Quattro zampe e un amore
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Quattro zampe e un amore

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  1. 180 pagine
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Quattro zampe e un amore

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Informazioni sul libro

"Eddy non dimenticherà mai il giorno in cui, tornando da scuola, trovò a casa un cocker spaniel dal manto dorato. Erano andati a prenderlo il papà e la mamma e glielo avevano fatto trovare proprio il giorno del suo compleanno. Eddy era il bambino più felice del mondo." Eddy oggi vive in un agriturismo immerso nelle colline emiliane, con la donna che ama, in compagnia di molti animali.
Ma il suo percorso esistenziale è stato molto accidentato: la scomparsa del padre, le incomprensioni con il resto della famiglia, la difficoltà nello scoprire qual è il suo posto nel mondo e tutte le altre tensioni che animano qualsiasi giovane alla sincera ricerca di sé.
Eddy, per sua fortuna, non è mai stato solo: ha sempre avuto una grande passione per i fratelli e le sorelle del regno animale. Una passione ricambiata soprattutto dai cani.
Proprio la presenza continua e fedele di tanti amici a quattro zampe scandirà le tappe della sua crescita, fino al passaggio decisivo: quello che dall'amore per gli animali conduce inevitabilmente all'amore per la vita e le persone che si incontrano lungo il cammino.
Edoardo Stoppa, il fratello degli animali di "Striscia la notizia", racconta la storia di un ragazzo che, esattamente come lui, crede che gli animali siano stati creati dalla natura per rendere migliore il mondo degli uomini. E ci riescono ogni qualvolta gli esseri umani glielo permettono.

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Informazioni

1

L’inizio

Quarant’anni e forse un po’ di più. Questa è l’età di Eddy.
Un giusto momento per fare il punto della situazione, per tirare le somme, forse perché i film e i libri letti ci hanno insegnato così, che a quarant’anni bisogna rendersi conto di quello che abbiamo fatto; bisogna cercare di guardare con un occhio clinico e distaccato, come fossimo degli osservatori esterni, ciò che abbiamo combinato fino a ora, quali sono stati i nostri errori e quali sono state le cose buone portate a termine, anche se, non so come mai... il più delle volte sono proprio gli errori a lasciare dentro di noi una traccia indelebile: nel nostro passato e, di conseguenza, nel nostro presente, così come, probabilmente, anche nel nostro futuro. Forse pensiamo, o ci illudiamo, che esaminando la nostra vita, conoscendo i nostri sbagli, avremo la possibilità di non ripeterli più; come se, riconoscendoli, riuscissimo a trovare una specie di vaccino che ci permetta di evitarli per il resto della nostra vita. Ovviamente, nella realtà dei fatti non è così: l’uomo per sua natura erra, sbaglia e, nonostante apprenda con l’esperienza, continuerà comunque a sbagliare. L’illusione però di poter cambiare tutto ciò è importante, fondamentale direi. Ed è proprio questa illusione che ci porta, in alcuni momenti della nostra vita, a fermarci e a pensare un po’ a noi stessi.
Quando veniamo al mondo non sappiamo cosa ci aspetti e quante ne dovremo passare: quante gioie potremo assaporare e quanti bocconi amari dovremo mandare giù.
Ci vorrebbe un libretto delle istruzioni, come quello che ci viene dato quando andiamo a comprare qualcosa, da consultare appena abbiamo un dubbio – adesso le istruzioni sono tutte anche on line, in modo da trovare la risposta più adatta per ogni perplessità in qualsiasi momento e ovunque noi siamo.
Be’, quando nasciamo dovrebbero corredarci di questo libretto, un “bugiardino” che ci spieghi quale sia la cosa più giusta da fare in ogni situazione. Dal momento che questo non avviene... non ci resta che procedere empiricamente per tentativi, accettando tutte le conseguenze del nostro operato.
In tutto ciò, ogni tanto fermarsi a riflettere fa bene: ci dona la confortante sensazione di aver capito e di avere un tale bagaglio di esperienza da poterlo usare come un’arma affilata per affrontare il futuro, con tutte le incognite che si presenteranno.
Ma partiamo dal principio, cioè dall’inizio della vita del quarantenne Eddy.
Eddy è nato a Milano, da una famiglia benestante. Una bella famiglia numerosa: padre, madre e quattro figli (all’epoca, a differenza di adesso, era abbastanza normale).
