Nuovi Argomenti (20)
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Nuovi Argomenti (20)

  1. 150 pagine
  2. Italian
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Nuovi Argomenti (20)

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Alberto Carocci e Alberto Moravia fondano Nuovi Argomenti. «L'idea», ricorderà Moravia, «era quella di creare una rivista di sinistra come "Temps Modernes" di Sartre, la quale avrebbe avuto un'attenzione per la realtà italiana di tipo oggettivo e non lirico». Il bimestrale ha la sua redazione in via dei Due Macelli 47 (segretario di redazione, Giovanni Carocci) e viene stampato presso l'Istituto Grafico Tiberino di Roma.
Hanno collaborato: Enzo Siciliano, Adrian Leftwich, Alfredo Reichlin, Giorgio Ruffolo, Guglielmo Epifani, Biagio De Giovanni, Angelo Ferracuti, Daniele Maurizi, Andrea Carraro, Sergej Stratanovskij, Annelisa Alleva, Andrea Gibellini, Serafino Murri, Christian Raimo, Emanuele Trevi, Lisa Ginzburg, Max Vajro, Alfonso Berardinelli, Raffaele Manica, Gabriella Palli Baroni, Marco Scollo Lavizzari, Carlo Bersani, Marzio Siracusa, Attilio Scarpellini.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852041938
Image

