Ventimila leghe sotto i mari (Mondadori)
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Ventimila leghe sotto i mari (Mondadori)

  1. 504 pagine
  2. Italian
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Ventimila leghe sotto i mari (Mondadori)

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Informazioni sul libro

Il professor Pierre Aronnax, il suo devoto domestico Conseil e l'infallibile fiociniere Ned Land si imbarcano alla caccia di una sconosciuta creatura divenuta il terrore dei mari. Ma una grande sorpresa li aspetta tra i misteri dei fondali: è il Nautilus, un sottomarino pronto a "divorarli" e trasportarli in un meraviglioso viaggio lungo ventimila leghe, ospiti del Capitano Nemo, uomo colto e sfuggente, enigmatico come gli abissi.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852045226

PARTE SECONDA

I

L’Oceano Indiano

L’Oceano Indiano
Qui incomincia la seconda parte del mio viaggio sotto i mari. La prima, ha avuto fine con l’episodio del cimitero di corallo. Laggiù nessun mostro oceanico sarebbe mai riuscito a turbare l’ultimo sonno degli appartenenti al Nautilus, di questi fedeli compagni uniti nella morte come nella vita. «E non ci riusciranno neppure gli uomini!» aveva detto in sostanza il capitano.
Sempre una diffidenza da parte sua, aspra, implacabile, verso le società umane!
Io non mi contentavo, ormai, delle ipotesi soddisfacenti per Conseil. Questo degno giovane persisteva nel ritenere il comandante del Nautilus uno tra quegli scienziati misconosciuti che ripagano col disprezzo l’indifferenza dell’umanità. Secondo lui, era un genio incompreso che, oppresso dalle delusioni terrene, aveva dovuto cercare in un mondo inaccessibile la libertà d’azione negatagli altrove. Ma a parer mio, l’ipotesi conveniva solo da un lato alla realtà del capitano Nemo.
No, egli non voleva soltanto fuggire l’abituale mondo umano! Il suo formidabile apparecchio sottomarino non era unicamente rivolto ad appagare un bisogno d’indipendenza, ma forse erano in giuoco anche tremende contese e rappresaglie.
Per ora non vedo alcuna luce effettiva chiarire tale fenomeno, – solo dei bagliori. E devo limitarmi a scrivere, per così dire, quel che dettano gli avvenimenti.
Qual è d’altra parte il nostro legame col capitano Nemo? Egli sa che evadere dal Nautilus è impossibile. Non siamo neppure prigionieri sulla parola. Nessun impegno d’onore ci incatena. Siamo dei prigionieri chiamati ospiti per una forma di cortesia. E intanto Ned non ha rinunciato alla speranza di riguadagnare la libertà. È certo che vuol approfittare della prima occasione offertagli dal caso. Io devo indubbiamente far altrettanto. Eppure, non senza una specie di nostalgia porterei altrove con me quella parte dei misteri del Nautilus che il capitano mi ha dischiuso! Bisogna odiarlo questo uomo, in fin dei conti, o ammirarlo? È un carnefice o una vittima? E ad essere sinceri: prima d’abbandonarlo per sempre io vorrei aver compiuto questo giro del mondo sottomarino i cui inizi mi incantano. Vorrei aver osservato tutta la serie delle meraviglie nascoste sotto i mari, ciò che nessun uomo aveva ancora visto – dovessi pagar con la vita questo insaziabile bisogno di conoscere. Ben poco ho saputo finora: in tutto abbiamo percorso seimila leghe dell’Oceano Pacifico!
Il Nautilus, ora, va tuttavia avvicinandosi ai paesi civilizzati. Quando ci si offra una probabilità di salvezza non devo sacrificare i compagni alla mia passione per l’ignoto. Bisognerà seguirli nella fuga, o guidarli. Ma l’occasione si presenterà mai? In me l’uomo che la violenza ha privato del suo libero arbitrio desidera un’occasione simile; lo scienziato, l’uomo smanioso di conoscere ne ha timore.