A casa di Eddy, i primi anni della sua vita, non sono mai mancati gli animali, che hanno sempre svolto un ruolo molto importante all’interno del nucleo familiare. A seconda dei periodi non si sono fatti mancare nulla: gatti, conigli, criceti, cavie, topolini, tartarughe, uccellini ecc.
La spiccata voglia di Eddy di stringere legami con esseri viventi non umani si era manifestata in tutta la sua intensità sin dai primordi. Gli animaletti che aveva in casa, però, non erano in grado di dare piena soddisfazione al bisogno fisiologico che sentiva di conoscere e approfondire il suo legame con tutto ciò che si muoveva.
Per fortuna la sua famiglia aveva una casa in campagna, a Montenero, in provincia di Livorno. Si spostavano lì, animali compresi, durante i weekend e per i tre mesi estivi di vacanza dalla scuola. Ciò che Eddy amava maggiormente di questa casa era il terreno di circa un ettaro che la circondava. Nella parte perimetrale alla casa il giardino era adibito a parco, ben curato, pieno di fiori e piante ornamentali. Poi c’era la parte dell’orto e, un po’ più lontano dalla casa, c’era quello che lui chiamava “la giungla selvaggia”: in realtà, non era altro che un bell’appezzamento di terreno in cui suo nonno, prima di morire, aveva piantato dei pini marittimi; poi la natura aveva preso il sopravvento dando libero sfogo a tutta la sua prorompente energia e trasformando l’area in un fitto bosco coronato da cespugli, rovi, agavi, cardi e piante tipiche della macchia mediterranea. C’era anche quello che Eddy considerava la versione toscana del Rio delle Amazzoni, in realtà un ruscelletto che contribuiva ad alimentare il Rio Ardenza, corso d’acqua di scarso interesse idrogeologico. Aveva però un grande interesse per lui, perché era un habitat perfetto per vivere le sue avventure e per incontrare miriadi di esseri viventi con cui interagire.
La sua era una passione incontenibile, si interessava di tutti gli animali: dai classici da cortile e da fattoria, che trovava in tutte le case dei vicini, ai magnifici gabbiani che, librandosi sapientemente nell’aria, si allontanavano dalla costa nei pressi di Quercianella per scandagliare le pendici del Monte Nero, fino ai più piccoli insetti. Amava scovare le ranocchie vicino al ruscello, raggruppare le chiocciole durante le giornate di pioggia, facendo a gara con i suoi fratelli a chi ne trovava di più, per poi riposizionarle sulle erbette più verdi e osservarle mentre riprendevano il loro lento girovagare. Ma ciò che più lo divertiva era inseguire le lucciole di notte, meravigliosi esseri magici che popolavano ancora in abbondanza le campagne toscane in quegli anni e che sembravano la perfetta incarnazione della voglia di mistero che non deve mai mancare fra le suggestioni di un ragazzetto. Quella delle lucciole era una vera e propria mania che lo portava a passare serate intere in giro per il giardino alla scoperta dei punti più reconditi dove scovarle, dopodiché si sedeva lì accanto e passava lunghissimi momenti a osservarle, come abbagliato dalla loro luce a intermittenza. Per contro, aveva una fottuta paura di tutti gli aracnidi e degli scorpioni, e proprio per questa ragione, forse spinto dalla volontà che accomuna tutti i ragazzini di sfidare se stessi e i propri limiti, cercava di catturarne il più possibile. Nutriva per loro un profondo rispetto e le sue imprese si limitavano a catturarli con grandi retini e a metterli in recipienti di vetro, giusto il tempo necessario per portarli da sua madre che, prontamente, dopo aver “pazientemente” preso atto della sua prodezza, si raccomandava di riportarli dove li aveva trovati e assolutamente... di non mollarli in casa!
Quella parte del giardino era il suo regno incantato, dove poteva trovare centinaia di migliaia di amici con cui passare le giornate assieme ai suoi fratelli. Passava ore e ore in compagnia degli animali in mezzo alla natura senza che sua madre se ne preoccupasse: era un bel posto dove crescere ed era anche il modo migliore per restare lontano dai guai, un insegnamento che accompagna tuttora Eddy in ogni aspetto della sua vita.
