La morte come spettacolo
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La morte come spettacolo

Indagine sull'horror reality

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  1. 84 pagine
  2. Italian
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La morte come spettacolo

Indagine sull'horror reality

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Informazioni sul libro

Da qualche anno a questa parte veniamo costantemente bombardati da immagini di violenza estrema, soprattutto attraverso Internet che ne permette una diffusione rapidissima e planetaria: percosse, abusi, torture, esecuzioni filmati in diretta da dilettanti privi di qualunque coscienza critica e direttamente immessi nella Rete. Qual è il confine tra diritto all'informazione e morbosità? Dopo la TV reality, siamo entrati nell'era dell'horror reality? Perché queste immagini sono così diffuse e incontrano tanto interesse in tutto l?Occidente? Quale visione dell'uomo esprimono? Cosa ci raccontano sui loro autori, su noi stessi, sull'evoluzione sociale? Michela Marzano risponde a tali interrogativi, indagando l'effetto di queste immagini di inaudita crudità che emergono da un sottofondo di odio verso se stessi e verso gli altri. Il loro drammatico effetto, ci dice, è che finiscono per neutralizzare ogni sentimento di umanità e portare una barbarie di nuovo tipo: l'indifferenza.

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Informazioni

L’horror reality

Da qualche anno la voce cresceva. Circolava un po’ dappertutto, allarmava gli uni, stupiva gli altri, spingeva taluni a lanciarsi in ricerche improbabili. Quale voce? Quella di film clandestini contenenti immagini di vere sevizie e uccisioni reali, venduti sottobanco a Parigi, Bruxelles, Londra, New York... Il loro nome? Snuff movies, dal verbo inglese to snuff, che letteralmente significa «spegnere, smoccolare una candela, soffocare la fiamma di un cero». Gli snuff movies, che si presumeva mettessero in scena l’uccisione reale di un individuo, dovevano circolare fra un pubblico ristretto, pronto a pagare molti soldi per vedere l’umiliazione, la sofferenza, quindi la morte.
A partire dagli anni Settanta sono state condotte diverse indagini poliziesche: l’espressione snuff movies cominciò allora a essere utilizzata dai giornalisti. Nel 1975 Joseph Horman, un sergente della polizia di New York dell’ufficio per il controllo del crimine organizzato, ha menzionato alla stampa l’esistenza di film clandestini su bobine otto millimetri. Nella stessa epoca, il «New York Post» e il «Daily News» si sono fatti portavoce delle indagini dell’FBI in seguito a voci che giravano allora su queste pellicole. Nonostante tutti gli sforzi, nessuna prova formale è mai arrivata a confermare la reale esistenza degli snuff movies. I film confiscati dalla polizia o dall’FBI erano, certo, estremamente violenti, ma si trattava sempre di finzioni e non di video relativi a uccisioni reali.
Vennero rinvenuti altri film di stupri e uccisioni assolutamente reali, creati da alcuni serial killers: quelle scene venivano riprese dagli assassini stessi per poter poi «rivivere», per così dire, tramite le immagini i momenti più salienti dei loro crimini. Ma quei filmati, scoperti dalla polizia nel corso di perquisizioni negli appartamenti dei criminali e utilizzati come prove in tribunale, non erano destinati a circolare, e meno che mai a essere commercializzati.