LA PARTITA


Andrea Carraro

Timbro alle cinque in punto. Mi faccio a piedi, sotto un sole cocente, la giacca di lino appesa a una spalla, tutta via del Quirinale, per poi aspettare l’autobus di fronte al Grand-Hotel, come ogni pomeriggio di ogni giorno di ogni settimana di ogni mese che il Padreterno manda sulla terra, eccetto i week-end e le ferie e i tre o quattro giorni di malattia e permessi che di solito accumulo durante l’anno. Stavolta il barbone ch’è sempre accampato all’imbocco di via Firenze sta pisciando beatamente contro le vetrine dell’agenzia della “Chiesa Evangelica Metodista” e allora mi fermo a godermi la scena. Fra poco uscirà qualcuno e lo scacceranno inferociti. Invece niente. Lui si ritira su le brache, percorre una decina di metri, e si risiede fra i suoi cartoni e i suoi stracci. Passando davanti all’agenzia, osservo le vetrine schizzate di piscio. Il barbone mi urla: “Se ne vada, sono eretici, fanno schifo!...”. Gli sorrido e mi allontano mentre continua a urlare sempre più infuriato: “Vanno bruciati sulla piazza, ci hanno il diavolo addosso!”.
Nell’autobus le solite facce ingrugnate. Sempre la lotta a coltello per conquistarsi i due o tre posti a sedere presso il conducente. Una battaglia che perdo regolarmente. Non ho abbastanza grinta. Oppure sbaglio posizione sul marciapiede. Quella signora grassa e ritinta invece... Chissà come fa! Anche oggi la guardo con un’invidia mista a raccapriccio, bella comoda spaparanzata sul predellino recante la scritta “Riservato a minorati non deambulanti”, un’espressione di dissimulata fierezza dipinta sulla faccia, la rivista femminile già aperta sopra le ginocchia.
Scendo alla mia fermata. Mi avvio stancamente verso la macchina parcheggiata all’imbocco di via Lanciani. Come arrivo mi ficco sotto la doccia. Poi, ancora in accappatoio, accendo la tivù. La partita sta finendo. La Germania è in vantaggio sulla Spagna due a zero. Pazienza, arriverà prima nel girone. A noi è sufficiente un pareggio stasera coi turchi e la qualificazione è assicurata. Mi siedo sul divano, mettendo il volume al minimo. Ma cosa me ne frega se la Germania vince o perde? A dirla tutta non mi importa molto neppure della partita di stasera. Non sono mai stato un appassionato di calcio. Ma almeno prima che Rossana se ne andasse c’erano Gertrude e Tommaso che ci invitavano sempre a vedere le partite della Nazionale insieme ad altri amici.
Inutile pensarci. Ma come si fa? C’è la sua foto sulla mensola accanto alla tivù. Sorridente, vestita di rosso, la schiena poggiata al parapetto del ponte di Rialto fra due gruppi di giapponesi presi di spalle. A vederla non si direbbe che era reduce da un’ennesima, sfibrante litigata. Mi alzo, mi aggiro per il soggiorno come un’anima in pena. Apro l’anta della libreria, ne estraggo una cassetta. La infilo nel videoregistratore e torno a sedermi sul divano. Cominciano a scorrere le immagini erotiche. Blocco l’immagine sulla biondina che si strofina la cornetta del telefono fra le cosce. Mi eccita il contrasto fra la grazia irriverente del suo visetto di fanciulla e le sconcezze che fa. Mi accarezzo un capezzolo con una mano e il cazzo con l’altra. Poi mi tolgo di dosso l’accappatoio per fare le cose a puntino. Mi concentro sul volto, ma l’artificiosità dell’immagine fissa, la foto di mia moglie e chissà che altro mi stuccano. E allora spengo la tivù e mi rimetto l’accappatoio che adesso mi fa un bel bozzo davanti. Poggio la testa sullo schienale. Ecco, l’autocommiserazione è quello che ci vuole, fantasticare sul mio suicidio, Rossana atterrita che entra in casa e mi trova impiccato al gancio del lampadario dello studio e caccia un urlo eppoi si incolla al telefono per avvertire tutti e rompe in un pianto incontenibile, isterico che la squassa tutta...
L’incanto è già rotto. Mi alzo, mi chiudo in camera, mi stendo sul letto afferrando con gesto automatico la cornetta del telefono. Compongo il numero di Gertrude. Il segnale di libero dura a lungo. Alla fine risponde Tommaso. Gli faccio ripetere “pronto” diverse volte, poi attacco. Ho ancora il cazzo diritto, sicché da sdraiato ricomincio la sega interrotta prima davanti alla tivù. Adesso però non penso a niente. Lo faccio meccanicamente, giusto per svuotarmi i coglioni e abbassare quell’asta fastidiosa. Dopodiché indugio qualche istante supino con la pancia imbrattata. Il liquido ristagna nella concavità dell’ombelico e fra i peli pubici per poi scivolare in rivoli ai due lati del ventre. Ancora un istante e sgocciolerà sulla sovraccoperta. Cerco invano il fazzoletto sotto il guanciale facendo il possibile per non voltarmi. Bestemmio, mi alzo di scatto e raggiungo precipitosamente il bagno.
Un’altra doccia gelata, il deodorante, il profumo, una bottarella di phon sulla frangia, la camicia pulita. Ed eccomi davanti al portone, lindo e profumato. Mi tocco i capelli. Lancio un’occhiata alla buca delle lettere. Mi accosto, apro la serratura e tiro fuori un paio di bollette, una rivista settimanale cui sono abbonato e una pubblicità di elettrodomestici, che infilo immediatamente nella buca d’un altro condomino. Faccio per chiudere la serratura, ma la cassetta è stata parzialmente divelta e la chiave fatica a entrare nella toppa. Risalgo in casa, mi munisco d’un paio di tenaglie e di un cacciavite, ridiscendo e armeggio a lungo sullo sportellino, provando e riprovando la serratura. Poi suono all’interno dell’amministratore comunicandogli l’accaduto.
