partecipe alla vita comune dei giorni, gioioso e accorato e parla al mondo tramite lui; Cristo su strada, la Madonna come figura di casa o della porta accanto.
Ma a rovescio anche il Demonio è di casa, s’insinua nella vita corrente e ci separa dalla gioia, inducendo al pessimismo. Fioriscono dubbi sulla via che ha scelto il papato: è l’impronta francescana della povertà come ricchezza spirituale o è la saggezza gesuitica come astuzia mimetica per entrare nel cuore del mondo? È l’anima estroversa e naive del sudamericano o è l’accorta strategia comunicativa per bucare il video dell’anima? Nel passaggio si perde il Sacro – che è distanza ieratica, rito e carisma, liturgia e tradizione regale – e si guadagna il Santo – che è umanità innalzata agli altari, dedizione agli umili, umiltà e mescolanza, purezza di cuore e semplicità d’animo. Il sacro esige soglie, luoghi puri, non mescolati col profano, spazi sacri e inviolabili. La luce non può provenire dalla stessa oscurità ma da un altrove. Il sacro evoca la trascendenza del divino, em...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Anima e corpo
  3. Preambolo - La luce, la carne e il nulla
  4. I. Breve storia dell’anima
  5. II. Storia intima e puerile del corpo
  6. III. Quel che resta della tua vita
  7. IV. Guarda, questo è il tuo corpo
  8. V. Amor che prendi anima e corpo
  9. VI. Finché morte non li separi
  10. VII . La casa dell’anima
  11. VIII. Ardori, rossori e vanità
  12. IX. Hai perso la realtà
  13. X. Sei rimasto solo al mondo
  14. Congedo - Il corpo scende, l’anima risale
  15. Copyright