Francesco d'Assisi
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Francesco d'Assisi

  1. 84 pagine
  2. Italian
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Francesco d'Assisi

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Un uomo ricco ma inappagato, un uomo "in cerca". Della realizzazione di sé, del senso della vita, di una strada da condividere.
I piaceri, le gioie, il mondo non bastano. Saranno la rinuncia, il cammino, l'ascolto a condurlo verso la meta.
Come Siddharta nell'India antica, così nell'Italia medievale Francesco, il giullare di Dio: protagonista di questa biografia scritta da un giovane Hesse, quasi una fiaba piena di poesia, ispirazione, e dello spirito più puro del poverello di Assisi.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852043208

La vita di san Francesco

Nel dodicesimo secolo viveva ad Assisi, in terra umbra, un mercante che si chiamava Pietro Bernardone, possedeva grandi ricchezze e godeva di molta stima fra i suoi concittadini, appartenendo, poiché vendeva stoffe, al gruppo eminente del ceto mercantile. Com’era uso e costume a quei tempi, ser Bernardone faceva spesso lunghi viaggi in città e paesi lontani per acquistare le sue stoffe nei mercati più famosi. Con particolare profitto e piacere viaggiava nel meridione della Franconia, dove nella ricca città di Montpellier si teneva un grande mercato permanente. Fu là che imparò la lingua franca e anche le usanze e i costumi del paese e raccolse conoscenze di vario genere. A quei tempi i mercanti che viaggiavano avevano modi e stili di vita assai diversi da quelli che vediamo oggi e spesso compivano le loro peregrinazioni non senza grandi pericoli, elevandosi quasi a cavalieri. Inoltre portavano molte novità e conoscenze da un paese all’altro, amministravano gli affari dei principi e dei potenti e, pur involontariamente, erano latori e messaggeri di nuovi eventi, dottrine, canti e cronache. Essi acquisivano così non solo vaste esperienze e raffinati costumi, ma portavano con sé e diffondevano nei diversi paesi, oltre a notizie d’ogni genere, le nuove idee di uomini saggi e i loro insegnamenti.
Detto ser Bernardone aveva per moglie donna Pica, della quale sappiamo ben poco oltre al fatto che discendeva da un nobile casato (per questo appunto veniva chiamata “donna”). Possiamo inoltre pensare che fosse originaria delle terre provenzali, dalle quali anche il marito aveva tratto il suo amore per la vita libera e armoniosa e per la lingua franca. Forse proprio perché gli antichi autori ci parlano così poco di questa nobile dama, desideriamo ardentemente poter ammirare un ritratto della sua persona, che non si può immaginare se non amabile, dolce e serena, alla maniera dei provenzali, che sanno pregare con fervore come pure cantare e poetare con grazia. E se poi si considerano i modi e la vita di suo figlio, non si può fare a meno di pensare che quell’uomo doveva aver avuto una madre straordinariamente buona.
A quei tempi si faceva ovunque un gran discutere della fede e della Chiesa, che malgrado la grande pompa esteriore pareva volgere verso un interiore irrigidimento e una lenta morte. Ciò procurava molti sospiri, soprattutto tra la povera gente, e oggi potrebbe sembrarci che i popoli di allora fossero simili a campi inariditi o a languenti animali selvatici che guaiscono e tremano per gli stenti e la fame. Come un bambino smarrito in un’oscura selva si dispera impaurito e, colto da una angoscia profonda, invoca aiuto, così negli animi di quegli uomini gridava e si agitava con crescente passione una bruciante nostalgia di fresche sorgenti. Qua e là si annunciarono dei profeti, comparvero veggenti e penitenti e si costituirono comunità, che tuttavia la Chiesa scomunicò e perseguitò come eretici e apostati.
Tutti volevano apprendere le ultime novità su questi movimenti spirituali, il più potente dei quali aveva radici nelle terre franche, e un mercante in viaggio non sentiva parlare d’altro e su nient’altro veniva interrogato con tanta insistenza. Anche ser Bernardone era ben informato di queste cose, ed è possibile che pure in casa sua se ne parlasse molto. Infatti dappertutto l’umanità desiderava una fede nuova e viva e anelava alla conoscenza di Dio e delle cose eterne che nell’insegnamento e nei costumi della Chiesa si era inaridita ed era andata perduta.
