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  1. 216 pagine
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Informazioni sul libro

Programma di viaggio: 1. La verità, vi prego, sull'Ammòre
O almeno qualche indizio 2. Lo snack, dolce o salato?
Come comprendere il Trenitaliano e l'Italo idioma 3. A-Ó
L'Alfa e l'Omega della comunicazione italiana 4. Le parole e le case
Mobilità del linguaggio delle immobiliari 5. La grammatica è una sanzione dolce
Bon ton e cazzate (varie) 6. Nel gorgo del gergo
Il politichese fra gli altri linguaggi furbeschi 7. Quanto basta
Il giusto e il gusto, nella lingua 8. "Vorrei trovare parole nuove / ma piove piove sul nostro amor"
Neologismi verso la wikilingua 9. Non ci sono più le mezze porzioni
Panflazione: il più esagerato dei mondi possibili 10. Il dito medium
SMS e altre parole e segni sulla punta del pollice 11. Sbaiaffa di riboboli clisciani
Parole vinte e parole vintage 12. Le crociate di Torquemada
Cento anni di cruciverba 13. Il segno del cancro
La parola più brutta della lingua italiana 14. Anche minimo
Questioni di dettaglio, ovvero: stare a guardare il capello

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852045134

1

La verità, vi prego, sull’Ammòre

O almeno qualche indizio

La Dea dell’Ammòre
La Mocciacha è una figura mitologica, ma io l’ho incontrata. Era immersa nella lettura. Bella muchacha, stesa in bikini su una spiaggia asturiana (era agosto), con il suo telo multicolore, negli immediati paraggi di un suo adeguato lui. L’ho anche fotografata. Leggeva l’edizione spagnola di Scusa ma ti voglio sposare di Federico Moccia (Rizzoli, 2009), dal titolo: Perdona pero quiero casarme contigo.
La mitologia oggi è quanto di più naturale esista, e quella era una scena normalissima, proprio niente di cui stupirsi. Si sa che i ragazzi, qui e là, leggono poco, ma si sa che i libri di Moccia occupano grande parte di quel poco, sia qui sia là. Forse la Mocciacha è convinta, come molti suoi connazionali, che Moccia sia spagnolo. E invece no. Moccia è italiano, perché è l’Italia la sola patria dell’Ammòre. A proposito, ci sarà una parola equivalente ad “ammòre” in spagnolo? Perdona si te llamo ammòr.
Ma cosa sarà poi quest’Ammòre? Proprio la Mocciacha potrebbe darcene un esempio. Andare ad abbronzarsi al mare con il proprio lui, dopo essersi svegliata debitamente tardi nel campeggio. Recuperate le infradito fuori dalla tenda, compiute sommarie abluzioni, ché tanto c’è il mare, guardate le novità di Facebook e Twitter sull’iPhone, commentata qualche foto delle serate degli amici lontani prendendo un caffè e una tostada con mantequilla, esauriti insomma i necessari preliminari, via, con lo scooter, alla spiaggia. Sempre vicini, lei e lui, tutto il giorno. La sera mangiano e bevono qualcosa, vanno a ballare o chiacchierano con gli amici, ritornano alla tenda e, come da protocollo, fanno l’ammòre. Ma attenzione a non confondersi. L’Ammòre non è “fare l’ammòre”: l’Ammòre non è soltanto il dulcis che si trova in fundo. L’Ammòre è anche, forse soprattutto, tutto il resto. Farsi una foto assieme, tendendo l’iPhone, stringersi mentre si va in moto assieme, mettersi un po’ di muso per potersi con dolcezza perdonare: da Mogol a Moccia, sono tanti i format amorosi e poi ammorosi, in cui immedesimarsi, che l’Italia ha fornito. I due ammorosi spingeranno un carrello pieno tenendosi sottobraccio, una volta al mese? Avranno acquistato e fotografato un lucchetto, che avranno chiuso buttando la chiave nel fiume sottostante, sul Ponte Milvio o sul Pont-Neuf durante una breve vacanza a Roma o a Parigi? Sul marciapiede davanti alla casa di lei si leggeranno ancora le scritte del disperato lui che è stato lasciato per l’attuale?
Dell’Ammòre si sa pochissimo, tranne quello che non si può non sapere perché lo sanno proprio tutti. Una cosa che non so, perché non la ricordo, è da quanto tempo lo sento pronunciare o lo vedo scrivere così: “ammòre”. È stato sicuramente dopo che tutti si erano messi a esclamare “tessoro”, con doppia s sibilantissima, come fa Gollum nel Signore degli Anelli (film). Posso sospettare che i due fenomeni siano collegati: tra l’altro il “tessoro” di Gollum era un anello, e con il proprio “tessoro” prima o poi ogni Mocciacha una questione di anello ce l’avrà.
Per capire qualcosa in più sull’Ammòre (l’amore con supplemento, l’amore col raddoppio) o almeno averne un’intuizione, una vista di scorcio, forse bisogna chiederci preliminarmente cosa fosse quell’amore la cui scempia m ora pare non bastarci più. Dov’è la differenza fra le storie d’amore e le storie d’Ammòre?
La prima traccia che abbiamo è la seguente: l’Ammòre è innanzitutto un fenomeno vocativo. Prima ancora che la relazione con una persona è il modo in cui la nominiamo. Era così anche con lo scempio “amore”?