– È già la terza volta.
– Lo so, è successo pure a me. Dev’essere qualche vandalo che si diverte così.
– O il postino. Secondo me è il postino. Se le riviste non entrano, non deve infilarcele dentro a forza! Grazie comunque, arrivederci.
Comincio a vagare con la macchina per il mio quartiere. C’è ancora molto traffico. Rientrano per la partita e guidano nervosi, a scatti. Fra un’ora tutta la città sarà deserta. Imbocco il ponte Lanciani, mi fermo al lato della strada subito dopo il distributore della IP. Alle spalle dei cartelloni pubblicitari, una campagna che si perde lurida, abbandonata alle erbacce, fino ai lontani agglomerati di Verde Rocca.
Esther scende da un’auto di grossa cilindrata stirandosi la smilza gonnellina rossa sulle cosce. Poi fa il giro della macchina ed entra al posto del passeggero.
– Chi si rivede... Andiamo?
– No.
– Come no?
– No, no, voglio...
– Beh, che vuoi, parla.
– Ti va di venire da me? Ti pago tutta la serata.
– Per me va bene. Devo avvertire però.
– Non preoccuparti, chiami da casa mia, abito qui dietro.
Nell’ingressetto condominiale incontriamo gli inquilini del piano di sopra, la famigliola al completo: madre, padre e i tre figli maschi. Andranno a vedere la partita da qualcuno. Li saluto sbrigativo. Gli adulti tirano diritti a occhi bassi fingendo di non avermi sentito. I figli invece ricambiano il saluto e restano a guardare con gli occhi di fuori quella stangona negra seminuda con i tacchi a spillo vertiginosi che cammina al mio fianco.
Esther si arresta e fissa il più piccolo con aria materna. Allora la strattono.
– Dai, vieni, che aspetti.
Appena entrati in casa, si precipita a telefonare. La sento pronunciare una serie di sì e di no. Poi torna:
– Vuole duecentocinquanta per tutta la serata, fino a mezzanotte. Ti va bene?
Non le rispondo. La conduco in bagno, le faccio indossare la mia vestaglia estiva misto seta disegno cachemire.
– Ecco, infila questa.
Lei ubbidisce e si rimira nello specchio. È molto bella, in tutti i casi non ha più quell’aria da puttanone.
– Mi preferisci così?
Non rispondo. La prendo per mano e la porto in cucina.
– Adesso ci facciamo qualcosa da mangiare, vuoi? Come te la cavi ai fornelli?
– Ma io ho già mangiato. – Ci pensa un po’ su e aggiunge: – Però un po’ di fame ce l’avrei.
Preparo gli spaghetti, Esther una frittata con cipolle. Mangiamo con appetito, innaffiando il pasto con del Pinot grigio bello ghiacciato. Il piccolo televisore della cucina è sintonizzato al minimo sul primo canale dove fra poco daranno la partita.
Finita la cena, ci sbrachiamo sul divano davanti alla tivù grande del soggiorno. La partita sta per cominciare. La telecamera inquadra a uno a uno tutti i calciatori italiani che ascoltano ritti, gravi in volto, l’inno di Mameli. L’ultimo della fila è il portiere che sta lottando contro la commozione. Poi è la volta della formazione turca.
– Che dio ce la mandi buona! – dico, levando il braccio dalla spalla di Esther e allungando le gambe su una seggiola.
Dopo venti minuti le due squadre sono ancora sullo zero a zero. Nessuna delle due arrischia un attacco, si studiano reciprocamente a centrocampo in una noiosa melina.
– E andiamo, forza, passa quella palla!...
Mi volto per la prima volta dall’inizio della partita verso Esther. I suoi grossi occhi fissi sul teleschermo grondano lacrime.
– Be’, che t’è preso adesso?
– Niente, scusa.
– Ti ho chiesto che hai.
– Lucio sta diventando cieco.
– Lucio? E chi è Lucio?
– Lucio, il mio amico.
Ci mancava il suo amico adesso, ci mancava proprio. La guardo con un sorrisetto insolente:
– Ah, il tuo pappone, quel delinquente con l’orecchino e la coda di cavallo.
– Non è un delinquente.
– Okay, okay.
Ricomincio a guardare la tivù e le faccio segno di tacere. Esther si alza.
– Scusa, vado in bagno.
Torna poco dopo. Ha il trucco rifatto e l’aria più distesa.
– Quanto stanno?
Non le rispondo.
– Adesso segnano, non ti preoccupare. – dice Esther con una strana animazione. – Vuoi scommettere? Dài, facciamo una scommessa!
Con la coda dell’occhio la vedo risedersi accanto a me sul divano e cavare dalla borsetta una lunga sigaretta bianca.
– Mi dispiace, sai... – le faccio, allungandole l’accendisigaro da tavolo. – Dev’essere terribile non vedere più. Ma non c’è proprio niente da fare?
– Sì, pregare.
Torniamo a concentrarci sulla partita tenendoci per mano. Quando l’Italia segna, a un minuto dalla fine, urliamo e balziamo in piedi e ci abbracciamo e abbozziamo pure qualche passo di danza. Da fuori della finestra proviene un festoso contrappunto di trombette, strida e cori patriottici. Ci affacciamo anche noi in balcone ed esultiamo insieme agli altri.
Esther mi saluta sulla soglia con un bacetto sulla guancia.
– Ciao, – mi fa, – a presto.
La guardo dal balcone camminare in mezzo alla via deserta e buia verso la fermata dell’autobus. Rientro. Mi siedo sul divano. In tivù scorrono i fotogrammi muti di una pubblicità di automobili. Mi copro gli occhi con la mano. Premo forte i polpastrelli sulle palpebre. Ecco, ora sono cieco anch’io. Non vedo nulla. D’ora in avanti qualcuno dovrà decidere tutto per me. Così non sbaglierò più.