Il 21 gennaio 1868 a mezzogiorno, il secondo ufficiale andò a prendere l’altezza del sole. Salii in piattaforma, accesi un sigaro e seguii l’operazione. Mi si confermò che quell’uomo non sapeva il francese. Varie volte feci ad alta voce riflessioni che avrebbero dovuto strappargli qualche segno d’interesse, se le avesse capite; lui restò impassibile e muto.
Intanto uno dell’equipaggio – l’uomo vigoroso che ci aveva accompagnati nella prima escursione sottomarina – venne a pulir i cristalli del proiettore. Esaminai questo apparecchio la cui potenza era moltiplicata da anelli lenticolari, così da tener la luce nel campo utile. E la luce si produceva “nel vuoto”, cosa che le assicurava insieme regolarità e intensità. Il “vuoto” economizzava inoltre le punte di grafite tra le quali si sviluppa l’arco voltaico: economia importante per il capitano Nemo, che non poteva rinnovarle facilmente.
Quando il Nautilus si preparò ad immergersi scesi nel salone. Il boccaporto venne chiuso, la rotta fu drizzata a ovest.
Solcavano adesso l’Oceano Indiano: vasta pianura liquida di cinquecentocinquanta milioni di ettari le cui acque sono così trasparenti da poter dare le vertigini a chi guardi dalla superficie. Il Nautilus procedeva in genere fra i cento e i duecento metri di profondità. Così per qualche giorno. A un uomo che non fosse come me appassionato del mare il tempo sarebbe certamente parso lungo e monotono. Invece non provavo stanchezza né noia.
Eravamo tutt’e tre in condizioni ottime di salute. Il regime gastronomico vi contribuiva largamente, e per mio conto avrei fatto benissimo a meno delle variazioni che Ned Land – per spirito di protesta – si ingegnava ad apportarvi. Per di più a quella temperatura costante non c’era da temere nemmeno un raffreddore.
Nei momenti d’emersione incontrammo grandi quantità d’uccelli acquatici, palmipedi, gabbiani o gavine. Alcuni vennero abilmente presi a fucilate e, con la debita cucinatura fornirono accettabilissimi piatti di selvaggina. Tra i grandi volatori, che vanno molto lontano da qualunque terra e si riposano sulle onde dalla stanchezza del volo, notai magnifici albatros dal grido stridente come un raglio d’asino. La famiglia dei totipalmi era presente con veloci “fregate” che rapivano d’un tratto i pesci affioranti alla superficie; e numerosi fetonti o “paglia in coda”, fra gli altri quelli “a fili rossi” che hanno la grossezza dei piccioni e un bianco piumaggio sfumato in rosa, da cui risalta il nero delle ali.
Le reti fornirono svariatissime testuggini del tipo chelonia embricata. Questi rettili scendono facilmente in profondità e possono rimaner a lungo sott’acqua, chiudendo la valvola carnosa che sta all’“orifizio” del loro canale nasale. Alcuni, quando vennero presi erano addormentati nel loro guscio al riparo da altre minacce. La carne era in generale mediocre ma le uova una squisita ghiottoneria.
Quanto ai pesci, ridestavano sempre la nostra ammirazione quando dai cristalli sorprendevamo la loro vita acquatica. Catalogai parecchi esemplari nuovi fin allora per me.
Ricorderò un tipo d’ostracioni presenti solo nel Mar Rosso, nel Mar delle Indie e nella parte d’oceano che bagna le coste dell’America equinoziale. Essi, come le testuggini e le tatuse, i ricci e i crostacei, sono protetti da una corazza non cretacea né pietrosa ma davvero ossea. Prende a volte la forma di un solido triangolare, a volte di un solido quadrangolare. Certi ostracioni quadrangolari erano sormontati, sul dorso, da quattro grossi tubercoli; notai anche dei trigoni con aculei formati dal prolungamento della loro crosta ossea, ai quali il curioso grugnito ha valso il soprannome di “porci marini”; e c’erano “dromedarî” con grosse gobbe a forma di cono, dalla carne dura e coriacea.