Sua nonna, Anna, scherzando con sua mamma diceva con spiccato accento toscano: “O’ quel cittino... o’ cche ci troverà di bello in quei cosi. Vedrai ce lo ritroviamo a ‘Quarke’... lì sì che con Piero Angela... e se la contano bene” – per tutta una generazione penso che Piero Angela sia stato il simbolo della scienza e della natura. Gli approfondimenti di Discovery Channel e del National Geographic erano assai lontani.
E poi c’era lui, Jack, un magnifico pastore tedesco. Era di sua zia Renata, che viveva tutto l’anno a Montenero. Lui era il padrone incontrastato del giardino della villa. Sapeva di esserlo e come un guardiano attento, per controllare che i ragazzini non si mettessero nei guai – o forse che non facessero troppi danni al suo regno –, li osservava continuamente, spesso da lontano: spostava solo lo sguardo, o al limite la testa, quel poco che bastava per tenerli sott’occhio e solo raramente si faceva coinvolgere dalle loro scorrerie. Forse perché era un po’ troppo vecchietto per farlo, ma, più probabilmente, perché il suo ruolo in quella situazione era un altro: quello di sovrintendere. E lo faceva veramente bene. Per Eddy quella presenza discreta ma costante era come un caldo abbraccio che lo faceva sentire coccolato e sicuro.
Queste lunghe fughe in campagna permettevano a Eddy di mettere una pezza alla sua voglia di libertà e di avventura.
Il centro di interessi della sua vita era infatti nella caotica Milano, città a cui lui era affezionato e a cui doveva molto, ma che sicuramente negli anni Settanta non aveva molto da offrire a un ragazzino amante degli animali e della natura. Le continue gite in campagna gli permettevano quindi di riappacificarsi con i propri istinti e con se stesso: erano un vero e proprio toccasana.
Eddy aveva capito da subito quale fosse il suo dovere nella vita: studiare, studiare duro. I suoi tenevano veramente tanto all’educazione, anzi, oserei dire che per suo padre fosse una vera e propria fissazione. Aveva così frequentato le migliori scuole di Milano: dalle bigotte suore Marcelline era passato agli austeri Gesuiti del Leone XIII e così facendo, seguendo questa strada, sarebbe arrivato fino all’università.
Ma torniamo all’età preadolescenziale, perché proprio a quel periodo risale un evento o, per meglio dire, uno di quei fatidici errori che avrebbe lasciato il suo segno indelebile per tutta la vita, come un marchio a fuoco per sempre impresso nell’io più profondo di Eddy, e che si sarebbe esternato in mille modi, condizionando il suo comportamento e la sua intera esistenza.
Tutto successe quando Eddy aveva circa dieci anni.
A parte le fughe durante l’estate e qualche fine settimana in campagna, la vita familiare si svolgeva a Milano, in un appartamento, e penso proprio sia questo il motivo per cui suo padre fosse decisamente contrario a prendere un cagnolino, cosa che Eddy e i suoi fratelli, invece, bramavano.
Erano in quattro a perorare la causa, ma soprattutto Eddy, che sentiva dentro di sé un’irresistibile voglia di crescere assieme a un cucciolotto. I bambini, quando vogliono qualcosa, sanno essere molto convincenti. Le promesse si sprecavano: “Papà, ce ne occuperemo sempre noi”, “Io lo porterò sempre fuori”, “Lo spazzolerò, giocherò con lui e gli preparerò da mangiare”.
“Papà, pensa che bello avere un cagnolino che scorrazza per casa e che ti fa le feste quando rientri dal lavoro.”
La loro opera di convincimento era diventata un vero e proprio tormentone e, alla fine, suo padre capitolò.
Eddy non dimenticherà mai il giorno in cui, tornando da scuola, trovò a casa un cocker spaniel dal manto dorato. Erano andati a prenderlo il papà e la mamma e glielo avevano fatto trovare proprio il giorno del suo compleanno. Eddy era il bambino più felice del mondo, non stava più nella pelle, niente gli avrebbe potuto riempire il cuore di gioia più di quel regalo. Tuttora ricorda in modo assolutamente vivido il suo musetto, il suo continuo rosicchiare con quei dentini appuntiti che pungevano come degli spilli.