Eppure, a partire dall’inizio degli anni Settanta, l’immaginario del pubblico pareva sempre più sensibile alla voce degli snuff movies. Ben presto, l’industria cinematografica si sarebbe appropriata del fenomeno, producendo un certo numero di opere di fiction. Nel 1978 Paul Schrader realizza Hardcore, dove per la prima volta viene affrontata in maniera esplicita la questione degli snuff movies. Schrader, nella sua ricerca di verosimiglianza, arriva addirittura a inserire nel film le immagini di un omicidio ritenuto autentico. Qualche anno più tardi, David Cronenberg riprende lo stesso soggetto in Videodrome (1982). Questa volta, in un film che mescola abilmente realtà e fantascienza, le immagini di tortura e uccisione sono trasmesse in televisione, come se la violenza e la morte potessero effettivamente diventare un grande spettacolo. Max, l’eroe del film, dirige un piccolo canale di una televisione via cavo e propone ai suoi telespettatori delle sequenze scioccanti. Un giorno, vede per caso un programma intitolato «Videodrome». Senza trama né personaggi, è costituito da una serie di omicidi e torture. Inizialmente affascinato da quelle immagini, Max si rende progressivamente conto che «Videodrome» ha il potere di alterare il suo cervello e il suo corpo. Infatti, la società Spectacular Optical, produttrice del programma, è un’organizzazione politica che utilizza dei segnali video per manipolare gli spettatori. Max si cala così in un’allucinazione permanente e comincia a credere che le alterazioni fisiche e psichiche possano condurlo a vivere in una «nuova carne». Ma si tratta di un’evoluzione positiva, oppure di un incubo? Le scene finali del film sono ambigue. Max si abbandona alla nuova carne, e Videodrome termina con lo slogan: «Lunga vita alla nuova carne!», lanciato dal nostre eroe nel momento in cui sta per suicidarsi nel caos di un’ultima e devastante allucinazione. Sullo sfondo, lo accompagna una voce femminile: «Vengo a guidarti, Max. Hai percorso fino in fondo la tua strada. Oltre non puoi andare. Il tuo corpo ha già subito molti cambiamenti, ma questo è solo l’inizio. E in te sta già nascendo la nuova carne. Adesso c’è l’ultimo passo, l’ultima tua trasformazione. Per divenire nuova carne dovrai prima uccidere la tua vecchia natura. Ma non temere, non aver paura di veder morire la vecchia carne. Guarda: è ciò che devi fare. È facile!».
Nel 1996 Tesis, film del regista spagnolo Alejandro Amenábar, riscuote un grande successo. Narra la storia di Angela, una studentessa di Madrid che sta facendo delle ricerche per la sua tesi, il cui tema è la violenza nell’audiovisivo. La ragazza incontra un altro studente, Bòsco, uno psicopatico che rapisce giovani fanciulle per torturarle e ucciderle davanti alla macchina da presa. Affascinata dalla sua personalità, Angela finirà per guardare le immagini di tortura che compaiono sullo schermo: in questo modo il regista suggerisce che chiunque può essere uno spettatore potenziale di questo genere di video.
In seguito Joel Schumacher gira 8 mm – Delitto a luci rosse (1999), ambientato in America. Il film si apre con la scoperta, da parte della vedova di un miliardario, di una pellicola in super otto in cui una ragazza seminuda si fa picchiare e poi uccidere a colpi di coltello da un uomo incappucciato. L’indagine di un detective privato rivela allo spettatore che il miliardario aveva commissionato quel film pagandolo un milione di dollari. Lo scopo di Joel Schumacher è di suonare l’allarme e di avvertire. «Non solo non si vorrebbe mai vedere film del genere,» dichiara al termine delle riprese «ma nel profondo di noi stessi preghiamo che non esistano veramente, perché il solo pensiero è già orribile. Io mi rifiuto di credere alla realtà di simili ignominie.» Ma il suo augurio resta lettera morta, e dalla finzione e dalle voci sugli snuff movies si passa gradatamente alla realtà.
Solo un anno più tardi, si assiste infatti alla nascita di un fenomeno che non rientra più nell’ambito della semplice voce e che oggi, a distanza di circa dieci anni, sembra far parte del nostro quotidiano: video di bassa qualità che mostrano sevizie, stupri e uccisioni. Snuff movies? Sì e no. Come gli snuff movies, questi video mostrano torture e uccisioni in diretta. Ma a differenza degli snuff movies non hanno uno scopo commerciale: vengono filmati e diffusi in Internet, dove chiunque li può andare a vedere e rivedere tutte le volte che vuole. I primi video conosciuti risalgono al 2000. Mostrano immagini di sevizie e uccisioni di civili durante gli scontri in Cecenia. Inizia così una moda macabra: l’horror reality multimediale.