Nel registro quotidiano di mastro Conseil trovo annotati pesci del genere tetrodonti, o spengleriani col dorso rosso e il petto bianco. Poi degli ovoidi realmente simili a uova bruno cupo, striati da piccole fasce bianche e sprovvisti di coda; diodonti (veri porcospini del mare) idonei a gonfiarsi così da formare una palla irta di aculei; i pegasi volanti dal muso lungo, ai quali le pinne pettorali molto larghe e disposte come ali permettono, se non di volare, di slanciarsi nell’aria. I blenni saltatori rigati di nero, dalle lunghe pinne pettorali, lanciati a velocità prodigiose; i bellissimi churti dove la natura ha prodigato il giallo e il celeste, l’argenteo e il dorato; le cotte sempre sporche di limo, che nuotando producono rumore; i trygli dal fegato ritenuto velenoso; i bodiani che hanno un paraocchi mobile e infine i soffietti dal muso lungo e tubolare, veri acchiappamosche dell’Oceano, armati d’un fucile non previsto né da Chassepot né da Remington, svelti nell’uccidere gli insetti colpendoli con una semplice goccia d’acqua...
Dal 21 al 23 gennaio il Nautilus percorse duecentocinquanta leghe ogni ventiquattr’ore, a ventidue miglia all’ora. Se potevamo riconoscere le diverse varietà di pesci era perché questi, attratti dalla luce elettrica, cercavano di accompagnarci. La maggior parte, distanziata dalla velocità restava presto indietro; alcuni per un po’ di tempo fiancheggiavano il Nautilus.
Albatros, fregate e fetonti.
Albatros, fregate e fetonti.
Il 24 mattina, a 12° 5’ di latitudine sud e 94° di longitudine avvistammo l’isola Keeling, rilievo madreporico coperto di begli alberi di cocco. L’avevano visitata Darwin e il capitano Fitz-Roy. Il Nautilus costeggiò a breve distanza quest’isola deserta. Le sue draghe procurarono molti campioni di polipi e di echinodermi, e interessanti gusci del ramo dei molluschi. Alcuni preziosi prodotti della specie delle delfinule accrebbero i tesori del capitano Nemo; io vi aggiunsi una astrea puntifera, specie di polipo parassita che aderisce spesso a una conchiglia.
L’isola Keeling presto sparì all’orizzonte, e la prua fu messa a nord-ovest verso la punta della penisola indiana.
«Terre civilizzate» mi disse quel giorno Ned Land. «Saranno molto meglio di queste isole della Papuasia dove si incontrano più selvaggi che caprioli! Su quella terra indiana, signor professore, ci sono strade, ferrovie, e città inglesi, francesi e indù. Non si fanno cinque miglia senza incontrare un compatriota. Perbacco, non sarebbe allora il momento di toglier il disturbo al capitano Nemo?»
«No, Ned, no» risposi in tono deciso. «Lasciamo correre, come dite voialtri marinai. Il Nautilus si avvicina ai continenti abitati. Torna verso l’Europa; ci conduca pur là. Una volta arrivati nei nostri mari, vedremo quel che la saviezza ci consiglierà di tentare. Del resto, non credo che il capitano Nemo ci lascerebbe andar a caccia sulle coste del Malabar o di Coromandel come nelle foreste della Nuova Guinea.»
«E allora, signore, non si può far a meno del suo permesso?»
Non risposi. Non volevo discutere. In fondo tenevo a sperimentare tutte le alee del destino che mi aveva gettato sul Nautilus.
Lasciata l’isola Keeling, in genere la nostra corsa rallentò. Divenne anche più capricciosa, e ci portava spesso a grandi profondità. Si usarono molte volte i piani inclinati che leve manovrate dall’interno potevano muovere sulla linea di galleggiamento. Scendemmo fino a due o tremila metri, senza mai arrivare ai fondali estremi ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Mezzanotte in rue Jules Verne. di Bruce Sterling
  4. Cronologia della vita e delle opere
  5. Bibliografia essenziale
  6. VENTIMILA LEGHE SOTTO I MARI
  7. PARTE PRIMA
  8. PARTE SECONDA
  9. Copyright