La prima notte, contravvenendo a tutte le regole, lo aveva portato a dormire nel lettino con lui... non riusciva a staccarsi da quel meraviglioso cagnolino. La mattina seguente, sua mamma gli aveva raccontato che la sera, sul tardi, era passata in camera sua e li aveva trovati a dormire insieme. Flem, così avevano chiamato la nuova arrivata in casa, dormiva con la testolina appoggiata al cuscino. La mamma allora l’aveva presa e l’aveva messa nella sua cuccia, con un pupazzetto di peluche, ma niente da fare, al risveglio, la mattina seguente, la piccola Flem era di nuovo posizionata con la sua testolina sul cuscino di Eddy. E, da quella notte, quello era diventato ufficialmente il suo posto. Eddy aveva trovato una nuova amica con cui condividere “forzatamente” il suo letto e il suo cuscino!
Da quel momento ebbe inizio una specie di simbiosi. I due erano praticamente inseparabili: dormivano assieme, si svegliavano assieme e facevano colazione assieme: Eddy, la mattina, non iniziava a mangiare i suoi cereali se Flem non aveva i suoi croccantini nella ciotola. Anzi, avendo Eddy assaggiato i croccanti di Flem e avendoli trovati veramente disgustosi, spesso, di nascosto dalla madre, riempiva anche la ciotola della cagnolina con i suoi gustosi cereali: “Ecco qui Flem, non mangiare quelle schifezze, ti do io una buona colazione, non puoi mangiare quella robaccia puzzolente”.
Per fortuna questo non accadeva tutti i giorni!
Dopodiché, Eddy andava a scuola, dove rimaneva fino alle quattro di pomeriggio: queste erano le ore della separazione, le più insopportabili per tutti e due. Flem in quei lunghissimi momenti, nonostante fosse una cucciola, sembrava quasi narcotizzata. Era svogliata e reagiva poco agli stimoli esterni, ma non appena ritornava Eddy, la solfa cambiava: la frenesia si sostituiva alla noia e i due giocavano senza tregua, per ore e ore, fino allo sfinimento.
Eddy aveva un grande senso del dovere: a scuola aveva imparato bene il valore del “fare” e la sensazione di rimorso derivante dal trascurare ciò che andava fatto. Sapeva benissimo che accudire Flem era uno dei suoi compiti e proprio per questo, dopo aver giocato e aver fatto merenda assieme (sempre evitando con grande cura quei croccantini puzzolenti!) uscivano per andare ai giardinetti. Erano situati a un isolato da casa, al di là dello stradone della circonvallazione esterna di Milano.
Lì, si erano fatti un sacco di amici.
Flem nella vita stava ricevendo una quantità enorme di affetto, era coccolata e ben accudita. Sentiva di essere parte della famiglia e, probabilmente, si considerava alla stregua di un’altra sorellina di Eddy. Tutto questo amore ricevuto non faceva altro che riversarlo nei rapporti con gli esseri viventi che incontrava. Che fossero uomini grandi, piccini, con la barba, con i pattini o donne che facevano footing o che portavano la spesa, poco importava... per Flem erano tutti indiscutibilmente amici e faceva di tutto per darne dimostrazione correndo loro incontro, scodinzolando e, se questo non bastava, stando in equilibrio sugli arti inferiori e posizionando le sue belle zampotte sporche sui vestiti della gente, creando a Eddy non pochi imbarazzi.
Anche con i suoi simili il comportamento non cambiava: grandi feste e giochi. Non c’era cagnolino con cui non si divertisse, qualsiasi taglia, dimensione o sesso per lei andava bene: bastava giocare!
E, quando gli altri cani si mostravano un po’ scontrosi, lei in un secondo era a pancia all’aria con le orecchie basse nella posizione il più possibile remissiva: era così brava a recitare quella parte che anche i molossoidi più scontrosi si dovevano arrendere a una così manifesta volontà di pace, riponevano i loro artigli e i loro denti affilati e si allontanavano dopo qualche semplice annusatina.
Eddy, scherzando al parco con gli altri proprietari dei cani, tutto fiero, diceva sempre che Flem era il Gandhi dei cagnolini: tramite la sua resistenza passiva riusciva a far deporre le armi anche ai più agguerriti nemici.