“Amore” è una parola che si usa ancora moltissimo, ma solo parlando dell’amore degli altri. Interi drammi si sono scritti a proposito della difficoltà di dire “Ti amo”, da parte (usualmente, ma non proprio sempre) soprattutto di un uomo, nel senso maschile della parola. Usare il sostantivo o il verbo, parlando di sé e tanto più parlando alla persona interessata, è difficilissimo ed è saggio diffidare di chi lo trova invece facile. A un certo livello di confidenza può capitare di parlarne, ma specialmente in forma negativa o comunque paradossale.
Frasi standard:
“Lo so benissimo, è un disgraziato, eticamente spregevole, esteticamente mi repelle, mi maltratta, non mi ha mai offerto un caffè, a letto è una noia e non abbiamo mezzo argomento o amicizia in comune: ma non so che farci, io lo amo.”
O:
“Lo so, è bellissima, ci divertiamo moltissimo assieme, non facciamo che parlare e ridere; a letto, un sogno; mi fa regali sontuosi ed è la massima estimatrice della mia cucina, è la persona migliore che io abbia mai conosciuto; ma non so che farci: io non la amo.”
Insomma, non è che a proposito dell’amore con m semplice la si sia mai vista tanto chiara. Si può dichiarare l’innamoramento, che è per sua natura bizzarro e capriccioso, che può esserci oggi e non esserci più domani, e che è la migliore scusa per anomale inappetenze o ingordigie, distrazioni, inefficienze, ritardi, inattendibilità assortite, lapsus e actes manqués. Ma l’amore, no.
Sarà per quello che negli anni si è stabilito, evoluto e trasformato un lessico parallelo ed eufemistico, a partire da quell’inarrivabile “si parlano” (mia nonna lo diceva in dialetto lombardo: “se pàrlenn”), che designava una coppia in via di formazione tramite la delicatissima sfumatura del pronome reciproco “si” e dell’aspetto continuativo e frequentativo. Anche l’edicolante e il suo cliente “si parlano”; anche due vicini in ascensore, anche fratello e sorella, ma questo è un semplice accessorio delle rispettive relazioni. Due innamorati “si parlano”, invece, per elezione: il verbo implica che siano impegnati in una relazione, anzi nella Relazione per eccellenza.
Da alcuni decenni si è imposto lo “stanno insieme”, che esprime una gamma d’intensità che va dalla chiacchiera isolata nel quarto d’ora della ricreazione alla convivenza more uxorio con conto corrente comune, quando non con generazione di figlioli. Una volta si diceva anche “andare con”, che era una mirabile traduzione etimologica del verbo latino coire e aveva una quasi esplicita connotazione sessuale (X è andato / andata con Y). Oggi si preferiscono formule più vaghe: “uscire con”; “vedersi con”. Facebook ci suggerisce forme ineffabili: possiamo dichiararci “impegnati” o in alternativa “in una relazione complicata”. L’alternativa è buffa perché l’esperienza insegna che non si è mai tanto impegnati quanto nel mandare avanti una relazione complicata. Le relazioni stabili non affannano: rilassano. E poi c’è il sempre insufficiente caleidoscopio delle denominazioni, amichetto o amichetta, ragazzo o ragazza, fidanzato o fidanzata, partner (in calo, se non per soci d’affari), compagno o compagna, con tutti i nuovi scrupoli per la varietà di combinazioni nei gender che in Italia portano a inviti del genere “Vieni con chi vuoi” e nel mondo anglosassone hanno prodotto la mirabile formula “with your meaningful Other” (letteralmente: “il tuo Altro significativo”. Temo che Lacan sia morto senza conoscere questo omaggio che il galateo politically correct gli ha concesso, quindi, in via postuma).
E l’amore, allora? Molti pronunciavano la parola “amore” solo a vita coniugale ben avviata. Il nome della persona amata si co...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Ingrandimenti
  3. Anche meno
  4. Dello stesso autore
  5. 0. Anche meno Introduzione
  6. 1. La verità, vi prego, sull’Ammòre O almeno qualche indizio
  7. 2. Lo snack, dolce o salato? Come comprendere il Trenitaliano e l’Italo idioma
  8. 3. A-Ó L’Alfa e l’Omega della comunicazione italiana
  9. 4. Le parole e le case Mobilità del linguaggio delle immobiliari
  10. 5. La grammatica è una sanzione dolce Bon ton e cazzate (varie)
  11. 6. Nel gorgo del gergo Il politichese fra gli altri linguaggi furbeschi
  12. 7. Quanto basta Il giusto e il gusto, nella lingua
  13. 8. “Vorrei trovare parole nuove / ma piove piove sul nostro amor” Neologismi verso la wikilingua
  14. 9. Non ci sono più le mezze porzioni Panflazione: il più esagerato dei mondi possibili
  15. 10. Il dito medium SMS e altre parole e segni sulla punta del pollice
  16. 11. Sbaiaffa di riboboli clisciani Parole vinte e parole vintage
  17. 12. Le crociate di Torquemada Cento anni di cruciverba
  18. 13. Il segno del cancro La parola più brutta della lingua italiana
  19. 14. Anche minimo Questioni di dettaglio, ovvero: stare a guardare il capello
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