Il 3 aprile 2000 l’ufficio stampa del Cremlino spedisce al Consiglio d’Europa a Strasburgo una videocassetta. Contiene una serie di sequenze video che i russi presentano come crimini ceceni. Dopo una serie di studi, confrontando quella cassetta con altre meno recenti e più lunghe, ci si accorge che gli autori delle torture e delle uccisioni non sono soltanto ceceni. Ma al di là degli autori potenziali e degli scopi strategici, che possono spiegare per quale motivo la videocassetta arrivi a Strasburgo pochi giorni prima della discussione sul conflitto ceceno all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, l’aspetto sorprendente è il particolare montaggio di una serie di sequenze relative ad atti di tortura. In un estratto del video si vede un individuo incappucciato che solleva un’ascia e trancia di netto la testa di un uomo sdraiato per terra, con i piedi e le mani legati. Altre scene fanno vedere degli uomini abbattuti con un colpo di pistola alla tempia. In altre ancora, in primo piano, il viso di un ragazzo con la testa schiacciata a terra: un coltello gli taglia la gola in pochi secondi; il sangue sgorga dal tronco, mentre la mano del carnefice afferra la testa e la brandisce davanti alla telecamera...
Da allora, i video raffiguranti sevizie, torture ed esecuzioni in Cecenia si sono moltiplicati. Sono di poliziotti ceceni, incaricati di ristabilire l’ordine nella repubblica ribelle, che filmavano i propri misfatti con il cellulare. Giravano quei video per poi scambiarseli e farli vedere agli amici, ai famigliari e ai capi. La pratica poteva spingersi ancora più in là. Per esempio, un video mostra un gruppo di uomini che maltratta una donna: le rasano la testa e le dipingono una croce verde (il colore dell’islam) sulla fronte, perché l’accusano di aver avuto una relazione intima con un soldato russo ortodosso. La donna viene picchiata così forte che abortirà. Si può assistere a esecuzioni sommarie e decapitazioni. In un altro video si vede l’uomo forte della Cecenia, il primo ministro Ramzan Kadyrov, che guarda, senza intervenire, i suoi miliziani spingere diversi uomini dentro il bagagliaio di un’automobile, fino probabilmente a farli morire soffocati. Alcuni conoscenti della giornalista russa Anna Politkovskaja, assassinata il 7 ottobre 2006 a Mosca, dicono che lei sia morta per avere, tra le altre cose, osato denunciare l’esistenza di questi video. Come conferma Sergej Sokolov, ex caporedattore della «Novaja Gazeta», il bisettimanale su cui scriveva la giornalista russa, «si chiudono gli occhi davanti a questi spettacoli macabri, perché nel nostro paese la vita umana ha poco valore».
La realizzazione di video macabri si moltiplicherà e cambierà ben presto natura, quando la loro diffusione diventerà uno strumento di propaganda degli islamisti.
Il 22 febbraio 2002 viene sgozzato il giornalista americano Daniel Pearl. Il video della sua esecuzione viene spedito al consolato degli Stati Uniti in Pakistan. Alcune sequenze, in cui si vede il giornalista americano poco prima di essere ucciso dai rapitori, sono diffuse dalla rete televisiva americana CBS, che però si astiene dal mandare in onda l’esecuzione. Poco tempo dopo, il video integrale circola in Internet. L’uomo è pallido, parla lentamente, con ogni probabilità è stato drogato. Il tutto avviene molto in fretta: le sue dichiarazioni, l’atto di accusa, la decapitazione, la testa sollevata in segno di trionfo.
Il 12 maggio 2004, un’altra sequenza video, quella dell’assassinio di Nicholas Berg, un businessman americano di ventisei anni, viene trasmessa in modo parziale da tre grandi reti televisive ang...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. di Michela Marzano
  3. La morte come spettacolo
  4. Prefazione
  5. L’horror reality
  6. La società dell’indifferenza
  7. Che fare?
  8. Copyright