Sono fermamente convinto che i cani abbiano la loro indole, derivante dall’appartenenza alla specie e dalla loro personale genetica, ma sono anche fermamente convinto che l’educazione ricevuta sia fondamentale per il loro equilibrio e per formare il loro carattere. Considerate che, generalmente, il cocker non è una delle razze più facili da gestire e non è neanche una delle più socievoli.
Anche Eddy era convinto di questo, e vedere che la sua cagnolina era così buona e ben disposta verso il prossimo lo riempiva di gioia e di orgoglio. Inoltre era sicuramente un buon modo per farsi nuovi amici: infatti, tutti i cagnolini che Flem tormentava per giocare, avevano un padrone che li accompagnava.
Eddy era un ragazzetto piuttosto introverso e molto timido: spesso, per lui, fare amicizia non era così facile; se poi si trattava di fare i primi passi con una rappresentante dell’altro sesso, allora diventava una vera e propria schiappa, si imbarazzava, diventava rosso e a malapena spiccicava qualche parola. All’epoca, tra l’altro, la sua scuola era totalmente maschile e tutto ciò non faceva che peggiorare il quadro generale della situazione.
Per fortuna che c’era Flem, un vero e proprio toccasana anche per questo genere di problematiche.
In modo particolare, Eddy spingeva Flem a giocare con un boxer di nome Black, di quattro anni di età: era un cagnolone molto espansivo e simpatico, sempre pronto a cimentarsi in qualsiasi tipo di attività ludica che potesse coinvolgerlo. Il fatto che avesse un ottimo feeling con Flem era sicuramente un validissimo motivo per incontrarlo giornalmente, ma forse c’era una ragione ben più stimolante per Eddy: la padroncina di Black. Si chiamava Giulia, era una ragazzetta molto carina, piena di vitalità, sempre sorridente. A Eddy piaceva assolutamente tutto di lei: il suo modo di essere spigliata, sicura di sé, era una... che dava l’impressione di saperla lunga e di avere la risposta giusta per tutto. Con quel suo look un po’ alternativo, moderno e ribelle al tempo stesso, gli faceva letteralmente girare la testa. E poi, ogni volta che sorrideva, nelle sue guance rotonde da adolescente prendevano forma due piccole fossettine, che rendevano quel viso sereno ancora più accattivante. Eddy amava quelle fossette!
Giulia era di ben un anno e due mesi più “vecchia” di Eddy; a quell’età un gap così “grande” era praticamente quasi insormontabile. In condizioni normali Eddy se la sarebbe fatta sotto e non avrebbe avuto neanche il coraggio di avvicinarsi a lei. Avrebbe probabilmente passato giornate intere negli stessi giardinetti, magari seduto su una panchina a poca distanza da lei, l’avrebbe perennemente guardata con la coda dell’occhio, carpendo tutte le sfumature del suo comportamento, cercando il momento giusto per incrociare lo sguardo, uno sguardo pieno di significati e di speranze. Quel momento, però, non sarebbe probabilmente mai arrivato e Eddy sarebbe tornato a casa ogni volta sempre più sconfitto e rassegnato. Ma, grazie a Flem, tutto era stato semplice, era avvenuto con naturalezza e così, senza che Eddy se ne capacitasse, aveva stretto una nuova profonda amicizia. L’incredibile positività ed energia di Flem avevano permesso anche questa magia.
Oramai era diventato un appuntamento fisso e imperdibile a cui non avrebbero rinunciato per niente al mondo: alle diciassette ai giardinetti di viale Cermenate, sempre, ovviamente, rigorosamente accompagnati da Flem e Black.
I quattro passavano almeno un’ora insieme, giocando, passeggiando e raccontandosi le ultime news delle loro giornate e tra le “due coppie” si stava creando un profondo legame.

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Quattro zampe e un amore
  3. Dello stesso autore
  4. Prologo
  5. 1. L’inizio
  6. 2. La perdita
  7. 3. Il vuoto
  8. 4. La ripresa
  9. 5. L’equilibrio
  10. 6. La crisi
  11. 7. La reazione
  12. 8. La ricerca
  13. 9. Il fondo del barile
  14. 10. L’alternativa
  15. 11. La consapevolezza
  16. 12. La riflessione
  17. 13. La completezza
  18. 14. Il ritorno
  19. 15. Il disegno del destino
  20. 16. Una nuova vita
  21. 17. La normalità
  22. Riflessioni
  23. Copyright