Inoltre ser Bernardone sentiva e raccontava i fatti del mondo, di guerre e di cavalieri e dell’imperatore Federico Barbarossa che regnava allora. Al Barbarossa, cui le città italiane avevano sottratto molta forza con la vittoria di Legnano, successe Enrico VI, che tornò a opprimere duramente le terre italiane. A quell’epoca anche ad Assisi fu posto a capo della città un severo rappresentante dell’imperatore: era Corrado di Svevia, nominato duca di Spoleto, che dalla sua fortezza sopra la città comandava con rigore sulle terre e sul popolo.
Nella casa di ser Bernardone, come riflessi in uno specchio, sfilavano i diversi destini e gli avvenimenti del mondo e la vita era varia e movimentata. La città di Assisi era, come oggi ancora, una località e un luogo di residenza davvero magnifici. È situata infatti sul ripido declivio di un’alta collina, e dietro di essa si erge imponente il monte Subasio; dalla città si apre un’ampia e splendida vista su tutta la regione umbra, che è una delle più belle e fertili d’Italia, con molte cittadine, villaggi, borghi e monasteri.
Avvenne nell’anno del Signore 1182 (o, come dicono alcuni, nel 1181) che ad Assisi donna Pica desse alla luce un bambino mentre suo marito si trovava in viaggio in Franconia. La madre decise di dare al neonato il nome di Giovanni. Il giorno dell’evento un vecchio pellegrino che nessuno conosceva entrò in casa e chiese di vedere il piccolo, lo prese in braccio, lo osservò con tenerezza e trasporto e proruppe in magnifiche lodi, che predicevano un grande e splendido destino. Poi il bambino fu battezzato nel duomo.
Quando però qualche tempo dopo rimpatriò dai suoi viaggi, Bernardone, il padre, chiamò il bambino Francesco e questo nome gli restò per sempre. Glielo diede, si pensa, per il particolare amore che nutriva per la Franconia e la cultura di quel paese. Infatti, fin dalla tenera età, Francesco imparò la lingua franca, che usò volentieri anche più tardi, quando per suo diletto cantava belle canzoni.
Per il resto il bambino crebbe senza molta istruzione e gli furono insegnati solo i primi rudimenti dello scrivere e del latino. Per tutta la vita prese in mano la penna malvolentieri e con fatica. Non fu certo educato per diventare un dotto d’eccezione, ma in compenso godette le gioie della sua giovane età con tanta più letizia e guardò alla vita con occhio sereno; era infatti di indole gioiosa e semplice ed era attratto da tutte le cose belle e allegre.
Mentre così cresceva verso l’adolescenza, un forte anelito cominciò a turbarlo, quasi dovesse compiere nella sua vita qualcosa di straordinario e di grandioso. Si destava nella sua giovane anima un impulso innato, velato e oscuro, ancora senza meta né certezza, come un gioioso battito d’ali. Francesco si buttò nella vita con impetuosa passione, spinto dall’enorme desiderio di conoscere e di appropriarsi di tutto lo splendore e di tutti i tesori del mondo. Particolarmente nobile e desiderabile dovette apparirgli la scelta di una vita cavalleresca e magnificente, alla quale inclinava tutta quanta la sua natura. In quegli anni risuonavano dalla Francia i primi dolci e suadenti canti cavallereschi d’amore dei trovatori provenzali, che suscitarono nell’ardente giovinetto passioni e presagi profondi, poiché egli amava la Francia un poco come una patria lontana. Essere cavaliere e trovatore divenne il suo sogno e desiderio più fervido.