ACCANTO ALLA CECENIA


Sergej Stratanovskij

I cani di Groznyj,
senza padrone e cattivi,
Fra le rovine di Groznyj
coi denti lacerano i caduti,
Re fino a ieri
di cortili e discoteche.
1995
L’atto di aggressione di un corpo
Col fine del trip sul corpo di un altro
Si produce in ambienti
fluidi, aridi, risucchianti,
E fragranti, e funestamente – brucianti,
E precisamente:
Nel latte e il grano mondato,
Nella sabbia arabica e il cemento,
Nell’alabastro e la calce,
nel masut e il catrame, nell’amianto,
Nella pancia del brontosauro,
durante un improvviso bombardamento,
Sulla terra delle trincee,
sulla pagina di sangue delle leggi,
Del tempo X, dell’ora “O” e ancora
sul Montblanc degli abbandoni,
nella tinozza dell’urina e della merda,
E sul tappeto stellato
del Tutore della Morte dietro la porta.
1996








Groznyj sgominata...
Le bombe al vacuum...
Chi crederà lì in Dio?
Invece dicono pure che non ci sono
Atei nelle trincee,
e la pallottola dell’odioso nemico
Non ti raggiungerà,
se pregherai Allah
O il Dio russo.
1999








L’orecchio del nemico dal viso nero
Personalmente ucciso
in una lontana terra non battezzata
L’orecchio, reciso con accuratezza,
In un asciugamanino di tela,
di buon tessuto, avvolto con accuratezza,
Un guerriero, dal fronte tornato, regala
E poi lo riprende
e in un nero delirio alcoolico
Lo mangia davanti alla gente.
2000








La chiesa ha detto:
“Guerrieri, figlioli miei,
Sterminate senza pietà
i nemici della nostra fede,
Come cani inselvatichiti, sterminate
E del Cristo misericordioso invece
converseremo non appena sarete tornati
Dal campo di morte – storpi”.
2000








Ma in questo parco non si sentiva rumore
Anna Achmatova
Di un verde precoce
Difensore dalla morte
si sono coperti gli alberi di Ižora
Nel parco della gloria russa,
nel meraviglioso giardino di Carskoe Selò.
Obelischi, colonne...
Ma in silenzio nei viali spaziosi,
Il vento primaverile
non porta qui notizie
Dalla Cecenia in rivolta,
dalle sue indomite gole.
2000





Nelle fessure della terra,
Nelle fosse fresche per la spazzatura,
Nell’inferno affamato, freddo
gettiamo gli ostaggi-montanari,
Esigiamo il riscatto. Il prezzo di una vita fissiamo.
Così ecco, cazzo, combattiamo,
e così viviamo, non ci annoia...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Nuovi Argomenti (20)
  3. ARGOMENTI
  4. DISEGNI PER L’ITALIA
  5. SABATO NEL VILLAGGIO
  6. SCRITTURE
  7. CANTIERE
  8. GIORNALI DI BORDO
  9. Copyright