Essendo suo padre ricco e stimato, anche se non aristocratico, Francesco aveva buone amicizie tra i giovani figli dei nobili, si esercitava nelle armi e nel canto, spendeva molto denaro e viveva sotto ogni aspetto come un giovane aristocratico. Godeva a piene mani delle meraviglie del mondo, indossava abiti sontuosi e belli, dava banchetti e convitti, si dilettava a cavalcare, a tirare di scherma, partecipando a giochi e balli e a ogni altro genere di svaghi. I suoi compagni e amici lo amavano molto, in parte per il suo denaro, ma non meno per i suoi modi gioiosi, affettuosi e davvero nobili, poiché per raffinatezza di costumi e nobiltà d’animo egli non era secondo a nessun barone, per quanto illustre. Gli piaceva soprattutto sperperare e far doni, poiché così credeva si comportasse un vero cavaliere. Ben presto divenne tra i giovani figli dei signori un capo e un re, un vero princeps juventutis.
Eppure conservava un cuore sensibile e compassionevole. Accadde una volta che un mendicante entrasse nei locali di suo padre implorando una piccola offerta in nome di Dio. Francesco lo apostrofò con rabbia e lo cacciò. Ma subito dopo si dolse per la durezza del suo comportamento e se ne pentì così tanto che rincorse il mendicante per i vicoli, finché lo raggiunse e gli regalò due volte quanto chiedeva.
Sopravvennero intanto tempi inquieti. Il rappresentante dell’impero, Corrado duca di Spoleto, dovette arrendersi al papa e come egli ebbe lasciato Assisi gli abitanti della città assalirono la sua fortezza, la conquistarono, la saccheggiarono e la devastarono in men che non si dica, senza lasciare intatto nemmeno un muro. L’impresa però giovò ben poco alla città. Infatti il popolino, non ancora saziato dalla devastazione della roccaforte, diede inizio a una lotta all’ultimo sangue contro i nobili, che si trovarono così in gravi difficoltà. Per uscire dall’impaccio alcuni baroni invocarono l’aiuto e la protezione di Perugia, e subito questa potente città dichiarò guerra ad Assisi e la vinse in una battaglia campale. In questa battaglia combatté, accanto a molti suoi compagni, anche Francesco, ma non dalla parte dei traditori della patria, bensì al servizio della città natale, e come molti altri cadde anche lui prigioniero dei nemici e fu condotto a Perugia. Là fu rinchiuso per un anno intero e fece ritorno ad Assisi solo alla fine del 1203.
Durante la lunga detenzione tuttavia il giovane non perse la sua allegria e la sua intraprendenza e rallegrò e confortò gli altri prigionieri e continuò a sognare e parlare della vita cavalleresca e della gloria militare con ancor più fervore di prima. Appena fu libero di lasciare Perugia e di tornare a casa, Francesco riprese subito la sfarzosa vita di gozzoviglie, arroganze e sperperi e si gettò a capofitto in ogni sorta di piacere mondano, proprio come se fosse assetato e dovesse racchiudere tra le sue avide braccia tutta la magnificenza della terra e dovesse saziarsi fino in fondo di ogni sua delizia. Al suo animo impetuoso e infuocato non era possibile risparmiare e rispettare la giusta misura, e anzi, per tutta la vita egli partecipò a qualunque cosa facesse con il cuore traboccante d’entusiasmo senza conoscere né requie né soddisfazione.
Sua madre Pica, quando le veniva rimproverata la nuova sfrenatezza del figlio, lo assolveva per un certo intuito del cuore e confidava che ben presto il Signore avrebbe riportato il giovane impetuoso sulla retta via.
Qualche tempo dopo, Francesco cadde gravemente ammalato e avvertì la mano della morte sopra di sé. Cominciò allora a comprendere che da una vita di soli piaceri non possono nascere appagamento e pace interiore, anche se, desiderando ardentemente di poter racchiudere l’intera vita in un grande amore, non conosceva la strada che porta ad altri beni. Tornò così ai festini e alla bella vita, pur senza desistere dalla ricerca di una gloria più nobile e del vero onore. Spesso raccontava come pensasse di diventare un principe e un signore che dominasse su molti uomini. Nella cavalleria, infatti, gli pareva essere racchiusa ogni causa elevata e ogni salvezza.
Si sparse allora la notizia che nell’Italia meridionale Gualtieri di Brien...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. di Hermann Hesse
  3. Francesco d'Assisi
  4. Prologo
  5. La vita di san Francesco
  6. Leggende
  7. Conclusione
  8. APPENDICE
  9. Nota
  10. nella collana - SAGGEZZE
  11. Copyright